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SETTIMA SERIE

AVVERTENZA

l. -Questo decimo volume della serie VII inzia col lo gennaio 1931 e termina col 4 settembre dello stesso anno. La data finale è stata scelta tenendo conto della soluzione del conflitto con la Santa Sede circa l'Azione Cattolica. Il 4 settembre Grandi, che si trovava a Ginevra, trasmise a Mussolini il giudizio della stampa estera sull'accordo, e la questione fu chiusa.

2. -Come di consueto, la documentazione è tratta prevalentemente dall'Archivio Storico del Ministero degli Affari Esteri, in particolare dalla Serie Politica. Esaurita ormai quella che raccoglie la documentazione dal 1919 al 1930, col presente volume ha inizio sistematico la documentazione conservata nella successiva Serie Politica 1931-1945, della quale si è fatto cenno a suo tempo nell'Introduzione al volume VIII. La nuova serie -insieme ai mutamenti intervenuti nell'Ufficio della Cifra, già ricordati nell'Introduzione ora citata -è l'unica consistente traccia rimasta negli archivi del Ministero della loro riforma, voluta da Grandi dopo il furto, avvenuto nel maggio 1928, di un cifrario all'Ambasciata di Berlino, che rese ancor più gravi le costanti preoccupazioni di Palazzo Chigi per la segretezza dei documenti e la sicurezza della loro conservazione (si veda il volume VIII, pag. 217, nota 2). Alcune notizie sull'intera questione si trovano in una relazione per Grandi, firmata dal suo capo Gabinetto, Ghigi, e datata 16 febbraio 1931 (Archivio Grandi).

Anche altri fondi dell'Archivio Storico del Ministero hanno dato un ampio contributo alla documentazione: le Carte Lancellotti, i due cosiddetti fondi della Segreteria Generale (quello inventariato e -di minore importanza -quello non inventariato), i fondi della Registrazione Generale, della Società delle Nazioni e quello delle Conferenze Navali, busta I (Trattative Navali) e busta III. Fra gli archivi delle ambasciate, di particolare importanza è stato quello dell'ambasciata presso la Santa Sede. Alcune notizie, infine, sono state tratte dal fondo del Ministero della Cultura Popolare e dal fondo dell'Ambasciata di Parigi, mentre quello dell'Ambasciata di Londra è stato utilizzato per precisare il testo e la data di alcuni documenti.

3. -Altri archivi, oltre a quello del Ministero, hanno dato contributi di rilievo: l'Archivio Storico dell'ex Ministero dell'Africa Italiana; l'Ufficio Storico dello Stato Maggiore della Marina; vari fondi conservati presso l'Archivio Centrale dello Stato, come le Carte Grandi, le Carte Schanzer, la Segreteria del Duce, il Ministero di Grazia e Giustizia -Vescovi, il Ministero della Cultura Popolare, e inoltre -di minore importanza -la Presidenza del Consiglio e i Verbali del Consiglio dei Ministri.

Ma l'archivio di gran lunga più importante, che abbiamo potuto sfruttare grazie alla cortesia del Prof. Renzo De Felice, è quello personale di Dino Grandi. I suoi documenti costituiscono -insieme a quelli inseriti direttamente

dallo stesso Grandi nel Diario, tuttora inedito, di ministro degli esteri -l'ossatura centrale dell'archivio di Gabinetto del Ministero per il periodo settembre 1929-luglio 1932, di cui presso l'Archivio Storico esistono solo alcuni frammenti, sparsi tra le carte di Gabinetto del 1919-1930, le Carte Lancellotti e i fondi della Segreteria Generale.

4. --Alcuni documenti erano già editi: i numeri 237 e 252 in Documents on British Foreign Policy; il numero 305 nell'ultimo volume della biografia di Mussolini del De Felice; il n. 344 nel volume sui rapporti tra fascismo e nazismo dello stesso De Felice; il n. 99 sulla stampa del tempo (lo si può leggere nel Corrie1·e della Sera del 12 marzo 1931). 5. --Nel licenziare il volume desidero ringraziare il Dott. Mario Gazzini, la cui competenza è stata preziosa per le ricerche nell'Archivio Storico dell'ex Ministero dell'Africa Italiana, e la Dott. Emma Ghisalberti, che ha collaborato come di consueto alla compilazione degli indici e alla correzione delle bozze.

GIAMPIERO CAROCCI

ABBREVIAZIONI USATE

ASME . = Archivio Storico del Ministero Affari Esteri

ASMAI . = Archivio Storico dell'ex Ministero Africa Italiana

ACS . = Archivio Centrale dello Stato

DB . = Documents on British Foreign Policy 1919-1939. Le citazioni si intendono riferite tutte (eccetto una a pag. 121, nota, indicata espressamente) alla serie seconda. Alla sigla si è fatto seguire solo il numero del volume, che è II e III.

DDF . = Documents Diplomatiques Français 1932-1939, serie prima, vol. I.

DE FELICE, Mussolini R. DE FELICE, Mussolini il duce I. Gli anni del consenso 1929-1936, Torino, 1974.

DE FELICE, I rapporti tra fascismo e nazismo = R. DE FELICE, I rapporti tra fascismo e nazionalsocialismo fino all'andata al potere di Hitler (1922-1933). Appunti e documenti, Napoli, 1971.

445 446

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451 452 453

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Provf"nit•uza t• data

Roma 25 agosto

Roma 28 ago>to

Roma 31 agosto

... agosto

L'Aja settembre

Addis Abeba l settembre

Ginevra 2 settembre

Ginevra 2 settembre

Addis Abeba 2 settembre

Roma 2 settembre

Vienna 2 setten1bre

Roma 3 settembre

Parigi 3 settembre

Roma 3 settembre

Ginevra 4 settembre

Ginevra 4 settembre

Roma 4 settembre

Mittente e destinatario

GRANDI ad ARLOTTA

T. per corriere 911

GRANDI ad ALOISI

T. u. 924/111

Appunto di GRANDI

DE VECCHI a ML·sso-

LINI

Appunto di GRANDI

SENNI a GRANDI

T. rr. 4/64

PATERNÒ u. GRANDI

R. s. p. 261/101

Appunto di GRANDI

GRAXDI a CHIAR.\:vwNTE BORDONARO

T. r. 4

PATERNÒ a GuAmGLIA

T. s. 15345/414

FANI a PATER!'<Ò Tclespr. r. 230678/123

AGRITI a GRANDI Telespr. 4516/2552

FAKI a GRANDI

T. p. 10!109

l\iANZONI a GrtANDI

T. confidenziale

p. 11/42G

GRANDI a PATERNÒ

T. 948/235

GRANDI a MussoLINI

T. 6

GRANDI ad ATTOLICO

T. per corriere 7

GRANDI a BOTTAI e DE MICHELIS Telespr. rr. 230606

.

. c


DOCUMENTI
1
1

IL CONSOLE GENERALE A INNSBRUCK, RICCIARDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

R. 2/2. Innsbruck, 1 gennaio 1931.

La stampa locale, che volentieri ritorna di tempo in teliliPO sul divieto delle iscrizioni funerarie in lingua tedes,ca sulle pietre tombali dei ctmiteri della provincia di Bolzano, riferisce il caso di una famiglia Neuhauser di Terlano la quale avendo fatto incidere sulla propria tomba una iscrizione in lingua latina, non ottenne la necessaria autorizzazione del Podestà del luogo se non dopo aver fatto p'rocedere, 'COn ,sfregio estetico della pietra funeraria, alla correzione del,la abbreviazione • Alois. Neuhauser • in • Aloisius Neuhauser •.

Trattasi evidentemente nella fattispecie di cosa di ,picco! conto, ma non sarebbe forse opportuno che i Podestà della provincia di Bolzano fossero un po' meno rigidamente attaccati a minuzie, che si prestano facilmente ad essere da questi drcoli irredentisti in particolare e dai non pochi malevoli che conta all'estero il nostro paese in generale a diffondere [sic] la leggenda dell'oppressione dei tedeschi dell'Alto Adige (l) ctie non si arresta neppure di fronte ai sentimenti più intimi e sacri?

2

IL MOVIMENTO NAZIONAL-SOCIALISTA IN GERMANIA (2)

Berlino, 3 gennaio 1931.

Il movimento hitleriano, continua ad attirare su di sé molta attenzione per il suo inaspettato successo elettorale. Questo movimento continua ad essere osservato tanto in Germania quanto all'estero, e si capisce che, secondo le varie tendenze politiche, il suo significato viene o ingigantito o diminuito.

• Per quanto si tratti, nella fattispecie, di cose di non grande importanza, questo R. Ministero prega codesto di voler, con l'occasione, esaminare se non convenga far presenteai Sigg. Podestà della Provincia di Bolzano l'opportunità di non essere rigidamente attaccati alle minuzie del genere di quella riportata dalla stampa di lnnsbruck; minuzie che si prestano facilmente a diffondere all'estero la leggenda dell'oppressione degli allogeni in Alto Adige, senza, d'altra parte, presentare alcun sensibile vantaggio per la nostra situazione in quella regione •.

Il 4 febbraio il ministero dell'Interno rispose assicurando di aver dato disposizioni

• perché in avvenire sia evitato il ripetersi di tale inconveniente >.

In Francia il movimento hitleriano viene considerato prima di tutto dal punto di vista della " revanche ". Si capisce che un tale punto di vista è troppo unilaterale, giacché parte da un presupposto di pura politica estera, mentre il movimento deve essere considerato prima di tutto dal punto di vista di politica interna.

Il professore Einstein, parlando del movimento e del succe:;•,:;o hitleriano, ha detto, che esso vive solo " con gli stomachi vuoti dei tedeschi ". Infatti, prima di tutto e più di tutto, il movimento nazionalsocialista è una protesta delle grandi masse dei.la popolazione contro il peggioramento delle condizioni di vita.

Nei tempi passati, in simili casi, si votava senz'altro per i socialisti. Oggi invece i socialdemocratici, che hanno il potere in Prussia già da 12 anni, non possono più essere ritenuti come un partito di protesta; i comunisti, malgrado una fantastica propaganda che essi stanno sempre facendo, .sono assai discreditati per il naufragio degli esperimenti sovietici. Le masse germaniche sanno troppo bene quanto sia difficile la vita nella Russia sovietica; e, malgrado tutta la reclame, l'operaio e l'artigiano tedesco in grande maggioranza non credono al paradiso sovietico. Perciò il malcontento popolare ha trovato una nuova V1ia per manifestarsi e cioè il partito nazionalsocialista, che riunisce in sé, in modo paradossale, il nazionalismo più fervido e le idee socialiste più spinte.

Frattanto, il partito è composto da elementi che lo rendono assai vulnerabile. La riunione in uno stesso programma di elementi •così •contrastanti, porta delle conseguenze pericolose, tutto ciò che porta un successo nelle grandi riunioni, difficilmente permette al partito nazional-socialista di attuare i suoi postulati. Appunto per questo fatto intorno a Hitler non si è costituito uno • stato maggiore » di persone che possono esercitare un'influenza o sviluppare un'azione politica utile o responsabile. I suoi aiutanti. come Gobbels, non sono aUro che buoni organizzatori dei cortei e disturbatori di riunioni di altri partiti, ma sarebbe fatica inutile ceDcare nei loro discorsi un qualsiasi pensiero politico netto e chiaro. Anche lo stesso Hitler, malgrado la sua personalità caratteristica e malgrado il suo talento oratorio, non può essere cons•iderato un uomo politico capace e serio, anche se ora egli si è un po' allontanato dai suoi impeti estremi, che erano tanto caratteristici nel principio della sua attività politica.

Ecco perché il movimento hitleriano che rappresenta un sintomo significativo dello stato d'animo tedesco, brancola nel buio. Non bisogna dimenticare che il movimento non ha radici in nessun organismo statale. Né l'Esercito, né la Polizia sono stati toccati dal nazionalismo. Anche la burocrazia resta lontana dalle idee hitleriane. Infine, anche le confederazioni professionali, che rappresentano una forza politica molto influente, sono molto lontane dall'hitlerismo.

Il movimento nazional-:socialista, pur vincendo nelle elezioni, resta confinato in un vicolo morto. Esso non è la maggioranza; esso non è capace di fare una rivoluzione; infine la sua tattica è tale che nessun elemento responsabile gli si può aggregare.

Tutto ciò diventa causa di continue discordanze e di malumori. Tra le tendenze nazionaliste e quelle socialiste nascono continuamente delle collisioni. Non molto tempo fa il " reparto d'assalto " degli hitleriani si è pronunciato contro lo stesso capo ed è stato tranquillizzato solo con cospicue elargizioni fatte dalla cassa del partito per i suoi bisogni. Un gruppo di nazional-socialisti estremi ha tuttavia lasciato le file del partito ed ha costituito un gruppo a parte, sotto la guida del giornalista Strasser.

In questi giorni a Braunschweig è successo uno scisma, perché i nazionalsocialisti hanno fatto una coalizione con altri partiti borghesi. Gli elementi estremi hanno pensato che questo fatto urta contro i principii del pa.rtito ed hanno nettamente dichiarato di uscire dal partito. Nella loro dichiarazione questi elementi eistremi hanno detto che il socialismo degli hitleriani è una cosa vuota ed inesistente e che il Frik in Turingia ed il Franzen in Braunschweig, sono ministri di governi che hanno un prog.ramma completamente ~pposto agli ideali dei nazionalsocialisti, e ,che ,perdò tutti i gruiplpi dovrebbero protestare contro questa

• falsificazione del movimento ».

In questi giorni ha fatto molto rumore l'abbandono del partito da parte del capitano von Mukke, che è sempre festeggiato come un eroe nazionale per i gesti di pirateria compiuti durante la guerra. Il von Mukke è stato eletto deputato al Landtag della Sas,sonia, come candidato hitleriano. Egli ha parlato in questi giorni nella grande sala del Palazzo dello Sport a Berlino, davanti ad un imponente pubblico ed ha fatto delle dichiarazioni per motivare la sua uscita dal partito. Il comizio nel palazzo dello Sport è stato organizzato dalla nuova

• Confederazione germanica del 11innovamento politico • che ha per isc~po il risanamento della vita politica germanica e la lotta contro le demagogie tanto di sinistra, quanto di destra. Von Mukke ha dichiarato 'che la • cucina interna • del partito nazionalsocialista è taLmente v:iziosa, che egli non (poteva restare anche un minuto di più con i componenti del movimento hitleriano. Egli ha detto •che il partito nazionalsocialista ha dtssipato vergognosamente un enorme capitale morale che gli ·è stato affidato. Questo [partito che vuoi essere un partito di caratteri e di uomini onesti, ammette nei suoi ranghi elementi criminali, che non di rado occupano del.le gerarchie assai importanti. Nel partito, ha continuato von Mukke, si è formata una cric,ca di professionisti che vivono a spese del movimento.

Si afferma che il disco:~;so del von Mukke, che è molto stimato in tutta la Germania, abbia fatto un'enorme impressione.

Così, si osservano due fenomeni (paralleli: di sotto, continua ancora lo sviluppo del movimento hitleTiano, mentre di sopra, 1in mancanza di idee e di programmi concreti, il movimento comincia a putrefarsi. In Germania ~i fa strada la convinzione che se questo movimento è destinato ad aver qualche parte importante nei destini futuri della Germania, esso non la potrà in nessun modo avere, mantenendo il suo carattere e la sua fisionomia attuale (1).

Con telesur. 201126/25 del 13 gennaio il ministero chiese informazioni a Orsini Baroni. Questi rispose-con telespr. 543/269, Berlino 6 febbraio! ~icendo: il caso Mii<;ke «è .rh;nasto completamente isolato né ha dato luogo ~d alcuna !!ClSs1one nel campo nazwnalsoc1ahsta •.

su un colloquio avvenuto a Monaco 11 16 genna1o fra Capasso Torre e Gregor Strasser cfr. K. P. HoEPKE, La destra tedesca e i! fascismo, Bologna, 1971, pp. 364 e 368, nota 233.

(l) Con telespr. 201485/93 del 15 gennaio Fani trasmise al ministero dell'Interno la prima parte del r. Ricciardi, aggiungendo:

(2) Relazione anonima.

(l) Annotazione di Mussolini: « S.E. Grandi. Importante. Vedi pag. 3. Chiedere notizie a Berlino sul caso Mukke ». La pag. 3 della relazione è quella che parla di von Miicke.

3

APPUNTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, PER IL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI

Roma, 5 gennaio 1931.

Il Senatore Tacconi ha ragione (l): la situazione degli italiani in Dalmazia è difficile e .preoccupante. Ridotti a poche migliaia, molti di essi sono al bivio: l'esodo o l'assunzione della cittadinanza jugoslava.

Operai ed impiegati italiani vengono sistematicamente licenziati dalle Aziende jugoslave. Una recente seduta del Consiglio Comunale di Sebenico ha espresso il voto • che sia intensificata l'azione per togliere ogni mezzo di lavoro ai sudditi it~liani, sì da costringere in breve tempo i rrimanenti alla partenza •.

É vietato ai pubbHci funzionari compiere acquisti nei negozi italiani e larga propaganda è fatta, allo stesso fine, fra i privati dai circoli nazionalisti. Vivaci pressioni sono d'altra parte esercitate con lusinghe di indole economica su questi più modesti ceti di nostri connazionali.

I proprietari fondiari, se vogHono mantenersi italiani, premuti da imposte e da censi usurari, con conseguenti minaccie di esproprio, privati dei redditi da coloni incoraggiati pubblicamente alla morosità, vanno di necessità alienando le terre e le case.

Sempre più pressanti giungono i loro appelli per ottenere un aiuto in materia di credito agrario che permetta di protrarre, di qualche tempo almeno, la loro resistenza alla vendita dei fondi, necessaria di fronte al rifiuto delle Banche jugoslave di concedere ad essi -crediti ipotecari al di sotto del tasso del 20 per cento.

A tutto ciò si è di recente aggiunta la legge • per la liquidazione dei r~porti agrari sul territorio della pree;sistita provincia di Dalmazia •.

In base a tale legge • i rapporti feudali esistenti nei libri fondiari fra l'Erario dello Stato quale proprietario diretto ed il feudata-rio quale proprietario utile, si considerano legalmente aboliti col giorno l o dicembre 1918 •·

In questo modo i coloni diventano proprietari delle terre ed i • feudatari • sono espropriati con indennizzi fissati in base alla qualità dei terreni e natura delle coltivazioni da un lato ed alla data d'inizio dei rapporti colonici dall'altro.

Al quadro delle difficoltà materiali in cui vivono i nostri connazionali in Dalmazia vanno naturalmente aggiunte quelle che si riferiscono alle leggi ed alla cultura italiana.

È di questi giorni una circolare del Bano di Spalato che vieta in modo assoluto l'uso della lingua italiana in tutti i negozi ed uffici e iPersino sulle barche jugoslave stazionanti in quel porto per la vendita di frutta, legna, ecc. Se gli avventori non comprendono il croato, dovranno, per le loro contrattazioni, valersi di un interprete.

Se sarà applicata, 'come è prevedibile, alle nostre istituzioni s·colastiche, la legge 5 dicembre 1929 che rimette alle Autorità centrali i pieni poteri di dire:òione e controllo sulle scuole private, ogni loro autonomia sarà distrutta.

Il Senatore Tacconi con ;spirito di comprensione delle condizioni di bilancio da Te recentemente esposte, propone una ragionevole azione per la difesa economica dei nostri connazionali:

• l o -Autorizzazione ad uno o IPIU istituti di credito fondiario del Regno a poter svolgere la loro attività anche in Dalmazia a favore di quei connazionali.

2" -Assegnazione di un ulteriore sussidio, all'incirca di lire 200.000 da suddividersi fra le Casse di Mutuo Soccorso istituite a Srpalato, Sebenico, Curzola e Ragusa per l'erogazione di :piccoli prestiti tra i nostri connazionali.

3° -Assegnazione ai Consolati di Spalato, Sebenico e Ragusa di un congruo fondo, all'incirca 300 mila lire, quale fondo speciale per combattere la disoccupazione, rispettivamente l'azione di boicottaggio •.

Il primo provvedimento permetterebbe ai proprietari italiani di sottrarsi, per qualche tempo almeno, alla necessità di vendita forzata dei loro fondi.

Già da due anni a questa parte ho portato su queste possibilità tutta la mia attenzione, riuseendo ad ottenere che vari enti ed tstituti bancari italiani si dichiarino disposti ad accordare i mutui 'Per la somma ritenuta necessaria di circa 10 milioni di lire. Come Ti è noto essi chiedono però la garanzia statale. Il Ministero delle Finanze, ripetutamente da me richiesto, non ha finora creduto di ::;oterla concedere.

Le poss<Lbilità della nostra azione in questo senso ;sono naturalmente assai ridotte per effetto della riforma agraria jugoslava. Ritengo tuttavia necessario un Tuo intervento diretto presso il Ministro delle Finanze perché accolga i desiderata dei Dalmati. Il rischio da :parte deLlo Stato, è; in verità, 11idotto al mi;'limo, e l'impressione sarebbe in quei3to speciale momento assai buona. Lo spirito delle nostre popolazioni in Dalmazia sarà sollevato. Esse si sentono, non sempre a torto, abbandonate dal Governo Italiano (1).

Quanto alla seconda ed alla terza prroposta del Senatore Ta·cconi il Ministero degli Esteri sarà senz'altro in grado di provvedere isui suoi propri fondi non appena sarà possibile il recupero della somma di lire 500 mila che fu stornata

L. -500.000.

a vantaggio delle Heimwehren dal fondo destinato appunto a sovvenill'e ai bisogni degli Italiani in Dalmazia.

Ho stanziato già da tempo all'uopo un primo fondo di L. 100 mila per i Consolati in Dalmazia con istruz,ioni di impiegarle direttamente e per mezzo delle Casse di Mutuo Soccorso per la 'Concessione di piccole somme ad operai e commercianti che li sottraggano per quanto possibile, in qualche momento per loro particolarmente difficile, alla pressione economica delle Autorità Jugoslave.

Rimane in piedi, anche se col Tuo aiuto sa,rà possibile dare soddisfazione alle giuste richieste del Senatore Tacconi, la questione della 'fiforma agraria. Essa minaccia nella sua integrità la proprietà fondiaria italiana che occupava fino a ,poco tempo fa un terzo dell'intiero territorio dalmata e che costituisce tuttora la base prima di esistenza delle nostre collettività in Dalmazia.

La recente legge che Ti ho già citato " per la liquidazione dei rapporti agrarì sul territor,io della preesistita provincia di Dalmazia », malgrado il suo scopo evidente non fa cenno alle proprietà di Italiani.

Secondo la lettera dell'art. 56 degli Accordi di Santa Margherita e più particolarmente degli art. 2 e 3 dell'Accordo provvisorio sulle ei!!Jropriazioni (annesso D) degli Accordi di Nettuno, l'applicazione di una qualsiasi legge interna jugoslava concernente la riforma agraria non potrà aver luogo in confronto dei proprietarì italiani senza ,previa conclusione di uno speciale accordo fra i due Stati che regoli la misura di indennizzi da corrispondersi da parte del Governo Jugoslavo e le condizioni del pagamento. Tale accordo dovrà venir stipulato subito dopo la pubblicazione della legge sulla riforma agraria.

L'assenza di qualsiasi ,riserva sulla proprietà di Italiani, che si riscontra nella recente legge in parola, è spiegata da quanto riferisce il R. Ministro a Belgrado. Gli è stato colà infatti lasciato comprendere che sarebbe assai più gradita l'applicaz,ione della legge stessa senza stipulazione dell'accordo speciale, e che d'altra parte difficilmente in sede di negoziati sarebbe po,,sibile ottenere dai proprietarì italiani migliori condizioni di quelle ora stabilte dalla legge.

Ciò noi non possiamo assolutamente accettare, non fosse altro in considerazione del modo di pagamento dei terreni stabilito dalla legge in Buoni di Stato al 6 o/o con scadenza a trenta anni, e della nessuna fretta che abbiamo dal punto di vista politico a vedere definitivamente spossessati delle loro terre gli italiani in Dalmazia.

Ho perciò dato istruzioni alla R. Legazione in Belgrado, affinché siano iniziate le trattative per la conclusione dell'accordo [Jrevisto a Nettuno, trattative che saranno condotte alla stregua delle eventuali nostre convenienze tanto di politica generale quanto di carattere locale in Dalmazia (1).

Analogo il progetto per le proprietà di contadini alto-atesini, da passare a contadini italiani. Il progetto era patrocinato dall'Istituto di Credito Fondiario delle Venezie, che era criticato da Mosconi per il suo asserito proposito di conseguire il monopolio del credito fondiario nelle nuove provincie (ACS, Presidenza del Consiglio, 1931-1933, fase. 1/1-13/2584).

(l) Grandi si riferisce al memoriale di Tacconi ed. in serie VII, vol. IX, n. 458, allegato.

(l) -Il 5 novembre 1931 Mosconi prospettò al Credito Italiano e alla Banca d'Italia l'opportunità di intervenire per finanziare il credito fondiario a favore dei proprietari italiani in Dalmazia; ma il progetto falli per il rifiuto opposto dalla Banca d'Italia (ACS, Presidenza del Consiglio, 1931-1933, fase. 1/1-13/3420). Successivamente il governo fece un altro tentativo presso il Banco di Napoli il quale, già presente a Zara, avrebbe dovuto intervenire a favore della Banca Commerciale Spalatina, mettendosi così in grado di svolgere « una eventuale penetrazione nella Regione Balcanica • (teles:pr. Fani del 20 luglio 1932). Ma anche il Banco di Napoli rifiutò. Allora il governo, premuto da Tacconi, si rivolse alla Banca Nazionale del Lavoro, che concesse alla Commerciale Spalatina un credito di L. 500.000, rifiutandosi però di concedere una cifra superiore (Jung a Suvich, 21 dicembre 1932). Sulla Banca Commerciale Spalatina cfr. un appunto del 20 ottobre 1932 del suo vicepresidente, Leonardo Pezzoli: la Commerciale Spalatina, fondata circa 50 anni prima, era la sola banca italiana in Dalmazia, dedita soprattutto al credito ipotecario a favore dei proprietari italiani in Dalmazia. Pezzoli chiedeva un credito a favore della banca di 2 milioni di lire. In seguito a questa richiesta la Banca Nazionale del Lavoro concesse il già menzionato credito di

(l) Sul progetto italiano di espropriare le piccole proprietà appartenenti a contadini slavi e poste sul confine per concederle ad agricoltori ex combattenti o fascisti cfr. la circolare del giugno 1931 (E. APrH, Italia fascismo e antifascismo nella Venezia Giulia 1918-1943 Bari, 1966, pp. 275-276). '

4

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO A BUDAPEST, ARLOTTA

D. R. P. 35.

Roma, 5 gennaio 1931.

In relazione al telegramma per corriere di V. S. in data 20 dicembre (1),

prego ringraz,iare il Conte Bethlen della cortese comunicazione fattaci per il

tramite del,Ja S. V. circa la prossima sua visita a Vienna e la firma con l'Austria,

del Patto di Amicizia e di Arbitrato suggerito a ,suo tempo da S. E. il Capo del

Governo. Se il Conte Bethlen ha giudicato miglior partito nell'interesse del

l'Ungheria di non differire ulteriormente la visita, non ho da ,pa;rte mia nulla

da osservare al riguardo e ritengo anzi che la ~cosa possa ,presentare una certa

utilità. Ciò tuttavia non 'PUÒ facr mutare per parte mia l'intenzione di rinviare

ogni decisione circa il mio viaggio, date le diverse condizioni in cui si trova

l'Italia di fronte all'Austria.

Sarebbe però opportuno che il Conte Bethlen ~profittasse dell'occasione pecr

attirare l'attenzione del Ministro Schober sull'atteggiamento della stampa austriaca e in special modo tìrolese, la quale è tornata da qualche tempo ad assumere un atteggiamento poco amichevole per noi: sacrebbe sufficiente scorrere la collezione dei giocrnali • Tiroler Anzeiger , e • Innsbrucker Nachrichten • pecr rendersi ~conto di tale ripresa di o;stilità. Anche la • Reichpost , , che da parecchio "tempo non si occU;pava più de1l'Alto Adige, nel suo numero del 15 dicembre, nel dedicare un trafiletto all'anniversario della morte del dott. Noldin, si esprrime in modo da non lasciar dubbio al riguardo: la stessa cosa si può dire per la • Neue

Freie P1res:se • e ,l' • A1rbeiterzeitung •.

Sono noti gli sforzi 'che ;si fanno in proposito da parte francese per tener viva l'agitazione di alcuni ambienti tirolesi nei rigua,rdi dell'Italia e del Fascismo, agitazione ~che indubbiamente turba l'atmosfera dei rapporti itala-austriaci e itala-tedeschi; prova ne sia la recente istituzione, a Innsbruck, di un Consolato di ~camiera flt'ancese, cui è stato preposto, a quanto mi si a,ssicura, un funzionario che espHca notevole attività (2).

In febbraio l'attività del console francese a Innsbruck, Ernest Simon, attrasse i sospetti di Mussolini. Sembra, però, che i sospetti fossero infondati.

È assai dubbio che da tutto ciò ne possa venire un qualsiasi vantaggio al Governo austriaco nei cui riguardi il Governo italiano è costretto sempre da questo :stato di cose, a mantenersi in un certo atteggiamento di riserva.

Su questi punti sarebbe •conveniente che il Conte Bethlen facesse qualche opportuno accenno a Schober durante la sua prossima visita.

Con l'occasione V. S. potrà informare il Conte Bethlen che stante l'attuale situazione austriaca il R. Governo ritiene necessaria una .sempre più stretta collaborazione fra Roma e Budapest per la trattazione delle questioni austriache, essendo anche più conveniente in molti ·Casi che suggerimenti e direttive agli uomini politici austriaci giungano a Vienna, rpel tramite del Governo Ungherese.

Ciò soprattutto per quanto riguarda il nostro comune atteggiamento di fronte alle Heimwehren. Il Governo italiano rpur rendendosi ·conto delle innegabiLi deficienze delle Heimwehren, intende, per parte sua, continuar a ]are quanto possibile per contribuire al loro consolidamento evitando che da parte dell'attuale Governo austriaco si tenti di indebolirne l'azione.

In questo ordine di idee non dubito che troveremo consenziente il Conte Bethlen.

Aggiungo infine, per riservatissima conoscenza del Conte Bethlen, che fin quando dura l'attuale incerta situazione ,politica in Austria, non è naturalmente pos:sibile pensare né a soddisfare i desideri manifestati da Schober all'epoca del suo viaggio in Italia rper un invio di armi in Austria, né a mettere in esecuzione i noti progetti di transito attraverso l'Austria, la cui realizzazione rimane sempre subordinata agli opportuni mutamenti nella Direzione delle Ferrovie austriache (1).

(l) -Cfr. serie VII, vol. IX, n. 470. (2) -Con t. posta 445/41, Innsbruck 22 gennaio, Ricciardi avanzava delle ipotesi circa i finanziatori della recente campagna di stampa antitaliana. Scartate varie ipotesi,Ricciardi osservava come gli irredentisti avessero « trovato appoggi presso questo partito socialista, che in questi ultimi tempi ha mostrato grande tenerezza per gli Altoatesini e che ha capitaleinteresse a combattere queste Heimatwehren e in generale il Fascismo, o presso la Francia. Come ho già riferito alla R. Legazione, e come mi viene ancora confermato, questo mio collega francese ha avuto già dei colloqui cogli esponenti più in vista de]J'irredentislmo locali e cioè il Nicolussi ed il Mumelter. Non è da escludersi che ad una promessa di intensificare la propaganda antitaliana abbia corrisposto l'assicurazione d'un appoggio morale e finanziario da parte francese. Come ho già fatto notare a Vienna, però, questi legami mi sembrano scarsi di risultati per la Francia (difatti è difficile che l'attività di questi circoli irredentisti sorpassi il tono che ormai da anni ha raggiunto) e pericolosi per questi signoridel Tirolo, che potrebbero alienarsi con danno incommensurabile le simpatie e gli appoggigermanici di cui han sempre goduto. Non sarebbe difficile, infatti, propagare opportunamente in Germania queste tresche dei tirolesi cori la Francia. Più difficile per noi a combattere mi sembrerebbe invece l'alleanza coi socialisti •.
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CONCLUSIONI DELLA RIUNIONE TENUTA IL 5 GENNAIO [1931] NELL'UFFICIO DEL COMM. GUARIGLIA CON IL MARCHESE THEODOLI ED IL COMM. CATASTINI (2)

l) Non sembra che sia conveniente modificare le direttive fondamentali della nostra politica in materia di mandati e le istruzioni generali che ha il Marchese Theodoli. È anzi nel nostro interesse continuare ad esercitare in seno alla Commissione dei Mandati un'opera costante di vigilanza e di critica in modo che i Paesi mandatari sentano la ·Continua pressione della insoddisfazione italiana.

2) Nella prossima sessione del Consiglio a noi conviene sostenere la tesi che .la Commissione permanente dei mandati deve venire nuovamente e con

Sull'irredentismo tirolese cfr. anche le considerazioni contenute nel successivo t. posta 1969/221, Innsbruck l o maggio: l'irredentismo, calmatosi nel corso del 1930 in seguito alle speranze suscitate dal trattato italo-austriaco del febbraio dello stesso anno, riprende l'attività nell'aprile del 1931, dopo la delusione di queste speranze.

fermezza invitata a pronunziarsi sulle condizioni di cessazione di tutti i Mandati (1), non fosse altro che ,per ribadire il principio della temporaneità di questo Istituto.

3) È nel nostro specifico interesse che nella determinazione dei prindpi generali che debbono regolare il passaggio dal regime di mandato al regime di indipendenza sia tenuto conto:

a) della necessità che il Consiglio si pii'onunci in ogni caso all'unanimità ,sulla maturità del paese sottoposto a mandato a passare al nuovo regime;

b) della necessità di dare al Consiglio una base di fatto per le sue decisioni, base di fatto che non può essere ,che il risultato del lavoro di una Commissione d'inchiesta, la quale studi sul posto le condizioni obiettive del paese sottoposto a mandato;

c) della necessità di garantire i diritti di tutti i membri della Società delle Nazioni contro rla possibilità che lo Stato mandatario rsi faccia concedere, all'atto che stabilisrce il p;:tssaggio da un regime all'altro, delle ,condizioni di favore.

4) Per la questione specifica dell'Irak si os"erva: a) che l'Italia non ha dato il suo consenso all'accordo giudiziario, né le conviene per ora di darlo; b) ,che la mancanza di tale consenso arresta la procedura iniziata dall'Inghilterra;

c) rche, dato il fatto oramai inevitabile della trasformazione dell'Irak da paese sottoposto a Mandato in paese indipendente, si può prrospettare all'Inghilterra l'utilità di uno :scambio di idee tra tecnici italiani e tecnici inglesi, per regolare l'insieme delle questioni relative a tale passaggio, e nel caso di questo s'cambio di idee suggerire la possibilità che ,l'Italia receda dalla sua specifica opposizione ai desideri dell'Inghilterra in materia di indipendenza dell'Irak, in corrispettivo di concessioni determinate che l'Inghilterra dovrebbe fare. Queste concessioni potrebbero essere cercate anzitutto nel campo dei nostri interessi petroliferi, e ove in questo ,campo non fosse possibile una conclusione, nella regolamentazione dei ,confini meridionali libici.

S. E. il Ministro nel rcolloquio che egli avrà con il Sig. Hendemon potrà limitarsi a informarlo che il Governo italiano non crede di poter dare il suo consenso aH'accordo giudiziario; accennare al contenuto della nostra Nota Verbale, e frinalmente proporre uno scambio di idee tra tecnici sull'insrieme delle questioni dell'Irrak.

In seno al Consiglio S. E. il Ministro rpotrà limitarsi ad esporre la tesi di cui al n. 2 (2).

c •..La ragione precipua per la quale sembra alla Direzione Generale scrivente che non convenga al Governo Italiano dare per ora il proprio consenso all'approvazione del progettato accordo giudiziario anglo-irakiano, non è tanto la convenienza di mantenere il trattamento giudiziario ora vigente per i cittadini italiani nell'Irak, quanto la necessità che, coll'abbandonare fin d'ora senza discussione dei privilegi da noi goduti in base non solo al testo del mandato anglo-irakiano ma anche allo scambio di note itala-inglesi del 1925, non si costituisca un pericoloso precedente invocabile da parte del Governo Britannico, quando,al momento in cui si tratterà della cessazione del mandato britannico sull'Irak, si dovrà

(l) Il documento fu inviato in visione al re.

(2) Alla riunione partecipò anche Vitetti.

(l) -Il Consiglio aveva rivolto tale invito nella riunione del gennaio 1930. (2) -Sull'atteggiamento da tenere in merito alla questione dei mandati e, in specie, dell'Irak, Guariglia preparò il 7 gennaio una relazione per Grandi, della quale si pubblicano i passi seguenti:
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L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, DE VECCHI, AL CAPO DEL GOVERNO E MINISTRO DELL'INTERNO, MUSSOLINI

(Fondo Ambasciata presso la Santa Sede, busta 21)

TELESPR. 1766. Roma, 7 gennaio 1931.

Nota di V. E. 459 del 26 dicembre 1930.

Non ho mancato di far presente alla Santa Sede quanto è oggetto (l) del rapporto della nota 1controcitata di V. E. e di quella unitavi n. 6770 in data 20 dicembre u.s. del Prefetto di Gorizia. La questione, entrata già in possesso dei giorna<li 'locali, aveva, come è noto a V. E., .già dato luogo ad una polemica, così 'che dopo il mio intervento è a sua volta intervenuto nella polemica locale L'Osservatore Romano colla nota • Missioni • ·contenuta nel numero di ieri e che allego in copia a questo telespresso. Il punto di vista della Santa Sede è contenuto in questa nota dell'Osservatore. Dice la Santa Sede che, poiché i Sacri Canoni

trattare del miglior modo di tutelare il complesso di diritti che vantano nell'Irak gli Stati membri della S.d.N. diritti particolarmente confermati dalla Gran Bretagna all'Italia con lo scambio di note itala-inglesi del 1925.

Una nostra concessione, in questo primo tentativo di corrosione dei diritti che vantiamo nei territori del Mandato, potrebbe avere le più gravi conseguenze, non solo nei riguardi della cessazione del mandato per l'Irak, territorio nel quale vantiamo interessi relativamente poco importanti, ma sopratutto nei riguardi degli altri territori di mandato tipo A, i quali si avviano ad esperimenti analoghi a quelli in corso per l'Irak. È notorio che la Francia segue con vigile attenzione la questione della cessazione del mandato inglese nell'Irak, per applicare domani alla Siria, o parzialmente al Libano, una procedura analoga...

E' noto a V. E. che è la stessa Potenza Mandataria, la Gran Bretagna, che propone che tale mandato cessi, e che contemporaneamente si è impegnata ad appoggiare l'Irak per il suo ingresso nella S. d. N. Essa ha previamente proceduto a regolare i suoi rapporti con l'Irak a mezzo del trattato anglo-irakiano firmato a Bagdad il 30 giugno 1930. Col detto trattato in sostanza l'Irak, pur essendo costituito a Stato pienamente indipendente e sovrano, entra nell'orbita dell'Impero Britannico con legami ben saldi e duraturi...

L'atteggiamento del Governo Italiano in tali circostanze può essere alternativamente duplice:

l) Noi potremmo fare opposizione a tale modo di cessazione del Mandato irakiano, nel senso che potremmo discutere la legittimità di una procedura per la quale il Mandato cessi con vantaggio particolare della sola Potenza Mandataria la quale pur rendendo indi

pendente di nome lo Stato irakiano vi mantiene l'occupazione di alcune zone, e vi si assi

cura privilegi particolari.Per fare tale azione a GinevJCa, occorrerebbe però essere in stretto accordo con la

Germania che ha interessi analoghi ai nostri. Ora sembra alla Direzione Generale scrivente

assai difficile che la Germania voglia procedere fino in fondo in un atteggiamento di opposizione all'Inghilterra, in una questione che sta a questa certamente assai a cuore. Nè d'altra parte sembra nostro interesse di assumere verso l'Inghilterra un tale atteggiamento, considerando tutto il complesso della situazione politica europea ed in particolare lo stato delle

nostre relazioni con la Francia.

2) Ovvero si potrebbe fare comprendere all'Inghilterra (e la Nota Verbale di risposta qui unita in progetto, relativa al trattato giudiziario anglo-irakiano, ne potrebbe fornire lo spunto) che noi non ci opporremmo alle sue vedute in merito alla cessazione del mandato irakiano ed al conseguente assorbimento dell'ltak nell'orbita imperiale britannica; ma che d'altra parte vogliamo con essa discutere sia per ottenere una contropartita a nostro vantBggio, sia per cercare di assicurarci fin d'ora col nuovo Stato indipendente dell'Irak se non quei diritti particolari che le disposizioni del testo del mandato riconoscono all'Italia e che ci sono stati confermati dall'Inghilterra con lo scambio di note itala-britannico nel 1925, almeno una situazione non inferiore a quella che vi avranno altri Stati in materia di stabilimento, di commercio, di esercizio di professioni, industrie etc...

Che se poi V. E. preferisse di cercare una contropartita nell'ambito stesso degli interessi che noi abbiamo in Mesopotamia, si potrebbe cercare di ottenere dall'Inghilterra un impegno di intervenire a favore della B.O.D. [British Oil Development] (nella quale a mezzo dell'A.G.I.P. siamo interessati) per le concessioni petrolifere che questa ha sinora invano chiesto in Mesopotamia.

Non è da nascondersi la difficoltà di ottenere al riguardo un impegno dal Governo britannico. E' noto che la B.O.D. agisce nell'Irak in contrasto con l'I.P.C. [Iranian Petroleum Company] la quale non è altro che una emanazione della Anglo Persian, oggi alleata alla Standard Oil nel difendere la politica della limitazione della produzione petrolifera mondiale, e quindi la tesi di non lasciar sfruttare i campi petroliferi nell'Irak, ancora intatti. È noto pure quali stretti rapporti corrano fra l'Ammiragliato inglese e l'Anglo Persian la cui maggioranza delle azioni è in mano al Governo Inglese •.

lO

prescrivono che l'istruzione religiosa venga data nella lingua materna e poiché vivono in Gorizia ,popolazioni di lingua slovena, è giusto che queste « Missioni • che non sarebbe da dubitarsi doversi considerare « istruzione religiosa , vengano oltre che in lingua italiana tenute in lingua slovena. Circa il .luogo si risponde che della s~elta della chiesa è arbitro i,l vescovo perché ciò rientra nella sua specifica e insindacabile competenza.

Per l'atteggiamento tracotante di quel vescovo davanti l'Autorità civile V. E. conosce che non è questo il primo reclamo che muovo alla Santa Sede. Mi si risponde che è un vescovo molto pio, o mi si risponde con un sorriso, o peggio si cerca di evitare di rispondermi.

Anche questa volta non ho mancato di far ,rilevare che una simile situazione qualora non vi siano opportuni interventi della suprema autorità della Chiesa potrà dar luogo alle più spiacevoli conseguenze (l).

(l) Prediche in lingua slovena a Gorizia.

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IL GOVERNATORE DELL'ERITREA, ASTUTO, AL MINISTRO DELLE COLONIE, DE BONO

(ASMA!)

R. RR. P. 2. Asmara, 7 gennaio 1931.

Per quanto si tratti di lettera assolutamente privata, ritengo doveroso trasmettere a V. E. -per Sua conoscenza st1·ettamente personale -copia di una comunicazione del 24 dicembre del Marchese Paternò (2).

Ritengo che que:sta lettera, meglio del carteggio ufficiale, potrà dare a V. E. la sensazione della nostra situazione in Etiopia, che è grave.

Voglio aggiungere ~che se la situazione finanziaria in Italia non fosse quella che è, io penso che piuttosto che ~continuare in questo triste marasma (che è in gran ,parte ~conseguenza del famoso trattato) potrebbe convenirci una rottura, naturalmente provocata dall'A!bissinia e non da noi. In una guerra offen:siva noi avremmo tutto da guadagnare -almeno per quello che valgono le previsioni umane. Ma anche gli abissini pensano lo stesso, e non ci attaccheranno, a meno che non fossimo coinvolti in una guerra europea. Ma allora sicuramente lo farebbero, e l"Eritrea dovrebbe difendersi con i suoi mezzi soltanto, o quasi. Non dimentichiamo mai questo.

Sarebbe a:ssai interessante se V. E. potesse avere comunicazione del rapporto riservato mandato da Paternò all'On. Grandi (3). Il peggiorare della nostra situazione in Etiopia è dimostrato anche dall'attitudine sempre ,più invadente del Console abissino, il quale fra l'altro si è messo

ad esel'citare uno l.~pionaggio su vasta scala. Spionaggio che io seguo, perché posso decifrare i suoi telegrammi, ma ·che non è meno seccante.

All'arrivo a Massaua della salma del Priore del Bizen il Console è inte·rvenuto. Egli era sceso a Massaua protestando ragioni di salute. Quando Moreno leggendo il mio messaggio ha deplorato che il Priore fosse morto in terra straniera il buon Console non ha saputo o voluto nascondere un gesto di indignazione. Ma V. E. tenga presente che il prete che ha risposto, ha detto che anche lo Scioa è terra di S. Marco.

(l) -Il testo proseguiva con questo passo poi cancellato: • Esprimo il subordinato avviso che quel clero debba essere più che mai seguito in ogni sua mossa e ne debba essere rigidamente represso ogni atteggiamento fuori legge accompagnando, quando V. E. lo ritenga del caso ogni provvedimento e sottolineando ogni mossa... ». (2) -La lettera di Paternò ad Astuto, datata Gibuti 24 dicembre, non si pubblica. (3) -Allude con ogni probabilità al doc. cit. in serie VII, vol. IX, p. 672, nota l.
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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, ALL'AMBASCIATORE AD ANGORA, ALOISI

T. RR. P. 8/4. Roma, 8 gennaio 1931, ore 3.

È nece~sario che V. E. lasci opportunamente cadere ogni conversazione anche a titolo personale su argomento di cui suo telegramma 419 (l) poiché progetto costì elaborato non contiene alcun elemento da poter essere preso in seria considerazione. Mi sorprende che V. E. abbia potuto giudicarlo come suscettibile di esame. AvvertoLa che Le ho inviato per ·corriere lettera in data 29 dicembre,

n. 301 (2) dalla quale risultano precisamente direttive nostra azione costì, cui non è certamente conforme progetto in parola. Segue dtspaccio (3).

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, ALL'AMBASCIATORE A MOSCA, ATTOLICO

D. 91. [Roma, 8 gennaio 1931].

Ho ricevuto e letto con molto interesse i Suoi recenti rapporti sulla situazione politica in Russia e Sipecialmente quelli circa i colloqui da V. E. avuti con Litvinoff dopo il nostro incontro di Milano (nn. 3 e 4 P.R.) (4).

Approvo il linguaggio da Lei tenuto nelle Sue risposte alle varie questioni, e La prego di voler seguire le stesse linee generali in occasione di ulteriori conversazioni.

Nelle materie economiche converrà :s>erseverare nella via che ci siamo tracciata non tralasciando alcuna occasione favorevole per un maggiore sviluppo dei traffici italo-russi, ma naturalmente senza farci soverchie illusioni sui limiti massimi che essi potranno raggiungere.

Per quanto ,riguarda le nostre relazioni politiche con la Russia non conviene per il momento fare di più di quanto è stato fatto con l'incontro di Milano,

e quindi non :si tratta che di continuare a mantenere costì quegli amichevoli rapporti, contatti e scambi di vedute che vedo iniziati soddisfacentemente da

V. E., senza tuttavia andare più oltre in profondità sino a quando non si presentassero diverse circostanze.

A proposito di questi scambi di idee, rilevo che Litvinoff è tornato a parlare con V. E. dei buoni raiJ!porti che cerchiamo di mantenere colla Romania, non mostrandosi ancora abbastanza ~conv~nto della convenienza di tale politica.

Oltre a riferirmi circa tale questione al riassunto del colloquio del 24 Novembre 1930 già da me trasmesso a V. E. ed alle argomentazioni ivi esposte, ritengo convenga che V. E. continui a far opportunamente presente, ogni volta ne avrà l'occasione al Signor Litvinoff che rcome l'Italia ha per scopo principale, coltivando in quanto possibile l'amicizia Romena, di allentare in certo modo i vincoli romeno-francesi e romeno-jugoslavi, così sembra a noi che la Russia avrebbe interesse a migliorare le sue relazioni con la Romania per allentare i vincoli romeno-polacchi.

Per parte nostra ci rendiamo ben conto di tutte le difficoltà di questa politica per noi resa ancora più delicata dalle nostre intime relazioni con l'Ungheria, ma la ~convenienza di evitare che la Romania sia indotta a legarsi ancor più strettamente alla Francia e alla Piccola Intesa è così evidente e importante che la stessa Ungheria desidera il mantenimento e lo sviluppo dei buoni rapporti italo-romeni. E tale, io penso, dovrebbe essere anche il pensiero del Governo Russo. Un recentissimo articolo apparso sulla Berliner B61·sen Zeitung (l) chiarisce con inusitata perspicacia queoto punto di vista. Non sarà inutile richiamarvi l'attenzione di Litvinoff.

Sono però lieto di rilevare dal Suo rapporto n. 4 che questi comincia a considerare con minor s~cetticismo l'01pportunità di diminuire la tensione russoromena, e perciò a V. E. non dovtebbe riuscire difficile di mantenerlo in queste migliori disposizioni, segnalandomi quando la situazione fosse costì matura per esaminare l'eventuale convenienza e possibilità di una qualche nostra apertura a Bucarest.

Per ciò ~che concerne i rapporti russo-ungheresi non mi sembra il caso di spingel'ci per il momento più oltre, e così pure nei riguardi della Bulgaria. Ella vorrà pertanto continuare ad assi,curare Litvinoff che vedremo con favore il riavvicinamento russo-ungherese e russo-bulgaro, non lasciarsi trascinare troppo sull'argomento e astenersi naturalmente da ogni affidamento preciso, po,iché queste 'Situazioni sono in sostanza rpiù facili a maturare che non quella russoromena, né ~conviene a noi far nulla per forzarle prima che si renda possibile un sostanziale miglioramento dei rapporti tra la Russia e la Romania (2).

V. -E. se e quali direttive siano al caso da darsi al R. ambasciatore ad Angora •. L'analogo punto di vista di Palazzo Chigi risulta da un appunto di. Guari~lia per Gr~m?i del 19 gennaio. Sempre sulle rcla.-ioni russo-romene cfr. una Lp. d1 Attohco a Guar1gha del 16 gennaio e la risposta di Guariglia del 21, in Archivio Grandi.
(l) -Cfr. serie VII, vol. IX, n. 487. (2) -Ibid., n. 480. (3) -Cfr. n. 14. (4) -Cfr. serie VII, vol. IX, n. 431 e p. 633, nota. (l) -Forse allude al numero del 29 dicembre 1930. (2) -Cfr. anche il telespr. 607/232 del 7 febbraio, col quale Attolico segnalava l'ostilità del Governo sovietico a una iniziativa turca per favorire il riavvicinamento russo-romeno. A ttolic'"l cosi cnneludeva: « Checché ne sia, ogni tentativo del genere sarebbe. in questo momento, destinato a sicuro fallimento. E poiché ciò comprometterebbe eventuali possibilitàfuture, reputo nostro interesse adoperarsi perché l'iniziativa turca non abbia seguito. Vedrà
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IL MINISTRO A PRAGA, PEDRAZZI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. PER CORRIERE 64/4. Praga, 9 gennaio 1931 (per. il 12).

Faccio seguito al telegramma per corriere odierno n. 2.

Stasera, poco prima della ,partenza del corriere, il MinistTo Benes mi ha fatto dire che dels,iderava di parlarmi subito. Mi sono recato da Iui ed egli prima di tutto mi ha ringraziato per il modo cordiale col quale il Governo italiano si esprimeva intorno alla sua eventuale candidatura alla conferenza del disarmo (l), scartando dai motivi di opposizione ogni ragione personale e limitandosi ad obbiezioni di indole puramente politica che Benes stesso doveva riconoscere come logiche ed altamente risJPettabili. Però dato che il suo nome era in ballo in questa questione, egli teneva ad informare il Governo di Roma intorno al suo contegno ed ai ,suoi propositi in tale contingenza. Egli mi ha dunque dichiarato che se l'Italia muovesse una qualsiasi opposizione alla sua candidatura, od anche se si mettesse in un atteggiamento di riserva, egli non accetterebbe la presidenza, per non mettere in imbarazzo il Consiglio della Società delle Nazioni e per riguardo all'Italia medesima. Ma secondo lui l'Italia avrebbe torto per,ché egli considera la presidenza come una occasione per lavorare in perfetta e piena cordialità con l'Italia, non meno che con la Francia. Egli desidera quindi di meritarsi la piena ed intera fiducia dell'Italia. Se sarà presidente egli farà a Roma una delle sue primissime visite e tiene a far sapere che egli considera l'azione della Delegazione Italiana nella conferenza come la più importante e mette come chiave di volta del successo o meno della conferenza ~la felice composizione degli attriti franco-italiani. Intorno a quelli egli intenderebbe infatti di lavorare con fervore tenendosi accuratamente in una posizione di a:ssoluta imparzialità tra l'uno e l'altro Paese. Egli ha anche tenuto a dirmi che secondo lui nella questione psicologica che turba i rapporti franco-italiani, la Francia ha torto. Mi ha ricordato che l'Italia anche durante la guerra è stata sottovalutata, che il suo sforzo non è stato considerato come si doveva, ~che nella ~conferenza della pace l'Italia non ebbe i risultati che doveva avere, e che infine la tendenza francese a considerare l'Italia come grande potenza inferiore a lei era un grave torto dei francesi. E,gli quindi si

porrebbe al lavoro per chiarire queste errate posizioni psicologiche verso di noi. In seguito a tali premesse Benes è passato a dirmi che noi abbiamo torto a considerare l'azione della Piccola Intesa come contraria all'Italia, e che egli considera anzi una forte azione italiana verso l'Euél'opa Centrale e Balcanica come un ,salutare contrappeso al pericolo futuro rapplre<sentato da una ripresa tedesca o russa verso l'Europa orientale e Danubiana. Insomma Benes ha concluso su questo argomento che la Piccola Intesa sarebbe lietissima di collabo

rare coll'Italia come collabora con la Francia e che del suo parere erano anche gli altri due Stati alleati. Queste .comunicazioni riferisco perché Benes mi ha detto che av;rebbe cercato di vedere a Ginevra S. E. Grandi e .che gli avrebbe parlato di tutto ciò.

Io richiamando il discorso sulla conferenza del disarmo gli ho detto che la questione psicologica era una bella cosa, ma che nei rapporti franco-italiani vi erano anche altre questioni, quale quella della parità che a Londra (l) non era stata risolta, e che ancora tiene i due Paesi in una situazione di disagio l'uno verso l'altro. Benes qui mi ha ri~posto che senza poter oggi fare cifre, credeva che i bisogni di dascuno debbano essere .considerati secondo le diver.se situazioni, senza per questo ferire il principio della uguaglianza e della parità. In altri termini ho capito che Benes se dovesse occuparsi di queste questioni vorrebbe darei soddisfazione nelle cose di ordine psicologico, scartando poi la parità, con argomenti di necessità diversa. Lungo e difficile sarebbe riferire la conversazione del Ministro .che (parlando quasi sempre .lui) è durata un'ora e un quarto e nella quale Benes non ha fatto che affermare una cosa sola: la necessità •per la Piccola Intesa, e per la Cecoslovac:chia soprattutto, di essere in rapporti eccellenti coll'Italia.

Ho avuto la chiara impressione che quando egli sarà il presidente della conferenza avrà la istintiva tendenza a trasformarla in un congresso universale di tutte le questioni europee. Egli concludendo mi ha ripetuto fino all'incredibile che senza la piena e completa fiducia dell'Italia non accetterà mai l'incarico di presidente.

(l) In qualità di presidente.

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IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

TELESPR. 72. Belg1·ado, 9 gennaio 1931.

Richiamando i colloqui avuti ultimamente ·costà con S. E. Guariglia a S. E. Indelli trasmetto qui unita •copia di una lettera direttami dal R. Prefetto di Zara in data 16 dicembre, e copia della ri1sposta che gli invio in data odierna (2).

Debbo ora far noto che da notizie private mi risulta che molti contadini hanno già fatto, ed altri stanno facendo presso i rispettivi Tribunali della Dalmazia jugoslava le richieste previste dalla legge sulla Riforma agraria, che i proprietari italiani sono incerti sul da farsi allorché riceveranno le riS[>ettive intimazioni, tanto più che molti :sono nel reale ed urgente bisogno di denaro liquido e vi è incertezza sul tempo e la conclusione dei negoziati italo-jugoslavi.

Inoltre al Ministero degli Affari Esteri mi sono stati fatti dei lamenti su di una circolare che il Senatore Tacconi avrebbe diramato ai proprietari ita

liani per incitarli (in termini piuttosto vivaci ed interpretati come ostili al governo jugoslavo) alla resistenza per impedire l'applicazione della riforma agraria in loro confronto.

Sarebbe infatti opportuno, sempre che tale circolare esista e sia redatta nei termini lamentati, che fo;ssero evitate tali manifestazioni un po' clamorose che possono pregiudicare la situazione, e sopratutto nuocere alla persona del Senatore Tacconi rendendo ancora più difficile la di lui .permanenza in Jugoslavia (vedi rapporto di questo Ufficio del 18 novembre u.s. n. 5713/2227) (1).

È chiaro ·che occorre ottenere la solidarietà di tutti i proprietari italiani per dare fo:rza al negoziato, poiché un progressivo loro sfaldamento finirebbe con lo svuotare la possibilità di qualsiasi utile risultato, ma tale solidarietà deve essere •commisurata alla possibilità di resistenza economica dei proprietari stessi viste le durissime condizioni economiche di una fortissima loro parte, così come deve tenersi conto delle conseguenze cui può condurre una indefinita resistenza ed un forte prolungarsi dei negoziati, dato che in fatto quasi tutti i proprietari dalmati sono spossessati della terra alla quale po.ssono accedere solo purtroppo per constatare che il contadino la ritiene già propria e non intende cor:rispondere più alcun canone (2).

Infatti il Signor Fotich, Ministro aggiunto ad interim, già due volte mi ha detto che se i negoziati non dovessero portare ad utile conclusione, il governo jugoslavo lascerebbe la terra ai proprietari italiani; (senza peraltro replicare alla mia osservazione che ciò stava bene se era assicurato il godimento effettivo dei fondi).

Il compito di riunire, sentire i proprietari e coordinare i risultati delle loro riunioni deve essere lasciato ai R. Consoli in Dalmazia ed al R. Prefetto in Zara, evidentemente con l'aiuto e la collaborazione dei maggiori esponenti delle nostre collettività dalmate, ma in modo che la responsabilità consolare e quella del R. Prefetto copra e contenga ogni altra azione. Diverso agire può determinare pericoli per il Senatore Tacconi e gli altri nostri dirigenti in Dalmazia, pericoli che conviene. sembrami, nel presente momento evitare, anche per non ingenerare nel governo jugoslavo e negli ambienti locali un .senso di irritazione e di immediata resistenza ad ogni nostra richiesta più legittima con

Ormai l'idea che la ter!'a appartiene a chi la lavora, chiaramente espressa nella legge sulla riforma, si è talmente radicata nella ment<' dei contadini che anche quei singoli, i quali più in omaggio ad una abituale consuetudine che per paura di sanzioni legali sarebbero disposti ad adempiere ai loro obblighi di fronte ai proprietari, si vedono paralizzati nella loro buona volontà da ogni sorta di minacce e di rappresaglie da parte degli altri, così da trovarsi costretti a fare con questi ultimi causa comune. Anche il sapere che la riforma agraria non tocca le proprietà italiane -e lo sanno ormai tutti -non vale per nulla a migliorare questa situazione, anzi se mai contribuisce a inasr>rirla. Ché all'interesse economico di tenere per sé tutto il prodotto, si aggiunge l'astio contro l'italiano. fattore che è servito a togliere ogni perplessità anche ai più volenterosi e più ossequienti alle leggi ed alle convenienze •.

Le autorità giudiziarie jugoslave, continuava il prefetto, erano parziali a favore dei contadini. • In breve, i proprietari di Zara, nella loro stragrande maggioranza, non ricavano dai propri beni quasi più nessun reddito • , pur dovendo pagare le imposte fondiarie allo stato jugoslavo. Questa situazione non è nuova, ma • negli ultimi tempi si è inasprita fino all'inverosimile».

conseguenze che non possono se non rendere più difficile -la s()luzione di questo problema e il compito dei negoziatori.

Senza voler fare anticipazioni premature, come già detto costà, è mia impressione che difficilmente si potrà ottenere per i proprietari italiani una indennità teoricamente superiore a quella fissata per gli jugoslavi. Vantaggi potranno essere forse conseguiti nel determinare la garanzia di ,stima, e nei modi e tempi del pagamento delle indennità. Ma anche questi vantaggi potranno forse essere ottenuti conducendo i negoziati in una atmosfera di ogni possibile serenità, con esclusione di ogni pregiudiziale politica o irredentistica estranea al ,campo specifico della riforma, in modo che il Governo jugoslavo non sia indotto ad una resistenza determtnata anche da criteri di principio e necessità generali politiche, oltre quelle già .gravi di natura finanziada e implicite al negoziato.

Né è da obliare neppure, poiché questa è la pura verità di fatto, che la scomparsa della proprietà italiana in Dalmazia costitui:sce il più grave e definitivo colpo alla ,situazione politica degli Italiani, ciò ,che non può non destare in ogni cuore italiano dolorosissima eco; è anche purtroppo vero che la conservazione integrale della proprietà stessa sia pure come proprietà dì diritto, sia pure con le difficoltà suaccennate e le conseguenze indicate, non potrà essere raggiunta, poiché la solidarietà ed il fronte unico dei proprietari italiani non potrà essere mantenuto che per un tempo relativamente breve, di fronte alla prospettiva di ricevere sia pur poco ma sempre migliore del nulla attuale. La loro attesa decennale non si può più ormai sostenere di speranze, a meno che, come testè mi ha prospettato il Comm. Segre, il R. Governo non potesse mettere a disposizione per la resistenza un fondo ,che certo dovrebbe elevarsi, per operare efficacemente, a cifre abbat;tanza cospicue (1).

Tenendo P'resenti questi criteri ho scritto al R. Console Generale in Spalato pregandolo di raccomandare ogni cauta condotta al Senatore Tacconi e dando qualche ulteriore consiglio e direttiva, che confido V. E. vorTà approvare (2).

(l) -Alla conferenza navale di Lond;·a. (2) -Gli allegati non si pubblicano. (l) -Cfr. serie VII. vol. IX, n. 383. (2) -Sui rapporti fra proprietari e contadini in Dalmazia cfr. quanto comunicava il prefetto di Zara. Solmi, co:1 nota del 13 gennaio 1933: « Da circa un decennio. ma particolarmente da quando nel Regno di Jugoslavia è stata applicata la riforma agraria, pochi assai. e in numero sempre più decrescente. sono i coloni che corrispondono ai proprietari cittadini italiani la quota del prodotto dei campi che per legge, per contratto o per consuetudine a questi spetta.
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IL MINISTRO A TIRANA, SORAGNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

TELESPR. 61/33. Tirana, 9 gennaio 1931.

Telegramma per corriere di V. E. n. 30 p.r. del 2 gennaio corrente (3). Per quanto riguarda gli impegni di Recupito col Governo Albanese, non sarà difficile il trarsi d'impaccio. Io stesso potrò aiutarlo, insinuando che gli

zuccherieri >Si sono anche allarmati per le inconsulte manifestazioni di ostilità, manifestatesi tempo fa in qualche ceto di commercianti e riprodotte colla solita leggerezza dalla stampa; e ne approfitterò per illustrare il principio generale che gli affari un po' serii che si cerca di imbastire in Albania non presentano in realtà quelle attrattive di guadagni che certi albanesi immaginano, anzi, a compiuto esame, si rivelano per aleatori e dispendiosi; sicché è indispensabile che il Governo inviti e faciliti in ogni modo i volenterosi, invece che mettersi subito sulla difenl3.iva appena quaicuno si presenta a fare delle proposte.

Per quanto poi ci riguarda, non nascondo il mio disappunto vivissimo. Debbo constatare purtroppo che in Albania siamo sempre ridotti a veder agitarsi ed operare le persone che vivono al margine degli affari, i piccoli speculatori di terza categoria, i Lucca e i Santi. La gente seria non viene, o, se si affaccia all'orizzonte lo fa in maniera incerta e si ritira tosto allegando ragioni generiche di diffkoltà locale o di impossibilità economica e commerciale.

Il progetto dello zuccherificio e dell'annessa coltivazione della barbabietola si presentava ·come il primo vero grande affare privato positivo di cui, a scienza mia, si sia parlato in Albania, nei campi che più ci interessano, cioè nei campi agricolo ed industriale insieme connessi. Non si trattava qui di vasti progetti destinati a rimanere sulla carta chi sa fin quando, come la famigerata bonifica della Musackja, o gli impianti di industrie idro-elettriche con relative fantastiche sistemazioni di bacini montani: bensì di uno stabilimento industriale ben definito, a due passi da Tirana, destinato a produrre un articolo di ordinario ed indispensabile consumo locale. Le terre che dovevano essere sfruttate, non erano le solite paludi, o le so1itc boschiVle, lontane da ogni centro, e prive di strade, senza mercati, malsane, s.popclate ed ingoiatrici di capitali immensi. Erano le terre complessivamente più preparate d'Albania, già coltivate, e non richiedenti che la piccola bonifica miglioratrice del colono, utilizzabili colla apertura di poche e facili vie, poste a cavaliere della strada maestra ed a facile portata dei due maggiori centri di consumo, Tirana e Durazzo. Dalle duecentocinquanta alle trecento famiglie italiane avrebbero dovuto essere introdotte sui luoghi, mescolate colla popolazione albanese locale; e non già perdute in steppe fangose a morir di malaria, ma nel centro più civilizzato del paese. Finanziariamente, l'affare poteva esser buono, ai debiti patti, dal lato industriale; era certo buono dal lato agricolo. Una trentina di milioni, impiegati più che altro in costruzione di caseggiati e stalle ed in livellazioni e preparazioni normali del terreno, avrebbero reso almeno il 10 % netto. So bene che l'imbastitura dell'affare, specialmente per l'introduzione della mano d'opera italiana, non sarebbe stata facile; ma era una bella battaglia, in cui si poteva impegnarsi

ciato nei confronti del governo albanese ». La decisione di Grandi era stata presa in seguito a una lettera del Consorzio Nazionale Produttori Zucchero, diretta a Lo Faro in data 23 dicembre 1930. Di questa lettera si pubblica il passo seguente:

« Purtroppo però il momento non potrebbe, per la nostra industria, essere meno adatto per attuare un'impresa come quella progettata e studiata. Noi abbiamo oggi uno stock che va diventando ogni giorno più pesante per la progressiva diminuzione del consumo. Alla fine della campagna in corso tale stock supererà certamente il milione di quintali. Ciò significa un immobilizzo di quasi duecento milioni. È un problema gravissimo per la nostra industria, che ci preoccupa grandemente. In questa situazione gli Industriali dello Zucchero non si sentono di assumere impegni per una impresa, che mentre è di dubbio risultato economico, richiederebbe, tra capitale fisso e circolante, l'impiego di almeno 35 milioni di lire '.

con tutta l'ani.ma, perché la posta ne valeva la pena. Il Governo A.lbanese sarebbe stato finalmente posto di fronte ad un vero e concreto progetto, che significava la trasformazione di una plaga importante, sotto gli occhi di tutti, l'aumento quasi immediato dei redditi dei privati e della produzione agricola tassabile, l'elevazione economica e professionale di una quantità di contadini, il crearsi di una scuola pratica di agricoltura moderna. Era questa la volta che si sfondava la porta dell'introduzione, in scala discretamente larga, dei nostri coloni.

V. E. poi comprende che cosa voleva dire per l'economia albanese l'immissione di una settantina di milioni -fra parte industriale e parte agricola sul mer•cato finanziario del paese; proprio nel momento -1931 e 1932 -in cui l'apporto della S.V.E.A. svanirà definitivamente. Il problema che d assilla, sulla riper·cussione dannosa della cessazione dell'iniezione finanziaria costituita dal prestito, sarebbe stato in parte risolto, senza ulteriori sacrifici.

Ma di tutto ciò, come V. E. mi dice purtroppo, occorre disinteressarsi. È un compito comodo, ma non lieto.

(l) -Sulla questione cfr. n. 3. (2) -Con telespr. 165 del 19 gennaio Fani approvò le istruzioni impartite da Galli al console generale a Spalato. (3) -Col quale Grandi comunicava, a proposito di un progetto di impiantare uno zuccherificio in Albania: • Ritengo che allo stato attuale delle cose la S. V. debba disinteressarsi dell'affare in questione e lasciare che Recupito si cavi da solo dall'impaccio in cui si è cac
13

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI

L. Roma, 13 gennaio 1931.

Ti allego l) Progetto di lettera a Tua firma per il Ministro delle Finanze relativa al Credito Fondiario in Dalmazia (1).

2) Copia di 2 telegrammi inviati stasera a Tirana. Ho controllato i documenti relativi al negoziato finanziario coll'Albania (2). Nessun iinpegno preso sinora da noi drca la richiesta albanese di :sanare il bilanc1io in corso. A·l mio ritorno da Ginevra sarà opportuno che H Marche1~e Soragna dia una scappata a Roma per ricevere gli ordini definitiV'i sull'intero negoziato, e il problema del matrimonio di Re Zogu.

3) Un rapporto del Ministro Piacentini su i " fasdsti bulgari » (3). Lo Skoinoff dovrebbe partire fra pochi giorni da Sofia per venire a Roma a conferire con l'on. Giuriati. L'on. Giuriati gli ha già fatto recapitare la somma di L. 6.000 occorrenti per le spese di viaggio. Dato che il Ministro Volkoff è in dissidio con questi fascisti (i quali non rsono] ancora meritevoli di molta fiducia), io mi domando se non fosse il caso di aggiornare questo viaggio di qualche tempo, e preparare la ·cosa in modo che Volkoff, che è nostro amico e che risentirebbe da questo viaggio a Roma dello Skoinoff un certo contraccolpo al suo prestigio di Rappresentante della Bulgaria a Roma, non abbia ad offendersene. Tu ricordi anche gli incidenti Skoinoff-Piacentini-Caleffi. Perché non attendiamo che il

nuovo nostro Ministro prenda possesso della Legazione a Sofia, per vederci un po' più chiaro nella questione? Accludo anche una lettera d'istruzioni inviata al Barone Aloisi a seguito del telegramma di cui ti diedi visione ieri (1).

P. S. -Apprendo in questo momento che lo Skoinoff è già in viaggio. Ho telefonato all'on. Giuriati pregandolo di dare al ricevimento un carattere privato (2).

(l) -Sulla questione cfr. n. 3. (2) -Sul quale cfr. serie VII, vol. IX, nn. 384, 388, 427. (3) -Cfr. ibid, p. 689, nota l.
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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, ALL'AMBASCIATORE AD ANGORA, ALOISI

D. R. P. 201483/4. Roma, 15 gennaio 1931.

Col dispaccio n. 242709/301 che ho diretto a V. E. in data del 29 dic.

scorso (3), e sul quale richiamo la di Lel particolare attenzione, ho già chiarito

all'E. V. il mio pensiero circa gli sviluppi ulteriori dei nostri rapporti colla

Turchia, basati sul Patto di amicizia e l'inopportunità allo stato almeno delle

cose, di accordi politici supplementari italo-turchi, che, in ogni caso, non po

trebbero essere destinati a fare riscontro efficace, e per noi utile, alla .speciale , situazione turco-russa.

In questo ordine di idee, ho quindi telegrafato a V. E. (4) di 'lasciar senz'al

tro cadere la proposta di cui al suo telegramma per corriere n. 419 del 31 di

cembre (5).

Un nostro intervento in questioni navali della Turchia ha potuto essere

preso in con3iderazione soltanto quando tali questioni sembravano offrire a noi

occasione formale di un patto itala-greco-turco per il Mediterraneo, che sarebbe

venuto ad inserirsi nel patto navale greco-turco. Tale programma era del resto

chiaramente riassunto dall'E. V. stessa nel Suo telegramma per corriere n. 246

del 29 lugLio ·scorso (6).

• ... Ove tali accordi (greco-tur•chi) raggiungessero effettivamente un soddisfacente risultato, io dovrei sempre secondo le istruzioni datemi da V. E. fare in modo che l'Italia si inserisca fra la Turchia e la Grecia come Potenza mediterranea interessata al mantenimento dell'equilibrio nel Mediterraneo orientale, prendendo atto degli accordi navali raggiunti fra Turchia e Grecia e stabilendo l'obbligo della -consultazione a tre nel caso di cambiamento dello statu quo •.

È evidente che non si possa da parte nostra avere seriamente intenzione di compromettere singolarmente la nostra posizione navale -che, come l'E. V. sa, debbo gelosamente difendere di fronte a maggiori Potenze marinare -colla Turchia, colla quale ci dovremmo illlJ)egnare, secondo il protocollo che l'E. V. mi ha sottoposto, a • marcher dc pair dan13 la yoie de la limitation parallèle de leurs forces respectives •.

Tramontata, per ora, l'occasione di poter concludere un patto mediterraneo colla partecipazione della Grecia, che per ovvie ragioni, era, per i nostri più vicini interessi il fattore che più immediatamente premeva di assicurarci, viene naturalmente a ·cadere la convenienza di un patto a due fra Italia e Turchia, di tanto più, poi, del genere di quello proposto del tutto diverso e nella sostanza e nell'interesse politico da ciò che era stato originariamente concepito.

Anche per quanto concerne le difficoltà dei futuri negoziati greco-bulgari, e la benefica influenza che, secondo ritiene l'E. V. potrebbero avere sulle stesse nuovi accordi politici itala-turchi, debbo richiamare all'E. V. le considerazioni che ho avuto ad accennarLe nel mio ricordato dispaccio del 29 dicembre a proposito della politica balcanica di Tewfik Ruschdi e delle nostre particolari convenienze. 'Dagli avvenimenti IPOBteriori all'accordo g.reco-turco l'E. V. ha avuto modo di esperimentare i risultati non del tutto convincenti, di mediazioni delle quali non ci siano stati previamente assicurati tangibili vantaggi. La situazione greco-bulgara, quale si presenta attualmente, è lungi dal nuocerei, né una mediazione a due, non richiesta dalle parti in contrasto, sopratutto tenendO conto di quanto io debbo pensare delle direttive di Tewfik Ruschdi, appare tale da poterei giovare.

Quanto alla politica balcanica di Tewfik Rus·chdi, credo opportuno segnalare all'E. V. ~l'accluso rapporto del R. Ministro a Sofia (1). Ella rileverà che codesto Ministro degli Affari Esteri ha disegni vasti e difficili e giunge finanche ad interessarsi, non richiesto, di delicate situazioni che concernono precipuamente l'Italia e per le quali è evidente che dobbiamo agire alla stregua delle nostre precise convenienze e non di quelle di Angora.

È ormai necessario ·Che la situazione italo-turca venga considerata, pur assicurandogli il nostro maggior interesse e le più vigilanti cure per i suoi desiderati ulteriori sviluppi, nei giusti limiti che è destinata ad avere nel quadro generale e complesso della politica italiana, senza inadeguate maggiorazioni delle sue proporzioni, che potrebbero finire col fuorviare gli effetti che ce ne attendiamo e che soli ci sono utili.

centini riferiva:

• È venuto stamane a vedermi questo Ministro di Albania, Kemal Messarè, il quale mi ha riferito che durante una conversazione da lui avuta al ricevimento di questa Legazione di Turchia con Tewfik Russdi bey, questi gli accennò -tra l'altro -all'utile eventualità di un'azione politica tendente a staccare la Jugoslavia dalla Francia e dalla Piccola Intesa, avvicinandola invece alla Turchia, alla Grecia e alla Bulgaria, -e, per conseguenza,all'Italia.

La conversazione non ebbe allora un maggiore sviluppo, ma Kemal Messarè è rimasto colpito dal fatto che visitando Buroff, alcuni giorni or sono, questi gli riferì che Tewfik Russdi bey aveva fatto menzione anche con lui della suddetta eventualità concernente una politica di distacco della Jugoslavia dalla Francia e dalla Piccola Intesa: al che Buroff aveva rispostomostrandosi piuttosto scettico al riguardo e domandando a sua volta quale sarebbe stat:J sull'argomento il punto di vista dell'Italia •.

Il rafforzamento delle relazioni italo-turche, del resto, come ho già fatto presente all'E. V. 'PUÒ e deve attenersi anche all'infuori di rinnovate pattuizioni di carattere esclusivamente politico. All'infuori di vaste combinazioni internazionali, nelle quali, torno a ripetere, la libertà di azione e le responsabilità dell'Italia e della Turchia non hanno reciprocamente ri:seontro, vi sono altri campi, come, ad esempio, quello economico, nei quali l'amiaizia e l'azione ~con-· corde italo-turca possono essere fatte proficuamente sentire. Una maggiore corrente d'affari e di uomini d'affari fra i due Paesi, un più effeHivo favore per le nostre iniziative economiche in Turchia, un adeguato aumento del numero dei nostri tecnici PE''r contribuire aila organizzazione di val'i rami della vita economica della Turchia.. sono, fra altri, mezzi pratici ed efficaai di consolidare e di predisporre quel reale rafforzamento delle relazioni itala-turche che è compito dell'E. V. di raggiungere sopra un terreno di conoreti interessi (1).

(l) -Allude evidentemente ai nn. 8 e 14. (2) -Dopo il viaggio a Roma del generale Skoinov e del segretario generale della Rodna Zastita, che furono ricevuti da Giuriati e da altre personalità fasciste, Ferretti si incontrò con loro a Sofia al~a fine di aprile o ai primi di maggio. Già nel luglio successivo, peraltro, Cora trasmetteva notizie sullo stato di crisi della Rodna Zastita, notizie confermate poi in novembre (t. posta 24231755 del 12 luglio, t. posta 3899/1243 del 23 novembre 1931). (3) -Cfr. serie VII, vol. IX, n. 480. (4) -Cfr. n. 8. (5) -Cfr. serie VII, vol. IX, n. 487. (6) -Non pubblicato.

(l) Allude probabilmente al t. r>osta 336:</1173 del 29 dicembre 1930, col quale Pia

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IL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA LEVANTE ED AFRICA, GUARIGLIA, AL MINISTRO A BELGRADO, GALLI

TELESPR. RR. 201436/144. R.oma, 15 gennaio 1931.

Suo telegramma ,per corriere n. 149 dell'8 dicembre s.

Accludo a V. S., agli scopi indicati in fine del telegramma citato, un plico contenente copie di documenti, forniti del Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato, relativi a procedimenti definiti od in co~so d'istruzione, dai quali può desumersi la solidarietà ed i rapporti continui fra autorità civili e militari della Slovenia, nonché del Consolato Jugoslavo a Trieste, con agitatori e terroristi allogeni operanti nella Venezia Giulia.

Questo Ministero gradirà avere, a suo tempo, di ritorno la documentazione allegata, che è di notevole interesse.

ALLEGATO.

NOTA

Dalle unite copie di atti e documenti del procedimento a carico di MARUSIC Francesco ed altri, risulta la connivenza fra gli imputati da una parte e le associazioni nazionaliste d'oltre confine e le stesse autorità jugoslave dall'altra. L'ordine di procedere alla consumazione degli attentati perveniva da oltre frontiera.

Le associazioni nazionaliste jugoslave (Orjuna, Jugoslovenka Matica, ecc.) mandavano, oltre che aiuti finanziari, bombe, armi e munizioni nonché stampe per la propaganda.

Le autorità jugoslave istigavano alla consumazione dei reati, fornendo egualmente denaro ed armi, nonché stampe (queste ultime specialmente in occasione delle elezioni plebiscitarie del Marzo 1929) facilitando l'espatrio dei colpevoli i quali poi, in premio della loro attività, erano assunti come impiegati presso gli uffici governativi jugo!'!lavi.

Il Consolato Jugoslavo di Trieste è stato la vera base di appoggio degli imputati, che vi ritiravano stampe e denaro e vi ricevevano le opportune istruzioni.

Allegati dal n. l al n. 14 (1).

(l) Il documento fu inviato in visione <1! re.

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IL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA LEVANTE ED AFRICA, GUARIGLIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, A GINEVRA

L. 201669/7. Roma, 16 gennaio 1931.

I giornali del 15 corrente riportano notizie della stampa americana, secondo le quali Stimson starebbe esaminando la questione dell'eventuale cooperazione degli Stati Uniti con la S.d.N. per un intervento di una Commissione Mista in Liberia, che avrebbe il compito di avvisare ai mezzi più idonei per l'estirpazione della schiavitù in quella Repubblica.

Dopo l'invio della prima Commissione societaria d'inchiesta in Liberia, composta di un americano, di un rappresentante della S.d.N. (inglese) e di un

« Il movimento irredentista jugoslavo verso le terre giuliane abitate da allogeni acquista ogni giorno più un suo specifico vigoroso aspetto, riesce a permeare ogni manifestazione dello stato jugoslavo, si alimenta degli aiuti che riceve dal Governo ed a sua volta nutre di sentimento antitaliano tutte le associazioni nelle quali gli allogeni trovano facile incoraggiamento e accoglienza, e diviene di più in più organico.

Merita quindi una ampia esposizione che fornisca a V. E. un quadro riassuntivo della sua attività negli ultimi anni, e possa più agevolmente misurarne la estensione, fissarne i caratteri, seguirne lo svolgimento. Tanto più in quanto le manifestazioni varie che si susseguono rispondono chiaramente ad un piano ben definito e che nei suoi aspetti ed attività principali serve ai fini maggiori dello Stato e del governo dittatoriale: antitalianità-jugoslavismo integrale.

Particolare attenzione meritano le manifestazioni del 1930, specie dal Settembre 1930, dopo la sentenza di Trieste. Le caratteristiche principali del movimento irredentista sono le seguenti:

a) da caotico e piazzaiolo tende sempre più a seguire le linee direttive che partono dalla Narodna Odbrana, ed attraverso Jugoslovenska Matica e Jadranska Straza, scendono alle varie associazioni irredentiste: Istra, Orjem, Soca, ecc.

b) Ha alla sua direzione gli emigrati che esercitavano nella Venezia Giulia professioni liberali (avvocati, medici, ingegneri), come organi minori di inquadramento i preti e maestri allontanati dalle funzioni ricoperte nella Venezia Giulia. Adopera come mezzi di azione i giovani più ardenti che hanno preferito alle nostre le università jugoslave, si vale della massa di emigrati sempre più numerosa (a Zagabria si calcolavano circa 5000 emigrati) e che è alimentata

da non meno di 500 emigrati annui. clandestini o no, coordina l'abile propaganda in tutti i

fogli jugoslavi.

c) Ha spostato il suo centro di azione da Lubiana a Zagabria. Quivi è agevolato dalle

Autorità sopratutto perché con la attività antitaliana, vale a neutralizzare le correnti di sim

patia per l'Italia che si erano ad un determinato momento manifestate nell'ambiente croato

antiserbo.

Sembra vi sia una tendenza a centralizzarlo a Belgrado sotto la direzione dell'avv. Ivan

Cok, indicato dalle nostre Autorità Giudiziarie come dirigente il movimento terrorista nella

Venezia Giulia.

d) Ha distribuito le sue parti nelle varie associazioni. La terroristica, prima affidata

all'Orjuna, sembra ora passata a nuclei di Sokol sloveni, od alla Mlada Jugoslavia, la quale

vale in ogni caso come gruppo di assalto nelle dimostrazioni (vedi le ultimissime di Zagabria).

Si parla, in questi ultimi giorni della formazione ed inquadramento militare dei giovani

allogeni.

e) Ha indiscutibili aiuti ed incoraggiamenti dal Governo che sovvenziona diretta

mente ed indirettamente le società. È noto che alla Politica Sociale vi sia uno speciale ufficio

diretto dall'allogeno Surina.

Circa gli aiuti del Commissario Ujicic, del Batageli, e di altri organi ufficiali ne è stato

riferito via via. I principali saranno del resto richiamati in seguito. Il fatto più significativo

è l'incoraggiamento e l'aiuto dell'associazione femminile « Kolo Srpski Sestara » di cui è

anima la signorina Gruich, Dama di Corte, e che ho dovuto nominare specialmente in occa

sione del processo Gortan e poi di quello di Trieste.

f) L'attività irredentista vale a mettere in vista i suoi esponenti maggiori che comin

ciano ad ottenere cariche e funzioni importanti. Vedi il Razem a Zagabria ed il Marusich nato

ad Opachiasella e divenuto bano di Lubiana ''·

3 -Documenti diplomatici-Serie VII-Vol. X

liberiano, e dopo la pubblicazione de.! suo ,rapporto (che viene distribuito in questi giorni a Ginevra) confermante che la schiavitù è in Liberia praticata su larga scala, ed in seguito al quale si sono verificate le dimissioni del Presidente e del Vice Presidente della Repubblica, l'intervento di una nuova Commissione in Liberia non avrà forse ,soltanto un platonico scopo di studio, ma potrà ,preludere ad un qualche tentativo di intromissione nel Governo e nella amministrazione della Repubblica.

La cosa certamente non potrebbe !asciarci indifferenti da un duplice punto di vista.

S.e Sii riconoscesse l'incapacità della Repubblica a governarsi da sé, e se in conseguenza ;si prospetterà la necessità che essa venga guidata da uno Stato più progredito, non sarebbe questo il primo caso in cui si verifi,cano le condizioni per la ,creazione di un nuovo Stato a Mandato? Dovremmo allora aprire gli occhi e pensare ai casi nostri. Stati Uniti e Gran Bretagna, ciascuno direttamente interessato ad impedire all'altro di prendere nella Repubblica una posizione di ,predominio potrebbero chissà anche preferire l'intervento di un terzo Stato, che come l'Italia non ha in Liberia da difendere propri interessi. La Francia d'altronde, che 'Circonda con le sue Colonie della Guinea e della Costa d'Avorio per tre quarti il territorio della Liberia, sarebbe un troppo pericoloso mandatario, perché la Liberia finirebbe con 1'essere economicamente assorbita nelle confinanti Colonie Francesi. Inoltre la notoria nostra scarsità di mezzi potrebbe forse, in questo caso, giovarci per accordarci con gli Stati Uniti affinché l'economia italiana non faccia concorrenza alle potenti Società americane che nella Liberia hanno monopolizzato il caucciù; ed è questo soltanto l'interesse che spinge gli Stati Uniti ad oc,cuparsi della schiavitù in Liberia.

Che se poi l'intervento che si prevede in Liberia dovesse essere per ora di carattere collettivo, cioè una emanazione della S.d.N. occorrerebbe esaminare se sia possibile avere un posto nella Commissione Mista che verrà inviata a Monrovia.

Non bisogna infine dimenticare ,che un intervento societario nella Liberia con lo scopo di combattere la schiavitù può costituire un precedente invocabile per un analogo intervento in Etiopia; ove può ancora essere per noi dubbio che d convenga di provocare un'inchiesta analoga, ma tale dubbio a mio avviso potremmo essere anche consigliati a decidere in modo opposto ove l'invadenza francese sull'Etiopia si consolidasse e si estendesse.

In ogni caso ciò è da tener presente per determinare la composizione, i poteri, il compito della prevista Commissione Mista che si recherà in Liberia.

Ho :creduto non tardare ad esporre a V. E. tali considerazioni di ordine generale dato che nel Consiglio in corso verrà ,su proposta britannica, in discussione la questione della schiavitù in Liberia.

Le invio qui accluso un articolo del " Journal de Genève » in proposito (1).

(l) Gli annessi non si pubblicano. Sull'irredentismo jugoslavo cfr. quanto comunicato nel t. posta r. 511/179, Belgrado 30 gennaio:

(l) Guariglia tornò sulla questione, a cui era collegata una richiesta di assistenza avanzata dal Governo della Liberia alla Società delle Nazioni, scrivendone a Paulucci a Ginevra il 22 aprile 1931. Nel corso del 1932 la Società delle Nazioni si occupò della cosa; l'Italia mirò a salvaguardare l'indipendenza della Liberia.

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IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, PATERNO', AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. 97/23. Addis Abeba, 17 gennaio 1931, ore 19 (pe1·. ore 3 del 18).

Seguito numero precedente (1).

Il Sovrano mi ha poi parlato della questione delle armi e del prestito. Mi ha detto che suo malumore è anzitutto dipeso dal fatto che suo rappresentante alla Conferenza Armi lo aveva' informato che nostro Delegato gli era stato apertamente ostile mentre a Sua Maestà era stata data assicurazione formale che detto Delegato aveva avuto istruzioni appoggiare richieste Abissinia. Ho spiegato che i verbali della Conferenza provavano l'unanimità di tutti i Delegati nelle deliberazioni relative aeroplani e artiglieria pesante. Ho assicurato Sua Maestà ·che anche questo episodio prova malafede dei consueti informatori i quali avevano naturalmente interesse a mettere noi in cattiva luce salvo poi a votare come noi contro le richieste etiopiche. Circa prestito ho avuto modo riassumere ampiamente questione. Ho spiegato anzitutto che Governo Fascista non ha mai preso impegno fornire prestito all'Etiopia pur avendo sempre avuto intenzione fare possibile per agevolarlo. Ho poi aggiunto che consiglio da noi dato a Sua Maestà per un prestito internazionale anziché da parte di un privato gruppo bancario mirava: 1°) ad affermare indipendenza economica del i[laese; 2°) a rendere ,più agevole sottos•crizione in quanto (e i fatti lo hanno ormai provato) nella crisi mondiale attuale è difficile che un privato .finanziere trovi da solo una somma tanto rilevante, e dovrà, se trovatala, richiedere garanzie inaccettabili. Mentre in un finanziamento internazionale parte della garanzia si trova nella s·tessa amministrazione internazionale e neLl'organizzazione del prestito, con la conseguenza apprezzabile che presenza vari controllori diverse nazionalità è già di per se stes3a un freno ad intromissioni illecite che seriamente minaccerebbero sua economia come nel ·caso di un prestito privato.

S. M. l'Imperatore imi ha confermato che i suoi sforzi per un prestito privato erano determinati non già da preferenze su prestito internazionale, ma bensì dall'urgente bisogno di danaro, che Sua Maestà ha speranza poter più rapidamente avere facendo appello a privati finanzieri. Sua Maestà ha aggiunto che il ricorrere sempre al prestito internazionale desta sospetti in generale nella finanza internazionale stessa. Ho approfittato di questa dichiarazione per sollecitare Sua Maestà a inviarmi risposta al questionario che con S. E. Gasparini gli facemmo consegnare 'a suo tempo. (Mio telegramma 290). Gli ho spiegato che in tal modo i nostri finanzieri avrebbero potuto studiare problema ed esisere in grado così agire quando Sua Maestà avesse definitivamente deciso di affidare ad essi la direzione del prestito. Sua Maestà mi ha risposto che la

cosa sarà fatta al più presto. Ho parlato pure (mio telespresso 2 del 2 gennaio) del Consigliere tecnico. Su tale argomento telegraferò a parte. \In conclusione, senza tralasciare le 1più doverose riserve, ritengo che con questa conversazione durata un'ora, spoglia di qualsiasi Umitazione protocollare e 1improntata a franchezza qui inusitata, si sia fatto un passo avanti che mi sforzerò valorizzare tenendo testa alle insidie ed alle difficoltà a V. E. note.

(l) Annotazione dell'Ufficio Cifra in calce al documento: «All'atto della distribuzione del presente telegramma non è ancora pervenuto il precedente (n. 22) a cui esso fa riferimento. 18 gennaio 1931, ore 12 ». Per il te!. 22, che risulta trasmesso il giorno 20, cfr. n. 22.

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PROMEMORIA DEL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA LEVANTE ED AFRICA, GUARIGLIA, PER IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

Roma, 17 gennaio 1931.

Il Consigliere dell'Ambasciata di F.rancia, Conte di Dampierre, mi ha consegnato le accluse copie di documenti diplomatici che il Governo francese vorrebbe pubblicare nella raccolta dei « Documenti relativi alle origini della guerra • e per la cui pubblicazione domanda il nostro consueto nulla osta.

I documenti in questione si riferiscono, per la maggior parte alla nostra guerra libica e più precisamente alle trattative per la conclusione della pace con la Turchia. Uno (quello del 17 giugno) parla della visita del Re del Montenegro all'Imperatore Francesco Giuseppe e contiene considerazioni del Segretario Generale Bollati, che sembrano quasi di attualità sui rapporti serbobulgari e greco-bulgari. Tre (15 maggio, 8 agosto, 16 .settembre) si riferiscono alla nostra occupaz,ione del Dodecanneso. J,l resto alle p'rime conversazioni della pace italo-turca.

Sebbene il momento attuale non sia il più felice, non vedrei per parte mia alcuna abbiezione alla pubblicazione di tali documenti i quali però tendono naturalmente ad esagerare la parte avuta dalla Francia nei tentativi da essa fatti per porre ·fine al conflitto italo-turco mostrando che l'azione esercitata da essa in occasione fu gradita ed utile per l'Italia.

Ma soprattutto per la scelta delil'attuale momento non possiamo ·certo vedere con piacere la pubblicazione di tre documenti riguardanti la nostra occupazione nel Dodecanneso, giacché essi sono destinati a gettare la solita doccia fredda sulle relazioni italo-greche rimettendo in evidenza tanto le allora dichiarate intenzioni dell'Italia circa la temporaneità dell'occupazione delle isole, quanto le pressioni della Francia e dell'Inghilterra su di noi per evitare l'acquisto definitivo delle isole stesse da parte nostra.

Poiché però tutto questo è storia vera, né sembra per noi conveniente chiedere alla Francia lo stralcio di tali documenti dalla pubblicazione, fondandosi su dei motivi di op,portunità politica che riguardano noi soli, sarei d'avviso di accordare il richiesto nulla osta trovando modo però di far comprendere a questa Ambasciata di Francia che non siamo stati insensibili al delicato pen

siero francese di pubblicare tali documenti proprio nel momento in cui la loro diffusione andrebbe anche di pari passo con le note diffide del • Temps • alla Grecia nei riguardi della amicizia itala greca (l).

19

APPUNTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, SUL COLLOQUIO CON IL MINISTRO DEGLI ESTERI TEDESCO, CURTIUS

Ginevra, 19 gennaio 1931.

Curtius -Dichiara di essere venuto desiderando di esaminare ampiamente tutte le possibilità di collaborazione itala-germanica nelle questioni trattate dalla Società delle Nazioni ma prima di questo desidera parlare di alcune piccole questioni. Innanzi tutto vuole esprimere la soddisfazione del :suo Governo per l'atteggiamento italiano nella questione del rinvio della mobilizzazione delle annualità del piano Young (2).

Grandi -Ho parlato prima di partire col vostro Ambasciatore Schubert il quale suppongo vi avrà informato che la questione presentava non poche difficoltà che io ho dovuto sormontare specialmente presso il Ministro delle Finanze, il quale ·come ogni Ministro delle Finanze aveva fatto assegnamento su queste entrate. Ho quindi segnalato la questione al Capo del Governo il quale si è compiaciuto di intervenire personalmente per rimuovere queste difficoltà.

Curtius -Rinnova i suoi ringraziamenti e prega di volerli esprimere anche a S. E. il Capo del Governo.

Desidera ora parlare di due questioni: l") Invito Russia alla Commissione paneuropea. Sembra che i rapporti da Mosca non erano forse perfettamente esatti nel senso che a Mosca non si chiedeva una interruzione dei lavori per permettere loro di partecipare.

Grandi -Tanto meglio. Tutte le collaborazioni al principio possono essere difficili, ma certamente andranno meglio in seguito. Curtius -L'altra questione è quella della presidenza Benes alla Conferenza generale del Disarmo che potrebbe forse venire in discus:sione oggi

stesso.

Su questa questione vi dirò subito che l'opinione pubblica tedesca è contraria e non potrebbe accettare la presidenza Benes. Bisogna quindi cercare di far aggiornare la questione della presidenza..Anche l'America, con mia grande sorpresa, a quanto mi ha detto l'Ambasciatore degli Stati Uniti a Berlino, era stata affidata perché aderisse aHa presidenza di Benes e le era stata offerta una vice presidenza. N o n è il caso di scegliere oggi il Presidente che può essere

«parlato con Dampierre in questo senso».

-a giudizio dell'Ambasciatore americano -eletto dalla Conferenza stessa quando si riunirà. A questo punto di vista la Germania è disposta ad aderire. Quindi per il momento bisognerebbe limitarsi tutto al più a costituire un Comitato tecnico che dovrebbe essere scelto fra le grandi Potenze anziché prestarsi al giuoco di influenze e di ostilità fra i vari paesi che può nas:cere da questa concorrenza intorno alla presidenza. Pare che anche Henderson sia di questo avviso. Comunque dovremmo ora evitare la scelta del Presidente e far parte agli americani di queste considerazioni, visto che gli Stati Uniti possono avere una parte decisiva in questa faccenda.

Grandi -Sono perfettamente d'accordo su questa questione. Il Consiglio non ha il diritto di scegliere il Presidente della Conferenza. Se ancora si trattasse di una personalità di indiscussa imparzialità e autorità, si potrebbe comprendere se non condividere questa tendenza, ma bisogna invece pensare che questa Conferenza sarà la più importante del dopo guerra. Una persona che durante la guerra ha avuto, come lo Stato che rappresenta, un atteggiamento determinato, è la meno indicata per un simile compito.

Vi dirò anzi mi sembrava di capire che la Germania per ragioni di politica generale che possono essere comprensibili fosse disposta alla presidenza Benes. In tal caso io ero anche pronto a restare solo ad oppormi.

Curtius -Henderson aveva proposto la formazione di un piccolo comitato preparatorio con la presidenza di Benes, ma nell'intesa che naturalmente questo scartasse il diritto di Benes alla presidenza della grande Conferenza dove Benes potrebbe essere piuttosto relatore. Invece il presidente potrebbe essere una personalità di grande autorità e indiscussa imparzialità.

Tuttavia si potrebbe intanto, per dare una piccola soddisfazione alla Francia (e di questo si è già :parlato con la Francia stessa) accettare questa soluzione provvisoria di porre Benes alla testa di un piccolo comitato preparatorio. Beninteso in questa questione di ,cui ho parlato con Briand, io non mi sono impegnato o compromesso. Ho as,coltato questa proposta, dicendogli che mi sarei riservata una decisione dopo aver riflettuto.

Grandi -Per parte mia, io non posso assolutamente accettare questa soluzione. Ritengo anzi che questo sia il solo modo di poter ancora preparare la presidenza di Benes, cercando di farla derivare automaticamente da questa designazione provvisoria, la quale sarebbe poi sfruttata, come precedente ai fini di una scelta definitiva. C'è invece il Segretariato della Società delle Nazioni con la sua sezione tecnica che è naturalmente indicato per questo lavoro di preparazione. Ma tornando alla sostanza della scelta di Benes, anche in questo lavoro preparatorio potreste voi mai accettare che Benes si assuma una parte di mediazione tra Germania e Francia? In Italia l'opinione pubbHca mai accetterebbe un simi,Ie incarico di intermediario tra l'Ita1ia e la Francia. Tutto questo io lo dirò del resto, a Henderson, proponendog1i esplicitamente che si debba evitare di costituire un comitato preparatorio e rimettersi invece al Segretariato della Società delle Nazioni per questo compito. Comunque la cosa vada, io non voterò a favore di una simile proposta e rimango assolutamente con

trario.

Curtius -Non nego che l'opinione pubblica in Germania è contraria a Benes, ma si pensa in taluni circoli (badate che è forse una interpretazione tendenziosa che io stesso ammetto) che siccome la Conferenza finirà per essere un insuccesso, è meglio che es·sa sia presieduta da un cliente della Francia anziché da un rapprecentante di Stato neutrale, con l'autorità che può avere.

Grandi -Comprendo che ci sia la possibilità di restare in minoranza. Anche a Roma sono arrivate notizie sulla probabilità della candidatura Benes. Vi ripeto, io ho contato sulla possibilità di rimanere solo. Non bisogna preoccuparsi. Incominciare a dare la vittoria all'avversario per giustificare la propria disfatta successiva non mi pare un buon metodo.

Curtius -Comprendo e non nego la giustezza del vostro punto di vista. Vi dirò che i miei colleghi del Governo che si mostrano di questa tendenza pretendono di essere straordinariamente lungimiranti, donde la sottigliezza delle loro argomentazioni.

Ad ogni modo, stabiliamo che siamo in mas:sima d'accordo su questa questione. Quello che praticamente bisogna evitare è che si addivenga, fin da domani, a decidere questa questione; bisogna invece ottenere che ci si limiti tutto al più a discutere per ora la data e la località della Conferenza, ma la questione della presidenza non dobbiamo farla venire in discussione prima della fine della settimana.

Grandi -Per conto mio la cosa è indifferente. Ma sono disposto ad accontentarvi su questo. Voi ave•te qualche desiderio circa la data?

Curtius -Ne ho parlato con Briand, esprimendogli il desiderio che la data sia :flissata al .più presto. Osservo che fissandola a1l 15 febbmio, passare alla Conferenza tutto l'inverno con un elemento in più di incertezza, ·che saranno le elezioni francesi, mi pare presentare inconvenienti. Per conto mio questa conferenza è la più importante che sia stata finora. Essa non deve essere affidata a generali ed esperti, ma devono intervenire i Ministri degli Esteri e forse anche i Capi di Governo. Ora noi non possiamo stare qui al Consiglio che avrà luogo a gennaio, e 'òi protrarrà fino alla fine del mese e poi tornare dopo 15 giorni.

Si impone pure un poco di considerazione per i ministri degli esteri, che si è presa l'abitudine di far correre su e giù per l'Europa senza nessun dguardo.

Grandi -A mio avviso, si deve fissare la data. Se voi avete preferenza per una data, posso aderire. Ma non dobbiamo usdre di qui senza aver fi:ssato una data qualunque.

Curtius -Quanto alla località, anche a titolo personale e pratico Ginevra mi pare più indicata. Sono da 1~.cartare Biam'Ìtz e Nizza. Ma an.che Vienna, per cui potevo avere simpatia, non mi pare adatta, perché ormai è stata troppo patrocinata da Mosca.

Grandi -Per me non importa. Vienna l'avrei appoggiata volentieri, purtroppo Mosca l'ha compromessa, perché noi non possiamo continuamente mostrare di voler far •piacere a Mosca. Abbiamo già fatto parecchio in questo senso.

Ed a proposito di Mosca, e della questione dell'invito dei Sov,let, la cosa ha preso tale portata che, riflessione fatta, io ritengo che non possiamo assolutamente uscirne con un compromesso. Concludere con una soluzione equivoca sarebbe il peggiore dei rimedi. lo non ho .paura di restare in minoranza ma tengo inv1~ce a 'che noi restiamo sul terreno della logica e conseguenza (1).

Curtius -Bdand vorrebbe dire in sostanza: • Voi siete i benvenuti • e poi dare l'incarico al Segretario di domandare agli stessi interessati quali essi pensano che possano essere i modi di collaborare e gli argomenti sui quali bisogna venire a collaborare. A me ha fatto impressione l'argomento che noi siamo in una commissione della Società delle Nazioni. E Litvinoff mi ha detto che egli sarebbe imbarazzato di fronte al suo governo di venire a partecipare ai lavori di una ,commissione della Società delle Nazioni, che in Russia gli darebbero del traditore, ecc.

La proposta Titulesco è diversa; in sostanza si tratterebbe di dire loro: " Venite solo a parlare di questioni economiche •.

Grandi -Ho molti dubbi su questa partecipazione proposta da Briand. Non vorrei che cadessimo in una trappola. Se Russia e Turchia diranno • no, non possiamo accettare •, e noi abbiamo firmato ,l'invito, quale sarà la nostra situazione? Per esempio, ieri, Avenol mi ha detto: " Se decidessimo di invitarli a mezzo della Società delle Nazioni? ". Io ho detto di sì, perché siamo noi a mettere in movimento la Società delle Naz,ioni. Pensate a Briand, quando ha detto ,che ci possiamo trovare a discutere l'art. 16 come a Londra. Eppure a Londra c'e:mno gli Stati Uniti e ciò non gli ha impedito di trattare l'art. 16. Bisogna stare attenti a non trasformare la S.d.N. in un meccanismo della Francia.

Curtius -Manifesta nuovamente le sue preoccupazioni su questa questione della Paneuropa.

Grandi -Certamente la Paneuropa è una cosa molto pericolosa e bisogna essere molto cauti. Potremo anche demandare l'incarico dell'invito al Consiglio. Credete voi che Henderson possa votare contro la nostra proposta? Credete a me. Teniamo duro: perché vogliamo compromettere la nostra posizione, che è forte? La questione dell'art. 16 tornerà. La battaglia non è ancora ,perduta. Si tratta di resi.stue.

Curtius -Vi ho detto che non ho preso impegni con Briand. Sta bene, rifletterò. Andiamo pure ai limiti della resistenza. Però non possiamo mostrare di correre dietro ai russi.

Grandi -Questo io l'ho detto. Non si tratta di correre dietro ai russi. Se qualcuno è in contraddizione, questa è la Francia. Guardate (2). Facciamo così. Oggi, nel piccolo comitato io prendo la parola e insisto sulla nostra mozione. Ne sosterrò la posizione logica. Insisterò per il concetto dell'eguaglianza

e dirò che io non posso decampare. Alla peggio dirò: " Andiamo ai voti della commissione •. Voi mi appoggiate. Vedremo Henderson che cosa fa. Se restiamo in minoranza, Germania, Italia e Gran Bretagna, vedrete che essi non oseranno andare ai voti. Sono poi 'curioso di vedere come si distribukanno i voti della commissione. Ieri Procopé mi ha detto che la Finlandia non può votare contro. Gli Stati Baltici non possono andare cont:ro. La Greda idem.

Curtius -Certamente, i Baltici non voteranno contro.

Grandi -Allora, restiamo così intesi.

(l) Annotazione di Ghigi: «S. E. il Mini3tro è C:'accordo "· Annotazione di Guariglia:

(2) Cfr. serie VII, vol. IX, n. 482.

(l) -Qui la minuta così proseguiva: « Se noi diamo la nostra adesione ad un ordine del giorno di conciliazione, e la Russia e la Turchia non accettano, che figura facciamo di fronte al mondo? Il mio avviso è che noi due non possiamo accettare un ordine del giorno di conciliazione » (ACS, Carte Grandi). Il papa volle far sapere a Grandi la sfavorevole impressione che gli aveva procurato l'iniziativa dello stesso Grandi di invitare l'U.R.S.S. e la Turchia (appunto di Sandicchi del 30 gennaio, in Archivio Grandi). (2) -Qui la minuta così proseguiva: « Io non mi preoccupo di sembrare, come voi dite, correre dietro ai russi, eppure... io sono fascista » (ACS, Carte Grandi).
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IL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

L. Roma, 19 gennaio 1931.

Il problema di Paneuropa l'hai egregiamente impostato. È necessario tener duro, anche se per avventura, il tutto briandesco dovet51se saltare. È probabile che tenendo duro, molti altr'i elementi incerti, si faranno coraggio. Date le chia'Clchiere del settembre scorso (1), mi farai il .piacere stavolta di restare a Ginevra non ,solo fino alla chiusura di tutti i lavori, ma due giorni dopo, che tu potrai impiegare -volendo -in escursioni.

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IL MINISTRO A BUCAREST, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

L. R. P. 125. Bucarest, 19 gennaio 1931.

Ho ricevuto il dispaccio Riservato Personale n. 92 (2) e ringrazio V. E. delle comunicazioni che si è compiaciuta farmi.

L'interesse italiano a veder migliorati i ,rapporti russo-romeni, all'istesso modo di quelli ungaro-romeni, mi fu accennato da V. E. fin dall'ottobre 1928, in un ,colloquio che Ella volle allora accorda,rmi; e da quell'epoca non ho mancato d'ispirare la mia azione a detto fine.

V. E. ricorderà infatti che nel febbraio 1929, allorché qui discutevasi il Patto Litvinoff, io mi adoperai in guisa che il Governo di Bucarest si rivolse

" Ora è bene che questa corrente sia incoraggiata, giacché non è possibile circoscrivere fin d'ora gli sviluppi politid, che potrebbero d<?rivare, col tempo, da un riavvicinamento romeno-russo: in ogni caso, per quanto ci riguarda, le nostre favorevoli disposizioni a facilitare detto riavvicinamento, mentre ccntribuiscon" a migìiorare i nostri rapporti politici con que&to Paese, sottraggono ad altri Stati, come ad esempio la Turchia, il merito di iniziative di mediazione e l'apporto politico dell'eventuale successo dell'iniziativa stessa. Ciò stante, ho fatto e faccio tesoro delle istruzioni di V. E., di cui anche alla Sua recente lettera personale riservata» (è il dispaccio n. 92).

a V. E. onde conoscere il Suo parere sulla questione e su taluni particolari dei negoziati.

Mi permetto inoltre far presente all'E. V. come io abbia ottenuto, in seguito al colloquio di Milano col Signor Litvinoff, che il Governo romeno Le facesse pervenire, in via diretta ed ufficiale, non solo l'espressione della sua riconoscenza per le comunicazioni fatte a codesto lVIinil.:.tro di Romania, ma anche la preghiera che V. E. non tralasciasse dall'occuparsi della questione dei rapporti russo-romeni (mio telegramma riservato n. 146 delli 2 dicembre u.s.).

Ricordo infine che, apparsa or son due mesi la possibilità di una mediazione turca, fra Mosca e Bucarest, una personalità romena venne a farmi il discorso che riferii a V. E. col telegramma n. 139, del 5 novembre scorso (l): cioè un'esortazione per un sempre maggiore interessamento di V. E. al miglioramento delle relazioni russo-romene.

Ora, poiché V. E. mi •cm:ferma le Sue istruzioni, non mancherò di considerare con maggiore interesse la questione ed adeguare ad essa la mia linea di condotta. Devo però notare che l'intervenuta rinnovazione del Trattato di Alleanza romeno-polacco (mio telegramma per corriere n. 86 delli 14 gennaio c.m.) ha diminuito le possibilità d'una modificazione rapida e sostanziale degli attuali rapporti russo-romeni.

Per quanto concerne l'eventuale rinnovazione del Patto di amicizia e collaborazione fra l'Italia e la Romania, mi atterrò strettamente alle istruzioni di

V. E., astenendomi cioè da qualsiasi iniziativa di discussrione .con questo Governo, attendendo invece che da esso ci vengano chiarite le sue intenzioni e fatte le eventuali proposte.

Tuttavia desidero fin d'ora segnalare a V. E. che, nell'esaminare a suo tempo la ..:onvenienza o meno di rinnovare il predetto patto, mi permetterò sottoporre a V. E. alcune considerazioni su di un punto assai delicato, e sul quale questo Governo non ha mai dato assicurazioni di sorta. Non lo specifico in questa mia lettera, che è aifidata ad un ordinario corriere di Gabinetto, nella certezza che, prima del luglio prossimo, epoca alla quale il Patto in parola potrebbe essere denunciato o rinnovato, mi sarà data l'occasione di rappresentare a V. E. tutt'intero il mio pensiero.

(l) -Cfr. serie VII, vol. IX, n. 252, p. 350 nota l e p. 351. (2) -Non rinvenuto. Cfr. però quanto comunicava Preziosi con rapporto rr. 169/58 del 25 gennaio, a proposito di certe tendenze, prrèsenti in Romania, favorevoli al riavvicinamento alla Russia:
22

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, PATERNO', AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. s. 122/22/16. Addis Abeba, 20 gennaio 1931, ore 17,20

(per. ore 23,35).

Mio telegramma N. 364 (2).

Ho avuto .lungo rcolloquio Imperatorre il quale ha aderito :pa11lare senza interpreti e senza testimoni.

Ho anzitutto ringraziato Sua Maestà avermi fatto conoscere in modo preciso • le ragioni del suo malumore » verso l'Italia e ho spiegato con molta franchezza ,che in tal modo si potranno stabilire le relazioni fra i due paesi su solide e reali basi di amicizia. Ho pregato pure Sua Maestà eliminare nella trattazione di affari con noi tutti gli intermediari allo scopo di rompere rete di intrighi che ha tanto nociuto ai nostri .rapporti e ha svalorizzato Trattato di amicizia che aveva pure reso un ·Così gran servizio e che S.E. Mussolini aveva voluto fermamente come prova della ,sua inequivocabile intenzione stabiiire con l'Abissinia una pacifica e fiduciosa collaborazione economica e culturale.

Collaborazione il cui sviluppo è ne·cessario a rafforzare la posizione dello stesso Imperatore e che sarà impossibile fintantoché 'interessati consiglieri e volgari mestatori insidieranno Sua Maestà con le loro disoneste opere che hanno come scopo e purtroppo come risultato turbare i rapporti itala-etiopici; ho citato come ,primo esempio episodio (mio telegramma N. 364) della asserita estensione Eritrea e Somalia.

Sua Maestà mi ha risposto :lirancamente che effettivamente parola • estensione • era stata spiegata come allargamento delle nostre frontiere a scapito dell'Abissinia; Sua Maestà prendendo argomento da tale insidioso e voluto equivoco mi ha promesso solennemente che d'ora 'innanzi anziché dare ascolto agli informatori e consiglieri ·chiederà preventivamente a me spiegazioni direttamente.

Il presente telegramma continua con il nume,ro di protocollo successivo (1).

(l) -Cfr. serie VII, vol. IX, n. 350. (2) -Cfr. serie VII, vol. IX, n. 473.
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IL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA LEVANTE ED AFRICA, GUARIGLIA, AL MINISTRO AL CAIRO, CANTALUPO

L. P. 202132/18. Roma, 20 gennaio 1931.

Il tuo :rapporto 31 dicembre u.s. n. 4240/1237 (2) è ,stato oggetto di ac•curata considerazione da parte di questo Ministero; in esso tu esamini il problema del come risolvere la questione della situazione creatasi alla frontiera cirenaica

« Le constatazioni che esporrò mi sembrano costituire la prefazione psicologica entro cui bisognerebbe collocare (e possibilmente risolvere) il problema, in se stesso secondario e transitorio, della frontiera; cosicché esso non sopraffaccia nostri maggiori interessi. Infatti la politica coloniale è in funzione della politica estera, e non questa in funzione di quella, se non quando si tratti di acquistar territori. Vorrei riaffermare da questo posto, dove la fiducia dell'E. V. mi ha messo, che l'Italia dovrebbe trarre forza e prestigio dalla propria politica coloniale, presso le popolazioni affini delle zone confinanti. Così facendo si seguirebbero le classiche tradizioni che hanno reso temibili in questo medesimo mare altre grandi nazioni la cui politica si è sempre ispirata alla assiomatica verità che H mondo istamico è uno.

Ecco quanto ho desunto dai colloqui per la frontiera:

l) La politica di necessaria energia, cui la protervia senussita ci obbliga in Cirenaica. e le misure di ri<!ore cui ha dovuto ricorrere il valoroso Generale Graziani, sono note al mondo islamico d( Egitto, di Siria e dell'Hegiaz; sono note anche nei particolari, e gli opuscoli stampati in Siria lo dimostrano. Spiegare e giustificare qui tale nostra politica è mio chiaro dovere, e a ciò mi adopero con energia, poiché non mi sfugge un vago moto di malumore nei nostri riguardi, anche presso quelle popolazioni che non hanno al fatto un interesse diretto, ma solo quello dell'affinità di sangue e della comunanza di religione. Che queste provvisorie conseguenze fossero già previste e scontate, fa onore alla nostra preveggenza politica; che non si possano sacrificare interessi diretti alla così detta opinione pubblica araba, è giusto;

egiziana, non solo da un punto di vista coloniale, ma inquadrandolo nella più ampia cornice della n()5tra politica estera, in relazione cioè agli effetti che la nostra azione in Cirenaica ha sulla politica dell'Italia quale Potenza islamica e quale Potenza destinata a sempre più sviluppare con i popoli islamici rapporti di natura politica, commerciale, culturale etc. Condivido personalmente le tue considerazioni in proposito; come pure per parte mia concordo nell'azione che hai svolto presso cotesta Autorità, gettando delle basi d'intesa che mi sembra possano costituire il fondamento di accordi, adatti ad ovviare almeno in parte gli inconvenienti verificatisi alla frontiera, agevolando così l'opera delle nostre Autorità in Cirenaica.

ma con uguale accortezza conviene avvisare tempestivamente ai mezzi opportuni per evitare

che a noi vengano danni da quella pur salutare campagna militare in Cirenaica. L'auguriodi tutti gli egiziani che ci sono amici -ripetutomi spesso da Sidki Pascià -è che l'azione del Governo della Libia possa, con una non lontana pacificazione, restituire all'Italia, su tutte le sponde del Mediterraneo orientale, la sua fisionomia di amica dell'Islam, alla quale occorre attribuire sempre maggiore importanza per la nostra azione presso i musulmani vicini; quasi tutti più o meno avviati a forme iniziali di indipendenza nazionale, e quindi in misura, prima o dopo, di fare alla nostra penetrazione economica e culturale quell'accoglienza che

i loro rozzi sentimenti giudicheranno maggiormente idonea a!!a condotta che avremo tenuto nei riguardi de!!e popo~azioni musulmane a noi direttamente soggette. Inoltre, se in questo momento il Governo d'Egitto non fosse nelle mani di un dittatore, ancora fino ad oggi dotato dei mezzi per reprimere qualsiasi campagna di stampa, il malcontento per le misure che siamo stati indotti ad applicare in Cirenaica, sarebbe forse scoppiato: e forse in esso il Wafd, esasperato per ben altre ragioni, pur di mettere in imbarazzo il Re accusato di amicizia per l'Italia, avrebbe trovato illecito sfogo alla propria passione xenofoba. Se Ismail Sidki, da me continuamente premuto, ha fatto spegnere la campagna di stampa nei nostri riguardi, questo non farebbe probabilmente un eventuale governo wafdista, che nulla esclude possa da una settimana all'altra riassumere il potere. Perciò vorrei mettere in evidenza l'opportunità di arrivare ad una soluzione del problema dzlle frontiere, prima che eventuali mutamenti politici in Egitto riportino in primo piano la campagna in favore dei «fratelli della Cirenaica», campagna che getterebbe su!!'ltalia un'onda certo immeritata, ma purtroppo dannosa, di anti

patia e di ranco?"e, favorevole agli interessi di terze Potenze, che alimentano la voce essere la nostra politica in Cirenaica non transitoria ed eccezionale, ma la normale politica coloniale che noi svilupperemmo in qualunque nuovo eventuale possedimento.

2) Lo sfruttamento che non tanto gli egiziani quanto le numerose e tenaci ramificazioni britanniche nell'amministrazione egiziana fanno alle finalità inglesi, della situazione determinatasi alla frontiera, non può essere ignorato. Gli ufficiali inglesi che hanno cariche nell'amministrazione egiziana hanno costituito intorno al fuoruscitismo cirenaico un sistema di cordiale protezione e di amichevole aggiramento, per cui ogni antipatia che per noi in quel mondo nasce, si trasforma in una simpatia per la Residenza, la quale sembra agli indigeni offrire i propri funzionari per organizzare l'assistenza dei fuorusciti. Insomma, gli inglesi, assai più che gli egiziani, con organico mztodo speculativo, traggono beneficio da una dolorosa

necessità nella quale noi ci siamo trovati: quosi noi fossimo i nemici dell'Islam e l'Inghilterra l'amica che onunai concede ogni appoggio ai popoli n1usulmani.

A tal punto sembrano svilupparsi le varie correnti a noi contrarie, che un giornale

n noi amico, l'{< Ahram », ha creduto necessario calmare gli animi, scrivendo che esso <{non

crede a quello che gli inglesi ripetono », essere cioè il governo britannico ben più tollerabile

di un -evenéuale governo italiano"·

Il mio sforzo è diretto a controbattere questa propaganda, che si svolge in modo incon

trollabilc e crea stati d'animo imponderabili. lVIa, a parte ciò, ho dovuto persuadermi che gli

inglesi -questo è essenziale, e i responsabili mi hanno dichiarato in forma categorica che questo è il loro dovere, sia come sudditi della Gran Bretagna amica dcll'Islam, sia come fun

zionari del governo m~1sulmano di Re Fuad -non faranno mai nulla, per far piacere a noi,

che p:ossa procurar loro la benché minima antipatia « neppurz di un solo elemento deHe tribù òi frontera )) . D2tti fun~ionari al servizio egiziano, scpratutto in previsione del trattato di indipendenza da essi temutissimo, tendono a far nascere qui la. convinzione che, senza

il loro ausilio morale e teorico, l'Egitto sarebb2 es!)osto a prepotenze di terze Potenze od

anche a colpi di mano dei confinanti (e quest'ultin1a azicne spiega J'emozione sollevata nel

paese dalle trascurabili incursioni di beduini e dagli asseriti sconfinamenti nostri alla frontiera occidentale). Inoltre, al disopra di questo egoistico interesse dei funzionari, c'è la politica della Residenza, fondata sul principio che l'Inghilterra dovrà essere padrona in Egitto sopratutto dopo il trattato di indipendenza. Perciò gli inglesi, ridotti a 10.000 gli uomini di occupa

zione, mirano a fc:rsl rapide simpatie presso gli arabi, in modo da poterli domina;:-e con se1npre minor truppa. Pa'!:'ticolarissima è quindi la cnra che essi m2ttono nel propiziarsi il sentimento dei bellicosi beduini delle zone interne e della fronti2re, la cui amicizia è loro necessaria.

3) Sulla medesima linea, di una politica che vuoi riuscire gradita a tutto l'Islam, (ma quasi in tono minore rispetto ai funzionari inglesi) si tiene Sidki Pascià, il quale ripeh;tamente mi ha detto che il Governo italiano ncn può do"1andargli misure " che lo facciano apparire nemico dei musulmani », specie in un momento in cui il Re si sostiene affermando anche la propria qualità di monarca islzmico, e padre quindi delle popolazioni, alle quali ha iì diritto di chiedere obbedienza al Corano che vieta di far la lotta ai Re; in un momento in cui il Wafd conduce la sua battaglia contro il trono affermando che il Sovrano è stra.niero (italiano) e che le v>polazioni musulmane d'Egitto sono abbandonate ad un governo di miseredenti estraneo alla v!ta morale e religiosa del popolo egiziano.

Il tuo rapporto è ora in esame al Ministero delle Colonie; e credo opportuno avvertirti per tua tranquillità che non ti potrà essere inviato sollecitamente un riscontro ufficiale, anche perché si prevede prossimo in Cirenaica uno sviluppo della situazione, che è consigliabile attendere prima di giungere costà a delle conclusioni in materia.

(l) -Cfr. n. 17. (2) -Di questo lungo rapporto si pubblicano i passi seguenti:
24

L'AMBASCIATORE AD ANGORA, ALOISI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GHANDI

R. 153/76. Angora, 20 gennaio 1931.

Le alte istruzioni che l'E. V. si è comp,iaduta di impartirmi, con la Sua lettera n. 301 del 29 dicembre u.s. (1), mi forniscono la linea di condotta per il prossimo svolgimento delle relazioni itala-turche nonché per la mia azione di collegamento con la politica russa.

In questa atmosfera di difficoltà, di manovre di terzi, di necessità di evitare che si insceni contro l'Italia una di quelle tipiche campagne anti-occidentali dei paesi d'oriente, ho condotto le mie conversazioni, trovando un terreno precedentemente preparato contro di noi. Bisognava dunque non perdere il senso della proporzione e della misura, cosicché da un fatto transitorio non ne venissero danni, non sempre riparabili subito, a quella fisionomia continuativa di una Italia amica dell'Oriente, che la politica di V. E. va faticosamente consolidando nel Bacino orientale, ed alla quale ritengo saremo debitori in avvenire di eventuali affermazioni. Secondo mio subordinato parere ritengo infatti che il Ministro in Cairo non debba dimenticare che, il giorno in cui le capitolazioni fossero per ipotesi diminuite, noi dovremo affidare lo sviluppo delle nostre istituzioni culturali e commerciali in Egitto anche e sopratutto alla indispensabile simpatia degli egiziani: poiché, dal momento stesso in cui il trattato di indipendenza sarà firmato, l'Impero inglese svilupperà la già iniziata azione per ridurre al minimo, nei tribunali e nelle scuole, nel commercio e nelle amministrazioni, il prestigio morale, l'influenza diretta e il peso specifico delle altre Potenze, in primissimo luogo dell'Italia, e subito dopo della Francia: le due Potenze mediterranee contro cui la Residenza effettivamente lavora. Mia costante preoccupazione è di accrescere intorno all'Italia cd alh nostr2 collettività le simpatie egi7iane, così che, ad un'eventuale riduzione delle garanzie giuridiche di cui attualmente godiamo, possa sostituirsi ta garanzia morale della fiducia dci musulmani che formano la quasi totalità dell'Egitto...

Ho prese'1te il punto di vista del Governo coloniale, contrario a qualsiasi movimento via terra fra c:renB.ica ed Egitto ed alle transumanze di gruppi a noi soggetti oltre confine. lVIa conv1ene considerare che situazioni consimili sono sorte ai confini dell'Egitto con la Palestina. e in quasi tutte le frontiere di paesi orientali, e sono state ri~olte tenendo conto dei bisogni essenziali delle tribù viventi in condizioni di nomadismo. Inoltre Sidki Pascià mi ha dichiarato che la rinunzia al regime attuale di frontiera aperta doveva da lui subordinarsi all~ accettazione dei princip~. di nomadismo per i gruppi di frontiera, già accolti come ho detto sopra negl'i accordi a suo tempo stipulati. Ritengo altresì che in presenza delle e1nigrazioni di migliaia di libici avvenute in qnesti ultimi anni in Egitto, Tunisia e Sudan -ne calcolo 9000 in Egitto! -ed in modo tale che noi non poss;amo più esercitare praticamente su quei profughi alcuna azione e controllo, è certamente da preferirsi il passaggio temporaneo di qualche gruppo, con il permesso delle nostre autorità e la possibilità di far restare :<li emigranti nell'orbita della nostra sudditanza. Tale concessione potrebbe applicarsi con n1.aggiore estensione man rnano che la colonia rientra neHa normaLità. Non si deve dimenticar-e che, con l'occupazione prossima di Kufra, molte cose saranno facilitate: ed anche questo ho tenuto presente...

L'a~tuale sistema di inibire qualsiasi relazione economica e di non consentire alcun movimento carovaniero fra Cirenaica ed Egitto, dà sensazione di una situazione di ostilità fra i due paesi vicini e di durezza da parie nostra, che contrasta singolarmente con il regime o.llc frontiere con la Palestina, con il Sudan, l'Uadai, l'Etiopia, attraverso le quali i traffici c:1rovanieri si svolgono senza limitazioni con il controllo delle autorità confinanti.

Ritengo personalmente che conviene anche a noi, sull'esempio dell'Inghilterra e della Francia, coltivare relazioni economiche ed amichevoli con le tribù africane finitime, in modo da allargare la nostra influenza e crearci simpatie: altrimenti il nostro possesso nordafricano, invece di rappresentare, come deve essere, un punto di partenza e un centro di irradiazione della nostra espansione economica e politica nel Bacino, potrebbe diventare causa di debolezza perché chiuso in se stesso, isolato economicamente e politicamente, circondato da potenze rivali pog;;:iantisi a tribù, loro e nostre, a noi soli avverse. Infatti la politica delle due Potenze confinanti nell'ultimo decennio, è diretta non solo a consolidare la propria autorità ed a far aderire le tribù direttamente soggette, ma altresì a guadagnarsi abilmente la simpatia e l'attaccamento di quelle libiche confinanti».

Nel seguire tali direttive è ovvio che io ripeta a V. E. che mi atterrò strettamente al Suo pensiero e a curare di informarLa successivamente dell'applicazione di esse.

Per ciò fare, credo utile fin da ora di illustrare meglio alcuni argomenti che sono toccati nella lettera che V. E. mi ha diretto.

Non nascondo a V. E. che la mia previsione di vedere qui la Grecia esercitare un'azione non conforme ai nostri interessi mi preoccupa grandemente: e ciò mi preoccupa ancora di più da che ho preso conoscenza del telegramma del Ministro Bastianini diretto a V. E., H 16 dicembre (1), che ne è una conferma. In esso sono trattate due questioni essenziali per la no.;;tra azione: l) la revisione dei trattati; 2) la politica del Mediterraneo Orientale in rapporto alle direttive di Milano, sulle quali il signor Venizelos aveva, venendo qui, una tendenza da far prevalere non precisamente conforme alla nostra politica. Ciò che dimostra, che già firmando il trattato di Angora, il Presidente del Consiglio Ellenico ha iniziato quell'azione indipendente contro la quale era stato mio dovere di mettere in guardia V. E.

Le due questioni di cui sopra, essendo specialmente importanti, ho creduto di recarmi da questo Ministro degli Affari Esteri per averne direttamente una precisa chiarificazione ed ecco il risultato delle mie investigazioni:

l) Revisione dei trattati. È esatto che il signor Venizelos, in una seduta tenutasi fra lui ed Ismet Pascià con l'assistenza dei due Ministri degli Esteri turco e greco, durante la quale hanno ·esaminato ·i differenti problemi europei, ha cominciato a sostenere la tesi dell'opportunità per la Grecia e la Turchia di opporsi ad eventuali tentativi per la revisione dei trattati sostenendo, cioè, la tesi francese integrale: il Presidente del Consiglio e questo Mini!stro degli Esteri avrebbero invece sostenuto •con successo la tesi turca. Questa tesi è stata già da me portata alla •conoscenza di V. E. (vedi mio telegramma n. 309 dell'8 ottobre u.s.), ma credo utile di iiiustrarla meglio, qui riportando le esatte parole dettatemi ieri da Tefik Ruscdi al riguardo: • N ous n'avons aucune responsabilité dans l'o11dre établi (dei trattati), nous n'avons donc aucun devoir de faire son gendarme (de l'ordre établi) et nous n'avons non plus ni aucun devoir ni aucun intéret de prendre une initiative contre cet ordre établi •. Queste parole secondo Tefik dettano alla Turchia la linea di condotta ufficiale da seguire di fronte alla revi!sione dei trattati, ma per le potenze amiche ha poi continuato queste altre: • C'est à dire nous ga11derons officiellement la neutralité mais en réalité nous serons bienveillants envers toute correction pacifique qu'on apportera à cet ordre établi pour le bien du monde •.

La dichiarazione di Venizelos fatta al Ministro Bastianini risponde dunque alla tesi turca già da me segnalata in ottobre ed a quanto è stato qui deciso dopo lunga dits,cussione.

Ma un'altra intesa è stata pure presa nello stesso tempo, tra dirigenti turchi e greci e cioè quella di mantenere pure la stessa neutralità di fronte ad un conflitto tra la Russia e le potenze satelliti della Francia (Polonia e Rumenia).

Ambedue queste intese, secondo .le affermazioni riconfermatemi da Tefik, sono state verbali e nulla è stato nirmato.

Il Ministro degli Affari Esteri ha tenuto lui stesso a farmi rilevare che Venizelos, venendo qui ad Angora per sostenere una linea di condotta favorevole alla politica francese, ne è ripartito invece neutrale e che ciò •Costituisce uno dei grandi benefici dell'accordo di Angora.

Siamo in un terreno molto movente e non discuto perciò queste affermazioni di Tefik; ma da tutto questo sembra potel'l51i dedurre la conferma della preoccupazione dell'influenza greca già da me segnalata.

2) Politica del Mediterraneo Orientale in rapporto alle direttive di Milano. Su questa parte delle dichiarazioni di Venizelos a Bastianini, Tefik Bey ha discusso lungamente. Egli, prima di ogni altra cosa, ha tenuto a riconfermarmi la posizione da lui presa di fronte al trattato tripartito. La frase da me riferita nel mio telegramma n. 399 (l) e ripresa da V. E. nella sua lettera 301 del 29 dicembre, deve essere interpretata, secondo lui, nel senso che egli è stato allora, come sempre, da quando ha avuto inizio la politica di Milano, pronto a firmare il patto tripartito che Roma ed Atene avessero voluto scegliere. Ciò ha ripetuto per dimostrarmi che non si può, come Michalacopulos vuole, attribuirgli nessuna reSJponsabilità per H mancato accordo.

Che del resto, se non fossero sufficienti le .prove date dalle difficoltà che egli ha dovuto sormontare da parte greca per poter inviare da solo il telegramma di !ringraziamento a S.E. il Capo del Governo dopo l'accordo di Angora (2), e le successive dichiarazioni e discorsi del Presidente del Consiglio Ellenico per rassicurare Francia e Inghilterra sulla portata internazionale degli ultimi accordi greco-turchi, !sembra che le dichiarazioni fatte dal signor Venizelos e contenute nella seconda parte del telegramma Bastianini chiudano definitivamente tale questione.

Circa poi la ·ragione addotta dal signor Venizelos per ritenere H noto patto tripartito sonpassato dalla firma deU'accordo di Angora e pa1ssibile di causare ripercussioni sfavorevoli contrarie anche allo spirito che animava i tre Paesi quando S. E. il Capo del Governo lo propoiSie, Tefik mi dà la seguente versione

che non mi pare si aHontani troppo dal vero : • La verità, egli mi ha detto, è che all'epoca in cui ebbe inizio la politica di Milano, Grecia ed Yugoslavia non avevano ancora firmato il loro trattato e che anzi questioni piuttosto importanti come quella di Salonicco, dividevano profondamente le due Potenze balcaniche; il progettato patto a tre (italo-tur-co-greco) è stato un mezzo potente di cui si è servito Venizelos per fronteggiare la sua vicina del Nord; è soltanto dietro la

minaccia della sua conclusione ·che la Francia ha fatto un'opportuna pressione sul Gabinetto di Belgrado :per spingerlo ad un a·ccordo con Atene. Fatto l'accordo, il progetto del tripartito aveva compiuto la sua mtssione. Ma non è stato certamente l'aecordo di Angora che lo ha lfeso contrario allo spirito ·che lo aveva ideato; anzi era appunto l'intesa greco-turca ·che lo perfezionava •.

Politica balcanica della Turchia.

Di ritorno da Roma Tefik mi aveva comunicato di avere intrattenuto V. E.

sui prossimi sviluppi della politica balcanica e che da quelle conversazioni di

Roma scaturiva •che uno dei primi obiettivi da raggiungere era quello dell'intesa

greco-bulgara aggiungendo, altresì, che S. E. il Capo del Governo lo aveva inco

raggiato all'uopo a prolungare il più possibile il suo soggiorno a Sofia. Il rias

sunto delle conversazioni (1), inviatomi da V. E. con la lettera N. 5292 dell'8 di

cembre, confermava in massima queste dichiarazioni salvo circa la possibilità

della sua realizzazione nei modi proposti da Tefik.

In ogni caso questo Ministro degli Esteri, nella sua fantasia, immaginava di lavo!'are, non dico col pieno consenso, ma su indicazioni del R. Governo ed in questo ordine di idee mi richiese l'ausilio delle informazioni dei RR. Ministri di Sofia ed Atene per facilitare il suo compito.

Ho voluto spiegare questo dettaglio per meglio prospettare la portata della politica balcanica della Turchia. Essa si presenta attualmente ·con la soluzione che chiamerei sud-orientale; la Turchia con l'appoggio dell'Italia, ma senza quello di Mosca, che 'si disinteressa della Balcania pur seguendo con simpatia tale poUt~ca, •Cerca. se le rlU!scirà, di costituire. ad esdusione della Rumania. il blocco turco-greco-bulgaro che dovrebbe impedire l'egemonia jugoslava della Ba1cania.

È evidente, come del resto non è sfuggito a V. E., eh~ con questa politica la Turchia persegue lo scopo di farsi arbitra delle relazioni interbalcaniche. Ed è appunto per questa ragione, unita all'altra dell'aumentato prestigio turco in Balcania, che mi sembrava utile pure che il R. Governo avesse in qualsiasi maniera una posizione giuridicamente più forte in Angora per poter fare opera di controllo.

Ma V. E. mi fa rilevare che in questo sptrare di aria interbalcanica è necessaria una certa circospezione, avviso che io condivido, specialmente di fronte all'azione del 'o·ignor Venizelos successiva agli accordi di Angora 1la quale, pur non avendo ancora le informazioni dettagliate per giudicarla, mi sembra poco chiara.

Pertanto io mi adopererò, come V. E. me ne dà le istruzioni, per il rafforzamento e lo rsviluppo dell'efficienza politica dei legami italo-turchi, con quell'elasticità di azione che permetta di non arrestarci sulle posizioni conquistate col patto d'amicizia italo-turco e con quello turco-greco (2).

(l) Cfr. serie VII, vol. lX, n. 480.

(l) Cfr. Serie VII, vol. IX, n. 459.

(1) -T. per corriere 2954/399 del 10 dicembre 1930, per. il 15. (2) -Cfr. serie VII, vol. IX, p. 464, nota 2 e n. 338.
25

IL MINISTRO A BUDAPEST, ARLOTTA, AL CAPO GABINETTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GHIGI

T. 125/8. Budapest, 21 gennaio 1931, ore 21,35 (per. ore 23,15).

Stampa mette grande rilievo senza però commentarle dichiarazioni Grandi sul disarmo e dà particolare importanza incontro Grandi-Curtius che secondo

(ll Cfr. serie VII, vol. IX. n. 413.

Pesti Hirlap prelude collaborazione italo-tedesca questioni discusse Società

delle Nazioni e formazione blocco opposizione in seno al Consiglio che delegherà

poteri quasi illimitati Briand e suoi fautori rilevando inoltre che tale collabo

razione avrà 'Certamente favorevoli :riflessi anche riguardi Ungheria.

Telegrafato quanto precede Ginevra.

(2) Il documento fu inviato in visione al re.

26

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI (l)

Ginevra, 21 gennaio 1931.

Ho ricevuto ieri sera la Tua lettera (2) e Ti sono grato di avere approvato il modo con cui ho impostato, nei riguardi dell'Italia, .la questione paneuropea. Spero che Tu sia parimenti soddisfatto della <soluzione la quale, se non rappresenta il 100/100 della nostra domanda, costituisce una indubbia disfatta morale e diplomatica di Briand. Non riuscendo ad impedire, malgrado gli sforzi suoi e dei suoi amici, che un invito fosse rivolto agli Stati europei non membri della Società delle Nazioni, egli si è sentito costretto ad accettare una riduzione sensibile del primitivo programma paneuropeo. Non ottenendo di • limitare , l'invito egli si è rassegnato ad accettare la • limitazione , della Paneuropa, riducendola, per ora, ad una Conferenza economica. Ciò significa per noi avere ottenuto, in definitiva, due risultati in una volta. L'impressione del successo italiano era •Così evidente nella giornata di ieri che all'ultimo momento la mozione adottata dopo tre ore di tempestosa discussione dal Comitato dei sei d'schiava di non essere approvata dall'Assemblea per l'ostilità di molti Stati capitanati dal Belgio, dalla Polonia, dagli Stati s.candinavi che non volevano saperne, in nessun modo, di trasmettere un invito all'U.R.S.S. E soltanto di fronte alla mia minaccia di ritirare l'ade13ione italiana alla mozione e di mettere sossopra nuovamente ogni cosa, l'Assemblea ha votato ed approvato.

Da questa battaglia iniziale l'Italia es·ce bene, oso dire beniss.imo. La causa, rigorosamente logica, era tuttavia brutta da difendere (3). Nessuno voleva sentir parlare della Russia. Ho vinto per quattro quinti la battaglia soltanto perché sono riU'sdto ad allargare n problema in termini più vasti e generali, ciò che precisamente era quanto volevo. Dimostrare cioè sin dall'inizio in mezzo ad una assemblea di Stati europei prona e servile di fronte alla Francia ed a Briand, le contraddizioni, gli equivoci, le debolezze ed i pericoli di un progetto di cui la Francia intende servirsi come strumento della sua politica egemonica. Nessuno attendeva le mie resistenze, il mio coraggio, la tenacia testarda con cui mi sono battuto, malgrado che io fossi e sia rimasto, dal principio alla fine, sostanzialmente • solo , a combattere. Il povero Curtius faceva letteralmente pena a

vedersi. Costretto a seguirmi, perché ricattato dai suoi, lo faceva con tale visibile imbarazzo da costituire per me più una fatica ~che un vantaggio. Henderson, sorpreso e disorientato dal mio intervento inaspettato che ha mandato per aria, tutto di un colpo, i suoi progetti di collaborazione franco-britannica, cui pare

s.i foss:e impegnato nel suo incontro di Parigi con Briand qualche giorno fa, è stato costretto a prendere partito sostanzialmente a favore deUa mia proposta, cui non poteva opporsi salvo incorrere nelle ire del « Labour Party •. Ma lo ha fatto a denti stretti. Il suo imbarazzo era evidente come quello di Curtius. Non Ti pa:rlo degli Stati cosiddetti nostri amici. Il Conte Karoly, Ministro degli Esteri ungherese, mi ha mandato a dire che avrebbe votato a favore di Briand. Co'sÌ avrebbe fatto la Bulgaria. Te li raccomando questi nostri stati • amici •! Sono leoni a Budapest e a Roma, ma qui sono conigli a disposizione del padrone di 'Casa, che è la Francia. Padrone di casa e banchiere dell'Europa.

Ma oltre al successo, per ~così dire, generico dell'Italia fascista in questa diiscussione iniziale, vi sono degli obiettivi, di carattere politico e diplomatico, ben più importanti, cui la mia azione mirava, e che sono stati, in questa prima fase, raggiunti.

l) La Francia, per la prima volta, si è sentita seriamente ostacolata a Ginevra, nella sua politica europea, dall'Italia. L'azione anti-france:se dell'Italia non aveva mai osato spingersi sinora entro il sacro recinto ginevrino, che Briand si era ormai abituato a considerare come una specie di riserva di caccia chiusa entro i ~confini nei quali l'Italia non aveva mai osato di entrare. L'idea che l'Italia fascista ha osato attaccare violentemente l'infallibilità del Pontefice Briand, nel massimo conclave societario, ed innalzare la bandiera dell'eresia, ha determinato l'inizio di una nuova :situazione dialettica e polemica, che fermenterà, se noi continuiamo su questa strada. Ginevra è il miglior ~campo aperto alla nostra necessaria azione antifrancese. Per dare agli altri del coraggio, bisogna per qualche tempo dimostrare di averne per proprio conto. L'abbiamo fatto. Il resto verrà. A poco a poco il coraggio, che è un'epidemia come la viltà, verrà anche negli altri. Intanto abbiamo, per la prima volta, costretto la Germania

ad osare.

2) I rapporti <italo-tedeschi escono rinforzati da quella collaborazione iniziale. La Germania non può ,rimanere indietro. Lo fa per ora, con imbarazzo e con faHca. Per la prima volta dac,ché la Germania si trova nella Società delle Nazioni il Ministro degli Esteri del Reich è venuto uffidalmente a fare una visita al Ministro degli Esteri italiano. La Società delle Nazioni può essere un tel'reno non solo utile per sviluppare la nostra azione anti-francese ma soprattutto per co1stituire una preparazione efficace all'intesa itala-tedesca. Tu hai visto i commenti della stampa tedEB:!a. • ... Le délegué italien marchait en flèche de la délégation allemande •.

3) Ho portato un altro elemento di dubbio nella tendenza britannica a trovare un terreno di intlesa colla Francia. Il maggior pericolo per la nostra azione dLplomatica è ~costituito da questa intesa franco-britannica, :che la Francia ha posto come obiettivo fondamentale della sua politJica estera. Di fronte ad un blocco anglo-francese, guidato dalla Francia, la posizione dell'Italia in Europa

non sarebbe eccessivamente brillante. Il terreno di Ginevra deve essere, per la Francia, la prova generale per questa intesa. La condotta italiana ha reso Henderson perplesso, e gli ha evidentemente fatto considerare anche i lati svantaggiosi della posizione ,che la Gran Bretagna andava assumendo. Bisogna riconoscere che col discorso di ieri di Henderson, sul disarmo, la Gran Bretagna ritorna sulle posizioni del settembre scorso che sono quelle della Conferenza di Londra, ~osizioni da cui Lord Cecil si era dipartito durante i lavori della Commissione preparatoria dello scorso novembre.

Concludendo, queste giornate ginevrine (a meno che qualcosa muti prima della fine), segnano notevoli punti di vantaggio per la nostra azione internazionale: aumento di prestigio per l'Italia, allentamento nei rapporti francobritannici, aggiornamento nei rapporti franco-tede1s,chi, inasprimento nei rapporti franco-russi, miglioramento sensibile nei ,rapporti itala-tedeschi.

Questa azione è stata possibile, caro Presidente, soltanto perché essa è venuta dopo i Tuoi messaggi di Capodanno (1). Senza i Tuoi messaggi io avrei dovuto forse rinunciare a combattere, certo a riuscire.

Qualsiasi azione dell'Italia a Ginevra come dappertutto è 'subordinata ad un elemento pregiudiziale sine-qua-non: che questa azione sia voluta, inspirata ed approvata da Mussolini: senza questa generale persuasione, di carattere squisitamente psicologico, qualsia1s:i voce italiana qui sarebbe fioca e morrebbe ancor prima di giungere all'orecchio di chi ascolta.

Mi limito per ora a queste considerazioni riassuntive, salvo farti un rapporto dettagliato al mio ritorno (2).

(l) -Il doc. è cit. in DE FELICE, Mussolini, pp. 387-388. (2) -Cfr. n. 20. (3) -Qui la minuta così proseguiva: « L'ammissione della Russia bolscevica domandata dall'Italia fascista costituiva per molti un ostacolo psicologico quasi insupera]i)ile , (ACS, C2rte Grandi).
27

L'AMBASCIATORE AD ANGORA, ALOISI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. PER CORRIERE R. P. 163/19. Angora, 21 gennaio 1931.

Telegramma di V. E. n. 8 (3). Scioglliendo la riserva contenuta nel mio telegramma 145 (4) espongo a

V. E. le ,ragioni ~che mi avevano indotto a prendere in ,considerazione il progetto di accordo navale italo-tuvco che ho trasmesso a V. E. col mio telegramma 419 (5), e ~ciò non a titolo di giustif1caz,ione retrospettiva, ma perché ,lo credo utile per meglio chiarire la tendenza poliUca turca del momento.

Prima ~che mi perven~ssero le Sue ~alte nuove istruzioni (6), la situazione era sempre caratterizzata dalla necessità ,che avevo segnalato a dlifferenti riprese di addivenire ad una maggiore intensifica2lione dei rapporti politici italo-turchi: io dovevo dunque, nei miei contatti con questo Ministro degli Esteri, mantenerlo

in tale ordine di idee, e personalmente assecondarlo pur lasc,iando al R. Governo ogni libertà di giudizio e di azione.

Era consigliabile, come ho già rHerito, prendere in considerazione questa intensificazione dei rapporti tra i due Paesi sotto due forme: o stringendo un nuovo patto sul genere di quello turco-russo di Karakan, od addivenendo ad un accordo di carattere navale con l'aggiunta di una clausola di reciproca consultazione per il ·caso di qualsiasi mutamento dello statu qua.

Ora poiché (vedi mio telegramma n. 419) Tefik bey si mostrava crestio al primo, ed invece molto propenso allo stabilimento di un accordo navale con la Russia da una parte e ad un altro con l'Italia e la Grecia dall'altra, e con1s,iderato che l'importanza del nuovo impegno consisteva specialmente nell'aggiunta della clausola politica che lo avrebbe caratterizzato, mi sembrò opportuno che come primo passo io assecondassi il desiderio di questo Ministro sull'accordo navale che la>:dava ogni libertà di venire ad altri accordi successivi se e quando se ne fosse presentata l'opportunità.

Fu così che accettai l'invito di questo Ministro degli Esteri a redigere uno schema di accordo navale ·che avrebbe dovuto servire come base alle nostre discussioni personali.

Ora per redigere tale accordo ho tenuto presente: l) Le ripercus:sJoni che esso avrebbe potuto avere sull'opera di V. E. nelle difficili trattative navali franco-italiane (delle quali naturalmente non ero sufficientemente al corrente) e per ·conseguenza la necessità di non invadere tale questione; 2) Le difficoltà che avevano avuto Atene ed Angora per mettersi d'accordo sul protocollo navale.

E poiché lo schema che io avrei redatto, doveva, come è avvenuto, essere sottoposto all'e~ame dall'E. V. mi è sembrato 'Che per facilitare l'ulteriore trattativa si potesse prendere come base il protocollo navale greco-turco aggiungendovi una clausola ;politica assai elastica, che con un opportuno scambio di parole si può rendere più o meno impegnativa.

In altri termini il mio campo d'azione era limitato, non ai termini della

parte navale dell'accordo, ma all'impastamento di una questione che poteva.

essere nelle direttive dell'E. V.

(l) -Sui messaggi di capodanno inviati da Mussolini agli americani, agli inglesi e ai france'i cfr. MINISTERO DEGLI AFFARI EsTERI, Rassegna settimanale della stampa estera, anno VI, vol. I, pp. 1-10, 97-104, 256-257. (2) -Cfr. n. 52. (3) -Cfr. n. 8. (4) -Forse è il 987/115 (cfr. serie VII, vol. IX, p. 3 nota). (5) -Cfr. serie VII, vol. IX, n. 487.

(6) Ibid., n. 480.

28

L'AMBASCIATORE AD ANGORA, ALOISI, AL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA LEVANTE ED AFRICA, GUARIGLIA

L. P. Costantinopoli_. 21 gennaio 1931.

Spero avrai pas,sato bene le feste ed iniziato altrettanto il nuovo anno, di cui ti auguro un buon proseguimento, sotto i migliori auspici. Io invece sono rimasto alquanto dispiacente del telegramma n. 8 dell'8 gennaio (l) nel quale il Ministro si sorprende che io abbia potuto redigere il pro

getto d'accordo navale italo-turco nella maniera che tu sai. Col mio telegramma

n. 5 (l) cerco di spiegare la genesi del mio pensiero nel fare tale redazione, genes.i a te nota e che ti pregherei di voler illustrare a S. E. Grandi, facendomi poi se credi sapere qualcosa.

Ho avuto poi la lettera n. 301 del 29 del u.s. (2) con le nuove istruzioni: rispondo pure a questa per spiegare bene alcuni punti che credo non siano stati ben sviluppati. Certo, data la dubbia azione di Venizelos, converrà forse per il momento di soprassedere nel prendere altri accovdi; ma non è un vantaggio perché l'indolenza orientale, sembra un paradosso a dirsi, va combattuta con l'azione: è l'unica maniera di manovrare da queste parti ed è l'unica lezione vera che ho ritratto dai miei oramai numerosi soggiorni in Oriente.

Forse potrò meglio chiarire queste mie idee in una conversazione col Ministro e con te ed a tale proposito avendo io bisogno di essere in Italia ai primi di marzo, ti domanderei, beninteso se le esigenze del Servizio lo permetteranno, se posso avanzare domanda ufficiale di congedo per quell'epoca.

Grato delle risposte che mi vorrai dare...

(l) Cfr. n. 8.

29

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, ALL'AMBASCIATORE AD ANGORA, ALOISI

T. 23. Ginevra, 22 gennaio 1931, ore 16.

Unione Europea. Ordine del giorno votato avanti ie11i, risultato di una aspra e lunga discussione, è effettivamente il risultato di un .compromesso fra la tesi da me ,sostenuta coll'appoggio di Curtius, per un invito generale ed integrale alla Russia ed alla Turchia, e la tes:i francese, ·romena e svizzera di limitarsi ad un puro sondaggio e come semplice osservatore. Ma nella sostanza esso indica l'affermazione di due principì essenziali:

l) che la Turchia fa parte integrale deHa comunità europea;

2) che essa deve essere chiamata a partec:ipare all'opera ·che ,svolge questa comunità su un piede di uguaglianza. Inoltre è 'chiaro che una volta che la Turchia sia entrata a far parte della commissione per l'Unione europea, nessuno potrà limitare la sua azione al solo campo tecnico ed economico; e da questo punto di vista invito odierno, già di per sé incondizionato, equivale ad un invito anche illimitato. V. E. comprende che, ove si fosse trattato solamente della Turchia, io sarei riuscito a far dirigere invito in forma anche più vasta, ma precise e recise resistenze alla partecipazione della Russia, perché comunista, e atteggiamento esitante del Governo della repubblica dei Soviets, hanno posto certi limiti alla mia azione e questi limiti io non potevo :superare che, o !separando la causa della Russia da quella della Turchia (il che avrebbe posto codesto Governo in difficoltà) o provocando una più aspra discussione che non avrebbe

giovato a codesto Paese. Ordine del giorno approvato costituisce pertanto nella sostanza invito a codesto Governo incondizionato e illimitato, e non capirei rifiuto Turchia ad accettarlo. La non accettazione da parte di codesto Governo potrebbe anche costituire un ostacolo alla futura ammissione della Turchia nella Società delle Nazioni 'sul piede di prestigio ·che codesto Governo desidera. V. E. faccia quindi quanto possibile perché codesto Governo accetti invito che gli sarà rivolto anche se Repubblica Soviety dovesse rifiutare.

(l) -Numero errato. Allude certo al n. 27. (2) -Cfr. serle VII, vol. IX, n. 430.
30

APPUNTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, SUL COLLOQUIO CON IL MINISTRO DEGLI ESTERI JUGOSLAVO, MARINKOVICH

Ginevra, 22 gennaio 1931.

Grandi -Nella nostra ultima conversazione di settembre (l) v'è stato un piccolo malinteso che spero ormai perfettamente chiarito. Io non vi ho detto che, al mdo ritorno a Roma avrei chiamato Rakich. D'altra parte, debbo dirvi con franchezza che alcuni avvenimenti della politica interna jugoslava verificatisi dopo il nostro incontro (agitazioni dopo la sentenza di Trieste, monumento di riconoscenza alla Francia, manifestazioni anti-italiane a Lubiana, ripercussione della riforma ag11aria in Dalmazia, ecc.) mi avrebbero messo in serio imbarazzo sulla continuazione delle conversazioni sul terreno da noi prescelto nell'incontro del ,settembre. Meglio dunque ·che sia andato così. Quattro mesti più presto o più tardi non contano se si deve arrivare, come io spero, a qualcosa di definitivo e d'·importante per i nostri due Paesi.

Marinkovich -Effettivamente ho avuto l'impressione che il Governo italiano aves.se cambiato idea e non desiderasse più dare seguito alle nostre conversazioni (2). Sono oltremodo lieto di apprendere (cosa cui Rakich mi aveva accennato come ,probabile d01rpo il ·Colloquio avuto ultimamente a Roma con Voi) (3) che il Capo del Governo italiano, oggi, come nel settembre, non è contra,rio a che siano ,continuate fra noi le conversazioni •sulla base di quanto ci siamo detti reciprocamente nel nostro incontro di settembre.

Grandi -Allora vale la pena di riprendere dal punto in cui ci lasciammo.

Marinkovich -Sta bene. Io ed il mio Governo siamo pronti a darvi tutte le garanzie nei riguardi della Francia. Io sono pronto a sottoscrivere un impegno mediante il quale la Jugoslavia si obbliga a non intervenire in nessun caso contro l'Italia. L'Italia può fare altrettanto nei nostri riguardi.

Grandi -Impegno di neutralità reciproca? Non sono contrario in massima, ad una formulazione del genere. Potremo studiarla. Ma non è qui tutto.

E l'Albania? Qui sta il punto. Vi ho detto e vi ripeto che la condizione preliminare perché un accordo fra Roma e Belgrado sia effettivo, duraturo e non contenga in se stesso i germi dell'equivoco come il Patto di Roma del 1924, è che Roma e Belgrado abbiano una spiegazione netta e precisa sull'Albania. Senza di ciò noi costruiremmo sulla sabbia. Vale dunque la pena di parlard chiaro. Voi mi avete detto in settembre che la Jugoslavia !Si rende conto della situazione creata dall'Italia .in Albania in questi ~cinque anni. Voi mi avete detto che la Jugoslavia è disposta ad accettare come dato di fatto .l'influenza ·che l'Italia ha stabilito in quello Stato. Io vi ho confermato che la politica dell'Italia in Albania non parte da presupposti aggressivi e comunque diretti ad una espansione ve,rso il centro della penisola balcanica. Su questo punto siamo pronti a darvi le più ampie assicurazioni. La dichiarazione di Parigi del 1921 fissa ·chiaramente i punti di partenza ed i punti di arrivo della nostra politica in Albana. Le frontiere dell'Albania costituiscono un interesse strategico dell'Italia. Occorre, anzitutto, che voi cominciate a riconoscere quello che Gran Bretagna, Francia, Giappone hanno solennemente riconosciuto nel 1921 quale fondamentale diritto italiano. L'Italia non pensa più alla Dalmazia. Ma perché l'Italia non debba essere costretta a pensarvi di nuovo, occorre che la Jugoslavia riconosca ed accetti senza discuterlo più questo innegabile diritto dell'Italia.

Marinkovich -Voi mi mettete in condizioni un po' difficili. Vi-ho dichiarato che noi accettiamo la preminenza degli interessi italiani in Albania, e cioè che l'Italia abbia una influenza preponderante in Albania. Ma non possiamo accettare, per la nostra sicurezza, che l'Albania sia una colonia italiana, che cioè l'Italia si installi in Albania. Il regime attuale in Albania non è stabile. Non è lontano il giorno in cui si verificheranno torbidi, confusioni. Voi non conoscete l'Albania, e vi fate delle illusioni. Cosa farà l'Italia in tale evenienza?

Grandi -L'Italia, se sarà necessario, farà quello che i trattati le danno il diritto ed il dovere di fare. L'Italia si è assunta il dovere di garantire l'ordine costituzionale, ed asskurare le condizioni di vita e di sviluppo del,lo Stato aibanese. Noi non vogliamo fare dell'Albania una colonia, bensì uno Sta·to ,protetto e difeso da noi.

Marinkovich -Ma che bisogno ha l'Italia di intervenire direttamente in Albania, quando • è fatale • che tutti i Governi ·che potranno succedersi in Albania, siano ·costretti a rivolgersi all'aiuto italiano? Nel quadro di una amicizia effettiva e durevole fra l'Italia e Jt~goslavia il problema albanese verrebbe a perdere naturalmente molto della sua importanza.

Grandi -Forse. Ma n problema albanese è un problema che va esaminato e risolto in una visione più generale. È un problema storico-politico. Si tratta di sapere ~~-e voi ed io, qui, abbiamo voglia di riprendere l'esame della questione albanese quasi come fu posta nel Congresso di Berlino. Mezzo secolo fa. Come vedete, vi faccio grazia di tutto quello che è avvenuto dopo, che è già moltissimo.

La conversazione m questo tema si è prolungata parecchio. È inutile r:iferirne i dettagli. Marinkovich non nascondeva un certo imbarazzo e rispondeva spesso evasivamente alle mie domande. Ad un certo punto, visto che la conver

sazione non poteva approdare a risultati concreti, s,iamo rimasti intesi di « studiare delle formule •. Conclusione assai vaga e generica. Il colloquio ,sarà proseguito tra me a Rakich, cui Marinkovich impartirà le opportune istruzioni (1).

(l) -Cfr. serie VII, vol. IX. n. 241. (2) -Con tel. 65 del 7 gennaio, Pedrazzi segnalava un riavvicinamento della Jugoslavia alla Cecoslovacchia su base antitaliana. Con t. posta 253/98 del 16 gennaio, Galli segnalava nuovi sintomi di riavvicinamento della Jugoslavia all'Ungheria, parallelamente al riavviclnamento alla Germania. (3) -Cfr. serie VII, vol. IX, n. 441.
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APPUNTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, SUL COLLOQUIO CON IL MINISTRO DEGLI ESTERI CECOSLOVACCO, BENES

Ginevra, 22 gennaio 1931.

Benes -Ho desiderato di farv1i una visita per avere con voi un esauriente scambio di idee, ma soprattutto per Hluminarvi con chiarezza su quelle che sono le linee dell'azione politica del mio paese. Des,ideravo farlo da molto tempo ma I'occa,sione favorevole non si è ,sino ad oggi presentata. La Cecoslovacchia ha risolto ormai tutti i ,suoi problemi di politka interna. II nostro Stato si è avviato gradatamente ad un sistema federativo nel quale i diritti del,le differenti nazionalità sono assicurati. In Cecoslovacchia non esiste un problema di minoranze. Ad ogni gruppo etnko è aSisicurata la proprra autonomia e, parimenti, una corrispondente ,coUaborazione al Governo centrale. Prossimamente sarà regolata l'ultima questione ancora in ~sospeso e cioè la questione delle popolazioni ruteno-carpatiche, cui sarà concessa la stessa autonomia di cui godono gli altri gruppi etnici che formano lo Stato cecoslovacco. Il partito che io rappresento è diventato ormai un partito di centro. È forte e si manterrà per molto tempo arbitro della politica del Paese. La Cecoslovacchia ha regolato ormai quasi tutte le questioni internazionali che l'interessavano. Buone le nostre relazioni con la Polonia, buone con l'Austria, !buone con la Germania, non assolutamente •cattive con la Russia. Buone con la Gran Bretagna, ottime con ,la Francia. Non c'è ,che un Paese col quale le nostre relazioni sono effettivamente cattive: l'Ungheria. Ma questa è una fatalità, bisogna accettarla così come è. Delle grandi Potenze non c'è che una ,sola, l'Italia, con la quale i nostri

• Nostri obbiettivi nelle conversazioni del Contropartite disposti ad offrire. 1931-1932.

Abbandono da parte della Jugoslavia della Rinuncia alla politica revisionista nei con subordinazione politica alla Francia, sia fronti jugoslavi. pure senza esplicita denuncia di accordi preesistenti.

Impegno jugoslavo alla consultazione per Frontiera orientale cessa dall'essere una mile maggiori questioni europee -anche in naccia militare contro la Jugoslavia e diseno alla S.d.N. venta un comune interesse difensivo contro

il germanesimo.

Riconoscimento nostra posizione in Al-Astensione da propaganda disgregatrice in bania. Jugoslavia.

Tendenza alla formazione di un unico mercato Italo-Jugoslavo con reciproca abrogazione barriere doganali».

Cfr. anche un altro appunto (del 1937): «Nel 1931-32 (conversazioni Re Alessandro-Galli) e nel 1933 (conversazioni Cosmelli-Avakumovich) la Jugoslavia, iniziatrice e postulante di un accordo, teneva ad un accordo, disposta anche a pagarlo un alto prezzo e per ragioni

interne e per ragioni internazionali ».

rapporti non sono ancora perfettamente chiariti. È mia intenzione, è mio vivo desiderio arrivare a stabilire con l'Italia gli ste1s:si rapporti che la Cecoslovacchiél ha con la Francia e con l'Inghilterra. L'Ita.lia ·crede a torto ·che la Piccola Intesa sia un cieco strumento della politica francese. Quando io conclusi col Governo di Belgrado e poscia con quello di Bucarest i Trattati che hanno dato vita alla Piccola Intesa, ebbi per ciò la disapprovazione del Governo di Parigi. La ragion d'essere della Piccola Intesa non risiede tanto nella comunanza d'interes1si dei tre Stati nei •confronti deH'Ungheria, quanto nella cir:costanza che ognuno dei tre Stati si trova ad essere confinante con una grande Potenza. CiaSicuno degli Stati che ·costituiseono la Piccola Intesa non ha che una preoccupazione e un interesse, che cioè gli altri due siano in relazrione di amicizia ·con le Grandi Potenze ai loro confini. Ecco ·perché Praga desidera un accordo fra Belgrado e Roma e ·CO'SÌ come un accordo fra Bucarest e Mosca. Ecco perché Bucarest desidera un accordo tra Praga e Berlino e un accordo tra Belgrado e Roma. Ecco perché Belgrado desidera un accordo tra Praga e Berlino e tra Bucarest e Mos:ca. Gli Stati della Piccola Intesa non hanno tra loro impegni diretti contro alcuna delle tre grandi Potenze che si trovano ai loro confini. Da ciò procede una conclusione, che la Piccola Intesa ha una fisonomia sua propria, indipendente, e non può essere considerata come una appendice della politica francese nell'Europa centrale ed orientale.

Perché i nostri rapporti ·con l'Italia non potrebbero migliorare? Non ne vedo la ragione.

(A questo punto la conversazione è interrotta iniziandosi la riunione del Consiglio alla quale debbo prender parte. Rimaniamo d'accordo di proseguire la conversazione al nostro prossimo incontro) (1).

(l) Sugli obbiettivi perseguiti dall'Italia nelle conversazioni con la Jugoslavia del 1931-1932 (conversazioni che si svolsero poi prevalentemente tramite re Alessandro e Galli) cfr. il seguente appunto:

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APPUNTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, SUL COLLOQUIO CON L'AMBASCIATORE DI SPAGNA A PARIGI, QUINONES DE LEON

[Ginevra], 24 gennaio 1931 (2).

Grandi -Sono dolente che la subitanea partenza del Duca d'Alba non mi abbia permesso di parlare con lui delle questioni che interessano l'Italia e la Spagna. Disgraziatamente la prolungata assenza dell'Ambasciatore italiano a :Madrid (3) ha allentato i contatti fra i nostri due Governi. È nel desiderio del Capo del Governo fa:s:cista che questi contatti siano ripresi e che la collaborazione fra i nostri due Governi sia mantenuta e sviluppata. Ital:ia e Spagna hanno gli stessi interessi mediterranei da salvaguardare. Qualche giornale in Italia si è preoccupato dei commenti e delle interpretaz:ioni che la stampa fran

cese in genere ha fatto sul viaggio del Ministro della Guerra francese Maginot in !spagna (1). Pur non essendo al corrente di quanto sia accaduto, pure ho creduto di poter rassicurare coloro ,che avevano mostrato dubbi in proposito.

Mezzo secolo di politica spagnuola sotto la fortunata reggenza della Regina Maria Cri'Stina e sotto il regno di Re Alfonso XIII danno all'Italia la sicurezza che da parte del Governo o'pagnuolo nulla sarà fatto che possa modificare quel carattere di rigowsa neutralità che è stato sinora la base della politica della Spagna e che costituisce altresì la base del trattato italo-spagnuolo concluso nel 1923.

Quiiiones Sono lieto dell'occasione che voi mi date per fornire al Governo italiano tutte le spiegazioni necessarie su questo punto assai delicato. Sono certo d'interpretare il pensiero del Governo ·3pagnuolo comunicandovi quanto segue: io stesso quale Ambasciatore di Spagna a Parigi ho desiderato che il Ministro Maginot di ritorno dal Marocco si soffermasse a Madrid e fosse ospite del Governo dii Re Alfonso. Io ste's,so ho lavorato perché tra Governo francese e Governo spagnuolo si addivenga ad un accordo relativo ai nostri interessi marocchini. Questo accordo è stato in masstima raggiunto. Ciò risparmierà a noi e ai francesi un notevole onere finanziario quale richiedeva l'occupazione marocchina nelle condizioni in cui essa si è effettuata sino ad oggi. Una pratica collaborazione ,_,,i è determinata e si determinerà fra il comando francese e quello spagnuolo in Marocco. Ma niente di più. Il Governo di Madrid non è andato né intende. di andare più oltre. Nulla di modificato nella nostra politica mediterranea ed turopea in genere (2).

Anche in !spagna l'eco dei commenti francesi al viaggio del Ministro Maginot non è stato gradevole.

(l) -Il colloquio non fu ripreso. Cfr. n. 47. (2) -La minuta, conservata nelle Carte Grandi (ACS). è datata 24 gennaio. Si segue questa data e non quella -21 gennaio -del testo che si pubblica. (3) -L',lmbasciatore ~edici era assente da Madrid dal gennaio 1930, pare per motivi di salute.
33

IL MINISTRO A TIRANA, SORAGNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. PER CORRIERE RR. 117 /148; 67. Tirana. 24 gennaio 1931 (per. il 28).

Col mio telegramma per corriere n. 45 del 16 corrente (3), informavo V. E. di conciliabolti che si tenevano a Tirana per concretare un piano d'azione in

caso morte del Re. Ho poi saputo trattarsi di scambi di idee intervenuti fra i maggiori esponenti del commercio e della finanza di Tirana e di Durazzo. Tutta que1sta gente, che potremmo chiamare i notabili del paese, teme varie cose: che l'Italia voglia imporre qualcuno dei Zogoll:i, mantenendo quindi al potere quella camarilla di affaristi che fa capo ad Abdurraman Mathi, abbarbicatasi intorno al trono e che è loro particolarmente invisa; teme ancor più che l'antica • clique •, di cui terrò .parola più appresso, con un ·Colpo di mano riesca ad impadronirsi del potere nìnnovando le sue prodezze del passato; guarda con mode,sta speranza ai bey ed alle tribù del Nord, sarebbe disposta ad aiutarli con la sua influenza e ·con i suoi mezzi, ma non sa o teme di aprirsi e di concertarsi con loro; inizia qualche timido contatto con qualche potentato minore, quale ad esempio Giafer Taga di Kruja e, per ingraziarsi l'Italia, assicura di caldeggiare la candidatura di un principe italiano al trono d'Albania.

Si tratterebbe, quindi, di un nuovo elemento che.'si accinge ad entrare nell'agone politico e che potrebbe opportunamente fiancheggiare l'azione dei bey portando loro l'adesione di una parte influente di Tirana e di Durazzo e che, probabilmente, potrebbe trascinar seco in una adesione al nuovo Governo molti gruppi del resto dell'Albania e particolarmente di Koritza, dove l'elemento plutocratico è più che altrove preponderante.

Continuerò a seguire questo aggruppamento che nel giuoco delle forze albanesi può costituire un elemento non indifferente. Per ora, al me,s,saggero di questa gente (non so fino a che punto autorizzato), premesso, pur essendo certo di non essere creduto, che il Re probabilmente vivrà tanto da seppellirei tutti, ho consigliato eli avere la massima fiducia in noi, insistendo nella necessità di riunire gli sforzi di tutti per impedire torbidi o sconvolgimenti, ed evitare di mettere in pericolo il miglior risultato del regime attuale, l'unità cioè morale e materiale dell'Albania. Ho approfittato anche d~lla presenza qui di Ilias Vrioni per tastarlo ua po' sul terreno delle previsioni in caso di morte del Re. E l'ho trovato, con mia grande sorpresa, assai pronto alla risposta. Il braccio del Vrioni sarebbero due suoi cugini, Kemal Bey a Vieri e Said Bey a Berat, ambedue giovani ed energici, d'accordo tra di loro e pronti al primo segno di allarme ad impadronirsi della regione dal Tomor al mare e ad agire di concerto con Shefket Verlaçi su Tirana c se necessario su Valona. Il nerbo della forza dei Vrioni sarebbero i montanari del Tomor, mezzi briganti invero, ed il •cui capo, Rusni Toska, deputato al Parlamento, è interamente devoto alla famiglia; in questi giorni egli ha rinnovato ad Hias solennemente la « bess•a • di seguire fedelmente in ogni eventualità gli ordini di Said bey Vrioni.

Hamid Toptani, l'uomo di azione della famiglia Toptani e che, come accennavo in una mia precedente comunicazione, male ·s'intende col Ver1açi, sembra invece essere amico dei Vrioni, e disposto a seguirli. La sua adesione avrebbe non poca importanza per trovars·i egli alle porte di Tirana e per il :prestigio, non ancora del tutto spento, che il nome dei Toptani ha ancora sulla popola-;;ione della capitale.

I Libohova, pur decaduti dalla loro antica influenza, si farebbero forti di le,~are, nel nome di Mufid Bey, qualche gruppo di armati tra i briganti del

Kurvelesh:i, e di potere quindi tenere a bada una regione del resto pacifica ed aliena dai colpi di testa.

Shefket Verlaçi, oltre a confermarmi quanto in precedenza mi fu detto da lui e da altri, mi ha promesso di farmi sapere qualche cosa sulle intenzioni dei muJs:ulmani di Scutari, per mezzo dell'amico suo Syloio Bey Bushati, che egli ritiene facile si accosti alle sue idee.

Per quanto riguarda Korça e Argirocas,t.ro tutti mi confermano che quelle regioni non possono avere alcuna parte decisiva, neutralizzate anche dal cozzo delle varie influenze dei personaggi secondari.

Ho voluto ·cercare poi di vedere un po' più a fondo cosa siano e cosa valgano i • nazionaHsti " di ,cui tanto si parla. Si tratta in sostanza di un insieme disparato di cosidetti intellettuali, avidi di posti e di affari, distribuiti un po' dappertutto, specialmente nella burocrazia. Soltanto a Valona ritengo che essi possano essere considerati come un vero gruppo capace di esercitare una immediata e concorde azione pratica. Dovrebbero quindi ritenersi, tranne che a Valona, gente poco pericolosa. Ciononostante, a mio avviso, essi rappresentano ancora una grave incognita, formando essi la clientela dei sopravviventi capi della « clique ", Eshref Fra:sheri, FaSili Frasheri, Gjafer Ypi e Raouf Fiço e, fino a un certo punto, di Mehmet Konitza. Questi capi, che sono presenti a Tirana, potrebbero pur sempre tentare con successo di impadronirsi del Governo provvisorio, tanto più che, a quanto mi si asserisce da varie fonti, essi possono contare su qualche ufficiale .superiore dell'esercito il quale potrebbe tras'Cinare con sé una parte della truppa e dar loro quella forza materiale di cui per sé non disporrebbero. Un loro successo è da deprecarsi: sia perché la • clique " rappresenta l'unico elemento che ci sia fondamentalmente ostile, sia perché una parte dell'Albania (il Nord) si troverebbe in contrasto con loro, con accresciuto pericolo di guerra civile, e, esclusa da Tirana, potrebbe voltare verso la Jugoslavia.

L'esercito resta quindi sempre la grande incognita; poiché non mi sento

di assicurare V. E., ed oggi nemmeno più il Genemle Pariani, che ci riuscirà di

tenerlo fermo in caserma e meno ancora trascinarlo ad aderire a quel nuovo

Governo che ci ·convenisse sostenere. S·to adeSI:oo ·Cercando di sapere quali degli

ufficiali siano sospetti di aderire alla • clique • per studiare poi con Pariani se

con qualche arresto al momento opportuno si potesse evitare che questo orga

nismo che ci è costato tanti :oacrifici diventi invece il principale fattore di quei

disordini che ci preme anzitutto di evitare.

Per il resto, più esamino la situazione, più m!i persuado che gli elementi

di ordine sono forti e sotto la Monarchia di Zog, pur da loro cordia,lmente odiata,

hanno preso abbastanza gusto alla pace per essere disposti ad appoggiare un

Governo a carattere fortemente conservatore che garantisca i loro interessi, la

tranquillità del Paese, e, oso dirlo, la continuazione della nostra effettiva in

fluenza in Albania (1).

(l) -Cfr. serie VII, vol. IX, nn. 436 e 447. (2) -La documentazione conservata in ASME contiene alcuni accenni ad un accordo informale, che sarebbe stato stipulato anteriormente alla caduta della monarchia spagnola, tra repubblicani, socialisti, comunisti e anarchici spagnoli da una parte, e il governo francese dall'altra, inteso a facilitare il transito delle truppe francesi dall'Africa all'Europa. (3) -E' il tel. per corriere s. 95/45, del quale si pubblica solo il seguente giudizio su re Zog: • Nulla dice, nulla fa per indicare, per preparare una via in caso di sua scomparsa; se gliene si accenna, muta discorso; ma se potesse mi impedirebbe qualsiasi movimento e ~i affretterebbe a togliere di mezzo anche con la violenza, gli elementi su cui teme che si pen/1di appoggiarsi in caso di sua morte. Non crede a nulla dopo di lui; non se ne preoccu:pa neppure, in questo vero albanese. Ma, fisso nel concetto che tutto 'debba passare per il tramite suo, vorrebbe estendere tale concetto anche all'al di là. Pretenderebbe che noi non pensassimo all'avvenire, giurando ciecamente nella sua vita; non vuoi rendersi conto che interessi stato sopravvivono persone e che rappresentanti italiani hanno dovere di cercare guardare nel caos che egli può lasciar dietro di sé. Un misto di ingenuità, di orror della morte, di gelosia, di dispotismo e cii cinismo, e su ciò la costante paura di essere sorpassato,scavalcato, tradito: ecco l'impasto di tale mentalità. Monsignor Bumci cui tutto è permesso glielo disse un giorno: Maestà Voi rimanete un avventuriero, non un fondatore di dinastia ».

(l) Soragna comunicò ulteriori notizie sullo stesso problema dell'eventuale successione a re Zog con telespr. 199/89 del 31 gennaio, che non si pubblica.

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IL MINISTRO A BUDAPEST, ARLOTTA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

R. CONFIDENZIALE RR. 246/44. Budapest, 24 gennaio 1931 (1).

Subito dopo aver ricevuto il dispaccio riservato personale n. 35 che l'E. V. mi fece l'onore di dirigermi in data 5 gennaio (2), circa le relazioni dell'Italia e dell'Ungheria con l'Austria, ebbi occasione di uno S'cambio di idee sull'interessante argomento col Conte Khuen-Hedervary che, come non mancai di riferke a suo tempo, aveva partecipato al colloquio confidenziale avuto luogo nel dicembre scorso nella sede di questa Legazione tra il Conte Bethlen ed il Ministro Auriti espressamente qui venuto da Vienna (3), e che sapevo avrei trovato perfettamente consenziente sul nostro modo di vedere in proposito. KhuenHedervary -il quale ha per ora più di prima praticamente ,in mano la condotta degli affari di questo Ministero Esteri dopo la partenza di Walko ed in attesa che il nuovo Ministro, Conte Karolyi, si sia meglio ambientato con tale dica'Stero -mi confermò infatti, senza esHazione, di condividere pienamente il nostro ordine di idee al riguardo, e mi suggerì ,ragionevolmente di parlare al Capo di questo Governo con breve anticipo sulla data, fissata per domani 24 corrente, della sua partenza per la capitale austriaca. Nel frattempo egli avrebbe predisposto il terreno opportunamente pres,so il conte Bethlen, sottoponendogli anche, come per propria iniziativa, il materiale documentario di stampa 'Che avevo già raccolto in appoggio, fondandomi sulle così utili indicazioni dall'E. V. fornitemi ,col citato dispaccio.

In una conversazione generica avuta d'altra parte in quei giorni col Ministro Conte Karolyi, ebbi anche modo di soffermarmi con lui, prendendo occasione dalle note trattative economiche in corso, sui rapporti coll'Austria e sull'atteggiamento pregiudizievole alla cordialità di tali relazioni di quella stampa a nostro riguardo. Non solo trovai anche da parte sua soddisfacente comprensione, ma anzi fu proprio lui ad attirare la mia attenzione su nuovi scritti tendenziosi del Tiroler Anzeiger, segnalatigli la mattina dessa dall'amico Conte Csaky, Capo dell'Ufficio Stampa, come intesi a voler porre in cattiva ,luce la nostra politica nei riguardi della Germania, che l'Italia starebbe tramando con subdoli allettamenti, di attrarre in una nuova guerra.

Giusta quanto mi son fatto premura di riferire sommariamente col mio telegram,ma n. 9 del 21 corrente, sono poi stato espreSioamente a vedere il Conte Bethlen, il quale ha ascoltato colla maggiore attenzione e con tutto l'interesse del caso, la lettura che confidenzialmente gli ho fatto, illustrandogliene convenientemente i ~singoli punti, del di,spaccio di V. E. Il ~conte Bethlen si è dichiarato gratissimo della comunicazione per ,la quale mi ha incaricato di esprimerLe

i suoi più viv·i ringraziamenti pregandomi altresì di dichiararLe il suo pieno accordo su tutte le sue parti, ciò che ho già fatto telegraficamente.

Mi ha confermato che, se non avesse già preso, com'è noto, da tempo impegno di fronte all'opinione pubblica -!asciandomi ·Chiaramente anche intendere occorrergli, per le già esposte ragioni di politica interna perseguire la direttiva di dare un ·certo compenso con avvenimenti esterni, all'attenzione troppo concentrata sui disagi della crisi economica -[di non] rimandare ancora il suo viaggio, già del resto procrastinato di oltre tre mesi sull'epoca prevista del principio di ottobre (1), e mi ha fatto rilevare come un ulteriore rinvio dello stesso colla già ufficialmente preannunciata firma del patto di amicizia avrebbe rischiato di pregiudicare gravemente la conclusione delle trattative economiche la cui soluzione i~.i è resa tanto neces.saria dopo la tensione delle relazioni, sopravvenuta tn questo campo colla Czecoslovacchia.

Mi ha pregato d'informare l'E. V., e per di Lei cortese tramite S. E. il Capo del Governo, che egli intende peraltro perseverare colla maggiore sincerità e convinzione la politica di perfetta intesa coll'Italia finora perseguita, sia nei riguardi dell'Austria come in quelli degli altri Paesi Esterr,i, ed ha aggiunto spontaneamente Ja precisa assicurazione che porrebbe ogni cura nel fare sentire a Vienna tanto a Schober quanto, più generalmente a quel Governo, come una effettiva cordialità di relazioni fra Ungher·ia ed Austria non 1possa essere nonché attuabile, neanche presumibile, se non come conseguenza di analoga rispondenza fra Italia ed Austria.

Lo ho trovato perfettamente edotto sulla questione stampa -punto sul quale ho potuto anche rinsaldare il •suo apprezzamento mercè un comune riesame della relativa documentazione -e convinto del pregiudizio che l'atteggiamento di quella austriaca nei nostri riguardi arreca agli evidenti interessi dell'Austria medesima. Mi ha dichiarato a tale proposito •che gli sarebbe riuscito facile attirare tutta l'attenzione di Schober, come di propria consapevole iniziativa, sull'argomento, ed ha aggiunto che si proponeva di farlo di persona, colla opportuna fermezza. Anche per dò che concerne l'azione del Console francese ad Innsbruck, si è dimostrato grato delle informazioni, ed anche su questo punto si è dichiarato desideroso di fare gli accenni del caso durante la sua visita.

Per la linea di condotta da seguire nei con:Eronti delle Heimwehren, non ha esitato, del pari, a dichiararsi d'accordo sulla necessità di continuare a sostenerle, pur essendo egli alquanto :s·concertato sulle modalità pratiche -per le quali mi ha dichiarato ·che avrebbe tenuto a manifestarmi le sue idee e considerazioni subito dopo il suo ritorno da Vienna, ove si proponeva assorbire utili elementi per formar:si un concetto della effettiva situazione dalla notizia pervenuta qui proprio in quel giorno, di un probabile ritiro di Starhemberg.

L'interessante ed assai cordiale colloquio si è chiuso con la dichiarazione da parte del Conte Bethlen, del pieno accordo sul contenuto dell'ultimo capo

verso del citato dispaccio dell'E. V., e colla promessa di ragguagliarmi -oltre i contatti che contava di poter avere a Vienna col Ministro Auriti -sui particolari del suo imminente viaggio, subito dopo il ritorno in questa capitale.

(l) -Come risulta dal testo, almeno la prima parte del documento fu scritta il 23. (2) -Cfr. n. 4. (3) -Cfr. serie VII, vol. IX, n. 470.

(l) Nel testo c'è evidentemente una lacuna.

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APPUNTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, SUL COLLOQUIO CON IL MINISTRO DEGLI ESTERI INGLESE, HENDERSON

Ginevra, 25 gennaio 1931.

Grandi -Ho desiderato, una volta ultimati i lavori del Consiglio e p11ima di partire, aver una conve:r~sazione con Voi, per un breve scambio di idee sul lavoro di preparazione della Conferenza del Disarmo. Il Governo italiano è lieto anzitutto di constatave che.. come risulta dal vostro di,scorso in ls,eno al Consiglio, l'atteggiamento inglese sul problema del disarmo non appare modificato. L'atteggiamento preso da Lord Cecil durante i lavori della Commis'Sione preparatoria ci aveva fatto indurre a pensare il contrario. Sono d'accordo con voi, e l'ho detto nella riunione del Consiglio, che occorre promuovere s·cambi diretti di vedute tra Governi in modo da giungere alla Conferenza cono1s·cendo perfettamente quale sarà l'atteggiamento dei singoli Governi. Anche il Governo degli Stati Uniti è di questo avviso.

Per quanto .riguarda il Governo <italiano esso comincerà subito un'azione in tal senso. Circa la questione del Presidente della Conferenza, essa non è questione di piccolo conto, e sono lieto che H Consiglio si sia reso conto dell'impossibilità di procedere alla norr~na di un Presidente che non avrebbe potuto, per ovvie ragioni, apparire come dotato di quella imparzialità ed obiettività, doti essenziali per il compito delkato che un Presidente di una Conferenza così importante sarà chiamato ad assolvere (1).

Tutto sommato mi sembra che la scelta di un cittadino americano, fuori delle competizioni europee, tsarebbe, allo stato delle cose, la soluzione più accettabile.

Henderson -Sono d'accordo. Non credo che dopo quanto è accaduto durante l'attuale sessione del Consiglio i francesi insisteranno più sul nome di Benès. Il Governo britannico .sarebbe soddisfatto di avere come Presidente un americano. Ma vi sono delle forti difficoltà da parte del Governo americano. Che ne dite di una candidatura Briand come Presidente della Conferenza? Meglio avere Briand come Presidente della Conferenza che averlo come Capo della Delegazione francetse. L'idea non piace ai francesi perché ritengono che Briand sarebbe più utile come rappresentante della Francia e cioè con le mani libere.

Grandi -Mi rendo conto di quanto mi dite. È certo tuttavia che anche la designazione di Briand susciterebbe molte perplessità e diffidenze. Non so se la Conferenza ne guadagnerebbe. La questione va studiata con molta ponderazione (1).

Henderson -Nulla di nuovo nel negoziato navale?

Grandi -Lo domando a Voi. Dopo l'accettazione, in massima, del progetto sottoposto al nostro eòame dal signor Craigie (2), salvo conoscere il preciso atteggiamento del Governo francese, nulla ci è stato comunicato in proposito. Siamo quindi a tutto oggi in attesa di una risposta da parte della Francia.

(l) Il 9 gennaio l'Italia aveva fatto conoscere al governo inglese la propria ostilità alla elezione di Benes a presidente della futura conferenza del disarmo (DB, III, n. 198).

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APPUNTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, SUL COLLOQUIO CON IL MINISTRO DEGLI ESTERI TEDESCO, CURTIUS

Ginevra, 25 gennaio 1931.

La conversazione si apre con convenevoli, scambio di informazioni sulle reciproche ore di partenza ecc.

Grandi -Ebbene, credo che sulle vostre questioni con la Polonia potete e1ssere soddisfatto. L'impressione generale è ,che la Germania abbia riportato un successo. Avete posto la questione in pieno con molta nettezza ed il Consiglio è stato duro per la Polonia.

Curtius -Credete? Sono contento di sentirlo da voi.

Grandi -Sì, voi potete essere soddisfatto, e ,possiamo essere ambedue ,soddisfatti dei risultati della nostra collaborazione. In fondo siamo stati soli a combattere, ed abbiamo ottenuto quel che volevamo, cioè l'invito alla Russia e la bocciatura della candidatura Benes. Or bene, noi non avremmo conseguito questo risultato se non 'avessimo unito i nostri sforzi. Notate che Briand e la Francia non si aspettavano né la battaglia né la nostra resistenza. E1ssi pensavano: Curtius ha le grosse preoccupazioni per gli affari dell'Alta Slesia per cui è obbligato a r'iservarsi le sue forze. Grandi strillerà come sempre, ma poi finirà per cedere. Invece che cosa è successo? Henderson, in presenza della nostra resistenza ha dovuto riflettere, ed ha dovuto mantenere quel tanto di obiettività che gli permettesse di non apparire legato ad ogni costo alla Francia. È quello che ci occorreva, e ne avete visto gli effetti. Infatti quale è oggi il grande obbiettivo polritico della Francia? !Realizzare l'accordo con l'Inghilterra. La Francia è forte. L'Inghilterra si indebolisce. Il piano clJi egemonia francese si

sviluppa per la terza volta nella storia di un secolo. Noi qui non difendiamo soltanto i nostri interessi. Noi difendiamo l'Europa (1).

Volevo ora parlarvi della questione dell'invito dell'U.R.S.S. e della Turchia alla Commissione europea. Io credo che al punto in cui 1sono le cose noi dovremo agke a Mosca. Dopo l'azione che abbiamo svolto, bisognerebbe che l'atteggiamento di Mosca rispondesse in certo qual modo al<la nostra azione.

Curtius -Non sono in grado di dkvi come stanno le cose. Io ho affidato l'incarico della trattazione con Mosca al Sottosegretario di Stato (StaatsekreHir) a Berlino. Credo :però anche io che 1si debba fare qualche cosa ed al mio ritorno a Berlino me ne occuperò.

Grandi -La situazione ha davvero degli aspetti interessanti: guardate. Voglio leggervi un telegramma ·che ricevo dal nostro Ambasciatore (lettura del telegramma allegato) (2). Ora questi sono aspetti del giuoco diplomatico che si fa a Mos:ca. Ma 'il nostro interesse in fondo è che vengano i russi ed i Turchi alla Commissione (3). Voi comprendete che a me, rappresentante fascista, non è certo gradevole avere allo stesso tavolo i bolscevichi. Ma le ragioni di ordine internazionale devono prevalere. Del resto, vi prevengo che se i bolscevichi al tavolo della Conferenza vorranno fare del.la propaganda comunista io sarò H primo ad alzarmi ·e parlare contro di loro.

Curtius -Siamo d'accordo. Appena tornato a Berlino mi informerò di

quello che si è fatto e vedremo come si debba agke.

Grandi -Possiamo tenerci al corrente reciprocamente circa questa azione

a mezzo diei nastri rispettivi Ambasciatori a Berlino e a Roma.

Pavliamo ora della Presidenza della Conferenza del disarmo. Ci sono in

giro voc:i di candidature americane. Voi che ne dite?

Curtius -Ho sentito anche io infatti queste voci. Personalmente io non

sono contrario. Ma è una questione sulla quale devo prendere accordi col Go

verno quando sarò ·rientrato a Berlino.

Grandi-Certo una candidatura americana è una cosa da considerare atten

tamente. Bisogna ,pensare che essa autorizza le più grandi 1speranze, ma che

può presentare anche grandi pericoli. Che cosa sarebbe di una candidatura

Henderson?

Curtius -Anche ad una candidatura Henderson io sono personalmente

favorevole in massima.

Grandi Dobbiamo stare attenti perché la candidatura Benès tornerà.

Curtius -Certamente essa tornerà e la nostra azione deve essere vigile.

Io sarò al Consiglio del maggio il Presidente della Sessione del Consiglio della

S.d.N. e quindi potrò agire nel senso necessario.

4 -Documenti dipLomatici-Serie VII-Vol. X

Grandi -Infatti questa favorevole circostanza della vostra presidenza a

maggio dovrà essere da noi utiUzzata.

Curti.UJs -Volevo parlarvi a proposito della pubblicazione che mi è stata

segnalata, del • Popolo d'Italia •. Pare che il detto giornale abblia parlato

di una collaborazione illimitata dell'Italia e della Germania a Ginevra. Ora

voi sapete quanto io sia stato soddisfatto e d'accordo dei risultati ottenuti con

la nostra collaborazione. Ma desidero pure confermarvi che in massima la nostra

collaborazione deve intendersi che avrà luogo volta per volta mediante intese

sulle singole questioni che ci interessano. Credo ·Che questo sia nel nostro reci

proco interesse. Non vorrei che noi venissimo tacciati di essere a Ginevra i

gemelli siamesi, che ogni volta che si alza uno, l'altro immediatamente gli fa

la contrors·cena. E •così la ndstra collaborazione di ·cui, ripeto, sono contenbs,simo,

non deve peraltro escludel'e una colilaborazione con altri elementi della S.d.N.,

con la F,raneia, per esempio, in determinate questioni.

Grandi -Sono d'accordo ·con voi, e comprendo perfettamente il vostro

punto di vista. Del resto io stesso l'ho praticato. Voi avevate desiderato il mio

appoggio nella questione di Memel. Io ho creduto che la mia asterusione fosse

più conveniente. E ancora di più, quando voi avete fatto le vostre ri.serve per

l'affare del disarmo, io ho pensato ad un certo momento se non fosse il caso

di appoggiarle. Ma ho ·Conc,luso che migliore partito era di non intervenire.

Curtius -Io stamattina ho visto Briand ed ho voluto dirgli che egli non doveva meravigliarsi della collaborazione fra Germania e Italia, che ritenevo non fosse presa in mala parte dalla Francia. Egli mi ha risposto che era perfettamente comprensibile e naturale e che da parte sua egli non trovava niente a ridire ad una tale collaborazione.

Grandi -Un'ultima cosa volevo dire, a proposito della rinnovazione dei contratti ai nostri rispettivi Sottosegretari Generali alla S.d.N. Voi sapete che scadono i contratti di Paulucci de Calbo1i e Dufour Feronce. Per parte mia io vi avverto che devo insistere ed insisterò per la rinnovazione del contratto Paulucci. Credo che anche voi sarete sullo 1stesso piano.

Curtius -Devo dirvi in verità che non sono al corrente di questa questione. Sono stato molto occupato per le altre questioni di cui sapete e non ho potuto mettermi al corrente di questa. Convengo che in principio la nostra azione in questo campo dovrebbe essere •concorde. Ma bisogna anche tener conto di .molti elementi personali. Ad un certo momento per un funZ!ionario possono giuocare interessi di carriera. Può esservi il desiderio di avere una nomina ad una Lega.;-:ione. Quindi la cosa dipende molto da elementi personali. Ad ogni modo studierò la cosa nell'intesa che è utile una nostra azione concertata.

Grandi -Bisogna pensare che al principio la S.d.N. era completamente nelle mani dell'Inghilterra e della Francia con prevalenza della prima. Con !'·indebolimento dell'Inghilterra, la Francia diventa sempre più padrona dell'Istituto. Se noi non d difendiamo, saremo schiacciati.

Curtius -Sono perfettamente d'accordo che questa è una materia nella quale interessa la n01stra rpiù stretta collaborazione. Me ne metterò al corrente e ci terremo in comunicazione sull'argomento a mezzo dei nostri Ambasciatori.

Grandi -Bene. Allora credo che non abbiamo più altro da dire.

Curtius -Sta bene. Per quanto concerne la no,stra collaborazione a Ginevra, !asciatemi ancora una volta esprimere la mia soddisfaz1ione. Abbiamo piantato nel muro un chiodo al quale potremo sospendere molte cose.

(l) Il 29 gennaio Grandi suggerì a Graham il nome di Henderson come presidente della conferenza (Ibid.). Inutile fu il tentativo di Titulescu presso Vansittart per convincerlo che la presidenza fosse data a Benes e non a Henderson (te!. 5 marzo, ed. in N. TrTULESCu, Documente Diplomatice, Bukuresti, 1967, pp. 365-366).

(2) Cfr. serie VII, vol. IX, n. 475.

(l) -Qui la minuta così proseguiva: " Curtius: A proposito di quanto dicevate che la Francia ha i denari. desidero dirvi che secondo mie informazioni. il preteso accordo, o prossimo accordo anglo-francese per l'oro non è così vicino ad una realizzazione. Non sono anco.ra affatto d'accordo fra loro. Grandi: Le vostre informazioni corrispondono a quelle che ho 10. Essi non sono d'accordo , (ACS, Carte Grandi). (2) -Manca. . (3) -Qui la minuta cosi proseguiva : " Ci sono ragioni obbiettive, identiche per i nos~n due Paesi, ad avere elementi interessati ad un vero disarmo dell'Europa , (ACS, Carte Grand1).
37

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, ALL'AMBASCIATORE A MOSCA, ATTOLICO

TELESPR. S. N. Ginevra, 25 gennaio 1931.

Telegramma di V. E. n. 362.

Non mi pare necessario rettificare quanto Hel'bette ha detto a Litvinoff circa azione svolta dalla Francia. È dii pubbli!ca ragione che io ho dovuto sostenere contro Bdand una lunga ed aspra discussione ,perché egli ha resistito fino all'ultimo nella difesa dell'ordine de·l giorno di Titulescu (1). Quello che è importante è ·che il Governo russo intenda ·chiaramente la pol'tata dell'ordine del giorno approvato.

Nella forma esso rappresenta il risultato di un compromesso tra la tesi estrema che io e Curtius abbiamo •sostenuto di un invito generale ed integrale alla Russia ed aUa Turchia e la tesi estrema fmncese 'romena e 'svizzera di limitarsi ad un puro !sondaggio per conoscere l'avviso degli Stati non membri senza impegnarsi ad inviti di sorta. Ma nella sostanza esso i'mplica l'affermazione di due principi essenziali; l) che l'U.R.S.S. e la Turchia fanno parte integrale della comunità europea; 2) che esse devono essere chiamate a ,partecipare all'opera che svolge questa comunità su un piede di eguagLianza. Inoltre V. E. comprenderà che una volta che l'U.R.S.S. e la Turchia siano nella Commiissione di studio nessuno potrà limitare la loro azione al solo caiUiPO tecnico-economico e che da questo punto di vi~Sta invito odierno già di per sé incondizionato equivale ad un invito anche illimitato.

Codesto Governo è naturalmente libero di prendere la dec,isione che crederà più utile ed io non ho alcuna intenzione di spingerlo vel"so una soluzione o l'altra. Mia azione è stata ispirata al concetto che partecipazione russa e turca era obiettivamente utile e tale 1io la ritengo. Aggiungo che discussione stessa che Curtius ed io abbiamo provocail:a è valsa di per sé a far riconoscere che Russia è un elemento vitale del sistema europeo. Mi rendo conto de1le difficoMà nelle quali il signor Litvinoff sd. trova, e di cui V. E. stessa mi ha informato con il suo telegramma N. 239 del 31 dicembre. Mi auguro tuttavia che la riS!posta all'invito sia affermativa, comunque mi attendo dal signor Litvinoff ·che la risp01sta qualunque es,sa sia per essere non 'sda impostata in modo da indebolire significato dell'opera .che io ho svolto qui.

(l) Grandi ebbe con Titulescu un colloquio del quale non si è trovato il verbale (cfr. il tel. di Titulescu, Ginevra 22 gennaio, in TrTULEscu, Documente cit., p, 361).

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IL MINISTRO DELLE COLONIE, DE BONO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

TELESPR. 40436. Roma, 26 genna·io 1931.

Per l'importanza che, sotto il riflesso della politica estera indubbiamente riveste, mi pregio rimettere alla E. V. copia di una relazione inv,iatami dal Governatore della Somalia sulla politica da lui seguita nell'oltre confine dall'agosto 1928 ad oggi (1).

« Quando nell'agosto 1928 assunsi il Governo della Colonia, trovai che il problema dell'oltre confine, non mai fino allora attentamente studiato, meritava accurato esame e una conseguente opera destinata a procurarci un proficuo controllo su popolazioni che sono sorelle delle nostre perché frammenti delle stesse ' cabile' che si trovano sparse su quei territori: in genere popoli di puro sangue Somalo, di ceppo Darrott...

Alle lotte interne, al duro e mal sopportato giogo Abissino -che fu sempre stimato usurpazione -si aggiungeva, altra causa di malcontento, il non desiderato lavorio dell'Inghilterra tendente, verso l'ovest ad attrarre i commerci di quelle regioni sul suo mercato di :Mojale e al nord est inteso a sospingere le sue genti Isak e Dolbohanta verso gli ubertosi pascoli di Gorahei e degli Ogaden...

Ciò si sarebbe potuto ottenere con una opera di penetrazione. Ed è stata appunto questa che ho svolto in modo continuato, lento e sopratutto riservato per evitare eventuali proteste Inglesi o sospetti Abissini, e quale esigevano i sentimenti e gli interessi di cui mi valsi in questa politica che sono stati:

il sentimento di razza che accomuna alle cabile di dentro confine quelle di fuori:

l'odio comune contro l'Abissinia, in cui sentono una dominatrice ingiusta;

il bisogno dello sviluppo dei commerci;

la comunanza della religione.

All'azione di penetrazione apriva l'adito la Convenzione Itala-Etiopica del 16 maggio

1908 che basava la delimitazione dei confini tra noi e l'Abissinia sul concetto etnico di

cabila. e non su elementi geografici.

Questa era porta aperta, che tenuto conto dei trattati esistenti circa i confini e le zone di influenza (Trattati Italo Etiopici del: 1897, 1906, 1908, Protocollo Anglo Italiano del 1891 e 1894, e Protocollo Anglo Etiopico del 1897) poteva essere valicata con fortuna.

Nelle linee generali ho tenuta come costante direttiva di questa politica quella segnata

dal Duce con la parola precisa e scultoria della lettera del lO luglio [1925] a S. E'. il :Mi

nistro delle Colonie :

' ... prepararsi militarmente e diplomaticamente ad approfittare di un eventuale sfasciamento dell'Impero Etiopico ... Nell'attesa lavoraer in silenzio'. Ed è seguendo questo principio che ho lavorato 2ilenziosamente per non suscitare

allarmi, per riuscire inavvertito e nel tempo stesso creare tra noi e quelle popolazioni inte

ressate legami che le facessero insensibilmente nostre vie più avvicinandole alle cabile

sorelle che, in nostro territorio, già apprezzavano la sicurezza e la pace procurate loro dal

!lOstro Governo.

Anzitutto ho proceduto all'occupazione di Domo, perché occorreva arginare la pres

sione delle genti Isak e Dolhohanta tendenti ai nostri pascoli dell'l'dd e dell'Uad.

E di Domo occupata, potei far un buon osservatorio di controllo dei territori di pascolo

sulla linea dei pozzi Gherlogubi, Uarder, Ualual...

Tutta questa opera mi dava intanto il controllo di quanto avveniva nelle già disor

dinate cabile e in tutto il territorio dal Somaliland al Kenia e al nord sino all'Harrar.

Nel tempo stesso permetteva alle cabile di stendersi con più agio nelle sedi prima

disertate davanti l'oppressione abissina, e produceva anche l'effetto di una corrispondente

espansione delle genti concabile già da prima in nostro territorio e che ora potevano rioc

cupare focolari abbandonati da tempo.

Si generava così una avanzata di popolazioni in direzione -grosso modo -Nord Nord

Est, che io protessi con un primo spostamento delle Bande di confine portandole dalla linea

El Berde-Afier Addo-Sinadogò Caladi-Domo, alla linea El Berde-Bug Berde-Goddere Mustail

Fer Fer-Goffodò.

Successivamente operavo poi un secondo spostamento portando lo schieramento delle

Bande sulla attuale linea El Berde-Valtirri-Bic Asso El Forus-Olassan-Coldol-Mirefaretag-Domo.

Tale azione politica, per i risultati così conseguiti, permette di affermare che l'Italia,

sebbene ufficialmente non appaia, è in realtà ben presente oltre confine nelle terre Ogaden,

ed è ora in grado di guidare con mano ferma e volontà precisa le varie cabile, come pure

di provocarvi quando lo voglia, reazioni contro qualsiasi tentativo di consolidamento dell'auto

rità Abissina.

Infatti l'azione di controllo che il Governo Etiopico esercita su tutto l'altipiano va ora

attenuandosi verso la periferia. specialmente al sud; tanto che si può dire che, se negli

Arussi è già attenuata, nell'Ogaden si può ritenere pressoché nulla...

La nostra penetrazione tra le genti Aulian e nel territorio Ogaden è oggi un fatto virtual

mente compiuto.

Tale politica, conforme alle note direttive 'in materia, appare già larga di buoni frutti; e, specialmente coordinata ed intensificata, potrà fard conseguire quelle più larghe finalità che, nelle zone .periferiche dell'Etiopia, a·l 'sud come al nord, in forme diverse ma concorrenti, sono nei nostri intendimenti. Essa può riallacciarsi ed utilmente integrarsi con quell'azione che, attraverso le nuove agenzie commerciali di cui tratta la .recente, nota ,proposta dal Marchese Paternò, noi potremmo svolgere nelle regioni medes1ime, sempre ai fini della nostra penetrazione economica e commerciale in territori ancora scarsamente conosciuti e debolmente controUati dallo stesso Impero di cui fanno parte.

Mi sarà gradito conoscere se e quali osservazioni l'E. V. avrà da fare, eventualmente, in merito al contenuto della relazione.

(l) Si tratta della relazione cit. in serie VII, vol. IX, p. 563, nota l, della quale si pubblicano i passi seguenti:

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AGLI AMBASCIATORI A BERLINO, ORSINI BARONI, A LONDRA, CHIARAMONTE BORDONARO, A MOSCA, ATTOLICO, A PARIGI, MANZONI, A WASHINGTON, DE MARTINO, AI MINISTRI A ATENE, BASTIANINI, A BELGRADO, GALLI, A BUCAREST, PREZIOSI, A BUDAPEST, ARLOTTA, A PRAGA, PEDRAZZI, A SOFIA, PIACENTINI, A TIRANA, SORAGNA, A VIENNA, AURITI, E AL SOTTOSEGRETARIATO GENERALE DELLA SOCIETA DELLE NAZIONI, PAULUCCIDE' CALBOLIBARONE

T. uu. 1228/80. Roma, 27 gennaio 1931, ore 24.

(Per tutti). Telegrafo a RR. Ambasciate Parigi, Londra, Berlino, Mosca, \Yashington e RR. Legazioni Europa Balcanica e Danubiana quanto ls;egue: Re Zogu è in viaggio per Vienna dove recasi per ragioni di salute. Comunicato diramato alla stampa dal Governo albanese presenta con lodevole chia-

Credo che per tal modo la individualità storico-etnico-religiosa di quelle vaste terre di oltre confine, anche per l'opera svolta, si stia ricostituendo in modo che potrebbe un giorno divenire anche una individualità geografico-politica.

Tale è la situazione pre~ente.

Se ne possono trarre buone previsioni in riguardo all'ulteriore sviluppo della nostra penetrazione anche schiettamente politica che deve mirare ad estendersi vieppiù addentro verso le regioni Arussi, Liban, Boran e Sidamo fino alle fertili terre della zona dei Laghi e del Kaffa.

A questo sviluppo ulteriore molto potrà giovare il conservare l'influenza che oggi abbiamo conseguita nel bassopiano.

Questa influenza potrebbe essere minacciata domani se eventualmente, cosa da non

e~cludersi forse a priori dopo l'incoronazione di S.A.I. Ta:fari :~vvenga che sia spiegato da

parte Abissina un maggiore interessarnento per l'Oguden. che potrebbe tradursi in tentativi

di un più serio consolidame~1to di possesso.

A ciò bisogna essere preparati.

Quello che in ogni modo importa, e ciò costituisce il principio inderogabile di tutta la nostra politica in queste regioni quale ho appreso sul posto dalla realtà dei rapporti, dei bisogni e delle possibilità, si è che: è necessario, per qualsiasi atteggiamento nostro nel futuro che l'influenza abissina non abbia a poter risorgei'e nell'Ogaden e nel bassopiano in genere; che ogni nostra azione, ~ia pure ufficioea, debba tendere ad impedire e possibilmente a prevenire ogni tentativo in proposito.

In ogni caso, la porta deve restare aperta per il futuro ».

Si pubblica qui di seguito un passo di un::t relazione di Guariglia per Grandi, del 24 dicembre 1930, relativa alla conclusione cui era giunta la commissione italo-inglese per la delimitazione della frontiera tra Somalia e Somaliland.

« Le trattative della Commissione Mista per le frontiere vertevano su varie materie, pur tra loro interdipendenti, e comprendevano alcuni argomenti di speciale importanza per noi, per preminenti ragioni politiche; così per esempio quello di ottenere esplicitamente dagli inglesi il riconoscimento quale punto di incrocio dei tre confini, italiano, inglese ed etiopico, dell'intersezione del 47" Meridiano coll'S" parallelo, migliorando così notevolmente la nostra

rezza viaggio nei suoi veri ,scopi e cioè come rispondente a bisogno di Re Zogu di concedersi breve periodo riposo e a suo desiderio sottoporsi consulto medico Vienna. Tutto ciò va interpretato nella sua semplicità letterale, almeno fino a che non risulti certa natura malattia.

Tuttavia, improvviso viaggio di Zog non mancherà suscitare voci allarmistiche su situazione albane,se. In conversazioni costì V. E. (V. S.) accentuerà impressione che momentaneo allontanamento dii Re Zog dall'Albania dimostra che si considera con sicura calma 'situazione interna albanese, la quale non offre motivi di preoccupazione fino a quando non venga insidiata dall'esterno; che infine politica italiana sull'altra sponda dell'Adriatico ha conferito basi così ,concrete aMo Stato albanese da consentire a Re Zog di procurarsi queste possibilità senza che altre :preoccupazioni più gravi sovra1stino a quella della doverosa cura della sua salute.

Smentite a voci allarmistiche non devono par<tire direttamente da codesta

R. Rappresentanza se non nel caso in cui si propalassero fantastiche voci di disordini in Albania e di conseguenti interventi italiani, voci che Ella dovrà segnalarmi con ogni urgenza affinché Le possano venire ulteriori norme per rafforzare le 1smentite di V. E. (V. S.). Tuttavia Ella avrà cura di tener desta attenzione dii codesta Rappresentanza albanese.

(Solo per Belgrado, Atene, V~enna e Tkana).

Tengo poi a richiamare attenzione V. S. su necessità di intensificare e stimolare servizio informativo nelle zone in tprosSJimità della frontiera albanese, e di sorvegliare particolarmente movimenti ed attività dei fuorUislCiti albanesi. Assenza del Re dall'Albania ed ammaestrate notizie d:i crisi non mancheranno di !rinverdire speranze mai del tutto sopite, che potrebbero provocare tentativi di incursioni in territorio albanese che non è escluso trovino risonanze e solidar1età nell'interno dell'Albania.

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L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, DE VECCHI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

TELESPR. 1826. Roma, 27 gennaio 1931.

Il Ca11dinale Nasalli Rocca Arcivescovo di Bologna colla nota qui unita in copia (aUeg. l) (l) mi trasmette co~a di una sua protesta al R. Prefetto di Bologna (aUeg. 2) per la diffida verbale data al D~rettore del Giornale l'« Avvenire d'Italia • che aveva pubblicato un documento arc1vescovile di riprensione per la omissione della Santificazione delle Feste.

posiZIOne diplomatica nei riguardi dell'Etiopia, per darci modo di rivendicare quale appar

tenente alla Somalia italiana una larga striscia di territorio lungo tutta la frontiera somalo

etiopica che sinora perfino nelle carte del R. Ministero delle Colonie era indicato come perti

nente all'Etiopia. Tale esplicito riconoscimento è consacrato nella Convenzione in progetto.

È stato anche sviluppato praticamente il vantaggio ottenuto con il riconoscimento del

punto di incrocio dei tre confini, procedendo all'occupazione della linea di Curmis ed al con

trollo dei pozzi di Uarder mediante nuclei di nostri armati».

Ho risposto colla minuta pure qui unita in ·copia (alleg. 3) che vuole essere un richiamo al Cardinale, nella sua qualità di Arcivescovo italiano, a passare per queste pratiche soltanto per il tramite delle autorità governative colle quali deve avere diretti ·contatti e ad evitare i1l tramite de~l'Ambasdatore .che potrebbe far credere il dero italiano, ·come purt,roppo ancora tende, quasi st.raniero allo Stato ed accampato in Patria (1).

(l) Non si pubblicano gli allegati.

41

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO A TIRANA, SORAGNA

TELESPR. S. 203167/28. Roma, 28 gennaio 1931.

Il periodo d'assenza del Re Zog dall'Albania deve essere considerato come un attenuato quadro di quelle incertezze e di quelle passioni che si potranno scatenare il giorno in cui la scomparsa possa essere definitiva.

È quindi .indi!spensabile profittaTe di questo atteggiamento, direi quasi sperimentale, per integrare, col frutto dii meditate osservazioni, le previsioni che andiamo facendo sul futuro.

È anche indispensabile che le nostre direttive e le nost·re azioni intese a tenere in mano il paese si concretino in questa specie di esperimento, in modo che da una parte se ne possa •co!lls:tatare l'effricacia, a titolo di manovra di esei'citazione, e dall'altra si possa essere veramente pronti a parare alle eventualità che la stessa .situazione odierna può presentare. Non deve essere infatti escluso, da un •calcolo prudente, il pericolo ·che ·la permanenza del Re a Vienna potssa essere prolungata da complicazioni non del tutto improbabili sia fisliche che morali; un collasso nella resistenza dell'uomo potrebbe anche esplicarsi in una forma di riluttanza, non 1soltanto fisica, a venire a .riprendere H ,pq~rto di •combattimento.

È dunque indispensabile sorvegliare la situazione con la 1s:tess1a attenzione come se ci trovassimo in una crisi più profonda. E .perciò, mentre mi ri:servo ·chiarire le intenzioni del Governo Fascista sulle soluzioni positive della crisi e precisamente sulle !soluzioni monarchiiche di ·cui al ~rapporto molto interessante da Lei inviatomi il 16 gennaio col n. 95/45 (2), ritengo urgente per il momento di richiamare a Lei e al Generale Pariani quanto segue:

0 ) Raccolta giornaliera delle ·inforrmazioni politiche d'oltre confine.

2o) RaccoJta giornalie~ra delle informazioni delle Prefetture.

3°) Rinsaldamento dei poteri delle Prefetture, affiancando e .sorvegliando ogni Prefetto con l'ufficiale sUJperiore itaLiano comandante del g·ruppo locale. 4o) Contatto costante di V. S. con il Ministro dell'Interno, ed immediata energica reazione ad ogni tentativo di lui di sott:mrsi aUa interferenza di V. S.

5") Intensificazione di contatti coi Capi influenti di cui V. S. ha così diligentemente curato finora l'azione politica. Eventuali impegni pecuniari per tenerli legati od eventuali impegni morali, verso i più elevati ed influenti di essi, nel senso di alssicurare la loro partedpazione alla vita futura del Paese, dovranno essere usati come buoni strumenti di coesione.

6°) Diffusione di uno stato di animo di fiducia nella saldezza eli propositi dell'Italia che garantirà l'ordine e la salvezza del Paese col prestigio del suo nome e col contributo dei suoi mezzi di assistenza contro la rovina economica, che sarà fatale 'per ogni passo che :si compia fuori dell'ordine o fuori della sfera dell'Italia.

7°) Tenuta in freno dell'Esercito, esponendolo il meno possibile alle corrosioni esterne, ai contatti faziosi, alle azioni di primo spiegamento ove siano facili occasioni a tentennare; ed usarlo invece come :strumento massiccio per fare precipitare situazioni già pericolanti; ed in questo caso agire a fondo, col massimo vigore, :sia per dare lezioni definitive, che tolgano la voglia a ricominciare sia per dare alle truppe il senso della saldezza e della propria capacHà offens,iva ed un conseguente accrescimento di fiducia in se :stesse e nei capi.

8") Tutte le soluzioni debbono essere ricercate nell'ambito dei mezzi e delle influenze locali. Calcolare a priori sopra un ~intervento dalla sponda Italiana, non è una soluzione; è un rimedio ad una mancata soluzione.

9°) Delle informazioni giornaliere sulla situazione oltre confine ed alle Prefetture, la S. V. mi invierà un sommario telegrafico brevissimo ogni sera (1).

(l) -La questione fu ripresa dal nunzio apostolico, Borgongini Duca, con nota 1401 del 31 gennaio, diretta a Mussolini. (2) -Cfr. p. 48, nota 3. Le soluzioni monarchiche prospettate da Soragna riguardavano un principe di casa Savoia ovvero il ritorno del principe di Wied.
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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO A TIRANA, SORAGNA

TELESPR. RR. 203168/29. Roma, 28 gennaio 1931.

Suo telespresso n. 61/33 del 9 c.m. (2).

Sono anch'io molto dolente di dover constatare, per i pochi affari che si presentano in Albania, che essi non sono mai ~sorretti da sufficiente serietà di intenti. Ma è appunto per questo, che io mi preoccupo di salvaguardare almeno la serietà degli organi governativi, i quali non debbono essere trascinati, da alcuni tipi ~che vivono in Albania, ad impegnarsi in azioni che poi risultano sicuramente a scapito del nostro prestigio.

L'affare • zuccheri » non è stato mai presentato all'Ufficio competente di questo Ministero da alcun elemento capace di parlare a nome di gruppi finanziari ed industriGtli; tutte le volte che si sono avuti dei contatti col Sig. Rizzo, essi sono stati cercati da noi per avere un controllo sull'opera degli affaristi che

Con successivo t. 1322/85 del 29 gennaio, ore 24. Grandi impartiva disposizioni ai consoli a Corfù e Valona perché intensificassero la sorveglianza sui fuorusciti albanesi rifugiati a Corfù e su un loro eventuale passaggio a Valona.

hanno trattato ·la cosa in Albania; il R~zzo è venuto di mala voglia, come se

fossimo noi a pretendere qualche co1sa da lui, ed ha sempre messo molta acqua

nel vino dei suoi pretesi agenti; non dico nel nostro perché più scettici di come

si è qui sul conto di questi ult.imi, non si potrebbe essere.

La questione « zuccheri » è tutta da rifare; dobbiamo dispiacercene per il

tempo che si perde intorno ad un affare che potrebbe essere buono; ma dobbiamo

es.sere lieti di preparare all'affare stesso una gestazione sana per potere assistere

alla nascita di una creatura che non porti al mondo i segni delle colpe di genitori

del tipo degli affaristi che trafficano in Albania.

(l) Il documento è stato redatto da Lojacono.

(2) Cfr. n. 12.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO DELLE COLONIE, DE BONO

TELESPR. 203181/98. Roma, 29 gennaio 1931.

V. E. avrà già preso v~sione del rapporto (l) -una copia del quale è stata consegnata brevi manu ad un funzionario di codesto Ministero -n. 4240/1237 del 31 dicembre u. s. col quale il R. Min~stro al Cairo ha riferito ampiamente circa le trattative da lui svolte in .merito alla situazione creata:si alla frontiera cirenaica-egiziana.

In detto rapporto l'on. Cantalupo ha esaminato la questione non solo da un punto di v~sta coloniale, ma l'ha inquadrata nella più ampia cornice della nostra politica estera in •relazione sopratutto agLi effetti che la nostra azione in Cirenaica ha sulla politica dell'Italia quale Potenza ~slamica e quale Potenza desMnata a s•empre più sviluppare con i popoli iSilamid rapporti di natura politica, commerciale, culturale etc. Non posso, per parte mia, che condiV'idere le considerazioni che al riguardo espone il R. Ministro al Cairo. Quale contraccolpo la nostra azione in Libia abbia in tutti g.H altri paesi arabi ed islamici è del rresto comprovato dalle segnalazioni che pervengono da varii RR. Agenti all'estero, fra le quali richiamerò ad es. quella 26 dicembre-del R. Console in Damasco (telespresso n. 533/80 del R. Consolato in Damasco, inviato anche direttamente a codesto Ministero).

Ciò non significa tuttavia ·che io non mi renda pienamente conto della necessità che la !situazione alla frontiera oirena~ico-egiziana non ostacoli in a:lcun modo lo sforzo che il Generale Graziani sta compiendo per vincere le ultime resistenze dei ribelli; né che io !intenda, almeno per ora, chiedere che vengano modificate quelle eventuali misure di ·rigore che l'Autol'ità militare ritenesse opportuno di prendere per impedire che i ribelli abbiano a trovare in terl'itorio egiziano una comoda e sicura base di rifornimenti.

Ciò tanto più ·che non è da escludersi che i:l più conciliante atteggiamento delle Autol'ità bl'itannico-egiziane della frontiera sia appunto in gran parte dovuto alle nostre giustificate reazioni locali.

Le pToposte però che, in seguito all'azione svolta dall'on. Cantalupo oono state ora escogitate d'intesa con le Autorità britannico-egiziane, per esercitare un più efficace controllo aUa frontiera, mi sembra possano costituire una utile base per ulteriori trattative ed attendo di conos,cere se V. E. condivida tale mio apprezzamento, per far giungere al R. Ministro al Cairo istruzioni di proseguire neHe trattative istesse e di consac,rarne i risultati in un formale protocollo.

Resto quindi in attesa di comunicazioni dell'E. V.

(l) Cfr. p. 33, nota 2.

44

IL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA LEVANTE ED AFRICA, GUARIGLIA, ALL'AMBASCIATORE AD ANGORA, ALOISI

L. P. RR. Roma, 29 gennaio 1931.

RLspondo alla tua lettera del 21 gennaio corrente (1).

A quest'ora ti sarà giunto iJ. dispaccio ministeriale n. 201483 del 15 gennaio (2), dal quale avrai potuto renderti meglio ,conto del come :il tuo progetto di accordo Halo-turco fosse completamente al di fuori non solo delle linee della nostra attuale :politica verso la Turchia, ma anche di quelle generali che sono determinate dalle proporzioni perfino visuali 1che occorre mantenere fra ,i due Paesi.

Ma poiché tante cose non è facile spiegarle per ~scritto, ed io vedo anche dalle tue ultime comunicazioni certe frasi e ,certe idee che non quadrano con le necessità della nostra politica generale (l'azione da fare in Oriente, i raffronti albanesi ecc.), mi sono fatto autorizzare dal Ministro a dirti che è utile una tua venuta in Italia. Chiedi dunque di partire in congedo appena tu stesso giudi,cherai che le esigenze del servizio lo permettano (3).

In attesa di rivederti presto...

45

IL CAPO DELLA DIVISIONE AFFARI GENERALI E RISERVATI DEL MINISTERO DELL'INTERNO, RAMACCINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

N. 443/31580. Roma, 29 gennaio 1931.

Il Prefetto di Zara, con rapporto in data 20 corrente, ha riferito quanto segue:

« Col giorno 12 gennaio quasi tutte le tessere di frontiera dei cittadini jugoslavi della terza zona sono scadute e giusta dichiarazione di alcuni c!ittadini sembra che le autorità di oltre ·confine permettano loro di recarsi a Zara con le tessere scadute, fino al l o febbraio, poiché in seguito verrebbero prese nuove disposizioni in merito.

Mi viene pure segnalato che dal giorno 18 corrente i motoscan della terza zona •Che vengono a Zara sono obbligati dalle autorità jugoslave a recarls:i a Oltre sia nell'andata che nel ritorno da Zara, :per essere a:ssoggettati a visita doganale.

Come pure mi è stato :riferito ·che gH agenti doganali jugoslavi ai diversi valichii, sottopongono i nostri ·connazionali ·kansitanti sop["atutto su automezzi, a severissimo •contwUo. Infatti oltre alla .consueta visita ,personale ed al bagaglio, furono in alcuni casi anche fatte :smontare le gomme di riserva per accertare se vi fosse nascosta mevce di contrabbando.

Avendo avuto ieri occa•sione di intrattenermi col Console jugoslavo di Zara, Signor Simkh, gli ho aocennato fu-a l'altro an·che gli argomenti suddetti. Egli non ha nascosto il ·carattere vessatorio delle vtsdte doganali ed in particolare il :provvedimento riguardante le tessere dii frontiera; anzi mi ha esp.Ucitamente ammesso, di avere egli stesso impartite di.sposiz.ioni alla frontiera, poiché da •circa un anno era venuto ad accorgersi come dal territorio di Zara, per mezzo di agenti appositamente ingaggiati e sopratutto per mezzo de'i contadini, 1si esportasse quantità enorme di manifestini, di proclami e di libri di propaganda anti-:serba ed antidittatura; ·propaganda tendente ·in complesso a favorire la scissione fra i Serbi e Croati.

Stretto dalle mie domande e dalle osservazioni che taluni aspetti dei provve

dimenti da .lui :sollecitati ledevano nello spirito e nella sostanza i trattati di pace,

il Console jug01slavo dopo avermi rep•lkato •con osservazioni generiche, mi di

chiarò che certo Relja And!rea, cittadino itaHano, ma di noti s•entimenti croati,

era individuo cui faceva e fa ca1po tutta ·l'organizzazione del 'contrabbando poii

tico. Aggiunse inoltre ·che tanto il Relja come il padl'e, ricchi ·commercianti di

Zara, esercitino la poco nobile al'te dello stroz.zinaggio e mi spiegò ·come il figlio

Andrea si valga dei •contadini dei dintorni che vengono a Zara, per affidare ·lOTo

il matel1iale da esportare.

Sulle dichiarazioni del Console jugoslavo, tale 'I'Jlateriale verrebbe nella mag

gioranza assoluta depositato dai contadini stessi appena varcata la frontiera, nelle

mani di quella autorità che ha !stabilito dei premi non solo, ma che esegue su

larga scala il ritiro delle tes•sere di frontiera a quanti o non consegnano, o comun

que venissero scoperti.

Il Console jugoslavo ebbe a dirmi, sempre sullo stesso argomento, che in

diversi anni di lavoro, la Ditta Relja si è resa creditrice verso una cospicua massa

di contadini per un importo di circa 5-6 milioni di dinari e che comunque a tutti

questi contadini, in particolare sarebbe stata tolta la tessera per impedire i con

tatti con i loro aguzzini.

Da quanto è a mia conoscenza ed a conoscenza degli uffici, sull'attività anti

Serba e personale dei Relja, molto di quanto ha esposto il Console jugoslavo

risponde alla verità. Naturalmente ci :sono evidenti esagerazioni o quanto meno

si tenta giustificare con occasione opportunamente presentatasi, un provvedi

mento che era nell'animo dell'autorità jugoslava: l'isolamento cioè lentissimo ma

graduale di Zara dal suo retroterra.

È superfluo che io aggiunga come abbia smentito con la più grande energia

le asserzioni del Console jug01slavo assicurandolo che l'autorità avrebbe esercitato

la più ,rigorosa sorveglianza non solo ma ,che già in via di massima lo potevo

rassicurare; poiché nessun contrabbando di nessun genere si partiva e si parte

dal territorio di Zara per l'oltre frontiera.

Comunque ~con particolare riferimento aile precedenti 1segnalazioni fattemi dall'On.le Ministero dell'Interno -Direzione Generale della P.S., prego significarmi se non sia il caso di sospendere effettivamente fino a momenti più opportuni l'attività del Signor Relja Andrea stabilendo nel frattempo il comportamento del Console jugoslavo di Zara e delle autorità d'oltre frontiera e constatare se in realtà il primo abbia impartito degli ordini meno vessatori; le seconde abbiano realmente agevolato, sia i nost,ri connaziona'li, sia i contadini che vengono a Zara ».

Si unisce -in copia -altro rapporto dello stesso Prefetto in data 22 corrente circa il rinvenimento di stampati dii propaganda antiserba, e si prega codesto On. Dicastero di compiacersi far conoscere, con cortese urgenza, quali istruzioni convenga dare in proposito al Prefetto (1).

(l) -Cfr. n. 28. (2) -Cfr. n. 14. (3) -Sulla venuta in Italia di Aloisi non si è trovata documentazione.
46

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO A VIENNA, AURITI

T. 87/26. Roma, 30 gennaio 1931, ore 16,30.

Durante mio recente :soggiorno a Ginevra le molteplici occupazioni e laboriose riunioni non mi hanno dato modo di dedicare al signor Schober quel tempo che avrei dovuto per riprendere utili contatti politici con lui e soprattutto per esercitare su di lui quell'azione ,che, come ho già avuto occasione esporLe, ~ritengo interesse nostro di svolgere per riportarlo ad una più esatta e leale comprensione dei comuni interessi itala-austriaci.

,È avvenuto così che il signor Schober ha fatto anche sui giornali menzione delle sue varie conversazioni con altri uomini politici, ma con me ls:i è potuto intrattenere :soltanto sommariamente e di sfuggita (2).

Se dò non è forse stato male da un lato, in quanto ha servito a dargli una certa impressione di freddezza che, come Le ho anche scritto, ritenevo utile di

suscitare in lui, non vorrei peraltro che ad un nostro mancato incontro a Ginevra il signor Schober attribuisse un'importanza che di fatto non ha.

La prego perciò di voler alla prima occasione dirgli da parte mia che mi è molto rincresciuto di non aver potuto avere con lui a Ginevra, per le suesposte ragioni, quei :contatti personali e que.gH ·scambi di 'idee che sarebbero :stati nei miei desideri e che considero utili per sempre meglio armonizzare le direttive politiche dei nostri due Paesi.

V. S. potrà aggiungere, '"e lo crederà opportuno, che del mio ultimo incontro personale a Vienna col signor Schober conservo il ricordo migliore.

Circa la mia visita ufficiale costì desidero anzitutto sapere il suo avviso personale circa gli inconvenienti reali che potrebbe presentare un aggiornamento a data imprecisata, ciò che sarebbe mio desiderio anche in vista dei miei impegni attuali.

Ove poi, come penso, il signor Schober Le parla:s:se della cosa, V. E. potrà, pur confermando in principio le mie intenzioni di venire a Vienna, allegare i miei reali impegni soprattutto in vista delle imminenti discussioni parlamentari sui bilanci per cercare di evitare qualsiasi precisazione di data.

Tutto quanto precede beninteso solo nel caso che V. S. lo giudichi opportuno nell'attuale .situazione politica interna in Austria (1).

(l) -Galli, interpellato in proposito, rispose che « se effettivamente da Zara si tollerasse un'azione di propaganda antiserba e separatista croata, sarebbe vano qualsiasi intervento presso questo Ministero degli Esteri perché si desistesse dalle misure restrittive economiche e politiche contro Zara e il suo territorio » (t. posta 709/250 del 10 febbraio). (2) -A Ginevra Schober aveva concesso una intervista alla Neue Freie Presse del 18 gennaio comunicata da Auriti a Roma con tel. posta del 20 gennaio. Allegato al tel. posta si r.ons~rva un appunto di Guariglia per Ghigi del 26 gennaio: • Prego segnalare a S. E. il Ministro l'accluso resoconto delle dichiarazioni Schober. Questi, che si dilunga sulle sue conversazioni con Briand etc., accenna solo di sfuggita al colloquio con S. E. Grandi >.
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IL MINISTRO A PRAGA, PEDRAZZI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. PER CORRIERE 225. Praga, 30 gennaio 1931 (per. H 2 febbraio).

Il ritorno di Benès da Ginevra non è stato salutato questa volta da parte dei giornali •con canti di vittoria. La stampa anzi ha taciuto H più pos,sibile intorno all'argomento che aveva appassionato per qualche settimana questa pubblica opinione: la candidatura Benès alla presidenza della Conferenza del Disarmo. È sembrato a molti evidente che questa candidatura volgeva al tramonto e che le speranze temerarie del Ministro cecoslovacco avevano trovato una salutare doccia fredda nel dchiamo alla realtà fatto dall'Italia a proposito deMa :p:restdenza. Il giorno medesimo ·che Benès era rientrato a Praga ho avuto occasione di :parlargli alla Legazione d'America e l'ho trovato piuttosto smontato, certo molto meno baldanzoso di quanto mi esponeva i vasti programmi europei dei quali diedi conto nel mio telegramma per corriere n. 4 del 9 corrente (2). Benès mi ha detto che aveva veduto il Ministro Grandi dal quale si era recato esclusivamente per parlargli delle relazioni tra i due Paesi e deUa politica che sta ls:volgendo la Piccola Intesa. Mi ha detto che il ·colloquio era stato molto cordiale ma che non aveva potuto esaurirsi per gli impegni dei due interlocutori, che quindi sarebbe stato

ripreso al prossimo incontro a Ginevra (1). Mi ripeté che contrariamente all'avviso del Ministro Grandi, era sua convinzione che la frizione franco-itaJiana, avrebbe potuto ,essere superata con buona volontà da ambo le parti. Poi l'argomento !sviò in altre cose di minore interesse. Vale la pena di notare che nessun giornale cecoslovacco ha pubblicato la notizia della visita fatta da Benès al ministro Grandi. Una parola d'orr·dine ha evitato che questo paese sapesse come il suo ministro degli esteri aveva creduto utile di recarsi dal ministro degli esteri italiano per chiarirgli la politica ceca e della Piccola Intesa. Ho quindi creduto opportuno riportare nel bollettino di notizie italiane fatto dal nostro ufficio stampa quanto in proposito pubblicava il • Popolo d'Italia », sicché tutte le Legazioni ed i giornali ebbero notiz,ia d'ella visita. Il silenzio assoluto della stampa in tale argomento significa che Benès compiendo un passo elettorale (che aveva anche un chiaro sapore di riconoscimento della importanza assunta dall'Italia) temeva e teme di disgustare i preponderanti ambienti antitaliani di Praga.

Della candidatura di Benès si parla ancora, tuttavia, da parte di qualche giornale ed al Minis<tero degU Esteri si mostra di credere ancora che a Magg,io fiorirà nuovamente la presidenza agognata. Per quanto l'atteggiamento del ministro Grandi nel Consiglio della Società delle Nazioni abbia fino ad ora svuotato il contenuto megalomane che Benès voleva dare alla presidenza (per cui egli doveva intromettersi nelle questioni franco-italiane ed assiders:i quale arbitro tra le potenze europee in questioni delicatissime) tuttavia per ragioni di prestigio e di politica interna Benès avrebbe ,caro dii arrivare alla presidenza in qual1siasi modo, qualunque fosse il contenuto di quella carica. Mi permetto di insistere a questo proposito, sebbene sia evidente che porto vasi a S.amo, 'sulle conseguenze che una qualsiasi presidenza Benès, anche puramente formale, avrebbe in questo paese: essa sarebbe considerata come una vittoria francese contro di noi, servirebbe ad accrescere il prestigio della Piccola Intesa, a farci apparire deboli ed isolati, insomma d nuocerebbe senza peraltro portarci alcuno dei vantaggi che Benès promette nei colloqui credendo di poter fare anche con noi l'incantatore di bisce. Non so se il dott. Benès abbia detto al ministro Grandi, ·come disse a me, che la Piccola Intesa aveva un compito molto ,più grande che una difesa contro l'Unghru-ia, e se gli abbia presentato una Pic,cola Intesa desiderosa di buona amicizia coll'Italia. Se lo ha fatto ha bluffato. Da qui si vede chiaramente che di fronte all'Italia non esiste una Piccola Intesa, ma che ciascuno dei tre Stati che ne fanno parte ha verso di noi una politica indipendente da quella degli altri due. H dott. Benès non è nel vero quando parla a noi di una Pkcola Intesa che si orienta organicamente, come un blocco, nelle questioni russe, tedesche od italiane. In ciascuna di queste questioni ciascuno fa da sé, magari in modo assai dive11so dagli altri due. Per quanto riguarda la politica italiana Benès ha potuto constatare più volte che l'atteggiamento della Romania non collima affatto col suo, che quello de1la Jugoslavia dipende da elementi che colla politica cecoslovacca nulla hanno a che fare. Benès supponendo che Romania e Jugoslavia stiano precisando lin .senso più amichevole i loro atteggiamenti verso di noi (egli

teme .soprattutto in questo argomento Marinkov,ic) vuol farci credere di avere influenza per determinare i suoi alleati in ques;to o in quel senso. Mai come ora egli è stato solamente il ministro della Cecos·lovacchia.

Egli ha fatto capi:re che avrebbe desiderio di essere meno lontano dall'Italia di quel che non sia, e ciò per non aV'erci oppositori a lui. Ma se io esamino che cosa :potrebbe accadere quando Benès ci fosse amico, mi debbo rispondere che non accadrebbe nulla. Che ci può dare questo paese? Che ci può dare quest'uomo? Non saprei. Salvo qualche modiftcazione nel tono dei giornali, che ci interessano appena mediocremente e sui quali ha poca presa 'l'opera del Ministro degH Esteri, non vedremmo nessun cambiamento che ci possa giovare. Nessuna ragione avremmo noi dunque di permettere la candidatura Benès, nonostante le sue abbondanti as1s>icurazicmi. Vale anche la :pena di sapere che Benès parlando con questo Ministro sovietico, dopo il colloquio Grandi-Litvinoff (1), gli disse • Voi vi alleate con un regime condannato a morte " e parlando pochi giorni or :sono con questo Ministro d'Austria, g~i affermò che nel 1932 il socialismo sarebbe salito al potere in tutta Europa, Italia compresa.

(l) -In un primo tempo Grandi aveva progettato di scrivere una lettera a Schober. (2) -Cfr. n. 10.

(l) Cfr. n. 31.

48

IL MINISTRO A TIRANA, SORAGNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. PER CORRIERE U. 237/222/99. Tirana, 30 gennaio 1931 (per. it 4 febbraio).

Riferimento precedente corrispondenza.

Ringrazio per le ·confortanti notizie trasmessemi telegraficamente sulla salute del Re. Le identiche notizie sono pervenute a questo Governo ed' alla Regina Madre.

Naturalmente, nessuno vi presta la minima fede, né gli amici né i nemici, e nemmeno più il Generale Pariani; i più increduli 'POi, 1s1ono i medici ,a,1banesi. L'operazione non ,si è fatta per.ché l'organLsmo non è in grado di sopportarla; il Re tornerà per ·continuare nel suo più o meno lento organico deperimento, fino alla morte; così dicono.

V. E. ben comprende che non ho dati per pronunciarmi; ma confesso che questa unanimità fini1s.ce per suggestionarmi nel senso d'el pessimismo.

Sarebbe per noi di capitale importanza l'avere un'idea esatta dello stato del Re; ed è inutile illuderci che ·le dichiarazioni ufficiali del dottore, :riferite tramite i per.sonaggi della corte, possano avere un valore ,sufficiente. Se fnsse po~sibile ottenere •confidenze da quaLche assistente del ChvoSitek (2), o da altri della dini,ca pagandole a suon di ·contanti, sarebbero denari ben spesi (3).

(l) -Cfr. serie VII, vol. IX, n. 411. (2) -II prof. Chvostek era il medico viennese presso il quale si era recato re Zog. (3) -n 13 febbraio Sola, in un appunto per Ghigi, era in grado di smentire l'allarmismo di Soragna circa lo stato reale della salute di re Zog.
49

IL MINISTRO AL CAIRO, CANTALUPO, AL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA LEVANTE ED AFRICA, GUARIGLIA

L. R. 349. Cairo, 30 gennaio 1931.

Ti ringrazio vivamente per la tua lettera del 20 corrente (l) circa le mie proposte per un regolamento delle questioni di frontiera, e sono lieto tu sia personalmente d'accordo con me. Mi lusingo anche lo siano il Ministero degli Esteri e quello delle Colonie, ambedue interessati alla necessità di non prescindere del tutto, nell'azione dei governi coloniali, dalle superiori e1sigenze della nostra politica generale. Per il bene delle cose e per poter eoncludere alcunché di utile, l'azione deH'Italia non può es,sere che una, e qui sento il dovere -e forse ne ho anche qualche possibilità -di armonizzare le due necessità.

Confido che l'occupazione di Kufra faciliterà da entrambe le parti un sereno esame dell'accordo che sia durevole e proficuo anche dopo; e soprattutto dopo l'avvenuta pacificazione e normalizzazione della Cirenaica. A questo ho mirato.

Mi sembra che il mio compito in questo argomento sia di far di tutto perché non restino strascichi, rancori e risentimenti duraturi: è perfettamente giusto che Graziani pensi a risolvere sul momento il suo problema, non importa con quali mezzi; fa :benissimo; il Ministero degli Esteri, ed io qui suo esecutore, dobbiamo invece preoccuparci soprattutto del domani. Cmì la vedo; sono molto lieto del tuo consenso. Desidero inoltre, nella riservatezza di questa lettera che sarebbe utile tu portassi a conoscenza del Ministro Grandi, renderti noto che il Ministro De Bono mi ha inviato un telegramma personale che mi è motivo di conforto nella mia azione per .l'apprezzamento che egli fa del mio modo di vedere. Le Colonie sanno che hanno un Ministro al Cairo affezionato ai loro problemi.

Nel telegramma 83 di Bengasi (trasme1ssomi col vostro telespresso 201791/14) si accenna alla emissione del mandato di cattura contro i membri della famiglia senussita. È stato tenuto presente che l'accordo Paternò-Sarwat del 1926 contempla il rinvio « sine die » della contestazione circa la cittadinanza dei senussiti e che perc·iò allo stato delle cose il mandato non potrebbe qui avere pratica attuazione? Ti tSarrò grato di un cortese chiarimento a questo rriguardo naturralmente pronto io ad agire nel senso che mi sarà prescritto. S.u questo progetto di procedere noi in Egitto all'arresto di qualche grosso fuoruscito, devo dirti che i precedenti qui da me constatati mi lasciano fortemente Itemere che il Governo Inglese cercherebbe di opporsi. Pensaci. Credo che, di fronte ad un simile mio tentativo, Londra parlerebbe con Bordonaro: né io, una volta cominciato, potrei farmi fermare dagli inglesi. Perciò vado piano.

Sono anche d'accordo con ·te eirca l'inf:lusso favorevole deHe reazioni su

questi ambienti anglo-egiziani. Naturalmente quelle diplomatiche debbono conte

nersi entro limiti tali da non provocare dannosi riflessi, dirò così, anti-islamici.

Ottima e fruttuosa altresì la reaz,ione di Graz,iani per il ~controllo repressivo alla frontiera. Ma non altrettanto convengo sull'opportunità ed utilità di reazioni del tipo di quella così detta di contro-predonaggio al confine che potrebbe apparentemente conferire a noi, grande Potenza, il mediocre aspetto di uno Stato che, non potendo farsi .dspettare con i mezzi della diplomazia, ricorre a metodi che in ~certo senso ci metterebbero alla pari con gli Egiziani. Ritengo che qualunque sforzo debba essere fatto, pur di mantenere al nostro Paese il suo prestigio di grande Potenza di fronte ai muf>su1mani: perc,iò mi davano fastidio le asserite nostre scorrerie alla frontiera.

Infine poiché in ~tema, voglio informarti circa la parte èhe il Re prende alla cosa. Tu sai 1che Egli conserva ancora vaghe speranze ad un iUuwrio Califfato, come se l'Islam fosse ancora ~capace di darsi un Califfo; sai anche che Egli tiene ad essere il Sovrano .musulmano di Egitto : mai vor.rebbe che la popolazione del Suo Stato 1lo ~Sospettasse di tiepidità religiosa: perciò non mi ha nascosto, en passant, ~che Green è ·sostenuto anche da Lui, e che un accordo durevole con l'Italia è il solo ~che Egli appoggerebbe, per la frontiera. Il Re mi ha anche detto che • più presto faremo a pacificare la Colonia e maggiore sarà il guadagno che ne ricaveremo ». Il Re ha trovato modo anche di dirmi che a noi non conviene, secondo lui, mettere a ~rischio la posizione morale di cui godiamo in Egitto, • per gli ultimi ribelli cirenaici ». Insomma Egli reputa che bisognerebbe finirla presto, perché oramai la ribellione agonizza.

Ritengo utile, rileggendo questa mia, che tu la porti in via confidenziale a conoscenza di S. E. De Bono: io ~credo che le Colonie debbano sapere tutto ciò che tocca i loro interessi diretti. Del resto i miei ,rapporti personali con il Ministro De Bono sono di tal fiducia reciproca, che a voce io gli direi ogni cosa.

Ti ringrazio per l'interessamento che moSitri constantemente al mio lavoro... (1).

(l) Cfr. n. 23.

50

IL MINISTRO DELLE CORPORAZIONI, BOTTAI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

N. R. 15585/3.C.4/20. Roma, 31 gennaio 1931.

Faccio seguito alla mia nota del l o ~corrente n. 144~58/3 b 4, per ringraziare anzitutto l'E. V. della adesione alle proposte da me formulate circa la pToroga per la risposta da dare all'U.I.L. (2) in merito alla progettata inchiesta sulle condiz,ioni del lavoro nelle industTie ,tessili e per fare assumere riservate informazioni sul tenore di quelle pervenute all'U.I.L. 1stesso da parte degli altri Stati.

In secondo ,luogo per esporre all'E. V. la determinazione cui sono venuto dopo un nuovo, ponderato, esauriente esame della questione di carattere gene

rale che ebbi a prospettare nella prima parte deHa lettera suaccennata, circa la convenienza o meno di dare esecuzione ad una indagine s.iffatta e sulla linea di condotta che conviene tSJeguire al riguardo dall'Italia.

Per la prima dichiaro di essere contrada alia inchiesta soprattutto per il pericolo che può es.sa presentaTe .per la nostra economia. Scopo dell'inchiesta infatti è queiio di acceleral'e la parificazione internazionale dei salari conisposti agli operai addetti a questa industria, lasciando però in disparte tutte le altre condizioni di cui sono avvantaggiati i paes1i ricchi (materie prime, colonie, merc,ati, capitali, vie di traffico, ecc.). In tal modo, mentre si tende al livellamento di uno di questi elementi (salario), non solo si ~corre il rischio di condannare alla disoccupazione le ·olassi lavoratrici dei paesi meno ricchi, sotto il pretesto di elevare il loro tenol'e di vita, ma di offrire anche un mezzo agli stati privilegiati di combattere più facilmente la concorrenza degU altri (e tra questi in primissima linea l'Italia, che nel campo delle industrie tessili sta .passando, per opera del Governo Fascista, daiia fase importatrice a quella esportatrice) e per ostacolare la loro rnscensione economica e quindi politica.

Ora, se H fine dell'inchiesta, considerato a sé ,stante, può apparire altamente umanitario, non può non considerarsi pericoloso nei confronti della nostra industria, che non potrebbe certo sostenere gli alti salari pagati ad es. dall'industria inglese e che sono predsamente una delle cause deH'attuale sua crisi.

È da considerare inoltre che il livello salariale non è che un indice molto relativo ed un indice soltanto della incidenza del cos,to della mano d'opera, inquantoché occorre tener conto pure del rendimento soggettivo della mano d'opera stessa e dell'attrezzatura degli stabilimenti.

Aggiungasi infine che l'effettuazione di un'inchiesta del genere di quella proposta dell'U.I.L. sottoporrebbe 'i nostri industriali, tspecie in questo periodo di crisi, ad un gravoso lavoro dato il carattel'e eccessivamente dettagliato del questionario predisposto dall'U.I.L.

Queste, adunque, sono le principali ragioni che, secondo me, si oppongono alla esecuzione di una siffatta indagine in Italia.

Nondimeno ho considerato che non sia opportuno per il momento di far conoscere all'U.I.L. questa decisione e che sia più ·conveniente segnarlargli, anche perché si tratta per ora di fare un esame del questiona!do, tutte le difficoltà che esso presenta, onde incominciare a prendere così posizione contro l'inchiesta stessa tsia davanti alla Commissione per le industrie tessili sia davanti al Cons,iglio di Amministrazione.

In base a questo criterio ho fatto compiere dal competente Ufficio del Ministero un accurato esame del questionario e predisporre tutte le necessarie osservazioni.

L'Istituto Centrale di !statistica al quale, insdeme con le osservazdoni al questionario, comunicai in via riservata il mio pensiero al riguardo, ha dichiarato innanzd tutto d'i concordare pienamente con ·le considerazioni ed i pareri da me espressi, ed in un secondo tempo (con lettera del 23 corr. n. 1465) di accogliere tutte le osservazioni che dal lato tecnico sono state fatte dal Ministero delle

Corporaz,ioni, aggiungendone per suo conto altre due. La prima riguardante la incompatibilità dei dati ~relativi ai ~salari delle industrie tessili, data la dliversa organizza2lione di questa industria nei paesi cui dovrebbe esser estesa l'indagine; la seconda, di carattere particolare, sulle difficoltà che presenta una rilevazione dei dati che si riferiscono ai compensi assegnati agli operai per le ore di lavoro straordinario.

Le osserva2lioni suggerite dall'Istituto di Statistica sono state incluse tra quelle già predisposte da questo Mini,stero.

Aggiungo che sarà ~portuno di astenersi da far conoscere all'U.I.L. i dati da esso irichtesti sul numero degli stabilimenti ai quali potrebbe estendersi l'inchiesta. Mi affretto ·quindi a rimettere all'E. V. le osservazioni al questionario perché si compiacc,ia di esamina~r,le, e ,se conviene, ~come spero, nella opportunità di seguire la linea di condotta da me tracciata, prego la cortesia dell'E. V. di trasmetterle d'urgenza al R. Rappresentante del Governo presso il ConsigUo di ·3mministrazione dell'Ufficio Internazionale del Lavoro (1).

(l) -La lettera fu trasmessa da Guariglia a De Bono. (2) -Ufficio Internazionale del Lavoro.
51

IL MINISTRO A BUDAPEST, ARLOTTA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. POSTA RR. 512/74 bis. Budapest, l febbraio 1931.

Mi onoro confermare che, giusta il preavviso datone al termine del mio telegramma posta n. 74, mi sono iersera recato, dietro suo esplicito invito, dal Conte Bethlen, H quale mi ha particolareggiatamente ragguagliato circa il suo recentts1simo viaggio a Vienna.

I'l Hresidente del Consiglio si è subito dimostrato particolarmente Ueto della evidente soddts:fazione con cui questa opinione di tutti i par·titi (ad eccezione, com'è naturale, di quello prettamente socialista) ne ha accolto i risultati tangibili per ciò che concerne l'avvenuta ,firma del patto di amkizia con J'Austria, deducendone, come risulta dagH ampi ,commenti della stampa locale da me regolarmente già trasmessi a -codesto 'superiol'e M~inistero, buoni prognostici per ~la prossima <S~stemazione delle relazioni economiche colla viC'ina Repubblica, tanto più in relazione alla tensione esistente nello stes<so ,campo colla Cecoslovacchia.

L'acre nervosismo dimostrato in questa circostanza dal,la stampa francese (cfr. arti·coli del Temps, ecc.) e <l'interpretazione di " passo ufficiale di 1protesta , data ad una visita effettuata ieri ~stesso dal mio collega De Vienne al Capo di questo Governo-con conseguente ispirato chiarimento di rettifica apparso questa mane stessa nei giornali della capitale, nel senso di stabilire che il carattere deUa visita in questione non aveva per nulla e<sulato da quello dei normali colloqui

che la consuetudine vuole abbiano periodicamente luogo tra Presidente del Consiglio e rappresentanti esteri, e non essere quindi il caso di considerarla comunque una indebita inframmettenza negli affari interni di uno Stato Sovrano -hanno in fondo solleticato l'amor proprio di questi circoli interessati alla politica estera, in quanto vi si è ravv~sato un aumento del prestigio dell'Ungheria e dell'azione che essa svolge nel campo internazionale. Pur non essendosi meco soffermato in modo speciale su questo punto particolare il Conte Bethlen, hanno invece, subito dopo, attirato su di esso la mia attenzione spontaneamente, tanto il Barone Apor, direttore degli affari politici al Ministero E1steri, quanto il Capo dell'Ufficio Stampa, Csaky, riferendomi confidenzialmente essere quegli rimasto sostanzialmente contento del dibattito causato dalla preoccupazione francese, per le ripercussioni di accresciuta considerazione che gliene ridonda agli occhi dei partiti interni.

Il Conte Bethlen mi ha detto -ed i due suddetti Signori, che lo hanno accompagnato nel suo viaggio me lo hanno poi confermato -di aver riportato la precisa impreSisione essersi tenuto a Vienna, tanto dal Cancelliere quanto da Schober ed anche dagli altri membri del Governo, e dai circoli a questo vicini, a dare particolare impronta di cordialità alle accoglienze fattegli. Reciprocamente, egli ha soggiunto, mentre non ha tralasciato occasione per porre bene in rilievo nelle proprie dichiarazioni ai corrispondenti della stampa subito dopo il suo ritorno, come il riavvicinamento e la collaborazione tra Ungheria ed Austria si sia resa possibile grazie «all'amicizia dei due Paesi verso l'Italia esubordinatamente verso la Germania, amicizia che rappresenta uno dei sostegni assolutamente basilari della politica estera sia di Budapest che di Vienna , , l'atteggiamento assunto dall'Ungheria vem o l'Austria colla cordiale sincerità dimostrata dalla firma del patto di amicizia suggerito dall'Italia, è tanto più importante in quanto è una prova del buon volere ungherese col non avervi ravvi,sato ostacolo nella questione del Burgenland.

Incidentalmente, mi hanno detto prima il conte Bethlen e poi Apor, 1i>l fatto che alla ,colazione ufficiale ·che ha avuto luogo a'Ha Legazione di Ungheria a Vienna sia stato invitato a ,partecipare, tra i rappresentanti esteri, il solo Ministro d'Italia, deve interpretarsi come altra manifestazione, nei confronti del Governo austriaco, dell'intendimento ungherese di indefettibile accordo, anche nei dettagli, con tutto quanto possa concernerei.

Il conte Bethlen non ha tratto dal 1suo soggiorno a Vienna ,la • certezza • di un duraturo rinsaldamento della posizione di Schober al Governo, ed a parare, anzi, ad ogni eventualità, ha creduto opportuno inviare dalla ~capitale austriaca un cordiale telegramma di saluto a Monsignor Seipel, ma, a titolo di impressione personale, mi ha detto di ritenere che la situazione dell'attuale Ministro degli Esteri si sia colà migliorata e che la recente misura che sottrae finalmente all'amministrazione municipale di Vienna ben 30 milioni di scellini debba conJsiderarsi un successo rassicurante in senso antisocialista. Anche nei riguardi delle Heimwehren è apparso al ·conte Bethlen che si sia sulla via di un ;possibile davvicinamento, desiderato, sotto certe riserve, dallo stesso Schober.

Con quest'ultimo, i1l Conte Beth~en mi ha dLchiarato di aver ,potuto parlare a lungo sviscerando l'argomento delle ~sue relazioni coi soc,ialisti, e di averne riportato l'impressione che le preoccupazioni suscitate, giusta quanto riferii a suo tempo, in questi circoli governativi, fossero per lo meno molto esagerate, se non del tutto infondate. Schober gli avrebbe fatto dichiaraZlioni formali e ,predse sul suo intendimento di .perseverare nei concetti e nelle direttive politiche esposte all'epoca del suo viaggio a Roma, e poi confermate a Budapest, e tanto Bethlen quanto i funzionari che lo hanno accompagnato dichiarano di essere convinti che Schober senta, come la sentirebbe secondo loro anche Peter, la persuasione che .l'unica via da seguire per l'Austria sia quella di un cammino perfettamente concorde ·con .l'Italia: la Francia avrebbe già dato loro t<roppo frequenti disinganni per potersi affidare comunque a quest'ultima.

Io non voglio menomamente invadere H campo del nostro Ministro a Vienna per far miei dei giudizi sulla situazione austriaca o per fare prognostici su quella politica, ma espongo soltanto testualmente quanto Bethlen mi ha rif.erito delle sue impressioni.

E così aggiungerò che, passando a trattare della questione dell'atteggiamento della stampa austriaca nei nostri riguardi, il conte Bethlen mi ha dichiarato che, senza farsi in a·lcun modo il nostro intermediario, ha .trovato facilmente occasione per svolgere con Schober tutte le considerazioni •che gli sono sembrate del caso, appoggiandosi 1su documenti precisi, in merito alla situazione così dannosa alle buone relazioni tra Italia ed Austria, creata dal noto tendenzioso atteggiamento a noi ostile. Schober avrebbe senza esitaz,ione riconosciuto il pregiudizievole stato di cose, che egli avrebbe anzi dichiarato spontaneamente depLorevoLe, ed avrebbe aggiunto di volere eser•citare ogni possibile influenza perché, anche coi Umitati mezzi che la legge austriaca sulla stampa pone a d~sposizione del Governo, vi sia posto riparo. Naturalmente, non è •che la prova dei fatti che possa dimostrare la sincerità e l'efficacia di tali dichiarazioni (1). Mentre il signor Schober si sarebbe dichiarato al ·corrente, ha aggiunto il conte Bethlen, suH'azione assai attiva 1che svolge ad Innsbruck quel conGole di Francia, giusta quanto l'E. V. mi segnalava nel Suo dispaccio ·confidenziale n. 35 del 5 gennaio (2), egli avrebbe cercato, p<Jrlando con lui, buona dose degli incitamenti all'atti.tudine antiitaliana della stampa tirolese, nel lavorio che ci compirebbero tuttora incessantemente i circoli tedeschi capitanati dal Loesch • fiir Ausland Deutschtum •.

S.u tutto quanto concerne situazione delle Heimwehren, relazioni di queste col Governo austriaco, ed azione comune ·che si possa esercitare di concerto tra Italia ed Ungheria a sostegno delle loro mganizzazioni, onoromi riferire con rapporto riservatissimo a parte, ·che mi propongo spedire col prossimo corriere, dopo che lo avrò completato ·con alcuni dati che tuttora mi mancano, anche in vista alle possibilità dei noti, ·eventuali trasiPorti ferroviari, ai quali si è molto interessato, mi ha detto il conte Bethlen, nei suoi colloqui con Schober.

conto mi limiterò a udirlo •·

(l) Cfr. anche la presa di posizione di Bottai contro il progetto dell'Ufficio internazionale del lavoro di inchiesta sullo stato delle as~icurazioni sociali nei sin<:oli paesi. Fra i motivi addotti da Bott'li c'era che "indagini di tal genere, specie se dettagliate, potrebbero fornire dei dati a qualche Nazione interessata, circa i costi delle diverse branche di attività della produzione italiana, ai fini della propria politica doganale > (nota 19589 del 18 dicembre 1929).

(l) Auriti così concludeva il t. posta 309/171 del 27 gennaio: «Andrò da Schober nel prossimo ricevimento diplomatico per il caso si proponga dirmi qualcosa. Dopo il nostro primocolloquio nella metà del dicembre scorso [cfr. serie VII, vol. IX, n. 472] non avevo creduto tornare da lui per accen~uare. con la m~a freddezz!' il ~ostrç> .malcontento. Sarà _opportu~o vedere ora, dopo i suggenmenh ungheres1, se e quah pass1 egh mtenda fare con no1. Per m1o

(2) Cfr. n. 4.

52

RELAZIONE DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, PER IL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI

Roma, 2 febbraio 1931.

Dal 16 al 25 gennaio il Consiglio della Lega deUe Nazioni e la Commissione di studio per l'Unione Europea hanno tenuto a Ginevra i foro lavori. Separati apparentemente gli uni da,gli altri, essi hanno finito, per effetto soprattutto dell'azione dell'Italia col formare un sistema unico.

Così debbono essere esaminati e giudicati dal punto di vista del loro significato nel quadro della politica europea.

Le due riunioni sono 1state precedute, questa volta, da un'attiva preparazione diplomatica da parte del,le Cancellerie delle Grandi Potenze, particolarmente della Francia e della Germania. Da parrte deMa Francia per guadagnare alla sua politica paneuropea l'Inghilterra e la Germania, trrascurando volutamente l'Italia, ed assicurarsi mediante l'elezione di Benès a Presidente deUa Conferenza del Disarmo un'influenza decisiva nella preparazione della Conferenza medesima. Da parte della Germania per conciliarsi l'attitudine della Francia ai fini dell'azione che essa si preparava a svolgere in seno al Con:siglio per la questione dell'Alta Slesia.

La diplomazia francese, desiderosa di assicurare un successo definitivo al suo progetto di Unione europea, secondo le linee fiSisate dal Memorandum Briand, aveva abilmente lavorato a Londra e a Berlino, riuscendo a determinare, alla vigilia della riunione ginevrina, due distinte combinazioni di interessi:

l) una combinazione d'interessi franco-inglesi; 2) una combinazione d'interessi franco-tedeschi.

Alla vigilia deUa riunione di Ginevra l'accordo fra Henderson e Briand appariva ,come raggiunto. Il Governo britannico sembrava essere ormai guadagnato alla candidatura Benè1s. Ciò appariva come uno sviluppo conseguente dell'azione svolta da Lord Cecil in seno alla Commissione Preparatoria.

Un nostro passo fatto a Londra in senso contrario alla candidatura Benès ai primi di gennaio (l) aveva avuto una fredda accoglienza. L'accordo HendersonBriand riposava sopra la coincidenza di molti interessi franco-britannici in seno alla Società delle Nazioni, sulla ,speculazione che il Governo laburista averebbe potuto fare dei progetti di cooperazione economica dell'Unione europea onde calmare le ,crescenti preoccupazioni che si nutrono in Inghilterra per l'avvenire dell'economia inglese, ed infine sulle tendenze francofile, oggi più forti che mai, della diplomazia del Foreign Office. Su questo presunto accordo franco-britannico la stampa tedesca francesizzante aveva già speculato largamente. La • Vossische Zeitung , del 5 gennaio parlava di « vitto1·ia di BTiand, inquantoché l'Inghilterra dopo il fallimento del tentativo di Mac Donald d'an·ivare ad tma colla

borazione diretta coLl'America, si trova nuovamente nella scia deLla politica francese ... La Francia ha vinto una grande battaglia... le cui conseguenze si faranno sentire a Ginevra... •.

La stampa francese unanime ·aveva salutato con applausi incauti, tanto l'auspicio appariva stncero, l'incontro Hendel'son-Briand alla vigilia dei lavori di Ginevra, e la partenza da Parigi sullo stesso treno per Ginevra di Bdand e di Henderson.

È evidente che anche a Be11lino la diplomazia del Quai d'Orsay aveva lavorato con un certo successo. Alla ricerca di una vittoria diplomatica che consolidasse la sua posizione incerta e quella del suo Governo, il dott. Curtius aveva scelto come terreno d'azione a Ginevra il problema dell'Alta Slesia, concentrando su di esso tutti i suoi sforzi. Alla riuscita di questo piano la neutraUtà francese era necessaria, e •la neutralità francese era condizionata, evidentemente, a concessioni da parte tedesca. Queste concessioni dovevano consistere nell'assecondare 1a Francia nella sua azione in seno alla Commissione europea, nell'ac•cettare i punti di vista francesi nella questione dell'organizzazione de1la Conferenza del Disarmo. La stampa tedesca nella settimana precedente alla riunione di Ginevra ha psrlato di un • gentlemen's agreemenrt • intervenuto fra Curfius e Brdand. Non va dimenticato infatti ·che negli ultimi giorni dell'anno !l.'Ambasciato~re von Schubert mi faceva da parte del Govemo del Reich la proposta di un iPasso comune a Londra per dichiarare la recisa opposizione del Governo tedesco e di queUo italiano ad una candidatura Benès (1). Nello stesso giorno von Schubert mi comunicava essere ferma intenzione del Governo del Rekh di resiste~re alla azione della Francia nella Commissione Europea, e il suo desiderio di conoscere il punto di vista italiano onde concordare un'eventuale azione comune. Avutane lo stesso giorno una risposta favorevole e nonostante che fossero stati presi accordi in tal senso, il Governo del Reich non effettuò mai il p~roposto passo a Londlfa, che noi in buona fede tsubito facemmo, né diede seguito agli accordi iniziali per quell'azione da concordarsi nell'interesse comune in seno alla Commissione europea. L'improvviso arresto del Dr. Curtius nel suo primo slancio apparente ad un mese di distanza dal·la riunione di Ginev.ra, m favo~re dell'invito alla Russia ed alla Turchia, l'insieme contraddittorio e ince~rto del suo atteggiamento prima e durante la prima fase dei lavori di Ginevra (atteggiamento culminato nella strana 1proposta, fatta all'ultimo momento, di lasciare all'Italia l'onore e l'onere di •combattere la candidatura Benès) tutto ciò dimostra che un accordo di massima era intervenuto, all'ultima ora, fra Parigi e Berlino, e da quest'accordo Curtius faceva dipendere il successo dell'azione tedesca a Ginevra. La preparazione diplomatica condotta dalla diplomazia francese poneva, ancora una volta, l'Italia in una posizione diffi.cUe e delicata. Prima della mia partenza per Ginevra non Ti ho nascosto, Presidente, le mie perplessità ed i miei dubbi sulla possibHità di ·svHu:ppa,re, questa volta, quelll'azione 'autonoma, ·coraggiosa ed originale ·che ho sempre ritenuto •l'Italia fascista debba e possa etsplicare a Ginevra, conforme ai •suoi inte,ressi di grande Potenza, rompendo l'equivoco di

una situazione per cui il nostro Paese è apparso spesso come uno spettatore scontroso incapace di differenziarsi e costretto sempre, alla fine, di mettersi a rimorchio della maggioranza dei più forti. Tu mi hai incoraggiato aH'azione. Questa è stata almeno l'impressione avuta dal colloquio con Te prima della mia partenza. Perciò sono partito tranquiUo, risoluto ad agire, malgrado le difficoltà. L'eco destata nel mondo dai Tuoi Messaggi di Capodanno aveva creato per la nostra azione internazionale delle vaste possibilità. Insisto su questo punto: i Tuoi Messaggi di Capodanno sono stati, come Ti ho scritto da Ginevra (1), non soltanto il punto di riferimento per la mia azione, ma la condizione preliminare di questa azione.

Essi rappresentavano la direttrice strategica fissata dal Capo. Senza di essi nessuna azione tattica sarebbe stata possibile. La Tua parola di Capodanno ha avuto una risonanza profonda nel cuore delle moltitudini di tutte le Nazioni. Io ho potuto tangibilmente misurare l'effettivo, durevole beneficio deHa Tua parola, e le infinite rpo1ssibilità che i Tuoi messaggi di Capodanno hanno creato all'azione internazionale del Fascismo e dell'Italia. Tu sai, Presidente, che io non ho mai adulato, e che ho sempre amato dire la semplice verità.

Traendo vantaggio dalle coincidenze di interessi precostituiti nel modo che ho detto più sopra nonché dallo stato generko di irresolutezza della politica estera inglese e tedesca, Briand aveva, d'accordo col Segretariato della Società delle Nazioni, preparato i lavori della Commissione di 1studio e del Consiglio secondo questo ordine:

a) -La Commissione di studio avrebbe fino daHa sua prima seduta iniziata la discussione dei problemi economici, secondo il desiderio inglese, con la lettura e l'esame di un rapporto già pronto del signor Coljin, Presidente della Conferenza per ,}'azione economica concertata. Della RUis:sia e della Turchia non si sarebbe parlato. Si sarebbe evitato parimenti di determinare i rapporti fra la Società delle Nazioni e la Commissione Europea, la quale avrebbe potuto così consolidarsi ,come organismo autonomo, fuori delle norme e delle regole fissate dal Covenant, ossia, in conclusione, sotto l'esclusivo controllo e guida della Francia.

b) -Il Consiglio avrebbe prima esaminato il rapporto sui lavori della Commissione Preparatoria della Conferenza del Disarmo e poi la questione dell'Alta Slesia, in modo da immobilizzare la Germania, nella prima discussione, 1sotto l'oscura minacda d'abbandonarla altr1menti nella seconda e infliggerle uno scacco diplomatico nella sua vertenza colla Polonia. La Francia avrebbe poi potuto facilmente dimostrare a Berlino che, quando la Germania agisce d'accordo con Parigi, la politica tedesca può guadagnare ancora qualche

rmccesso.

Il Governo britannico, come Henderson stesso ebbe candidamente a dichiarare, era già stato conquistato a questo programma. Dell'Italia nessuno, naturalmente, si era ,curato e ,preoccupato. Non vi ,era alcuna ragione per ritenere che da parte 'italiana sarebbero venuti fastidi, e che l'Italia avrebbe modificato

la sua ormai nota posizione statica aprioristicamente ostile ed apriodsticamente rassegnata e quindi due volte praticamente inoffensiva.

In queste condizioni di fatto, particolarmente difficili per noi, mi sono persuaso che fosse necessario tentare un'azione energica, indipendente, che rendess,e impos,sibile, o almeno .più difficile, il perfetto funzionamento del piano francese, così com'era stato preordinato, e disturbasse le combinazioni e gli accordi coi quali la Francia aveva preparato la sessione di Ginevra. Ho valutato i rischi di tale azione, che erano molti, e mi sono ·convinto che se un'azione doveva farsi, doveva farsi subito, nel primo giorno, sfruttando al massimo i1 senso di disorientamento proprio delle azioni di sorpresa. Di tutte le questioni che si pres.entavano, la più complicata era quella dell'ammissione della Russia e della Turchia ai lavori della Commissione europea. Ma era anche queHa che meglio si prestava per dividere l'Inghilterra e la Germania dalla Francia, sino dal primo giorno. Dopo l'incontro con Litvinoff a Milano (l) e dopo la conferma data al nostro Ambasciatore a Mosca delle esitazioni del Governo russo di fronte all'idea di una partecipazione della Russia al:la Commissione europea, io avevo deciso, prima della mia partenza per Ginevra, di non impegnare troppo l'Italia su questa questione. Ma, una volta a Ginevra, il problema si presentava sotto un aspetto diverso e cioè non più come un problema interessante i rapporti italarussi e italo-turchi, bensì come un terreno di manov,ra ~che doveva essere sfruttato al massimo per raggiungere obiettivi molto più va,sti. Fu da questo punto di vista 'che decisi di portare con risolutezza di fronte aHa Commissione la questione deLl'ammissione della Russia e Turchia allargando nello stesso tempo la discussione ai principi generali dell'Unione europea, s,econdo le linee del nostro Memorandum del 4 luglio u. s. (2), discussione irta di pericol'i e di difficoltà, che Briand ed i suoi amici avevano deciso di evitare. Il nostro Memorandum condiziona infatti l'esistenza di un'Unione europea a quattro elementi fondamentali: l") Adempimento all'obbligo del disarmo da parte di tutti gli Stati; 2") Eguaglianza politica e giuridica di tutti gli Stati (leggi: revisione dei Trattati); 3") Subordinazione di tale Unione, in dkitto e in fatto, all'organismo della Società delle Nazioni, ossia al principio dell'unità intercontinentale; 4o) Ammissione di tutti gli Stati del continente europeo.

Pronunciai il mio discorso in italiano, il che avveniva per la prima volta a Ginevra dalla costituzione della Società delle Nazioni. Ho creduto che fosse venuto il momento di rompere l'incantesimo per cui l'uso della nostra lingua è sempre apparso alle nostre Delegazioni come un gesto di temerarietà da evitarsi. Ho voluto fare questa precisa affermazione di italianità e ne sono pienamente soddisfatto.

Curtius, meoso di fronte alla minaccia di pas1o1are in ,seconda linea in una

questione che interessava ancora più la Germania che l'Italia, fu obbligato, seb

bene contro voglia, a seguirmi. Henderson, messo di fronte al pericolo di lasciarsi

sorpassare dal rappresentante dell'Italia falscista, fu obbligato a solidarizzare,

sia pure alla lontana, con me. Si iniziò così quella polemica suH'ammissione della

Russia che divise la Francia ed i suoi alleati da una parte, l'Italia e la Germania dall'altra, e lasciò l'Inghtlterra a doversi equilibrare tra i due grll!Ppi, al prLmo dei quali Henderson ·era legato dalla sua politica, al 1secondo dalla necessità nella quale egli, Ministro laburista, 'si trovava di non contraddire la politica estera affermata ,e proclamata dal suo Partito.

Il primo tentativo di Briand di rinviare l'esame del problema ad una futura sessione, una volta cioè ultimata la discussione economica, fu respinto nello stesso Comitato segreto, dove io mi trovai sostenuto da Curtius e da Hender1son. La discussione si aprì in pieno in seno alla Commissione di studio, nella quale la tesi francese fu esposta e difesa principalmente da Titulescu e da Motta, quest'ultimo !soprattutto per ragioni di politica interna. La Francia venne così nella necessità di assumere una decisa attitudine di ostilità alla Russia e alla Turchia. S.i era intanto stabilita anche una più precisa collaborazione italatedesca, perché io mi ero messo d'accoirdo con Curtius sopra un ordine del giorno comune, e lo avevo così impegnato a IS!eguirmi, allentando il suo programma di un tacito compromesso con la Francia. A quest'ordine del giorno Titulescu aveva opposto il suo, che prevedeva non un invito all'U.R.S.S. e aUa Turchia ma un sondaggio d~plomatico sul quale la Commissione sarebbe stata chiamata a pronunciarsi.

Fu però chiaifo che Briand vo·leva evitare un voto, perché anche se vittorioso, come era pirobabile che lo sarebbe 1stato, il voto stesso avrebbe acquistato un troppo grave significato anti-russo ed anti-turco e data all'Italia e alla Germania un'arma troppo vantaggiosa a Mosca e ad Angora. Egli dcorse perciò ad un nuovo 'comitato segreto foTmato dai rappresentanti dell'InghHterra, dell'Italia, della Germania, deHa Russia [sic] della Romania e della Svizzera. E ndl'intervallo di 24 ore (domenica 18 gennaio), tra la r'iunione della Commissione e la riunione del Comitato, cercò di guadagnare con deUe conversazioni diplomatiche il terreno perduto. Egli stesso agì personalmente con Henderson e con Curtius. Henderson e Curtius 'cedettero, e anzi Curtius venne da me (l) per convincermi ·Che la nostra battaglia era perduta e conveniva mettersi d'accordo. Gli risposi che egli si regolasse come credeva, io sarei rimasto solo, ma non avrei :rinunziato 'alla m,ia tesi. Io sapevo che egli non poteva abbandona1rmi, ma pokhé esitava, lspaventatù dall'idea di essere trascinato in una aperta polemica con Briand, lo assicurai che la polemica l'avrei condotta io, e che egU poteva l:Lmitarsi a seguinmi. Fu ,così .che .in seno al Comitato segr.eto, dove la disputa fu vivacissima ed aspra, io mi trovai impegnato personalmente contro Briand, mentre Curtius si limitava ad appoggiarmi sebbene debolmente, ed Henderson voleva trovare ,la maniera di UJscire dalla situazione senza urtare né Briand né me, ma piegando piuttosto verso il primo. Giudicai però che non ci conveniva portare le cose fino alle ultime conseguenze di una rottura, e perciò quando g;à la constatazione della inconciliabilità delle due tesi era avvenuta, improvvisamente proposi un altro ordine del giorno, sul quale potei avere subito l'adesione di Henderson e che fu poi que1lo approvato.

È utile forse riesaminare le ragioni che mi indussero a questa soluzione. Anzitutto io non potevo perdere di vista che i fini essenziaH della mia azione erano stati dei fini tattici. Io non ero partito dall'idea che fosse necessario ottenere ad ogni costo un invito alla Russia e alla Turchia, invito ·che Ja Russia non aveva 1sollecitato ·e sul quale Litvinoff si era mostrato riservatissimo, ma ero partito dall'idea di disordinare il programma francese e rendere infunzionabile il piano di Briand. I vantaggi che la poliUca italiana poteva trarre dalla discussione erano ormai acquisiti: si erano allentati i rapporti francotedeschi e la Francia era stata 1spinta ad assumere un .preciso atteggiamento antirusso e antiturco, che doveva introdurre un nuovo elemento nell'esame dei rapporti franco-germanici, elemento la cui importanza può eSisere intesa solo considerando la funzione che la Russia ha nel quadro deUa politica estera tedesca. Vi era d'altra parte il ;pericolo, implidto nell'atteggiamento equivoco di Henderson, di spingere l'Inghilterm sempre più verso la Francia, pa.-ovocando ai nostri danni un più grave squilibrio in seno alla Commissione di studio. Fu questo anzi per me l'elemento decilsivo. Quando mi accorsi che Hende•rson si decideva in favore di un ordine del giorno di conciliazione, che H Signor Avenol aveva redatto e H Sottosegretario Sugimura faceva cir·colare, io offrii a Henderson la maniera di risolvere la situazione con un ordine del giorno concordato, e ristabilii il contatto tra Italia Germania e Inghilterra.

Questo primo episodio si chiude così con un vantaggio dell'Italia, vantaggio che consiste non tanto nell'aver fatto accettare alla Francia una tesi che essa respingeva, quanto nell'aver spezzato una preparazione d~plomatica sapientemente preparata, aver trattenuto la Germania su posizioni di resistenza che Curtius era pronto ad abbandonare, avere costretto l'Inghilterra a riprendere l'attitudine della sua politica tradizionale.

Questi dsultati influirono poi a sua volta sulla dis•cUissione per la convocazione della Conferenza del Disarmo e la nomina del Presidente. Anche per questi problemi la Francia aveva un piano ben definito e organicamente concepito. La Commissione P•reparatoria non ha compiuto come è noto tutto H suo :lavoro e sono rimaste molte questioni tecniche da .regolare per mezzo di trattative e di studi. Inoltre è evidente che la Conferenza non ;potrà riunirsi se non dopo che i maggiori Governi interes!sati avranno preso degli accordi tra loro e che anche da questo punto di vista sono necessari dei negoziati. Bisogna stabilire un sistema di contatti tra i lavori della Commissione Preparatori.a e quelli della Conferenza, non meno che tra i Governi tra loro e appunto questi contatti la Francia voleva affidare al dott. Benès. Nominato dal Consiglio della Società delle Nazioni all'ufficio di Presidente della Conferenza del Disarmo il dott. Benès avrebbe dovuto:

0 ) -completare l'opera della Comm~S!sione Preparatoria provvedendo ad una definitiva impostazione dei problemi tecnici; 2') -agire da intermediario tra i vari Governi per raggiungere degli accordi di massima.

A que~to progetto la Francia aveva guadagnato gli inglesi, e ad esso aveva lentamente attirato la Germania indebolendo la opposizione di quest'ultima.

Non aveva fatto però alcun passo presso di noi, che avevamo assolutamente mani libere. Varie soluzioni si prer;:entavano per combattere il progetto francese, e cioè:

0 ) -rinunciare alla nomina del Presidente della Conferenza sostenendo la tesi che facendo parte delcla Conferenza alcuni Stati as•sai importanti, come ad esempio l'U.R.S.S. e gli Stati Uniti che non sono membri della Società delle Nazioni, non era opportuno che il Consiglio nominasse esso il Presidente, ma dovesse lasciare tale nomina alla Conferenza stessa;

2°) -opporsi alla nomina di Benès e affidare le funzioni di Presidente ad una persona meno legata alla Francia;

3") -privare •l'ufficio di Presidente di ogni funzione durante il periodo preparatorio, affidando lo studio tecnico dei proble'11i alla sezione del disarmo della Società delle Nazioni, e lasciando che la preparazione diplomatica si svolgesse per le vie ordinarie dei contatti tra i diversi Governi.

La prima soluzione era la più facile, ma anche la più pericolosa, perché finiva coll'affidare la \scelta del Presidente ad un'Assemblea nella quale noi già sappiamo che la Francia e l'Inghilterra dispongono della maggioranza, e nella quale Ia nostra influenza è indubbiamente minore di quella che non sia al Consiglio. La seconda soluzione era di per sè deficiente perché implicava solo una questione personale e non una questione di principio e quindi era la più difficile a sostenersi. La terza presentava per noi i maggiori vantaggi; scartava ogni mediazione politica, affidava il lavoro preparatorio a un organo nel quale noi rsiamo rappresentati, riduceva l"ufficio di .presidente a delle proporzioni più modeste e a funzioni meno pericolose.

Su questa soluzione io ho dunque concentrato i miei sforzi e su di essa io ho mantenuto una stretta collaborazione con Curtius, che intanto aveva ripreso coraggio. La discussione sul disarmo ha isolato Italia e Germania in rseno al Consiglio, ma è valsa anche ad arrestare il piano francese a Ginevra e giungere a una soluzione che da tutti i punti di vista rappresenta il fallimento del programma di Briand. Il Consiglio ha infatti deciso:

l") -di affidare al Segretario il lavoro di preparazione; 2") -di lasciare ai Governi che es1;:i si mettano d'accordo direttamente tra loro; 3") -di rinviare a maggio l'elezione del Presidente.

Quest'ultimo punto rappresenta un vantaggio supplementare per noi. La tesi che noi abbiamo sostenuto doveva logicamente sboccare nella elezione del Prers.idente da parte dell'Assemblea perché un Presidente eletto dal Consiglio si può giustificare 1se ha un lavoro da compiere, non si giustifica più se questo lavoro è affidato ad altri organi. Ora, come ho detto, l'elezione da parte dell'Assemblea è per noi una incognita, ed è molto meglio riservarla al Consiglio, dove noi potremo, .preparandoci da qui a maggio, portare una candidatura diversa da quella di Benès, e in seno al quale potremo comunque rinnovare la nostra opposizione a Benès con molta più energia che non potremmo fare in seno all'Assemblea.

La candidatura Benès non è infatti caduta, ma è certo assai indebolita. Già intanto si parla di cercare fuori d'Europa il Presidente della Conferenza. Benès è minacciato finanche da una possibile candidatura di Ramsay Mac Donald. Si parla anche di una candidatura Briand. Per combatterla ,può essere utile lanciare una candidatura Henderson, salvo poi concludere ad una presidenza americana, osteggiata dai francesi, sino da oggi.

La data della Conferenza del Disarmo è stata fissata al 2 febbraio 1932.

Di minore interesse per noi è 13tato l'ultimo episodio politico del Consiglio; la discussione sulla situazione delle minoranze tedesche in Alta Slesia. Dopo le discussioni di interesse generale, quello sull'invito aHa Russia e aHa Turchia e quello :sul disarmo, il dibattito sulla questione dell'Alta Slesia si è svolto in confini più ridotti. Lo stesso Curtius giunto a Ginevra 'col programma di cercare nella questione dell'Alta Slesia il suo successo diplomatico, aveva trovato, mercé la collaborazione coll'Itali2., altri vantaggi preci1si 1in altri campi, e 'Si era il.iberato dall'idea fissa di un successo sulla Polonia. Zaleski voleva rendere la discussione più breve che fosse possibile. Briand non voleva inasprire la situazione, temendo di eccitare l'opposizione nazionalista in Germania, e compromettere gli ultimi resti della buona volontà di Curtius, divenuto più esigente e più indipendente. Co1sì la discussione si limitò a uno scambio di discorsi, pronunciati in un ambiente di ostentata neutralità verso le due parti, e in un voto del Consiglio che dà una tangibile soddisfazione ai tedeschi, né lega troppo le mani ai polacchi. Esso costituisc'e tuttavia un innegabile successo della politica della Germania a Ginevra.

Intanto la Commissione europea aveva proseguito i suoi lavori colla d~s,cussione dei problemi economici, specialmente agricoli, discussioni cui l'Italia ha attivamente collaborato (On. S.uvich e Sen. De Michelis) riuscendo ad ottenere la partecipazione dell'Istituto Internazionale di Agricoltura alle iniziative 'Che dovranno essere sviluppate nel ,campo agricolo internazionale, e 'riuscendo a mettere in primo piano la Conferenza internazionale sul grano indetta dall'Italia a Roma.

Conclus'a la prima fase della discussione economica, è riapparso il problema dei rapporti fra la Commissione europea ed il Consiglio della Società delle Nazioni, quale era stato impostato nel mio discorso iniziale. La Delegazione francese, nonostante che Marinkovich, Titulesco, e Motta abbiano escogitato le loro risorse giuridiche per affermare il principio dell'indipendenza della Commissione europea dal Consiglio della Società delle Nazioni, ha finito ·col 'cedere anche su questo punto. Tutte le risoluzioni adottate dalla Commissione sono state portate all'ordine del giorno del Consiglio. Così è stato accettato anche iL secondo punto deL Memmandum italiano del 4 luglio. La Commissione europea è ormai un organo subordinato alla Società delle Nazioni, inserito nel meccanismo procedurale del Covenant, e quindi soggetto al controllo degli interessi inter

continentali.

Si è approvato da ultimo il noto ordine del giorno delle quattro Grandi Potenze europee. Briand lo aveva ideato come una sua manifestaz,ione personale. Domandai ed ottenni che es~s.o fos.se presentato come un'iniziativa delle quattro Grandi Potenze. Non escludo che Briand avesse intenzione di rifarsi con esso degli scacchi subiti contando sopra una reazione ostile in Germania e in Italia che avrebbe messo in luce la sua figura di rpacificatore, ma è certo che se questo era il seg11eto penJsiero, l'atteggiamento della stampa italiana ha smontato anche questa manovra. L'articolo sul • Popolo d'Italia » di Arnaldo Mussolini a commento del manifesto delle quattro Potenze, ha suscitato la pdù gradevole impressione e il più sincero interesse. Esso ha inoltre dimostrato, contro gli ultimi tentativi di speculazione degli avver1sari, di quale compattezza unitaria è costituita la politica del Regime.

Il bilancio dei lavori di questa sessione ginevrina, particolarmente importanti, si chiude quindi in senso favorevole per l'Italia fascista. Non bisogna esagerare sulla portata di questi risultati, che costituiscono e debbono considerarsi

• H primo passo • di una azione da :svilupparsi ulteriormente in ampiezza e profondità. La Francia, !Presa quersta volta di sorpresa, metterà in opera tutte le risorse della sua privilegiata posizione nella politica europea ed in particolare nella Società deMe Nazioni per contrastarci il pass·o, soprattutto a Ginev·ra dove essa dispone, da dieci anni a questa parte, come da padrona, sfruttando non soltanto gli interessi dei grandi e dei piccoli Paesi ma anche, e con una abilità consumata, le vanità e gli interessi degli uomini che il Governo francese ha saputo legare a sé tenacemente. Non va dimenticato che molti rappresentanti delle piocole Potenze europee nelle Conferenze de1la Società dehle Nazioni sono d'abitudine gli stessi rappresentanti d~plomatici accreditati a Parigi, vale a dire persone prive di ogni libertà e in condizione di soggezione alle direttive francesi. Non parlo dei Paesi apertamente alleati o legati al sistema politico francese. Nonostante queste difficoltà e quelle maggiori che sorgeranno, sono fermamente convinto che l'Italia possa continuare con successo nell'azione iniziata. Essa ha determinato una nuova situazione polemica e dialettica che fermenterà. L'Italia è uscita, per la prima volta, dalla trincea •cui si sentiva obbligata da una guerra di difesa di posizioni, per ac,cettare, in campo aperto, la guerra di manovra. Il campo ape·rto presuppone coraggio, sicurezza di se stessi, iniziativa, e l'Italia ha dimostrato di averne. Politica di grande Potenza sul piede di perfetta parità con le altre grandi Potenze di Europa. Questa « parità • non è mai stata riconosciuta tangibilmente sul tappeto delle Conferenze ginevrine.

La Francia, per la prima volta, si è sentita seriamente ostacolata a Ginevra, nella sua politica europea, dall'Italia. Ciò ha profondamente ir·ritato Parigi, ma ciò è destinato a giovare in ultima analisi al chiarimento definitivo degli stessi rapporti italo-fr.ancesi. Il programma di Briand, il quale conJsiste nella creazione di un :sistema europeo deUa ,sicurezza, non è stato abbandonato ·che provv1csoriamente e solo per stabilire una coHaborazione franco-inglese, senza la quale Briand non savebbe interamente Ubero di agire. Al fondo del suo pensiero vi è sempre l'idea che l'unione europea debba costituire il sistema attraverso il quale si renderà efficace ed operante l'art. 16 del Patto della Società delle Nazioni. Nel corso della discussione, di fronte al dilemma da me postogli con le mie dichiarazioni iniziali, egli ha dovuto confessare che il problema dell'interpretazione dell'articolo 16 non è stato abbandonato dalla Francia e che la Commissione di studio dovrà esaminarlo. Ciò non può essere gradito all'orecchio britannico. L'azione italiana ha contribuito a portare quindi forti elementi di dubbio nella tendenza britannica di trovare un terreno d'intesa permanente con la Farncia. Il terreno di Ginevra doveva e deve essere per Briand Ja prova gene:rale di questa intesa. La condotta decisa dell'Italia ha trattenuto Hendel'son sulle posizioni del settembre scocl'so, che sono quelle della Conferenza navale di Londra. Le coraggiose dichiarazioni di Henderson ,sul disarmo, fatte al Consiglio, sono oltremodo significative. Ma più significativo ancora è il discorrso pronunciato a Londra da Lord Cecil qualche giorno fa, dopo il ritorno di Henderson da Ginevra. Per la p'rima volta Lord Cecil ha riconosciuto apertamente e pubblicamente \le oneste intenzioni e gli onesti fini della politica estera italiana in materia dii armamenti.

I rapporti italo-tedes·chi escono rinfo·rzati da questa sessione ginevrina. Non c'è tuttavia da fal1si sovevchie 1llusioni su questo punto. La situazione interna della Germania è drammatica. Alla fine dei lavori della sessione nel mio ultimo incontro con Curtius, questi mi ha fatto l'effetto tipko dell'uomo che • ha paura di avere avuto coraggio •. Egli ha tenuto a ringraziarmi con effusione dell'appoggio datogli e mi ha pregato di :ringraziare H Capo del Governo per le grandi prove di simpatia e di amicizia da lui date alla Germania col fatto di essere intervenuto personalmente a .risolvere in ,senso favorevole per la Germania, la questione del rinvio della mobilizzazione delle annualità del Piano Young (l), e col fatto di avere il Governo italiano resistito in seno alla Conferenza degli Ambasciatori alla .tendenza francese di dichia!l"are la Germania inadempiente agli obblighi militari del Trattato di Versailles. Ma ne.Uo stesso tempo Curtius ha tenuto a confermare che la collaborazione italo-tedesca non rpuò andare oltre per ora alle questioni di comune interesse sul terreno della Società de11e Nazioni. Gli ho risposto, naturalmente, che questo era stato sempre il pensriero del Governo fatsdsta, e che, rsulle questioni di politica generale europea, Roma intendeva ed intende mantenersi con le mani assolutamente libere nei confronti di chiunque. È chiaro che la struttura rChe Stresemann ha dato alla politica estera tedesca, pur avendo ricevuto una forte scossa in quest'ultimo anno, è ancora tuttavia in piedi, e che rmusione democratica di una riconciliazione franco-tedesca non è

anco·ra interamente rcaduta, come il timore di un isolamento che lars,cerebbe la Germania alla mercé della forza militare francese. Questo timore e questa Hlusione cadranno man mano che si chiarirà la crisi interna della politica tedesca. Un punto fermo è :stato per ora fissato a Ginev,ra nei rapporti italo-tedeschi: abbiamo costretto la Germania a constatare sul terreno concreto dei fatti che un'azione tedesca a Ginevra contro la Francia può essere coronata da successo, con rappoggio deciso dell'Italia. Bisogna ,riconoscere che molto cammino è stato fatto durante quest'anno e precisamente daHa •scomparsa di Stresemann ad oggi.

Da un anno a questa pa,rte, e cioè dalle nuove elezioni tedesche, una grande parte dell'opinione pubblica germanica -quella steSisra che sostenne ed applaudì i famosi discorsi anti-italiani pronunciati da Stresemann quattro anni or sono

alla t,ribuna del Reichstag, -1:<i è diretta verso il Fascismo italiano e dichiara di considerare Mussolini come la guida spirituale che deve indirizzare la nuova coscienza germanica alla 'sua rinascita. È infine sintomatico il discorso pronunciato qualche giorno fa, al ritorno di Curtius a Berlino, dal Capo del Partito del centro tedesco, di solito ostile all'Italia, Mons. Kaas. Per la prima volta il Capo del centro cattolico riconosce nella collaborazione itala-tedesca, attuata per la prima volta fuori del vago e dell'impreciso, a Ginevra, uno dei fattori più importanti della futura politica del Reich.

Come ho detto più sopra la Conferenza del Disarmo è stata fissata al 2 febbraio 1932. La politica di tutti i grandi Stati, in Europa e fuori di Europa, sarà indirizzata durante quest'anno a co1stituire gli elementi più favorevoli da utilizzare ai propri :rispettivi fini nella futura Conferenza, la quale sarà indubbiamente la più importante che si sia tenuta dopo la Conferenza della pace. Il problema degli armamenti non sarà che un aspetto del complesso dei problemi, molto più vasti, che la Conferenza sarà chiamata ad esaminare, se non a risolvere. In sostanza sul tappeto della Conferenza del D1sarmo, dove gli Stati ex-vinti tenteranno svincolarsi dal più duro degli obblighi imposti dai Trattati, apparirà, per 1a prima volta in forma e fisionomia concreta, il problema della revisione dei Trattati. La Conferenza avrà luogo in momento critico e difficile per alcuni grandi Paesi, ~l'America alla vigilia e la Francia nel bel mezzo delle elezioni. Non è esc,luso che anche l'Inghilterra e la Germania si trovino, in quel periodo, in condizioni analoghe. La crisi politica profonda, che attraversa l'Europa subirà per mezzo della Conferenza del Disarmo, una nuova sco1ssa.

Occorre che l'Italia si prepari meditatamente, e sin da oggi, a questa Conferenza mondiale, dove noi avremo forti difficoltà da vincere, e dove saremo chiamati a difendere ed assicurare, attraverso il problema 'specifico degli armamenti, e le altre grandi questioni che fatalmente sorgeranno, il nostro prestigio e la nostra posizione di Grande Potenza.

La Conferenza di Londra è stata appena una prova, per noi, di quello che Earà la futura Conferenza del febbraio 1932.

Parallela alla preparazione tecnica (bisogna che i Dicasteri militari si convincano sin d'ora dell'importanza del problema e vi si ded1chino con ~passione) e alla preparazione diplomatica, vi è un'altra preparazione necessaria da curare in modo particolare durante quest'anno, intendo riferirmi alla preparazione della pubblica opinione mondiale, in primo luogo anglo-sassone. Occorre assicurare cioè, attorno all'Italia fascista, alla sua politica schiettamente pacifiea, le simpatie ed il consenso di quelle forze ed influenze internazionali che nei momenti importanti possono decidere del successo o dell'insuccesso dell'azione politica di uno Stato nel campo internazionale.

* * *

La posizione di primo piano assunta dall'Italia nelle discussioni di politica generale durante i lavori della Commissione europea e del Consiglio della Società delle Nazioni, ha avuto le sue ripercussioni immediate e favorevoli nell'atteggia

mento dei rappresentanti degli Stati minori, particolarmente degli Stati del centro e dell'Oriente europeo, i quali tutti si sono fatti premura di venire a fare una visita al rappresentante dell'Italia fascista. Alcuni fra ,costoro non avevano nulla di particolare da dirmi o da ~chiedermi, ma ,solo intendevano sottolineare un atteggiamento di considerazione e di rispetto verso una grande Potenza colla quale bisogna essere amici e colla quale si deve contare.

I miei contatti col Presidente del Consiglio bulgaro Liapceff e col Ministro degli Esteri greco Michalacopoulos 1si sono mantenuti in linea di politica generale. All'uno ed all'altro ho confermato le buone disposizioni del Capo del Governo fascista, il desiderio che fra Atene e Sofia si raggiunga un'intesa destinata a rafforzare la pace e l'equilibrio baLcanico, sulla stessa base dell',a,ccordo grecoturco patrocinato dall'Italia. All'accordo greco-bulgaro lavora da qualche tempo attivamente il Foreign Office per lfialzare un poco il ribassato pr~stigio britannico nei Balcani, specie dopo la parte direttiva presa dall'Italia nella composizione del dissidio greco-turco. Al mio ritorno a Roma da Ginevra ho subito impartito istruzioni perché le nostre rappresentanze a Sofia ed Atene non perdano tempo e non si lascino « dépasser , dall'azione britannica (1).

Nella visita fattami dal Conte Karoly, Ministro degli Esteri di Ungheria, questi mi ha annunciato un suo 1prossimo viaggio a Roma per presentare i suoi omaggi al Capo del Governo italiano. Il Conte Karoly è un vecchio mezzo cieco e mezzo balbuziente senza elasticità e visione alcuna dei problemi internazionali. Una comparsa insignificante destinata, in una discussione come quella ingaggiata e come quelle che ,s,i ingaggeranno a Ginevra, a costituire un fastidio piuttosto che un vantaggio. Di tutti i magiari che io conosco non ve n'è che uno il quale sia veramente all'altezza del compito e della situazione difficile in cui si trova l'Ungheria: il Conte Bethlen. Al di fuori di lui debbo ancora trovare un ungherese dotato di un effettivo senso politico.

La partenza improvvisa di Schober non mi ha permesso di avere che un colloquio a1ssai breve. Schober appariva piuttosto imbarazzato. Mi ha ripetuto le solite dichiarazioni di devota amicizia per il Duce, ed ha insistito per la mia visita a Vienna, che secondo gli accordi presi in settembre, avrebbe dovuto aver luogo nel mese di gennaio di quest'anno. Io sono stato evasivo nella mia risposta. La conversazione non è andata più in là. Al mio ritorno da Ginevra, tre giorni fa, ho ~chiamato il Ministro Egger a Palazzo Chigi, e l'ho incaricato di confermare a Schober la promessa fattagli di una mia visita a Vienna, ma di spiegargli altresì che la mia visita a Vienna non può avvenire se non nelle istesse condizioni in cui ha avuto luogo la sua visita a Roma, un anno fa (2). Occorre pertanto ristabilire -ho aggiunto -·· quella situazione di franca, leale amicizia tra i due Paesi, quale fu consacrata nell'incontro del cancelliere austriaco col Duce. Gli avvenimenti della politica interna austriaca dal settembre ad oggi hanno gettato qualche ombra che occorre dissipare. La ripresa della campagna irredentista in

5 -Documenti diplomatici-Serie VII-Vol. X

Austria, alcuni atteggiamenti non perfettamente chiari di uomini responsabili della politica austriaca hanno determinato nel Governo italiano e nell'opinione pubblica italiana una perplessità che non va dissimulata. Egger ha risposto a queste mie obiezioni in modo assai strano. Egli ha riconosciuto che un certo turbamento 1s:i è verificato dal settembre a questa parte nelle relazioni fra Roma e Vienna, ma di ciò Schober non sarebbe imputabile. Nel suo incontro a Roma col Capo del Governo italiano Schober avrebbe ottenuto dal Duce certe promesse relative al trattamento degli allogeni in Alto Adige. Queste promesse non. sarebbero state mantenute. Schober si trova quindi in una situazione assai delicata e difficile nei confronti di quelle forze e gruppi politici dai quali egli aveva ottenuto un'approvazione ed un appoggio preventivo neHa sua politica di amicizia coll'Italia condizionata alle promesse da lui date ed alle quali il Duce lo avrebbe autorizzato di taluni cambiamenti nella politica italiana in Alto Adige. Naturalmente, ha aggiunto Egger, né Schober né io abbiamo H diritto di intrometterei in questioni che appartengono alla politica interna dell'Italia. Ma non possono tuttavia essere ignorate le ripercussioni di tale .politica fuori dei confini.

Questo discorso di Egger (che Schober non ha osato di fare) col quale il Governo austriaco ha l'aria oggi quasi di presentarsi nella veste di creditore insoddisfatto in una questione delicata -come quella deLl'Alto Adige, non mi è affatto piaciuto. È •certo tuttavia che la !situazione dell'Austria va guardata con attenzione particolare. Essa è la chiave di volta della nostra politica danubiana e costituisce un elemento di indubbio valore per quelli che dovranno essere gli inevitabili svHuppi della nostra politica con la Germania. I Francesi hanno ripreso a lavorare ·attivamente per attizzare di nuovo il vespaio tirolese, traendo pretesto dai fatti di crona•ca più insignificanti dell'Alto Adige, e rendere così più difficile il pro~ressivo avvicinamento tra l'Italia ed il mondo germanico. Attendiamo di conoscere le impressioni del Conte Bethlen sul suo viaggio a Vienna (1).

Significative sono state le visite dei Rappresentanti degli Stati della Piccola Intesa. Per la prima volta dacché io frequento Ginevra il signor Benès si è degnato 1salire le scale del mio hòtel. Il lungo •colloquio con Benès (2) e con Titulescu mi hanno confermato nell'impressione per troppi segni evidenti, che una sensazione di disagio comincia a manifestarsi nella politica di questi Stati. Praga, Bucarest e Belgrado cominciano a dubitare degli effettivi vantaggi di una politica ridotta ormai ad una condizione di umiliante vassallaggio verso la Fran::ia. L'acutizzarsi del contrasto itala-francese ed il progredire del riavvicinamento italo-tedeis'CO aumentano questi dubbi e queste perplessità. Gli Stati della Piccola Intesa hanno un evidente interesse al mantenimento dello statu quo europeo così come è uscito dai Trattati di pace, epperciò sono e rimarranno ancora i naturali alleati della Francia, ma essi hanno non minore interesse che un certo equilibrio europeo si formi a bilanciare l'influenza francese, equilibrio che permetta a questi Stati un giuoco più largo di quello consentito dalla rigida, esosa e so>spettosa po-litica francese; un sistema di ·controassicurazioni ai Trattati

d'alleanza con Parigi, Praga, Bucarest e Belgrado; hanno in sostanza paura della guerra e particolarmente della « guerra francese ».

« Un conflitto italo-francese -ha esclamato pateticamente Titulesco -non avrebbe che un risultato sicuro fin da oggi, il massacro del mio Paese. S.e vince l'Itaiia dovremo restituire la Transilvania all'Ungheria, se vince ,la Francia avremo la Serbia padrona in casa nostra ».

Titulesco mi ha parlato a lungo del trattato di alleanza polacco-rumeno rinnovato a Ginevra durante questa sessione medesima, :per volontà francese, con modificazioni che ne allargano sensibilmente la portata. Mentre dapprima la garanzia reciproca era limitata alla comune frontiera dell'Est (trattato antirusso, quindi), col nuovo Trattato la garanzia reciproca si estende ai territori delle due Nazioni e quindi anche alle frontiere dell'ovest ciò non solo contro la Russia, ma anche ,contro la Germania. Titulescu mi ha dichiarato (more rumeno) che egli ha fatto del suo megUo ,per evitare questo colossale errore commesso da Mironesco per istigazione di Briand, e che potrebbe costituire, nell'avvenire, un serio guaio per la Rumenia. Egli ha insistito con me perché l'Italia continui ad esplicare i suoi buoni uffici a Mosca, eSisendo nell'intenzione del Governo rumeno non soltanto di evitare qualsiasi complicazione con la Russia, bensì di determinare un riavvicinamento coi Soviet. Ho risposto a Titulescu che data l'estrema delicatezza della situazione russo-rumena, il Governo Italiano non mostra l'intenzione, a meno che non sia espressamente pregato dane due parti (1), di assumere a1lcuna attitudine che non ,sia quella di una stretta neutralità.

lo non credo gran che alla possibilità concreta di sanare il conflitto russorumeno, conflitto che noi abbiamo anzi un certo interesse a vedere mantenuto, non foss'altro perché esso potrebbe ad un certo momento controagire favorevolmente nella politica rumena verso l'Ungheria. Ma il tutto rappresenta una carta diplomatica di un certo valore che non dobbiamo buttar via. E~sa costituisce inoltre nei confronti della nostra politica con Mosca e ,con Bucarest una riserva che potrà, all'occorrenza, esserci utile se sapremo mantenerla allo stato in cui è attualmente, ,senza spingere la nostra azione più oltre.

Di indubbio interesse, sebbene del tutto inconcludente, è stato il mio colloquio con Marinkovich. N e ho riassunto gli elementi pr,incipa1i in un promemoria allegato (2). Come mi aspettavo, ho trovato Marinkovich meno affannato che nel settembre scorso a cercare a tutti i costi un accordo concreto e generale con l'Italia. Le migliorate relazioni con la Grecia, l'allontanamento del

« Allo stato attuale delle cose non è infatti possibile né per noi convenient.e di .f1!re di più di quanto ho indicato a V. E. nella mia ultima lettera sull'argomento: segmre cwe con molta attenzione i rapporti russo-romeni per vedere che cosa ci converrebbe di fare quando la situazione accennasse eventualmente a migliorare. Analoghe sostanzialmente sono le istr'!.zioni che ho dato al R 0 Ambasciatore a Mosca; esse si riducono positivamente ad un pm intenso scambio di notizie ed informazioni.

Circa il patto romeno-polacco. ho presenti i Suoi re~enti rapporti ed in particolar modo i Suoi telegrammi 191 e 194. ma in e'.si non vedo analizzata la questione di cui mi ha parlato Titulesco, dell'estensione cioè della garanzia concordata fra i due Paesi alle frontiere dell'Ovest.

La prego pertanto di \'olermi riferire più precisamente e dettagliatamente su questo

punto}>.

pericolo immediato di un'alleanza itala-bulgara, apparsa come naturale conclusione delle nozze di Re Bods, le cattive notizie sulla situazione interna italiana abilmente sparse ed avallate da Padgi, la malattia di Re Zogu, il mancato rinnovo del Patto di Tirana soprattutto, hanno evidentemente sollevato un poco l'inquieto spirito di Marinkovich, o meglio di Re AleSisandro. Ma il desiderio di arrivare aUo scopo che Re Alessandro e Marinkovich si sono prefissi, e cioè un'intesa effettiva coll'Italia, sembra sia rimasto.

Marinkovich ha cominciato col dichiararsi pronto a dare al Capo del Governo italiano tutte le assicurazioni ed as1sumere tutti gli impegni atti a chiarire i rapporti del suo Paese colla Francia. In fondo questo coincide, in certo senso, anche col segreto desiderio di Belgrado, in questo momento.

Io ho ritenuto necessario portare invece Marinkovich, subito, al problema dell'Albania, dandogli l'impressione che i rapporti franco-jugoslavi ci interesrsano sì, ma non così tanto come egli poteva supporre e che il punto centrale dei rapporti itala-serbi è sempre costituito dal problema albanese. Qui siamo entrati per così dire in cavità, assai più che non l'avessimo fatto nel settembre rscorso. Marinkovich si è mostrato prudente. Egli è rimasto sulle ;posizioni di settembre senza andare più in là. Siamo rimasti d'accordo che le conversazioni continueranno. Marinkovich mi ha domandato di fare un comunicato sul nostro incontro. Io ho creduto di non valermi dell'autorizzazione avuta dal Duce, e gli ho fatto delle difficoltà. C01sì siamo rimasti intesi che l'uno e l'altro si sarebbero limitati ad una

semplice notizia.

Riprenderò le conversazioni con Rakich nei limiti del·le istruzioni del Capo del Governo. Se le conversazioni daranno risultati concreti secondo le linee fissatemi dal Duce nelle Sue istruzioni del settembre scorso, tanto meglio. Se le conversazioni non daranno alcun risultato concreto nulla sarà compromes•so. Guadagneremo tempo il che è già un vantaggio per noi.

Prima di finire debbo pure segnalare una conversazione avuta coll'Ambasciatore di Spagna a Parigi Quifiones de Leon (vedi acduso pro-memoria) (1). Le preoccupazioni della stampa tedesca e della stampa itaiiana relative al recente viaggio del Ministro francese Maginot a Madrid non erano del tutto ingiustificate. Un accordo militare, concernente la zona marocchina, è stato conclU130 fra Parigi e Madrid. Da un accordo limitato ma di tale natura, ad un accordo che consenta il transito delle truppe francesi operanti in Marocco, il passo è breve. Da questo ad un accordo più vasto il passo non sarebbe impossibile. La situazione interna della Spagna è caotica, pericolosa, gravida di imprevisti. Non manca, e lo rstesso

Quifiones de Leon non me lo ha nascosto pur dichiarandosi amico '~'incero della Francia, un senso di irritazione, abbastanza sentito contro questi ripetuti tentativi francesi di acquistare, attraverso il caos attuale, un controllo effettivo della politica interna s.pagnuola. Occorre lavorare a Madrid, ciò che mi riprometto di fare, secondo le Tue alte istruzioni, e nel limite delle nostre possibilità di azione in quel Paese stravagante e paradossale.

(l) Cfr. p. 53, nota.

(l) Cfr. serie VII, vol. IX, n. 482.

(l) Cfr. n. 26.

(l) -Cfr. serie VII, vol. IX, n. 411. (2) -Cfr. serie VII, vol. IX, n. 133.

(l) Cfr. n. 19.

(l) Cfr. n. 19.

(l) -Cfr. t. r. 96 del 2 febbraio. ore 16. diretto a Bastianini e Piacentini. (2) -Cfr. anche n. 46. (l) -Cfr. n. 51. (2) -Cfr. n. 31.

(l) Con D. 539 del 4 febbraio Grandi mise al corrente Preziosi del suo colloquio con Titulescu e gli diede le istruzioni seguenti:

(2) Cfr. n. 30.

(l) Cfr. n. 32.

53

IL MINISTRO DELLE COLONIE, DE BONO, AL GOVERNATORE DELL'ERITREA, ASTUTO

(ASMAI)

L. R. 3537. Roma, 2 febbraio 1931.

La ringrazio del Suo rapporto N. 24-C in data 7 gennaio p.p. (l) dal quale è dato trarre, purtroppo nuovi elementi e nuova conferma della nostra grave situazione in Etiopia.

Il rapporto riservato di Paternò a Grandi era già noto; e noto mi è anche l'altro interessante documento redatto dal colonnello Ruggero.

In queste successive occasioni io non ho mancato di richiamare vivamente l'attenzione del Ministero degli Esteri sullo stato di cose che si va delineando e sulle gravi preoecupazioni che anche per la nostra Colonia ne derivano.

Non manco di farlo nuovamente ora, riaffermando la necessità che noi siamo pronti e vigilanti per ogni possibile evenienza.

Inutile dirLe che occorre, di costà, ls'eguire sempre più e riferire su ogni fatto, ogni sintomo, che valga a lumeggiare la situazione e suoi prevedibili sviluppi; ma rimanere calmi (2).

54

IL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA LEVANTE ED AFRICA, GUARIGLIA, AL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, PATERNO'

TELESPR. 203889/14. Roma, 3 febbraio 1931.

Telespresso 20007111 in data 2 gennaio di questo Ministero. Con telespresso in data 15 gennaio H R. Ministero delle Colonie, cui era stato trasme1sso per conoscenza il telespresso citato in riferimento e diretto da

La nostra situazione in Etiopia è grave, anzi è giunta o sta per giungere ad una vera è propria 'impasse ' dal punto di vista della politica estera; e ciò -a mio modesto giudizio -per un errore di impostazione. Noi abbiamo creduto, con la stipulazione del trattato di pace e di amicizia, di migliorare i nostri rapporti con l'Abissinia; ma, come è ovvio, poiché tali rappc1rti erano basati sul timore che ad Addis Abeba si nutriva verso l'Italia, noi Ii abbiamo peggiorati, perché abbiamo tolto questo timore, pur non potendo abolirne le ragioni potenziali, e quindi non abolendo la diffidenza dell'Abissinia verso di

questo Ministero a codesta R. Legazione, ha comunicato quanto segue circa l'oggetto su indicato (l):

• Nell'accusare ricevuta del telespresso N. 200421/10 di V. E. in data 7 corr. e nel ringraziare per :la cortese comunicazione datami di quanto ha riferito, circa l'argomento in oggetto, il R. Ministro ad Addis Abeba, non ho che da confermare quanto ebbi a fare :presente in ,precedenza circa la linea di condotta che a noi conviene seguire nella questione.

Vilsto poi che tale questione, di indiscutibile gravità per noi, può subire l'interferenza di estranei interessi, come quelli relativi al negoziato dell'Inghilterra per i confini tra l'Etiopia ed il Somaiiland, non sarebbe, a mio avviso, inoppovtuno richiamare su questo punto l'attenzione di S. E. Paternò: affinché egli senza preoccuparsi di fare, oggi, avvertimenti -precauzioni che ,potrebbero in definitiva rivelarsi più dannose che utili -sappia al momento buono eViitare in modo assoluto di dare affidamenti circa una eventuale delimitazione di confini, badando fra l'altro a non lasciarsi a ciò indul're da possibili addentellati che, in rapporto alla nostra situazione, fossero offerti daHe trattative britanniche.

Sarò grato a V. E. se vorrà favorirmi al riguardo ulteriori ·comunicazioni '.

Nell'attesa di ulteriori informazioni relative all'argomento in oggetto e nel confermare a V. S. le istruzioni !Precedentemente impartite col telespresso in data 2 gennaio circa l'opportunità di evitare, pur senza dimostrare chiaramente tale nostra intenzione, ogni inizio di discUJssione relativa alla delimitazione dei confini fra l'Etiopia e :le nostre Colonie, questo R. ,Ministero prega la S. V., ove ne vedesse la possibilità, di adoperarsi in qualche modo perché venga procrastinato anche l'inizio delle trattative anglo-etiopiche per le frontiere del Somaliland, alla delimitazione delle quali del resto, come risulta dal telegramma di codesta Legazione del 27 dicembre, le stesse autorità coloniali britanniche si mostrerebbero riluttanti.

(l) -Cfr. n. 7. (2) -Le ultime tre parole sono state aggiunte a penna dalla stessa mano che ha annotato in calce: "S. E. il Ministro ha intrattenuto a voce della cosa S. E. Grandi». Con telespr. 42105 del 12 marzo De Bono trasmise a Grandi la risposta di Astuto, del 18 febbraio, alla sua lettera; e chiese a Grandi mezzo milione all'anno per poter svolgere una politica periferica in Etiopia, come suggerito da Astuto. Della lettera di Astuto a De Bono si pubblicano i passi seguenti: " Un'opera di sobillazione delle popolazioni abissine dell'Eritrea è certo possibile, è di fatto tentata ed è temibile, ma essa può essere combattuta con successo, fino a che l'Etiopia non diventi un vero e proprio Stato unitario e almeno rudimentalmente civile. Ciò non è verosimile e in ogni modo non può ritenersi prossimo. Non deve quindi preoccupare per ora il Governo dell'Eritrea, ma soltanto occuparlo...
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APPUNTO [DI BROCCHI?] PER IL CAPO DELL'UFFICIO DI POLITICA ECONOMICA, CIANCARELLI

Roma, 3 febbraio 1931.

l) Nota della Legazione d'Ungheria del 26 gennaio 1931 e appunto del Comm. Brocchi, trasmesso dal Ministro Auriti (2) con telegramma-posta del 20 gennaio, n. ,?,29/121.

noi. Quindi all'Abissinia più non occorre di nascondere e temperare la sua diffidente ostilità

per timore di una nostra reazione, come prima era costretta a fare.

Questa è in poche parole la situazione.

Ho sostenuto da anni, ho ripetuto nella riunione tenutasi a Palazzo Chigi prima della

mia partenza quanto è stato deciso in quella riunione (della quale però i verbali non mi

sono mai pervenuti): che per uscire da questa ' impasse' occorre la cosi detta politica

periferica. E sta bene. Ma, Signor Ministro, le parole non hanno mai partorito i fatti. Non

basta dire di fare. occorre fare, possibilmente senza dire. E per fare occorrono i mezzi ».

Punti interessanti: • Il Governo ungherese ha l'impressione che a Belgrado si considerino serie le probabilità di una riuscita dell'attività germanica diretta a risolvere la questione dei sistemi di preferenze commerciali d'accordo con la Francia. Brocchi espresse ,l'avviso che occorre fissare il proprio punto di vi:sta di fronte a quello della Germania non limitandosi ad affermazioni negative, se l'Italia vuole difendere l'efficacia della clausola della Nazione più favorita e vuole evitare che prevalga la tendenza germanica, la quale vuole ammettere le eccezioni , .

Osservo: 'la Germania, non avendo l'Italia aderito ad una coHaborazione nei riguardi dell'ordinamento economico dell'Europa Centrale, ~si riserva di collaborare con la Francia.

Il Conte Bethlen ha ricevuto l'Ambasciatore tedesco e l'Amba1sciatore francese ed ha espresso a quest'ultimo la sua meraviglia per il fatto che la Francia considera con sospetto gli Accordi ~che si stanno per concludere.

La Francia ha cercato di indur,re l'Ungheria a non concludere accordi con la Jugoslavia, che potessero staccare dalla Piccola Intesra la stessa.

A mio subordinato avviso, occorre:

a) paralizzare quest'azione francese senza indugio, iniziando senz'altro conversazioni con il Governo ungherese circa l'inclusione della Jugoslavia negli accordi e circa il contingentamento dei prodotti da ritirarsi, dando affidamenti che la concorrenza jugoslava non impedirà o limiterà la importazione dall'Ungheria;

b) decidere quale atteggiamento adotterà l'Italia se la Francia e la Germania concederanno all'Ungheria dazi preferenziali. Il Conte Bethlen ha già dichiarato che intende concludere Accordi con la Germania integrandoli poi con Accordi con ,J'Italia.

2) Promemoria del Comm. Brocchi dell'8 dicembre 1930 1sugli Accordi con gli Stati danubiani. Se si accettano le conclusioni del pro-memoria, occorre deliberare che la Delegazione Italiana alla riunione indetta dall'Istituto Internazionale di Agricoltura presenti un progetto concreto di organizzazione delle vendite dei prodotti di esportazione, e di organizzazione del credito di esportazione, con particolare Tiguardo alla necessità di evitare la formazione di nuovi Istituti finanziari internazionali. A questo scopo occorre mettere in discussione proposte concrete di sistemazione e come bal>e di discussione si può adottare la traccia da me stesa il 12 dicembre, alla quale erano anche allegati degli schemi e che il Comm. Lanino si è riservato a suo tempo di sviluppare secondo le informazioni dategli anche verbalmente.

3) Dichiarazioni del Ministro Marinkovic che avrebbe dato istruzioni di

fare ogni pressione possibile sugli organi competenti, affinché non 1sia trascurata

ogni pos,sibilità di migliori intese economiche con l'Italia.

A mio subordinato avviso occorre concretare le richieste da presentare alla

Jugoslavia e le concessioni da farsi, cercando di stabilire in qual modo 1s,i possa

assicurare il ritiro di determinati contingenti da determinati Stati.

4) Relazione sulla visita del sig. Fall a Belgrado.

Sarebbe da comunicure al R. Ministro a Belgrado il contenuto dell'alinea 2) della lettera 19 gennaio al sig. Ministro Ciancarelli. 5) Proposte contenute nella lettera 17 gennaio al Signor Ministro Cian

carelli (l).

Converrebbe: a) Concretare ciò che si deve chiedere all'Ungheria. Si provvede con il

telespresso a cui è unita la tabella Ferenczy. b) Formulare proposte concrete agli Austriaci. Provveduto con un tele.s.presso al quale dov,rebbe essere unita la relativa tabella del sig. Schuller. 6) Clearing per le esportazioni in Austria dall'Ungheria.

La formula allegato C) del telespresso n. 10 del 12 gennaio 1931 dovrebbe essere portata in discU\EISione nella prossima riunione riunione (2).

di alcuni documenti.

Lettera di Brocchi a Ciancarelli, Vienna 4 gennaio: "In Ungheria stiamo perdendo terreno. Apponyi e il nuovo Ministro Karolyi vogliono fare l'occhio di triglia alla Francia. Conviene fare presto e senza contrattar troppo, altrimenti potrebbe aver ragione Bethlen, il quale ha detto che 'se non si dà ciò che gli occorre, i denari sarebbero sciupati'"·

Lo stesso allo stesso, Vienna 17 gennaio: " Mi sembra che ormai sia giunto il momento di prendere delle decisioni:

a) Nei riguardi degli Ungheresi occorre tener presente che io non ho mai negoziato con loro e che nei riguardi del contributo ho preso posizione soltanto personalmente. Ora occorrerà far loro conoscere il pensiero ufficiale.

b) Gli Austriaci sono in attesa di una nostra parola.

c) Gli Jugoslavi, per quanto mi risulta sia dalle notizie che Ella mi ha cortesemente mandate, sia dalla comunicazione fattami da Fall, sembrano bene disposti, e desiderano conoscere le nostre idee concrete.

d) I Romeni sono addirittura insistenti. Il Ministro Auriti mi ha partecipato di avere avuto, per incarico superiore, un colloquio con una personalità romena. Questa ha ripetuto che la Romania è stanca della Francia, che in Romania si desidera l'avvicinamento all'Italia; che ciò potrebbe seguire anche senza ricorrere a prestiti, perché gli Americani sarebbero disposti a qualsiasi finanziamento, su nostro invito, qualora essi avessero il convincimento che noi lavoriamo seriamente nel campo economico e che i denari non servono ad altri scopi.

In proposito è stato mandato costà un rapporto da S. E. Auriti. Queste informazioni collimano

con le pubbliche dichiarazioni di Maniu, segnalate, che vorrebbe l'Italia in testa dell'avvicinamento economico fra gli Stati danubiani, e con le altre continue affermazioni romene.

Se la parola d'ordine è sempre quella di cercare di far saltare la Piccola Intesa, questo é il momento buono. Come ha detto S. E. Galli, e come ha as~erito anche la personalità romena, che ha parlato con S. E. Auriti, due mesi fa il momento sarebbe stato migliore. Ma

oggi si può ancora avere un successo, perché la Francia è troppo esigente con i suoi amici, e

perché la Germania è indecisa, ma non c'è tempo da perdere. Conviene fissare ciò che si vuole ottenere dall'Austria, dalla Jugoslavia, dalla Romania, e si otterrà l'intento. Ma, se si vuole che la Piccola Intesa salti, bisogna accontentare gli Ungheresi. Occorre conseguire che gli Ungheresi non contraggano debiti di gratitudine anche verso altri, per quel tanto che loro

occorre e che noi avremmo rifiutato. Bisogna mostrare che i nostri amici possono sistemarsi

senza bisogno di altri. Se si dà 40, quando l'altro ha bisogno di 45, e l'altro deve procurarsi i 5 che mancano da un terzo, chi avrà salvato la situazione e raccoglierà i frutti sarà il terzo. Quindi con gli Ungheresi converrebbe fare un fair play "·

Promemoria di Brocchi per Auriti, Vienna 18 gennaio:

« La discussione fra i vari Stati dell'Europa centrale per una sistemazione dei loro rapporti economici, nella temperatura creata dalla Francia, ha lo scopo di far sorgere un organismo nuovo costituito dagli Stati sorti dall'antica Monarchia sotto l'influenza francese, con esclusione dell'Italia. Sembra che tale discussione richieda che l'Italia cerchi:

a) di aver voce in questi dibattiti, b) di essere informata del loro andamento, e c) di impedire che negli stessi si maturi alcunché a suo danno, particolarmente perché

gli Stati in questione potrebbero avere l'impressione che l'Italia si disinteressi della sorte degli Stati danubiani...

Il nost,.o intervento dovrebbe soltanto tendere a conservare libere e praticabili anche per noi tutte le strade; ma ciò richiede che si eviti che altri le occupino integralmente, in difetto della nostra presenza sulle stesse. Per ora si tratta soltanto di far sapere direttamente

o indirettamente che l'Italia non si disinteressa, che ha un programma proprio, e che è pronta a discuterlo con gli Stati che insistentemente domandano di seguirla "·

Cfr. infine, sulla missione di Brocchi a Budapest, un suo appunto per Grandi, datato Roma 30 gennaio: « Alla chiusura delle conversazioni di Budapest fra i Ministri ungheresi da una parte e il R. Ministro Arlotta ed il Comm. Brocchi dall'altra, il Conte Bethlen dichiarò di essere disposto ad accordare un contributo dell'Ungheria, per la esportazione italiana, di

(l) -Delimitazione dei confini fra Etiopia e Somalia britannica. (2) -Nel corso del gennaio Brocchi fu a Vienna e a Budapest per il negoziato commerciale. (l) -Per questa lettera, di Brocchi, cfr. la nota seguente. (2) -Sul negoziato commerciale con i paesi danubiB.ni si pubblicano qui di seguito passi
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IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. PER CORRIERE 251/10. Vienna, 3 febbraio 1931 (per. H 5).

Telegramma di V. E. n. 26 (1).

Ho stimato non vi fosse ,ragione di non fare a Schober la comunicazione indicatami da V. E., e poiché mentre la eseguivo egli mi ha detto averne ricevuto una simile da Egger con il quale V. E. avrebbe toccato anche l'argomento della visita, affermandogli di aver sempre intenzione di compierla, ma non rpoterla effettuare per il momento a causa dei lavori parlamentari, ho anch'io accennato con poche parole a quest'ultimo punto. Schober era raggiante, e mi ha detto che avrebbe fatto pervenire per mezzo di Egger la sua risposta all'E. V. dandone a me contemporanea comunicazione. Sulla data della vilsita non ha insistito, e io ho quindi tanto più facilmente potuto lasciar cadere l'argomento. Ha invece voluto ripetermi quanto grato ricordo serbi della sua visita a Roma e pregarmi di comunicare all'E. V. che si riserva inviare un telegramma a S. E. H Capo del Governo nel giorno anniversario della firma del patto d'amicizia.

Mi ha poi ripetuto ciò che V. E. ha detto a Egger circa il.'istituzione del consolato francese a Innsbruck (2). Mi ha confidato che il titolare è stato a Vienna negli anni scorsi presso questa Legazione della Repubblica, fo'!1se ;per spionaggio. È convinto che tale in ogni caso sia la sua effettiva funzione a Innsbruck. Si è mostrato persuaso delle difficoltà che egli avrà in quella residenza per il suo servizio, specie se vorrà macchinare con quegli agitatori anti ,italiani non :rendendosi conto del pericolo per ;sé e per ,loro di un tale lavoro in una piccola città pangermanista e quindi antifrancese. Mi ha ad ogni modo promesso di farlo attentamente sorvegliare e di comunicarmi poi i risultati della vigilanza. Io gli ho a mia volta riferito circa la comitiva di asseriti sportivi ed effettivi ufficiali francesi che compiono gite in sci nel Tirolo ed egli ne ha preso appunto.

Scbober mi ha infine accennato alla sua soddisfazione ,per la visita di Bethlen (3) e per i risultati conseguiti, assicurandomi che tutto quanto era ,stato detto e fatto nc-'.1 poteva che essere gradito anche a noi.

12 milioni di lire, di dover però pregare che l'Italia assicuri il ritiro di 3 milioni di quintali di grano con un sopraprezzo ridotto a 6 pengi:i. Egli invocò tale concessione come un atto politico di amicizia, avvertendo che, se non avesse l'appoggio richiesto, nella detta misura, il suo programma di risanamento sarebbe stato sprecato. A mezzo del Ministro delle Finaaze fece poi partecipare che egli si rendeva ben conto che non c'era una giusta proporzione fra quanto esso Bethlen domandava e quanto poteva offrire, dal punto di vista economico, ma che egli confidava nell'appoggio dell'Italia per considerazioni di solidarietà politica.

ll Comm. B~occhi dichiarò che non poteva fare delle conversazioni di carattere politico e, ritenendo eJau...ito il suo compito, si ritirò a \Tienna...

Soltanto ragioni politiche potrebbero forse consigliare di prendere in seria considerazione 13 preghiera del Conte Bethlen... Tali ragioni dovrebbero sussistere, a subordinato avviso dello scrivente, soltanto quando fosse concretata la conclusione di accordi fra l'Italia da una pgrte e l'Austria e la Jugoslavia, oltre all'Ungheria dall'altra •· In data imprecisata Grandi trasmise questo appunto a Mussolini con una lettera in cui gli chiedeva il suo nulla osta per procedere alla conclusione dei progettati accordi con l'Ungheria e l'Austria (Archivio Grandi).

{2) n verbale del colloquio Grandi-Egger non si è tro\·Rto. Cfr. solo pp. 87-88.

Se sono riuscito a comprendere una parte del telegramma di V. E. cui rispondo, giunto non completamente decifrabile, l'E. V. mi chiede la mia opinione sugli inconvenienti che potrebbe presentare un rinvio della restituzione della visita. Nella supposizione che io abbia interpretato bene le lacune del telegramma, e che ciò effettivamente mi fosse domandato daH'E. V., :::ai riservo dsponderLe in seguito (1), osservando che in ogni caso una deoisione immediata, che del resto non appare opportuna, non sarebbe neanche necessaria, giacché oeome ho sopra riferito Schober è apparso stamane già tanto soddisfatto del mio diverso linguaggio da non aver mostrato osare almeno per il momento desiderare di più e chiedere checches1s1ia. Tanto più credo opportuno attendere a manifestare la mia opinione, in quanto secondo una notizia pubblicata stamane in questi giornali, ma non ancora accertata, Seipel dovrebbe essere qui di ritorno fra poche settimane.

(1) -Cfr. n. 46. (3) -Cfr. n. 51.
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IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. POSTA R. 446/223. Vienna, 3 febbraio 1931.

Ho riferito a V. E. brevemente sui risultati della visita di Bethlen; maggiori particolari saranno certo forniti dal R. ministro a Budapest (2). Io non ho avuto che brevissimi colloqui con H presidente ungherese, durante i quali del resto non eravamo soli. Non ho cercato intrattenermi in questa occa,sione più a lungo con lui e averne più ampie informazioni, perché ho creduto preferibile non dargli l'impressione ch'io attribuissi importanza straordinaria alla sua visita nei riguardi di un miglioramento dei nostri rapporti con l'Austria. Che Bethlen abbia creduto o voluto farci credere che effettivamente dai suoi colloqui con Schober sarebbe derivato un gran vantaggio nei nostri rap.porti con l'Austria, mi sembra poterlo desumere dall'aver egli detto a questo R. addetto militare essere convinto che le nostre relazioni con l'Austria si sarebbero molto avvantaggiate dalla sua visita. E questo è un punto sul quale mi sembra utile chiarire il vero stato di cose.

È indubbio che la visita di Bethlen e gli accordi in essa conclusi con l'Austria avvantaggino indirettamente anche le nostre relazioni con questa; e infatti siamo proprio noi che nell'estate scorsa abbiamo suggerito a Schober la stipulazione del patto di amicizia. Entro questi limiti l'asserzione di Bethlen è esatta. Ma essa sarebbe esagerata se, come mi sembra possa supporsi, egli abbia inteso affermare che un grande miglioramento sarebbe derivato dall'aver egli sostenuto con Schober la nostra causa. N o n so se effettivamente lo abbia fatto, ma so che se anche lo ha fatto ciò non ha ,potuto notevolmente mutare la presente situazione.

L'avvenuto raffreddamento delle nostre relazioni con Schober non deriva tanto dal 1suo contegno in materia di politica estera e specialmente di rapporti

itala-austriaci, quanto dal suo contegno in materia di politica interna. È vero quello ch'io ho rimproverato a S.ehober, di non aver cioè durante la campagna elettorale parlato con il calore dovuto del nostro patto, ciò che del resto credo sia derivato soprattutto da considerazioni di opportunità elettorale avendo Schober capeggiato i pangermanisti; ma è altrettanto e più vero che la maggior ragione del nostro malcontento è il contegno da lui tenuto per un verso a favore dei socialisti e per l'altro contro le Heimwehren. In ogni caso per quello ,che riguarda le relazioni itala-austriache, sta di fatto che Schober nel nostro colloquio del dicembre paSis:ato lo chiuse dicendo che era sempre l'amico che era stato, e che non chiedeva se non l'occasione di provarcelo (1). Ora se altre fossero state le sue dichiarazioni o se, pur essendo quelle che sono state, noi gli avessimo chiesto qualcosa e non l'avessimo ottenuta, l'intervento di Bethlen avrebbe potuto servire a fargli mutare avviso o a fargli mutare contegno. Ma, come dicevo, non avendo noi messo alla prova la buona volontà di Schober, rimangono le 'SUe dichiarazioni di amicizia, che aameno formalmente non potrebbero essere migliori e che valgono aLmeno fino a prova contraria. In tale stato di cose non vedo che potrebbe Bethlen farci ottenere da Schober più di quanto questi stesso ci abbia promesso.

Ciò riguarda il fatto specifico della v~sita di Bethlen a Vienna. Ma con questo non intendo affatto negare l'utilità di stretti e ,continui rapporti con lui anche nei riguardi della politica dell'ItaUa e dell'Ungheria verso l'Austria. Ed è perciò che, anche tenendo presente ·ch'egli mi ha chiesto quando mi aVlrebbe rivisto a Budapest, io mi propongo, valendomi dell'autorizzazione fattami pervenire da V. E., di recarmi ·colà di nuovo quando, consentendomi le esigenze del servizio una breve assenza da Vienna, appaia opportuno di rinnovare con Bethlen uno scambio di vedute circa la situazione austriaca nei riguardi dei comuni interessi itala-ungheresi.

(l) -Cfr. n. 85. (2) -Cfr. n. 51.
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PROMEMORIA DEL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA LEVANTE ED AFRICA, GUARIGLIA, PER IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

Roma, 5 febbraio 1931.

L'Onorevole Jung, Presidente dell'Istituto Nazionale per :l'Esportazione.

riferirà a parte a V. E. circa H colloquio da lui avuto, in questi giorni, a Roma,

col Direttore dell'listituto per il Commerdo Estero Jugoslavo, Signor Tomicic.

Nel corso del colloquio, che ha avuto ca,rattere tecnico-economico, l'Ono

revole Jung, previe intese cogli Uffici competenti di questo Ministero, ha avuto

occasione di fa,re al Signor Tomicic generici cenni, a titolo di esponente dei

produttori italiani, di una questione che non poteva a meno di produrre impres

sione sull'interlocutore jugOISilavo.

I limiti segnati e conservati nell'azione dell'Onorevole Jung erano consigliati dall'opportunità di non porre senz'altro in pieno, in conversazione di carattere privato e non impegnativo, una questione che è di tale gravità per tutto il complesso delle relazioni itala-jugoslave da richiedere di essere conservata integra come massa di manovra, da fare entrare in campo, in punto opportuno, in modo adeguato, e con effetto decisivo.

La questione è quella delle nostre relazioni di traffico commerciale con la

Jugostlavia.

Da un quadro riassuntivo di tali relazioni, che si acclude (l) e che è stato approntato dall'Istituto Nazionale per l'Esportazione, V. E. rileverà lo stato di tali relazioni e l'importanza essenziale che le stesse hanno per la vita interna della Jugoslavia. Es~e forniscono, in qualche cifra, una esauriente spiegazione delle esitazioni jugoslave di fronte ai pericoli dell'incertezza dei rapporti politici con l'Italia, degli interessi reali dei circoli economici di oltre frontiera -silenziosamente tutelati attraverso tutti questi anni di asperità di vicende politiche -, degli atteggiamenti del Si,gnor Marinkovich, mutevoli in linea politica, ma, come risulta anche da recenti notizie della R. Legazione a Belgrado, decisamente orientati a salvaguardare le cospicue relazioni commerciali cui la Jugoslavia è oggi giunta con l'Italia.

Si è che, in grave periodo di crisi mondiale, nello smarrimento della Balcania agricola, aggravato da'l « dumping • russo, l'Italia rappresenta il mig'liore e più ,sicuro cliente della Jugoslavia: assorbe, annualmente, un terzo della sua espo,rtaz,ione totale, dfre ingentiss1me, che vanno dalla metà ai tre quarti del totale deHe sue esportazioni principali, legnami, bestiame, ecc. La Jugoslavia, per converso, è nostra cliente per una cifra che è scesa attualmente fino a ,raggiungere soltanto un decimo circa del totale delle sue importazioni dall'estero, dfra che è, poi, di 'Più che modeste 'proporzioni nel complesso del movimento di esportazione italiano e che, come, ad esempio, per gli acquisti jugoslavi di cucirini, non giova neppure direttamente all'economia italiana.

L'Italia ha, quindi, in mano, ed in condizioni da non poter essere facilmente soppiantata, notevole parte del problema economico interno jugos,lavo, che è, indubbiamente, il più grave e quello che può determinare, anche, molte situazioni politiche.

D'altra parte è per l'Italia ormai una necessità di valorizzare al massimo il suo potere di assorbimento dei prodotti dell'agricoltura straniera per rpoter trovare mercati di maggiore assorbimento del lavoro delle 1sue industrie. In .Jugoslavia questa valorizzazione, sotto le preoccupazioni del complesso assestamento della situazione politica, non ha potuto da noi essere ancora fatta. Ma gli accordi economici in corso con l'Austria e con l'Ungheria 1sono destinati, principalmente, a fornire basi sicure, attraverso la chiusura di un ciclo economico, per questa valorizzazione, che può oramai venir posta sul tappeto. Abbiamo, a questo punto, opportunità e modo di porre alla Jugoslavia nettamente la questione: od una intensificazione adeguata dei suoi acquisti 1sul mer

cato italiano e, in genere una consolidazione utile delle importanti relazioni di traffico fra le due economie su basi ampie e sicure, riportando sull'Italia quelle correnti di acquisto notevolissime che attualmente dalla Jugoslavia si dirigono verso la Germania, l'Aus:tria e sovratutto verso la Cecoslovacchia, od orientamento diverso dell'importazione italiana, che può facilmente sostituire, in altri paesi, la quota jugoslava.

È evidente -né l'impiantare la questione può apparire ora meno che giustificabile misura di necessità e di previdenza -che non possiamo eternamente continuare nello sbilancio attuale del nostro traffico con la Jug01slavia, né annualmente continuare a fornire a Belgrado, a nostro discapito, una ricchezza che, fra l'altro finisce coll'essere, 1in notevole parte, spesa per i disegni militari della Francia.

È fuori dubbio che su questo terreno siamo i più forti. Se è vero, ed è vero, che ottime e solide relazioni economiche con la Jugoslavia, importante e naturale mercato complementare di quello italiano, ,possono giovare molto all'economia nazionale, è anche incontrovertibile che il mercato italiano si presenta come un'assoluta necessità per la vita economica Jugoslava.

L'Italia rappresenta per il problema interno della Jugoslavia -politico ma anche, e forse prevalentemente, economico -un fattore più essenziale della finanza francese. Il poter prestare denaro sonante è molto, ma non è tutto. Può eissere, anzi, in paesi ad economia in piena crisi di organizzazione, nient'altro che una panacea momentanea che, malamente utilizzata, può finir coll'asservire e rovinare finanziariamente H debitore. Non risolve, ad ogni modo, un problema che non può trovare soluzione effettiva e durevole che nel costituire dei capaci mercati esteri, interessati all'assorbimento de,Ma ,produzione del paese.

Questo può l'Italia nei riguardi della Jugoslavia, ed è per questo che l'argomento appare di tanto peso da el::1sere suscettibile di influenzare la soluzione di molte altre questioni, di indole diversa ed anche strettamente politica, che ci interessi di porre innanzi con Belgrado.

Una volta piazzata nettamente, infatti. la _!)ossibiHtà di una decisione conclusiva e favorevole circa le future relazioni economiche itala-jugoslave, non sarebbe possibile prescindere dall'esame di altri argomenti naturalmente connessi alla questione. Se il nostro traffico col vicino Stato deve assurgere proporzioni adeguate, se si deve trattare di consolidare utilmente cospicui intereslsi economici, è evidente che il meno che da parte nostra si possa pretendere è che ogni facilitazione venga fatta in Jugoslavia -ciò che ora non avviene affatto -ai nostri uomini d'affari, alle nostre ditte, alle nostre Banche, alla nostra navigazione in Adriatico, e che gli accordi stipulati per la valorizzazione di Fiume abbiano finalmente la loro piena attuazione. Tutto quelsto non è, né in Jugoslavia lo si nasconde, 1per ragioni di diffidenza. L'assestamento della situazione politica fra Italia e JugoE"lavia viene quindi a costituire il logico ed obbligato corollario di un accordo economico e di una utile realizzazione.

Sul terreno politico, nel presente momento, la Jugoslavia non sembra ancora disposta, per ragioni di varia indole, e l:>~peculando sull'appoggio francese e sull'incertezza della situazione balcanica, a riconoscere l'evidenza di una nostra

posizione di superiorità. Può ancora manovrare ed alternare le sue più o meno favorevoli disposizioni. Ma se, per giungere al terreno politico, noi marcassimo, ora, una ripresa dal terreno economico è evidente che l'iniziativa e le sorti della manovra palsserebbero saldamente in nostre mani. Il dilemma che siamo in grado di porre alla Jugo~lavia non può consentire né scappatoie né ritardi.

Tale ripresa, coll'impostazione di base dell'argomento non può, naturalmente, per la sua stessa accennata gravità, e per le conseguenze stesse di carattere politico che è destinata a produrre, che venir fatta, col pe~o e l'autorità necessari, personalmente da V. E., che è già in contatto diretto col Signor Marinkovich e col Signor Rakich.

L'impostazione della questione potrebbe essere inserita, come eSisenziale parentesi ed utile allargamento del campo di esame, nelle future conversazioni che l'E. V. avrà ,col Ministro Rakich. Tale inserzione, giustificabile colle rimostranze di ,carattere urgente dei nostri circoli economici per la sperequazione a nostro danno delle presenti relazioni di traffico italo-jugolsJave e colla necessità di prendere in considerazione sollecita un più proficuo assetto dei nostri rapporti commerciali con l'estero, non può che imporre un più premuroso apprezzamento, nei futuri colloqui che Marinkovich e Rakich avranno a Davos, della necessità di una sistemazione deHe situazioni itala-jugoslave, ed economica e politica, strettamente conneisse.

(l) Cfr. serie VII, vol. IX, n. 472, p. 699.

(l) Manca.

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PROMEMORIA DEL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA LEVANTE ED AFRICA, GUARIGLIA, PER IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

Roma, 5 febbraio 1931.

L'accluso promemoria contiene le iàentiche idee e proposte ,che furono trasmesse a V. E. una ventina di giorni or sono dall'On. Gianfel'rari (l).

Si tratta dunque dello stesso informatore che ha parlato ora con l'On. Benni.

A suo tempo non mancai di comunicare, ad ogni buon fine, tutto ciò al nostro Ministro a Bucarest, quantunque l'informatore raccomandasse di tenere estranee le Autorità Diplomatiche da tali faccende. Sono ancora in attelsa della risposta di Preziosi.

Credo superfluo però rilevare fin da ora che il memoriale allegato è alquanto puerile.

l) Parla di un'azione personale del Re Caro!, all'infuori del suo Governo e ciò evidentemente è assurdo, quali che possano essere le Reali velleità di autonomia;

2) afferma in sostanza che ove l'Italia si decideslse a fare un prestito di due miliardi alla Romania potrebbe assicurarsi grosse forniture industriali, e sarebbe invero assai t~ttrano ·che fosse H contrario;

3) offre la cessione di petroli, cereali e legno come contropartita della Romania ad una eventuale concessione del prestito da parte nostra mentre sta appunto nel collocamento di questi prodotti il vantaggio che noi dovremmo offrire alla Romania;

4) contiene accenni alle relazioni po.litiche con la Francia e ad offerte ·economiche tedesche e cecoslovacche (S.koda) che sono di una eccessiva ingenuità e come lusinghe e come minacce.

In sostanza il memoriale in questione non è da una parte che una delle tante prove delle difficoltà enormi che attraversa la ls!ituazione economica romena e delile non facili condizioni (segna:late anche dal R. Ambasciatore a .Parigi) attraverso cui 'si trattano ora le questioni dei prestiti con la finanza francese.

D'altra parte è doloroso constatare la facilità ·con cui simili superficiali proposte trovano ascolto nei nostri ambienti industriali e finanziari, i quali peccano per lo meno di credulità e in ogni modo trovano sempre l'occa:sione per dimostrare la loro immaturità.

(l) L'allegato non si pubblica. L'on. Prospero Gianferrari. consigliere delegato dell'Alfa Romeo, aveva scritto a Grandi da Milano 1'8 gennaio, trasmettendogli un promemoria con notizie provénienti dal rappresentante dell'Alfa Romeo in Romania. Nella lettera a Grandi Gianferrari scriveva: • Questo fiduciario nel dare notizie alla Motomeccanica di trattative e possibilità di affari per l'Azienda in Rumania, dà delle informazioni interessantissime di carattere politico internazionale che, se vere, starebbero a dimostrare la volontà del Re di Rumania di togliersi dalle influenze francesi e della Piccola Intesa per orientarsi altrove e forse verso l'Italia •.

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IL MINISTRO A HELSINKI, TAMARO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

R. 86/29. Helsinki, 5 febbraio 1931.

Tempo fa una personalità del movimento lappista, chiedendomi informazioni sul movimento sindacale e corporativo dell'Italia, si doleva che tale movimento fos,se pressoché ignoto agli uomini responsabili dalla sua parte e domandava come si sarebbe potuto rimediare a tale ignoranza. Ri:sposi mettendomi a disposizione e indicando alcune forme di propaganda, che si sarebbero potute adottare; tra l'altro accennai all'efficada che avrebbe un viaggio fatto da alcuni d.irigenti lappisti in Italia, dove avrebbero potuto vedere in atto le meravigliose realizzazioni del Regime fascista. L'idea fu discussa: alcuni giorni più tardi la stessa persona venne a domandarmi ls·e, formandosi una comitiva lappista per ;recarsi in Italia, questa avrebbe élvuto buone accoglienze e facilitazioni per vedere quanto poteva essere utile per uomini che avevano principi cosi affini ai fascisti e si trovavano dinanzi al ,problema sociale come dinanzi a un ostacolo insormontabile. Risposi, ·che gli stranieri che vogliono studiare il nostro Paese trovano sempre le migliori accoglienze e soggiunsi, senza dir nessuna parola ·che potesse sembrare un impegno, che quanto ad accoglienze particolari e a facilitaz,ioni nello studio delle istituzioni fasdste, di ,cui mi sarei volentieri QC·cupato, il tutto sarebbe dipeso daHa qualità delle persone che avrebbero formato la comitiva e dalla serietà dei loro intenti.

Dissi questo, non solo perché era ovvio in se stesso, ma anche perché consideravo -la necessità di evitare che, se un gruppo lappista venisse a studiare le nostre istituzioni e prendere contatto col Partito e con persone rappresentative del Regime, poi, ritornato in patria, fosse sconfessato. N o n espressi tale ragione, ma forse fu compresa. Ieri venne da me il dott. Gummerus, ex-ministro di Finlandia a Roma: egli mi disse, che l'idea di un viaggio di studio in Italia era di!>1cussa sempre più favorevolmente, e che anzi si poteva considerare come accettata. In quanto alla composizione della comitiva, essa comprenderebbe almeno uno dei membri del direttorio del movimento lappista, cioè il Koivisto, uno dei • triumviri » del movimento 'Stesso, il più intimo dei collaboratori di Kosola: gli si aggiungerebbero due o tre dei principali dirigenti del lappismo e forse il dott. Gummerus stesso. Con ciò il gruppo si potrebbe considerare come vero e autorevole rappresentante del lappismo e come tale potrebbe essere accolto in Italia. Una decisione definitiva non sarebbe ancora presa con riguardo alla !situazione politica, che è tuttora molto incerta: il viaggio in ogni caso non si potrebbe effettuare prima del maggio venturo.

Risposi riconoscendo giuste le asserzioni del dott. Gummerus e assicurando che, se i propositi annunciati si fossero mantenuti inalterati, avrei appoggiato l'iniziativa nel migliore dei modi.

Credo, che se il gruppo lappista ~si potesse costituire con persone veramente autorevoli e responsabili e potesse partire per l'Italia come missione ufficiale del lappismo, il fatto avrebbe un significato notevole. Il lappismo, come riferisco con altro rapporto, non ha più la forza e la vastità che aveva sino all'autunno passato. È tuttavia di grande importanza neHa vita della Finlandia, dove si propone di d<>olvere tutti i problemi, anche quelli sociali su una base rigorosamente nazionale. Sarebbe ,pePtanto interessante per il prestig;io del. nostro nome il vedere questa gente del più lontano settentrione venire a Roma per cercare d'illuminarsi alla verità delle nostre dottrine, per istruirsi in mezzo alla potenza delle nostre creazioni spirituali. Mi lusingo d'interpretare il pensiero del R. Ministero e prego, \òe così è, di voler inviarmi cortesi informazioni per poter rendere 1più facile l'effettuazione del viaggio e per dare agli eventuali messi lappisti la certezza di un'accoglienza distinta e utile ai loro fini.

Voglia il R. Ministero, se graclis2e la realizzazione dell'idea, di cui ho qui riierito, farmi sapere (rimessa a nltro tempo la discussione eventuale di tutti gli altri dettagli) se ai membri della comitiva lappista ~l potrebbero concedere facilitazioni ferroviarie o anche il biglietto gratuito dalla frontiera a Roma.

Non mi sono impegnato a nulla di preciso e potrei anche far morire la cosa, se dispiacesse. Assicuro intanto il R. Ministero che, se alla missione d'una delegazione lappista si potesse realmente a!"rivare, metterei ogni cura a ottenere la partecipazione di uomini autorevoli e a gar::mtire ad essa un carattere ufficiale c:el movimento lappista (1).

(l) Cfr. il seguente appunto di Guariglia del 17 febbraio: «Per il Gabinetto di S. E. il Ministro. Esprimo il parere che convenga lasciar cadere la cosa. Quanto al Signor Gummerus, egli è da noi ben conosciuto per un perfetto idiota ». Un giudizio scettico sul lappismo esprimeva più tardi Tamaro nel rapporto 526/212, Helsinki 12 agosto 1932. Tamaro era entrato in contatto coi lappisti nel 1930. Su tali contatti non si è trovata documentazione di rilievo.

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IL MINISTRO A PRAGA, PEDRAZZI, AL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA LEVANTE ED AFRICA, GUARIGLIA

L. P. Praga, 6 febbraio 1931.

Da quando il dott. Benès è tornato da Ginevra si fa un gran parlare qui del colloquio che egli ha avuto col Ministro Grandi (1). Accennandomene in una conversazione (2), lo stesso Benès mi ha detto che nel colloquio egli aveva esposto a Grandi • in dettaglio • tutte le sue idee intorno alla politica della Piccola Intesa ed alle possibilità dell'azione italiana in questo settore europeo. EgH mi ha parlato come se io fossi stato messo al corrente di quella conversazione ed io me la sono cavata con vaghe risposte tenendomi sempre al largo. In altri colloqui il Ministro Mastny ed il Ministro Krofta mi hanno riparlato della conversazione GrandiBenès come di un nuovo elemento chiarificatore nei rapporti tra l'Italia e la Cecoslovacchia. Anche in que1sti due ,casi io ho fatto finta di essere informato. Ma data questa insistenza di attribuke aH'incontro Grandi-Benès un particolare carattere, e dato che io non so nulla all'infuori di quanto hanno pubblicato i giornali, ti sarei molto grato se potessi essere al corrente sommariamente di che cosa ha detto H Ministro Grandi in risposta a Benè:;. Io mi figuro già quale possa essere stato H contegno del nostro Ministro di fronte alle avances elettorali di questo irrequieto candidato, ma il fatto che i cecoslovacchi parlano molto di quel colloquio mentre io non so nulla di nulla mi pone in un certo imbarazzo che avrei caro 'potere eliminare. Non mi rivolgo direttamente al Ministro per non dargli fastidio con una questione che per lui è di dettaglio ma se tu potrai soddisfare la mia legittima ,curiosità te ne sarò davvero riconoscente. Non ho bisogno di dirti che il dott. Benès continua ad ogni occasione a dirmi che noi abbiamo gran torto di fare una politica accesamente Hloungherese ritenendosi sicuro che la Ungheria prima o poi ci risponderà a calci. Ieri sera dopo un pranzo in casa Léiwenstein egli mi ha riparlato dell'argomento accennando alla possibilità di un mutamento di governo a Budapest e ad un conseguente .rovesciamento della politica estera ungherese nel senso de1~iderato dai Cecoslovacchi. Questo tambureggiare del Ministro Benès mi lasda completamente tranquillo ma l'accenno ad un mutamento del governo ungherese non è stato fatto a caso; Benès lavora senza requie a galvanizzare le opposizioni democratiche e socialiste ~n Ungheria e :oi ritiene sicuro di una loro prossima rivincita e quindi di un trionfo più o meno vicino della sua politica (3).

(l) -Cfr. n. 31. (2) -Cfr. n. 47. (3) -Con successo t. per corriere 346 del l 3 febbraio. Pedrazzi tornava sul tema del]';:!ppvgs;io fornitQ da BeneS ai partiti dernocratici in Unghe~ia per fayorire in Quel P~-<:sc un muta1nento di regime. {( È la g:;~ar:de carta colla quale Benes crede di rompere la politica italiana nel centro Europa. Le balde speranze di Praga hanno acquistato una tale insistenza che mi è parso giusto segnalarle ».
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APPUNTO DEL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA LEVANTE ED AFRICA, GUARIGLIA, PER IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

Roma, 10 febbraio 1931.

Ho pregato questo Ministro di Jugoslavia di avere con me una conversazione prima di recarsi a Davos per intrattenersi col suo Ministro degli Esteri Marinkovich.

Il signor Rakitch è venuto oggi da me.

Gli ho detto che V. E. dopo la conversazione avuta con lui giorni or sono in occasione della ratifica de1le note Convenzioni giudiziarie mi aveva incarkato di attirare la sua attenzione sull'importante materia dei rapporti economici !italajugoslavi, giacché tale argomento non può andare disgiunto dalla trattazione dei problemi politici, anzi ne forma parte integrante e sta aUa base di tutta la questione.

Ho quindi esposto al Sig. Rakitch lo stato di fatto relativo alla bilancia commerciale itala-jugoslava, le ragioni che hanno determinato l'incontro del Sig. Tomicic •Con l'On. Jung e la sostanza delle conversazioni avvenute fra questi due personaggi (1). Ho aggiunto che dopo che in quelsto incontro si era da parte nostra esposta chiaramente la situazione, io dovevo dire quakhe cosa di più e intendevo dirla con franchezza perfino brutale: che cioè ove la situazione della nostra bilancia commerciale con la Jugoslavia non 1si fosse potuta cambiare mediante equi accordi che avessero potuto garantirci una somma di acquisti da parte della Jugoslavia in Italia corrispondente alla dfra dei nostri acquisti in Jugoslavia, noi saremmo stati costretti inevitabHmente ad accettare le proposte di altri paesi per prodotti similari a quelli che fin qui abbiamo acquistati in Jugoslavia. Ne sarebbe quindi derivato un radicale mutamento della nostra quaHtà di clienti della JugoSJlavia (clientela che abbiamo lasciata troppo facilmente sfruttare per lungili anni senza esigere una qualsiasi reciprocità) ed era naturale che ciò avrebbe enormemente influito sui nostri rapporti politici.

Dopo di avere espo1~•to più dettagl·iatamente tutte le nostre lagnanze nei riguardi economici come sono contenute nei documenti forniti dall'Istituto di Esportazione e nel senso del .promemoria dell'Ufficio consegnato a V. E. il... (2), ho concluso che per noi la questione economica andava trattata di pari paJsso con quella politica e che perciò pregavo il Signor Rakitch di far presente tutto quanto precede per parte di V. E. al Signor Marinkovich che del ·resto sapevamo essere al corrente della situazione e cosciente della gravità di essa.

In materia economi·ca l'ItaEa, ho detto, può fare al.la Jugoslavia ancora del bene assorbendo in misura anche maggiore di quello che non abbia fatto finora gran parte della sua esportazione, ciò che nell'attuale c·ri>si mondiale non è di scarso vantaggio, ma può farle anche gran male facendo cessare da un giorno

fl) Cfr. n. 58.

all'altro in massima parte tale commercio di esportazione e rivolgendosi ad altri paesi. Stava dunque al Governo Jugoslavo di considerare questo problema allo stesso piano ed allo •stesso tempo degli altri problemi politici per rendersi meglio conto della convenienza di giungere éon noi a quell'accordo generale che tutti auspichiamo ma che per essere effettivo ed utile deve procedere dalla chiarificazione di tutti i problemi esistenti nei rapporti fra i due paes:i.

Ho insistito ad arte ripetutamente su questi concetti per dare al Signor Rakitch e far dare da questi al Signor Marinkovich l'impressione esatta del no1stro intendimento di servirei della situazione di superiorità tattica in cui ci troviamo nei riguardi economici e farla opportunamente pesare nel complesso dei negoziati.

Il Signor Rakitch che mi è parso rendersi conto di tutto ciò mi ba assicurato che ne avrebbe fatto oggetto delle sue prossime conversazioni con 1V1arinkovich, ma mi ha anche detto di non essersi reso perfettamente conto delle intenzioni di

V. E. nei riguardi del negoziato politico. Se cioè la quistione albanese fos1se la sola per noi importante e se in realtà noi annettessimo un valore assai scal1so al patto di garanzia nei riguardi delila Francia offertoci da Marinkovich. Rakitch mi ha detto di aver avuto l'impressione nel colloquio con V. E. che Ella considerasse questo patto •come cosa naturale e der,ivante come semplke ·Corollario dal chiarimento della situazione albanese.

Poiché que3to era un altro tentativo di equivocare sulla questione e poiché mi è sembrato necessario cercare di togliere ancora una volta al S.ignor Rakitch l'impressione del nostro preponderante interesse ad ottenere dal Governo Jugoslavo il riconoscimento della nostra situazione in Albania (1), ho detto al Signor Rakitch .che egli non aveva forse inteso e1sattamente il punto di vista di V. E. e che io quindi mi permettevo di ripeterglielo, ma •che esso mi IS'embrava così naturale e logi:co da non dovere avere bisogno di più ampie sptegazioni.

V. E., e per essa il Governo Italiano, aveva ritenuto utile addivenire col Governo Jugoslavo ad uno scambio di idee sulla situazione dei rec~proci rapporti poliUci.

Poiché questi rapporti erano influenzati da due ordini di questioni, cioè quelle derivanti dalla situazione albanese e quelle determinate dalla alleanza franco-jugoSilava, era naturale che di ambedue questi argomenti oc·corres,se parlare se si voleva giungere a qua1lche concreta decisione.

Patto di garanzia verso la Francia e questione albanese erano dunque per noi sullo stesso piano, poiché sarebbe stato illogico di subordinare l'una all'altra delle due questioni.

Io aggiungevo oggi per incarico di V. E. la questione economica.

Non è che un argomento avesse più o meno importanza degli altri; erano tutti elementi di una comple.::sa situazione ·che bi,sognava esaminare senza reticenze e senza prevenzioni se si voleva far qualcosa di utile e di duraturo.

Del resto non occorreva che io ricordassi come la questione albanese fosse stata proprio quella che per le erronee interpretazioni date al nostro atteggiamento, aveva indotto il Governo Jugoslavo a certe reazioni contro di noi ed era superfluo ancora che io ricordassi lo 'sbattere delle porte di cui poco abilmente si era fatto autore il Sig. Nincich.

Senza voler quindi scendere in particolari a me sembrava quasi essere maggio,re interesse per la Jugos,lavia il parlare di cose albanesi piuttosto che per noi, giacché era da parte jugoslava che ci erano stati chiesti sempre chiarimenti sui nostri rapporti con l'Albania, e doveva quindi essere ragione di :soddisfazione per la Jugoslavia il sentire da parte nostra l'opinione che un amichevole scambio di idee sulla questione avrebbe potuto ora portare ad un soddisfacente riconoscimento dei rispettivi intere1ssi.

Il Signor Rakitch mi è parso essersi reso ,conto di questo punto di vista, ed allora, continuando nell'esame generale della situazione, io ho ,creduto di fare ancora un passo avanti.

Gli ho detto cioè che visto che fra quakhe tempo speravamo di .potere passare alla formulazione pratica di queste conversazioni, volevo e:;porgli fin d'ora quello che era il punto delle mie meditazioni personali circa il modo di concretare gli eventuali a•ccordi. E dò facevo a titolo aJ3solutamente pensona:le e speculativo senza impegnare V. E.

Mi pareva cioè che, stante la natura delle conversazioni che avrebbero potuto portare eventualmente ad un accordo e che investivano sostanzialmente i rapporti con terzi paesi (cioè Francia ed Albania, ed invecro mi sono sempre astenuto dal pa11lare di Piccola Intesa), sarebbe ,stato prefedbile procedere alla stipulazione di uno dei soliti patti di amicizia arbitrato e concHiazione su uno dei modelli ora in voga senza inserirvi alcuna dauso:la di carattere più specificamente politico.

La sostanza ed i risultati delle nostre conver1sazioni poEtiche avrebbero potuto invece formare oggetto di un particolare documento, sotto forma di protocollo, scambio di lettere od altro, che non avesse il carattere di un vero e proprio trattato pur conservandone lo stesso carattere impegnativo.

Questa speciale forma avrebbe permesso anche una narrativa storica di certe ls:ituazioni, uHle, secondo me, a far comprendere i punti di partenza e di arrivo delle nostre conversazioni ed avrebbe permesso pure di prendere quei tali impegni di garanzia ,reciproca in un modo più consono alle direttive generali politiche dei nostri due paesi.

Ho ereduto di fare questi accenni personali al Sig. Rakitch affinché egli cominciasse ad avere ,}'impressione tanto di una più concreta buona volontà dei nostri uffici, quanto delle proposte che potranno un giorno da noi essere fatte nella forma e 'sostanza che V. E. ed il Capo del Governo hanno già approvato (1).

Dalla mia conversazione con Rakitch ho riportato 'l'impressione che ciò non sia stato inopportuno. Rakitch partirà giovedì per Davos.

(2) Lacuna nel testo.

(l) Guariglia allude a quanto aveva detto a Rakié in una precedente conversazione del 4 febraio, perché Rakié non credesse, come anche Grandi a Ginevra aveva intuito fosse il pensiero di Marinkovié, .che l'attuale situazione dei nostri rapporti con l'Albania, la malattia di Re Zogu ecc. ci spingessero a cercare in questo particolare momento un accordo con la Jugoslavia • (appunto Guariglia per Grandi del 4 febbraio).

(l) Allude a un progetto di scambio di lettere fra Grandi e Marinkovié circa l'Albania. La minuta della lettera di Grandi fu preparata alla fin2 del 1930 " consegnata a Grandi prima

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IL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA LEVANTE ED AFRICA, GUARIGLIA, AL MINISTRO A PRAGA, PEDRAZZI

T. 1827/5. Roma, 12 febbraio 1931, ore 24.

Tua lettera del 6 febbraio (l). A quest'ora avrai ricevuto resoconto conversazioni Ginevra (2) ed avrai ri'levato che era inesatto quanto ti era stato detto costì. Previsioni poi prosJs,imi cambiamenti fra i vicini sembrano d'altra parte infondate (3).

della sua partenza per Ginevra nel gennaio del 1931. Di questa lettera esistono: una traccia di Lojacono, una minuta (quella che si pubblica qui di seguito), la stessa minuta con correzioni di Guariglia, la stessa minuta con correzioni (fatte il 5 gennaio 1931) di Galli. Il progetto di lettera fu poi ripreso e modificato nel gennaio del 1932.

n testo della lettera era il seguente:

« È stato ritenuto opportuno, da me, al momento in cui sono stati conclusi i negoziati del Patto di amicizia e di arbitrato oggi stipulato fra i nostri due Paesi, che venissero riassunti in un documento da annettere al Patto, i criteri e le intese che hanno dato origine e base ai negoziati stessi, affinché una loro esatta conoscenza possa conferire all'atto l'importanza che esso è destinato ad assumere nel generale interesse.

Ho, pertanto, l'onore di indicare qui appresso tali criteri ed intese, dei quali l'E. V. vorrà compiacersi darmi atto :

-Il Governo Italiano ed il Governo Jugoslavo hanno avuto ripetute occasioni di constatare come la conservazione della pace generale sia la base fondamentale ed essenziale delle rispettive direttive politiche;

-I due Governi si sono trovati d'accordo nel ritenere che la più efficace preparazione per le desiderate garanzie di sicurezza della pace generale sia costituita dal preliminare chiarimento delle situazioni particolari fra gli Stati;

-Hanno concordemente riconosciuto che un chiarimento della situazione itala-jugoslava presenta, in tale ordine di idee, un interesse di speciale importanza sia nei riguardi della sicurezza generale europea che e soprattutto in quelli particolari dell'Europa Orientale;

-A tale scopo i due Governi hanno ritenuto necessario di procedere ad un amichevole e generale esame dei problemi che, direttamente od indirettamente, interessano le relazioni fra i rispettivi Paesi, in modo da poter chiarire e sistemare in concreto le basi necessarie dei rapporti di sincera e fiduciosa amicizia che formano lo scopo e l'oggetto del Patto relativo;

-Fra l'altro, l'esame dei due Governi si è, conseguentemente, portato sulla situazione albanese, affinché un chiarimento anche di questa situazione possa completare quelle amichevoli conclusioni colle quali si è inteso eliminare ogni motivo che possa comunque contribuire, in avvenire, a turbare la sincerità delle relazioni di amicizia che si vogliono consolidare fra i due Stati;

-In seguito a tale esame, il Governo Jugoslavo ha preso conoscenza ed atto degli interessi che l'Italia ha attualmente in Albania ed ha riconosciuto che gli stessi, come pure gli accordi che ii Governo Italiano ha concluso col Governo Albanese, registrati alla Società delle Nazioni, mirano unicamente a salvaguardare Ia piena indipendenza ed integrità dell'Albania e la sicurezza italiana, in conformità dei principi contenuti nella Dichiarazione della

Conferenza degli Ambasciatori del 9 novembre 1921. Conseguentemente a tali sue ricono

sciute direttive, avendo il Governo Italiano dichiarato che l'esercizio o tutela dei detti interessi italiani in Albania, come ugualmente l'applicazione dei menzionati accordi col Governo Albanese. non comporterà in alcun caso direttive capaci di creare, sia in territorio albanese che oltre i limiti delle frontiere dell'Albania, alcuna attività od azione contraria agli interessi del Regno di Jugoslavia ed alle sue amichevoli relazioni col Regno di Albania, il Governo Jugoslavo ha dichiarato che. dal canto suo, intende contribuire a tale pacifico assetto della situazione albanese coll'assicurare che non permetterà che si crei all'interno delle frontiere del Regno di Jugoslavia alcuna azione tendente a nuocere all'ordine interno o comunque agli interessi del Regno di Albania;

-I due Governi hanno, poi, riconosciuto l'opportunità di una dichiarazione reciproca che nell'applicazione dei Trattati, Convenzioni ed atti internazionali da essi singolarmentegià stipulati con altri Stati, come pure nella eventuale stipulazione futura di tali Trattati. Convenzioni ed atti internazionali, essi non contempleranno niente che sia in contrasto cogliinteressi rispettivi del Regno d'Italia o del Regno di Jugoslavia e colle relazioni di amicizia consacrate nel Patto;

-A compimento di tali intese, e nel desiderio che il Patto di amicizia fra Italia ed Jugoslavia possa ulteriormente sviluppare l'efficienza del suo contributo alla sicurezza generale, con riguardo speciale alle situazioni dell'Oriente Europeo, i due Governi convengono di intensificare i loro contatti politici ed assumono impegno di consultarsi previamente qualora le situazioni indicate avessero ad occasionare manifestazioni concrete della politica dei due

Governi».

(1) -Cfr. n. 61. (2) -Cfr. n. 31. (3) -Il 10 febbraio Guariglia, nel trasmettere a Ghigi la lettera Pedrazzi perché ne <lesse comunicazione a Grandi, aveva scritto: « Mi pare che occorra una risposta e subito... Resto in attesa di istruzioni per prep3.rarla ».
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fiL MAGGIORE RENZETTI] A ... (1)

Berlino, 12 febbraio 1931.

È venuto a trovarmi il 6 corrente il Segretario generale degli Elmetti di Acciaio per comunicarmi la decisione presa di indire il referendum per lo scioglimento della Dieta prussiana. Mi ha detto che l'Associazione è decisa di andare fino in fondo e che conta sull'aiuto degli altri gruppi. Certo è che al plebiscito

o referendum che chiamare si voglia, hanno aderito anche i populisti e l'Ordine dei Giovani tedeschi, ritengo io per timore di ess,ere tagliati fuori dalla massa elettorale, -fatto questo che dovrà preoccupare le sinistre.

Mi ha poi chiesto se la pellicola di Coblenza (2) era piaciuta al Duce. Ho risposto che io l'avevo ,consegnata ma che non sapevo quale im:Jre3sione aveva fatto a S. E. il Capo del Governo.

Sono poi tornato sull'argomento Dusterberg e il Wagner mi ha fatto comprendere come ,si pensa già, da parte della direzione dell'A1ssociazione di inviare un Capo importante ad ossequia,re il Duce. Io ho insistito sul fatto della cretineria compiuta, ,che Hitler ha definito una monumentale bestialità e il Wagner ha perfettamente ri,conos:ciuto ciò: ho fatto però comprendere, dato che gli Elmetti costituiscono una potenza in Germania, che era possibile rimediare al mal fatto. Anche in questo senso ho parlato con alcuni membri del Direttorio mentre mi riprometto poi di discuterne con Morolsov1itz, Von Biilow, il deputato Schmidt Hannover ed altri che ho invitato a pranzo il 18 corrente.

Ho avuto oggi a co,lazione Wagner ed altri della Direzione degli Elmetti.

Essi nutrono molta fiducia nelil'esdto del plebiscito. Mi hanno detto di avere letto

nei giornali tedeschi 'la notizia degli Istituti germanico ed italiano che verranno

presto fondati, ma che si sono meravigl,iati della scelta d!i Colonia, città retta da

un Borgomastro ambiziosissimo ed abilissimo appartenente al centro e anzi alla

frazione più a isinistra dello stesso. Essi temono che l'Istituto divenili un organo

del centro o dell Vaticano e consigliano di prorogarne la apertura in maniera

da poter eventualmente prendere altre decisioni non appena ·sia diventata più

forte ,la destra. Colonia è attualmente completamente in mano al centro. Ade

nauer, Bra... (3) e Barthels socialisti, costituiscono 'Il consiglio supcremo pruss,iano.

Come ho fatto costantemente dal mio ritocrno in poi, ho dimostrato al Wagner e agli alteri che ,la politica di Bcruning si basa lsuHa illusione di riuscicre a ingannacre la Francia, illusione pecricolosa che lo porta a diventacre schiavo dei socialisti. La Francia non accocrdecrà alla Germania crediti a lunga scadenza poiché questa, date le focrze nazionalistiche, non potrà dare alla Francia Je garanzie che richiede. Solo se le sini.stcre 1riuscissecro a porcre il bavaglio alle destcre, affluicrebbe il capitale. Ma, ho aggiunto, di qui a poco, i capitalisti fcrancesi

saranno obbligati -poiché vogliono ritrarre utili dal denaro che posseggono, di trovare degli impieghi all'estero. Ora .la Germania, se riuscirà a mantenere l'ordine in casa propria, riuscirà ad ottenere il denaro egualmente senza bisogno di offrire garanzie di ordine politico: dalla Francia o dall'America. Non vi è quindi bb:ogno di prestarsi al piano ordito (pdano d'Ormesson, offerta di crediti, rialzo momentaneo dei titoli) dagli interessati tedeschi e francesi, piano troppo grossolano e troppo unilaterale per essere accettato e ·portato a compimento.

Ho fatto poi rilevare -e questo ha trovato larga eco -il pericolo che corrono i nazionalisti impegnandosi troppo nei lavori al Reichstag. Già fino dal l febbraio io ho loro dichiarato che essi non potevano attendersi che una serie di sconfitte e che :pertanto avrebbero dovuto trasportare la :loro attività altrove. Le masse, io ho detto, non debbono rimanere disoccupate. Esse hanno bisogno di piccoli successi, di essere scosse continuamente: non possono rEJ3tare fino alla primavera del 1932 inoperose e ascoltare o filippkhe o promesse vaghe. In tali condizioni diventano preda delle sinistre le quali sono abilissime nell'arte di manovrare gli uomini, di insinuare loro dei dubbi.

Il Wagner mi ha confessato che l'Ambasciatore Schubert ha inviato dei rapporti sfavorevoli all'Italia, ciò che ha dato motivo (e vd ha dato motivo anche la circolare di Diisterberg) (l) ritengo io, -lo saprò 1più tardi, -agli atta<cchi appa11si sul Volkischer Beobachte1· e che hanno portato alla sua pro1biz.ione. Al locale Ministero degli esteri, sono furenti appunto perché è :stata detta la verità.

Da parte dei nazionalsocialisti, mi è stato detto che il Maggiore Pabst vuole farsi una posizione in Germania ove si spaccia quale persona grata al:l'Italia. Esso è screditato in Germania: fino al 1925-26-27 ha scritto ed op,erato contro l'Italia mentre i nazionalsociaUs;ti (Hitler, Gi:iring, Rosenberg) fin dall'inizio hanno sostenuto apertamente la necessità di una intesa ita1o-tedesca lasciandosi anche accusare di venduti e di traditori.

A proposito di persone grate all'Italia ed al Fascismo, mi permetto subordinatamente di proporre di lasciare che le re:lazioni con le destre vengano tenute JSolo attraverso lo scrivente per evitare confusionismi e danni a noi, per seguire una unica linea e per evitare che i nostri avversari si impadroniscano dei nostri piani.

Ho parlato con il Principe di Assia il quale è un buon amico di varie personalità della destra ed è un ottimo amico dell'lta,lia. Desidera che il Gi:iring, a Roma sia suo ospite.

Con lil Gi:iring ho oggi concertato un piano per il suo viaggio che sarà motivato dalla necessità di trattare delle questioni di aviazione civile. Gli ho fatto scrivere delle lettere al riguardo in maniera da procacciars·i prove irrefutabili, nel caso di attacchi e per prevenire accuse. Io ritengo che per ora ·convenga che la visita venga tenuta nas·costa: se ne dirà invece non appena la !situazione sarà modificata. Aceludo tre articoli scritti dal Gi:iring vari anni orsono, sulle relazioni

italo-tedesche.

Poiché s:i va affermando che Schacht, Thyssen e gli altri, si sono distaccati dai nazionalsocialisti, ritengo opportuno far presente che ciò non corri:sponde alla realtà. Non più di tre giorni fa, il capo della Reichwehr, il Generale Hammerstein, ha avuto un lungo col·loquio con Hitler. Thy,ò:sen, Schacht, uno dei direttori generali delle D.D. Banche (400 milioni di marchi di capitale), von Strauss ecc. sono in continui contatti con gli hitleriani che ora, dietro mio consiglio, diventeranno più moderati nelle loro manifestazioni orali rper permettere a personalità anche di altri gruppi di accostarsi al loro movimento. Apparentemente le sinistre poslseggono oggi una superiorità: in realtà si tratta di un fatto passeggero che potrà solo durare sino alle prossime elezioni. Sono difficili da prevedere gli sviluppi della situazione tedesca ma non è difficile elencare quanto può farla [modifi]care. L'uscita delle destre da•l Reichstag, il referendum degli E:lmetti, (:l'aumento] del numero dei disoccupati (io prevedo che si giungerà ai 5 mHioni e mezzo ben presto), l'aumentare del deficit del bilancio nel quale diminuiscono :le entrate mentre aumentano le uscite, possibili disordini aH'interno, :la morte o :la conversione di Hindenburg, un cambiamento di idee della direzione della Reichwehr, un fatto specifico importante minacciante la integrità tedesca, una possibile accentuazione di pretese da parte deHa socialdemocrazia. Il Paese è :in fermento e bene hanno fatto gli Elmetti ad indire il referendum, i socialnazionalisti ad abbandonare il Reicl1'3tag in quanto hanno impedito che il fermento si pàacasse. Avrebbe significato ciò :la caduta della rivoluzione, la dedizione alla Francia, il trionfo della socialdemocrazia e della massoneria. Su tali avvenimenti non avevano contato coloro i quali già prevedevano, gongolanti, il crollo dei gruppi di destra e che oggi hanno già perduto :la [oro baldanza. È bene quindi ·che noi, qualunque possano essere g1i avvenimenti futuri, pur mantenendo relazioni corrette con l'attuale Governo, si sia rima:sti senza compromettersi fiduciosi, per mio mezzo, a continuo contatto con le destre le quali di ciò ci sono e ci saranno, -almeno per un certo tempo -grate.

(l) -Il destinatario è ignoto. II mittente è con ogni probabilità Renzetti. (2) -Cfr.· serie VII, vol. IX, p. 366, nota 3. (3) -Lacuna nel testo: Braun?

(l) Cfr. serie VII, v::>l. IX, P. 668, nota l.

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APPUNTO DEL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA LEVANTE ED AFRICA, GUARIGLIA, PER IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

Ronw, 13 febbraio 1931.

Il Ministro d'Ungheria mi ha pregato di portare a conoscenza di V. E. le seguenti impressioni e notizie che il Conte Bethlen dé2idcra farLe note dopo il suo viaggio a Vicnna.

Il Conte Bethlen ha riportato una i!npresdone favoTevole circa la situazione politica interna austriaca e circa. l'attuale contegno di Schober tanto nei riguardi dell'Italia, quanto in quelli dell'Ungheria.

Schober si è affrettato ad accettare senz'altro la proposta di collaborazione austro-ungherese alla prossima Conferenza del disarmo e ne ha fatto cenno anche pubblicamente nel suo discorso.

S.ehober ha detto anche a Bethlen che il transito delle note armi si potrebbe ormai effettuare es:o,endo egli riuscito a far pulizia nella Direzione delle Ferrovie; occorre però attendere una ulteriore sua comunicazione a questo riguardo.

Circa le Heimwehren Schober ha promesso di dare la sua opera personale a una migliore organizzazione deUe loro forze e di cercare di provvedere anche in certo modo alla mancanza di mezzi finanziari di cui esse soffrono.

Schober ha più che mai poca fiducia nel talento politico di Starhemberg, ma ha assicurato che farà del suo meglio per assisterlo e appoggiarlo; d'altra parte Starhemberg avrebbe anche prome~;;o di calmare i suoi risentimenti e ritornare a un<'. fiduciosa collaborazione con Schober.

Circa il viaggio di Schober a Praga, questi ha detto che avrebbe cercato ancora delle scappatoie per dilazionar;lo, subordinandolo specialmente alla conclusione del Trattato di commercio austro-cecoslovacco e all'accettazione, da parte ceca, dell'arbitrato del Tribunale dell'Aja per le questioni di espropriazione.

In sostanza Bethlen è di parere che l'attuale Governo austriaco presenti una certa 1stabilità anche per il ,prestigio che ha nel paese il Cancelliere Ender e che pertanto si possano affrontare senza troppa difficoltà le elezioni.

Quanto allo scambio delle note segrete circa la reciproca consultazione austro-m1gherese, se ne stanno concretando le formule (1).

Il Ministro Hory mi ha infine confermato che il Signor Apor si è recato a Innsbruck ,per esaminare i conti de1l-:c Heimwehren e ,li ha trovati in regola (2). Mi ha pure confermato che il Conte Karoly si propone di venire in Italia alla fine di marzo prossimo in occasione deHa Conferenza del Grano.

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RELAZIONE DEL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA LEVANTE ED AFRICA, GUARIGLIA, PER IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

N. 205539/24. Roma, 13 febbmio 1931.

In una conversazione avuta ieri con questo Ministro d'Austria ho creduto opportuno non dissimulargli la mia sorpresa rper le dichiarazioni ,che egli ha fatto a V. E. per spiegare l'attuale stato di perples1sità delle relazioni italo·· austriache; e cioè che Schober av,rebbe avuto durante la sua visita a Roma delle

• promesse , dal Capo del Governo circa il trattamento degH allogeni in Alto Adige e che queste promesse non erano state mantenute (3).

Gli ho detto che non mi constava che durante la visita di Schober a Roma si fosse mai parlato in alcun modo di Alto Adige. La .sola persona che aveva tentato un accenno su tale questione era stato il Signor Peter con me; ma io gli dissi nettamente che non era il caso menomamente di parlarne.

Egger mi ha risposto che si trattava di un equivoco, che egli aveva già chiarito con V. E. (l) spiegando che voleva .pal"lare di • speranze » e non di " promesse » e riconoscendo che durante la vi13lita di Schober nessuno aveva mai messo il discorso sulla questione dell'Alto Adige.

Ho approfittato della conversazione per ripetere per l'ennesima volta ad Egger l'inopportunità di menzionare anche accademicamente la questione dell'Alto Adige. Noi sappiamo bene che gli irredentisti altoatesini non hanno intenzione di limitare le loro richieste alla protezione della cultura tedesca ma hanno invece vere e proprie mire territoriali.

È inutile quindi di venirci a fare dei dils.corsi ipocriti ed è meglio mettere risolutamente da parte la questione nello svolgimento delle relazioni politiche itala-austriache.

Noi crediamo che si possa essere amici anche quando da una parte si r-itiene esservi una piccola cambiale in sospeso e dall'altra non si intende menomamente riconoscere quaisiasi debito, poi<ché l'oggetto del dissenso non ha in realtà molta importanza di fronte agli altri problemi ben più gravi in ·cui si manifesta un interesse comune.

Tutto quello che c'è da fare è di non parlare dell'oggetto stesso del dissenso. Invece da parte austriaca assistevamo da anni al ridi·colo spetta•coio che tutte le questioni lsi portavano al denominatore comune dell'Alto Adige.

Per conto mio ho prevenuto il Ministro d'Austria che non accetterò più una .conversazione neanche amichevole sulla questione. Ciò posto non posso però esimermi dall'attirare l'attenzione di V. E. su due fatti: uno di natura particolare e l'altro di natura generale.

0 ) Certo Signor Decani ·Si è recato ad Innsbruck ed ha avuto abboccamenti con noti esponenti dell'irredentismo Alto-atesino dicendo1si autorizzato da Autorità italiane a trattare per trovare una soluzione della questione (2).

Il console ad Innsbruck si è giustamente allarmato di questa stolida iniziativa e come V. E. sa, il Capo del Governo ha dichiarato che la missione Decani era una • automissione •. Senonché giunge ora il rapporto qui acduso. (3) dello stesso Signor Decani, il quale è rivolto ad una • Eccellenza » che sembra non possa essere altro che H Prefetto di Bolzano.

Per parte mia quindi non posso escludere che il Decani abbia ricevuto per lo meno degli incoraggiamenti. Quali siano stati poi i brillanti risultati delle trattative Decani lo dimostra la lettera che il Signor Reut-Nicolus.si ha diretto

allo stesso Decani e che questi non si perita di accludere ana sua relazione. Il Signor Decani è stato ad Innsbruck sostanzia,lmente per farsi dichiarare dal Signor Reut-Nicolussi che: • Die Si.idtiro1er sind Deutsche in ihrem eigenen Lande»,

Su tutto ciò ho creduto di attirare l'attenzione di V. E. poiché è mia profonda convinzione personale che 'la difficile polHica dell'affermazione dell'italianità neH'Alto Adige è esegu~ta malissimo daUe Autorità locali, che vanno da inutili eccessi ad inconcludenti iniziative.

2°) Nel recente viaggio del Signor Beth1en a Vienna si è parlato, come appare dall'acclUiso rapporto (1), anche delle relazioni ita,lo-austriache. Da parte ungherese si è osservato a Schober che se ta1i cretlazioni non sono ora del tutto soddisfacenti, ciò è dipeso dal contegno dello stesso Schober ve11so le Heimwehren durante le ultime elezioni. Mi sembra ,che que1ste affEmmazioni ungheresi meritino una rettifica; ma mi sembra anche che valga la pena di cogliere questa occasione per spiegare ai signori ungheresi che fintanto che Schober intenderà approfittare delle buone disposizioni dell'Italia soltanto per dare delle soddisfazioni agli irredentisti altoates:ini e fin quando egli andrà a far la ~corte ai pangermanisti di Monaco, non è possibile trovare con lui una ,sincera via di intesa.

Mi 1sembra utile toccare con gli Ungheresi il prob}ema pangermanista poiché essi non si rendono abbastanza conto dei nostr,i interessi e della nostra gelosia assoluta in tal materia ed hanno del resto fra di :loro stessi autorevoli convinti fautori del pangermanesimo. D'altra parte non 19arà male insistere spesso nello spiegare all'Ungheria che la revisione del Trattato di Trianon non implica necessariamente quella del Trattato di San Germano

In questo senso ,preparerei una lettera ad Arlotta se V. E. approva (2).

(l) -Cfr. serie VII, vol. IX, p. 716, nota l. (2) -I conti sono ed. in L. KEREKES, Akten zu den geheimen Verbindunaen zwischen de'T Bethlen-Regierung und der iisterreichischen Heimwehrbewegung, in .Acta historica», XI. Bud:o.pest 1965, e IDEM, Abendcliimmerung einer Demokratie, Mussolini, Gombiis und die Heimwehr, Wien · Frankfurt Ziirich, 1965. PP. 200-218. Cfr. quanto aveva comunicato Auriti il 27 gennaio: " Ho detto ad Apor che Steidle poteva essere in buona o in mala fede ma io lo credevo in mala fede; se tutti i danari erano stati spesi, donde venivano fuori quelli che Pabst aveva detto a Morreale doverci ancora rendere? Ad ogni modo, come già avevo dichiarato a Starhcmber~ vari me~d fa, credevo inutile tornare ora salla questione. Una prova cnrvincente dell'onestà di Steidle non si sarebbe mai avuta, i quattrini consegnati a lui non si sarebbero mai rivisti, e uno scandalo contro di lui avrebbe danneggiato la causa delle Heim\Vehren senza avvnntaggi:::tre nessuno: del che anche Starhemberg è convinto ». (3) -Cfr. p. 88. (l) -Il 5 febbraio, in un colloquio sul quale Grandi riferì per lettera a Mussolini lo stesso giorno (Archivio Grandi). (2) -Su Carlo Decani aveva riferito Ricciardi con t. posta 459/44, Innsbruck 25 gennaio. A margine Mussolini aveva annotato: « automissione ». Ghigi aveva redatto un appunto per la Dir. Gen. Europa Levante e Africa: «Preghiera di scrivere al Ministero Interno ed al Console Generale Innsbruck nel senso della postilla di S. E. il Capo del Governo». Da un promemoria dell'Ufficio Stampa del 15 marzo, trasmesso il 3 aprile alla Dir. Gen. E. L. A .• risulta che Decani era in rapporto con l'Ufficio Stampa. (3) -Non si pubblica.
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L'AMBASCIATORE AD ANGORA, ALOISI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

TELESPR. 362/157. Angora, 14 febbraio 1931.

Dopo la chiusura dei lavori a Salonicco della sessione del Consiglio della Conferenza balcanica il Presidente della Delegazione Turca Hassan bey ha fatto ad un giornalista turco le dichiarazioni contenute nell'articolo di giornale qui unito (3).

Esse sono assai generali e non si distaccano da quelle precedentemente fatte alla prima conferenza Balcanica tenutasi ad Atene. Tuttavia viene espressa anche questa volta la speranza di realizzare il voto della prima conferenza e cioè quello di riunire, lse proposto, ad Istanbul i Ministri

degli Affari E,steri dei sei Stati, voto questo tendente a dare una certa impronta di officiosità a questa riunione che non sembrerebbe opportuna.

Ho creduto pertanto di intrattenerne in proposito questo Ministro degli Esteri, il quale ha voluto rassicurarmi riaffermandomi che il Governo turco si atterrà strettamente alla sua politica balcanica conosciuta da V. E., e cioè di stretto riavvicinamento con la Grecia e la Bulgaria.

Non ho ins,istito, trattandosi di una notizia che non ha ancora preso fondamento, ma ho profittato dell'occasione per dire chiaramente a Tefik che ogni alterazione nella poliUca balcanica concordata con V. E. è un argomento estremamente delicato per il R. Governo, e che mi attendevo pertanto che qualsiasi iniziativa o mutamento o tendenza in proposito fosse tempestivamente concordato con V. E.

II Signor Tefik mi ha dato la più grande a:ssicurazione al riguardo, ma sarà mia cura di vegliare (1).

(l) -Allude forse al n. 51, ovvero al rapporto sulle Heimwehren preannunziato da Arlotta in questo documento e che non si è trovato. (2) -Questa lettera non è stata trovata. Istruzioni ad Arlotta -ma su altri problemi furono inviate il 9 marzo (cfr. n. 121). (3) -Non si pubblica.
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IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. POSTA 619/324. Vienna, 14 febbmio 1931.

Ieri è venuto da me a colazione Starhemberg che non vedevo da parecchio in seguito alla sua e alla mia indisposizione nonché al suo lavoro di questi ultimi tempi nelle provincie.

« A mio avviso, meno si scriverà in proposito nei giornali stranieri, specialmente neL:~

nostri, e meno si accenderanno i fuochi di paglia dell'entusiasmo panbalcanico che fa

superficialmente della xenofobia ver darsi un ubi consistam extrabalcanico.

Debbo rilevare che sempre più parmi si vada accentuando in queste riunioni, un atteggiamento della Turchia volto a trarre il massimo vantaggio dalle numerose diatribe che vi si manifestano. La Delegazione turca, che nell'ottobre scorso tenne in Atene un atteggiamento di calcolata riserva dinanzi a tutte le questioni difficili e di ponderato entusiasmo in tutte le occasioni atte ad una facile retorica, stavolta a Salonicco si è assunta il compito di smussare gli angoli e di cercare le formule conciliative, ottenendo in cambio che il Consiglio emettesse un voto di una certa importanza politica quale quello che il Ministro degli Esteri di Turchia si faccia iniziatore di una riunione dei suoi colleghi balcanici per uno scambio di vedute sulla possibilità di un'intesa.

Un voto di tal genere potrebbe costituire un alibi utilissimo per un ministro degli esteri balcanico non privo di ambizione che sapesse e volesse servirsi dell'idea panbalcanica come di un paravento. Ignoro per ora quale sia il pensiero di queste sfere ufficiali, alle quali non saranno certo sfuggite le sfum?.ture dell'atteggiamento turco dall'ottobre scorso ad oggi, ma poiché la Delegazione turca ha nel suo s<>no uomini autorevoli che godono tutta la fiducia del Governo di Angora, tali sfumature possono avere un valore sintomatico che ho ritenuto opportuno di segnalare a V. E. ».

Con telespr. 540/219 del 6 marzo Aloisi scriveva:

« Tefik bey, e questi dirigenti, affettano volentieri di non dare peso eccessivo a queste Conferenze balcaniche: ma è certo r-erò che, credano o no all'efficacia di esse, profittano in ogni modo di questi movimenti di idee per avvantaggiare ancora il prestigio della Turchia sia nel compimento della politica sud-balcanica da noi appoggiata e sia nei maggiori possibili sviluppi di questa. Tale condotta opportunista rientra, come ben si comprende, nel quadro degli intenti di questo Governo Nazionalista.

Per quel che ci riguarda, il problema si presenta nel contenere questa tendenza nei limiti da noi voluti: pertanto nelle conversazioni che io svolgo con questo Ministro degli Esteri mi adopero costantemente, per contrast&re la sua fervida fantasia, a dimostrargli ì rischi eli allontanHrsi a nostra insaputa dalla politica da noi seguita, rammentandogli opportun2mente in pari tempo gli obblighi del più grande affiatamento in tale materia col

R. Governo. Ed anche ieri, per la terza volta, mi ha dato le più grandi e fiduciose assicurazioni al

riguardo: e sen1brava sincero. Ma non nascondo a V. E. che per evitare i di lui scarti.

Mi ha spiegato innanzi tutto perché non avesse mandata finora la lettera promessa (mio telespresso 148 -282 Al) (1). L'epoca in cui doveva scriverla coincise collo scoppio dei suoi dissensi con Steidle, Fey e gli aUri capi provinciali delle Heimwehren (mio telespresso 187 del 31 gennaio u.s.) (2). Egli non credette perciò opportuno di mandarla proprio quando poteva apparire incerta la sua permanenza alla testa di tutto l'ordinamento. Ma ora che, superate le prime difficoltà, la situazione si è chiarita e la sua posizione consolidata, si propone di scrivere a 'lungo a S. E. il Capo del Governo per dargli ogni più utile e particolareggiata informazione. Tutto considerato, non è malcontento dello stato pre.sente di ·cose. Non era .possibile continuare ad andare avanti come sino a qualche mese fa, giacché era ·inconcepibile che ogni capo provinciale obbedisse a quello supremo se e in quanto gli piac•esse. La disciplina s,i va un po' alla volta ristabilendo, e la sua autorità consolidando. In varie province essa è già pienamente accettata, e in altre è in via di accettazione. La provincia nella quale le difficoltà paiono tuttora suslsistenti è H Ti:rolo, ove egli si recherà fra giorni e ove però è persuaso gli riuscirà di regolare le cose. Stetidle va perdendo terreno, ciò che gli impedirà di ·svolgere un'azione efficace a vantaggio dei :lìrancesi, dai quali Starhemberg è convinto che nel recente viaggio a Parigi abbia ricevuti fondi. (Questa ipotesi appare anche a me ammissibi·Ie, conoscendo i precedenti e le abitudini di Steidle e considerando l'interesse che i francesi mc1::trano da quakhe tempo per H Tirolo). Se con questo lavoro di ristabilimento dell'autorità e della disciplina il numero delle Heimwehren diminuirà, tale diminuzione non sarà grande e sarà compensata dalla maggiore unione dell'organizzazione, ciò che è premessa necessaria per l'ulteriore lavoro il quale non potrà però inizia.rsi se non in primavera. Anche per quanto riguarda il sovvenzionamento regolare da parte di questi industriali non ha preoccupazioni. I cristiano-sociali perseverano nel proposito di avere le Heimwehren al loro seguito, ma egli non intende fare ancora il loro giuoco. Con Schober ha rapporti di semplice cortesia. Con gli Hitleriani le relazioni hanno un po' perduto di asprezza. Non prevede per ora mutamenti nella situaz,ione politica e nel Gabinetto, tanto più che Seipel è tuttora assente e da quanto gli risulta non ancora guarito affatto dall'inizio di tubercolosi manifestatosi tempo fa. In condusione egli è tranquillo e fiducioso e crede che il tempo e la crisi economica lavorino per lui.

Dopo pres,i con me accordi circa l'opportunità di tenere in rapporto il nuovo capo del ·suo ufficio .stampa con Morreale, Starhemberg si è accomiatato da me ripetendomi che non ha punto messo da parte il progetto di tornare a far visita

occorrono assidui e vigili contatti, per sviare le di lui idee appena esse si maturino. Ciò che non manco di fare ».

L'ufficio III della direzione generale Europa Levante ed Africa diede visione a Grandi di questo telespresso, allegandogli il seguente appunto del 16 marzo: "Di particolare interesse, in quanto viene, finalmente, a confermare l'ottimo fondamento delle raccomandacioni di cauta vigilanza sulla politica estera turca, a suo tempo fatte dal Ministero a S. E. il Barone Aloisi ».

« A proposito delle voci che gli attribuivano l'intendimento di compiere un putsch o di sollecitare un colpo di Stato, lo Starhemberg ha affermato di essersi sempre reso conto che l'uno o l'altro tentativo avrebbero portato ulla rovina l'Austria, la quale deve essere guidata tenendo conto, più che dei c!"iteri politici e militari, è elle preoccupazioni finanziarie >).

11 ~

l)

a S. E. H Capo del Governo (l); ma vuole attendere che le difficoltà interne di partito siano completamente e definitivamente so-rmontate.

(l) Sulla conferenza balcanica cfr. anche quanto comunicava Bastianini con telespr. 679/102, Atene 6 febbraio:

(l) -T. posta s. 282/148 del 20-27 gennaio: proposito di Starhemberg di inviare una lettera a Mussolini. (2) -Di questo documento si pubblica solo il passo seguente:
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L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, DE VECCHI, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI (Archivio Grandi)

L.P.RR. Roma, 14 febbraio 1931.

Ho eseguito !subito il tuo ordine. Ieri venerdì 13 ho veduto il Cardinale Pacelli e gli ho fatto presente che H Capo del Governo trova contrastanti colla sovranità ~su Roma del Re d'Italia le datazioni da • Roma .presso San Pietro " che il Papa fa dei suoi atti ufikiali. Il Cardinale mi ha ri.~,posto 'Che tutti gli atti del Papa quale capo della cri1stianità e cioè afferenti allo • spirituale • e non al

• temporale • debbono essere datati da Roma per·ché il Pa,pa è tale in quanto è appunto il vescovo di Roma. Ha soggiunto che anche il • motu proprio • 18 gennaio, pubblicato 1sull'Osservato1·e dell'Il febbraio e che ha fermata la tua attenzione deve ritenersi afferente allo spirituale e non al temporale, in quanto modifica i sigilli per le • Lettere Apostoliche • o " Bolle • che trattano esC'lusivamente del governo s:pkituale del successore di Pietro su tutto H mondo.

Ho fatto considerare al ·cardinale che: nes,suno contesta al Papa la qualità di vescovo di Roma, ma ~che, pretendendo Egli di eo1sere nel ·contempo un sovrano temporale e potendosi equivocare sui confini fra l'una e l'altra potestà, non sembrava ammissibile al R. Governo che Egli potesse datare qualunque dei suoi atti di governo temporale o spirituale se non dal :proprio territorio che è ·la • Città del Vaticano • e non • Roma •. Che pertanto una tale datazione: • Datum Romae etc. • veniva a violare secondo me il trattato del Laterano.

SiC'come la cosa prendeva una piega meno serena, così ho creduto opportuno di troncare la discussione ~coi più amabili sorrisi e ·con diversivi aH'al'gomento. Il Cardinale Segretario di Stato mi ha promesso che ne avrebbe parlato al Papa, ed io l'ho invitato a farti tenere una precisa risposta da'l Nunzio Apostolico Monsignor Borgongini, anche perché questi senta dalla tua viva voce e viporti direttamente al Papa, diffidentissimo e semp1·e in mala fede, la volontà del R. Governo in questa delicata questione.

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MALAGOLA CAPPI, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI

L. P. Belgrado, 12, 13, 14 febbraio 1931.

Arrivato a Belgrado il giorno 12 sono stato trattenuto a colazione dal Re; eravamo lui ed io soli.

Il discorso è caduto sul suo viaggio a Zagabria, ed il Re s,i è mostrato molto soddisfatto del suo soggiorno in quella città, della accoglienza ricevuta e dei molti e caratteristici doni avuti da ogni ceto di cittadini:

• On m'a fait cadeau aussi d'une très belle maison, car on désire que j'aille souvent à Zagreb, mais il faudra maintenant penser à la meubler, car il n'y a presque rien. Il faudra donc que yous y aUez bientòt avec le Général Voukovitch (direttore della Corte) pour me dire ce que vous en pensez ».

Dolendosi poi dell'incidente della bomba ha pronunciato questa frase:

• ... L'affaire de la bombe a été monté et payé par l'Italie ».

Alle quali parole io ho subito ribattuto che sebbene non pratico degli oscuri ingranaggi della ·politica, questa era una as-surdità, poiché non era assolutamente credibile che l'Italia potesse entrare in una cosa simile.

• Mais, mon cher, nous avons maintenant toute l'organisation dans les mains, et nous 1savons très bien (not,re police est excellente), que pour cette affaire OD a reçu des Lire •.

Ho risposto: • ... ça c'est une autre question, et des Lire on peut en avoir partout, mais si l'Italie entraìt ,pour quelque chose dans l'affaire, elle aurait probablement payé en Dollars ».

Credo dover specialmente segnalare questa precisa opinione di Sua Maestà.

• ...De la part de l'Italie c'est vra~ment une politique d'entétement, on s'entéte à ''.:>uloir nous créer des embarras, mais ils ne réussiront absolument à rien.

Si moi, comme militaire, je voulais prendre une position, je ferais naturellement tout mon po::,sible pour y réussir, mais une fois que je fusse persuadé que je ne pourrais absolument pas la prendre, et que je ne ferais que perdre mes hommt;!S et mes munitions, je me retirerais... L'Italie devrait désormais étre persuadée qu'elle ne réUJ;;sira pas à nous créer des ·catastrophes et que cette politique d'entétement lui coute un tas d'argent, sans aucun résultat (1).

ça serait beaucoup mieux de faire une bonne politique de loyale et franche amitié de laquelle nous aurions de grands avantages réciproques... en laiSio:,ant

Non che non esistano oscurità cd incognite ed imprevisti. Vi sono come in ogni situazione politica, ma quanto obiettivamente si percepisce non è tale da far credere a prossime possibili convulsioni. Diversa affermazione, pur con ogni possibile riserva, sarebbe leggera ed incauta •.

Con successivo t. posta 695/239 del lO febbraio Galli comunicava:

• Ripeto il Governo Dittatoriale non ha che resistere ed attendere. Ad onta dei suoi insiti difetti (regime senza controllo, favoritismo amministrativo, censura di stampa ed abusi di polizia) e le difficoltà economiche finanziarie (crisi economica in aumento, diminuite esportazioni, ancora non concluso prestito) esso non ha che da guadagnare dal tempo, a meno di impreveduti avvenimenti dei quali peraltro nessun occhio obiettivamente attento

scorge alcun sicuro sintomo».

11 ì

de còté la sentimentalité on pourrait faire égoi:stiquement comme une combinaison co~merciale; ... pourquoi pas essayer de faire une épreuve par exemple de trois ans et tàcher de tirer les plus grands avantages de cette combinaison commerciale, er;. faisant en meme temps une loyale et franche politique?

On est toujours à temps de reprendre la politique des hostilités si on la trouve plus avantageuse et si la combinaLson commerciale ne marche pas.

... Avant tout je suis persuadé que cette hostilité est tout à fait créée artifìciellernent, car elle n'est pas dans le sentiment du peuple, ni chez nous, ni chez vous.

... Nous avons maintenant une quantité de travaux de chemin de fer sul'tout pour raccorder les différentes lignes; les français sont venus et ils ont pris la plus grande partie...

... Regardez par example avec la FIAT, elle pourrait si bien créer ici à Belgrade une grande succursale et fabriquer ici les autos pour toute la Jougoslavie et gagner des millions et des millions.

... Maintenant j'attends le retour de M. Marincovitch qui n'est pas encore rentré après son séjour en Suisòe, mais il m'a Écrit une longue lettre où il me dit qu'il a parlé 4 heures avec M. Grandi (1), et que à travers les mots d~

M. Grandi H a cru de comprendre que M. Mussolini sous certaines réserves, a de très bonnes dispositions vers l'accord avec nous; ... mais vraiment aussi la dernière fois il semblait que l'on aurait du continuer le3 pourparlers, et on n'a plus rien entendu "

Anche da questi coHoqui, ho riportato la solita impressione che il deside

rio intimo del Re sia quello di arrivare all'accordo coll'Italia, accordo che gli

darebbe la più grande soddisfazione.

Sua Maestà è poi tornato più volte sull'argomento della stampa e dei gior

nali. Sia negli altri giorni della mia permanenza a Belgrado, come anche nelle

mie precedenti visite, questo argomento " de la campagne de la pre;:se " è sem

pre ritornato nella conversazione come quello al quale il Re dà una grande

importanza, ... " car la presse empoisonne le peuple et crée l'opinion publique

et la haine ce qui rend toujours plus difficile l'accord , .

Seguito alle mie note 13 novembre 1930, l" gennaio 1931 (2).

accordo con noi si riassumono essenzialmente: nel campo politico -coordinare l'azione della Jugoslavia a quella dell'Italia sottraendosi a qualsiasi direttiva ed impegno francese (non però a prendere posizione ostile alla Francia): la parola alleanza è stata parecchie volte pronunziata nel corso delle conversazioni; nel campo economico -maggiore compenetrazione possibile delle due economie per giungere progressivE'mente fino all'unione doganale.

Da queste direttive discendeva la sua netta ed irriducibile opposizione all'ammissione di un eventuale intervento armato dell'Italia in Albania. In quanto egli ragionava, in sostanza, così: se voi avete nella Jugoslavia, attraverso un accordo politico il più esteso e comprensivo, una cliente ed un'alleata, P·~r la quale gli interessi difensivi italiani in Adriatico saranno interessi propri e la quale avrà nell'Italia il suo migliore e quasi esclusivo mercato, mentre essa stessa costituirà per l'Italia un interesse economico di prim'ordine, una minaccia alle frontiere strategiche italiane in Albania non può prodursi neanche in ipotesi; né rivolgimenti interni degni di attenzione possono nrevedersi una volta cessato l'antagonismo italojugoslavo, sul quale le discordie interne albanesi speculano e si basano. Se dunque volete

riservarvi il diritto d'intervenire in Albani8, è per occuparla -in questo caso è una

permanente minaccia alla mia frontiera del Vardar che l'Italia vuoi mantenere -e questo rende vano ogni accordo perché lo inficia prima ancora della firma, lasciando un seme di diffidenza fra noi ".

(l) Sulla prima visita di Starhemberg a Mussolini. cfr. serie VII. vol. IX. p. 170. nota l.

(l) Cfr. quanto comunicava Galli con t. poeta 467/162 del 27 gennaio: «È... spiacevole che la nostra stampa scambi per realtà quelli che purtroppo non sono che desideri. Col dar credito alle notizie che escono dalla fucina croata di Vienna, cioè da un cerchio di persone che pur in buona fede ed animate dai migliori sentimenti, sono tratte ad alimentare con ogni ombra le proprie speranze, si è fatto e si fa ancora credere alla nostra opinione pubblica di una possibilità di decomposizione e di sfacelo di questo stato, mentre i fatti vanno progressivamente dimostrando il contrario. Del pari dicasi della vecchia formula di Mano Nera e di Mano Bianca contrastantisi. Sono vecchi clichés ormai superati, mentre nuove forze e nuovi elementi sono entrati a plasmare la vita interna jugoslava che specie dal Governo Dittatoriale in poi, messa da parte anche con mezzi crudeli e violenti ogni altra pericolosa opposizione, agisce sulla linea direttiva dello jugoslavismo avendo come centro motore la Narodna Obrana e le altre associazioni che V. E. conosce, e dando grande rilievo alla propaganda adriatica a mezzo della Jadranska Straza... che col suo fondo di antitalianità vale a congiungere in una più sicura unità le differenti aspirazioni del Regno. mentre a base del Regime sono ancora sempre esercito e polizia.

(l) -Cfr. n. 30. (2) -Queste due note di Malagola Cappi per Mussolini non si sono trovate. Cfr. anche il seguente appunto, anonimo e s.d., dal titolo " Conversazioni 1931-1933 , : « Le direttive cui Re Alessandro si è costantemente ispirato nelle sue proposte di
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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO DELLE COLONIE, DE BONO

TELESPR. 205334/150. Roma, 16 febbraio 1931.

Alle note di V. E. in data 30 e 31 gennaio 1931 nn. 40793, 40802 e 40918.

I nostri due Ministeri 11itengono, pienament,e d'accordo e non da ora, che il punto di partenza per la ripresa della nostra azione politica nello Yemen debba essere la ricostituzione di un ol'ganismo 'commerdale 'Che offra al Governatore dell'Eritrea (cui spetta dirigere sul posto tale azione) lo strumento necessario per fare tanto la ,po1itLca commerciale quanto queUa ,cos~ddetta pura con un Paese, il quale non ammette finora dei rappresentanti ufficiali esteri, e con cui non abbiamo da parecchio tempo mantenuto ,contatti (tranne le saltuarie missioni politiche :speciali) che a mezzo dei medici e dei radiote,legrafisti.

Fu a questi scopi che corrispose per qualche tempo la Società Italo-Araba, travolta poi dalle difficoltà economiche che in parte le furono create dalle inevitabili perdite cui vanno incontro, specialmente nei ,primi tempi, gli affari di tale genere ed in parte si creò da se stessa per inettitudine di dirigenti e di subalterni.

V. E. sa che appunto alla creazione di un nuovo organismo commerciale abbiamo deciso di adibire la somma di un milione e mezzo residuata dagli stanziamenti concessici dal Ministero delle Finanze per la nostra azione politica netlo Yemen (1). Tale somma doveva nel nostro comune pensiero ,serrvire anche all'acquisto di un nuovo piroscafo, ma poiché il fondo base della nuova Società ci sembrava esiguo pensammo di ricorrere al concorso della Società di Tessenei rappresentata dal Senatore Gasparini e della Società di Kosseir. Questo concorso ci era anche consigliato dal fatto che il Senatore Gasparini avrebbe potuto portare nell'organismo commerciale il contributo politico della sua personafe esperienza e l'aiuto delle sue personali relazioni con l'Imam, mentre la Società di Kosseir avrebbe potuto portare la sua esperienza tecnica dei commerci nel Mar Rols,so, ed offrirei anche del personale subalterno spec,ializzato.

Il mio Ministero si è occupato attivamente in questi ultimi tempi a cercare di realizzare l'utile collaborazione di questi diversi elementi e di addivenire per ora alla creazione di un sindacato in cui il nucleo finanziario fosse costituito dal noto fondo di un milione e mezzo aumentato da piccoli contributi della Società <ii Kosseir e della Società di Tessenei destinati ad affermare la presenza dei due suddetti enti ed a promuovere ,la loro attiva colilaborazione.

Senonché tutti gli sforzi ls,i :sono urtati contro delle difficoltà che, 2-lmeno sino a questo momento, appaiono insormontabili. Poiché da un [ato la Società di Kosseir afferma di non poter partecipare in alcun modo al progettato orga

6 -Docum8nti diplomatici-Serie VII-Vol. X

nismo commerciale se non con l'autorizzazione espressa del Ministero delle Finanze e con l'accantonamento di certe somme a questo devolute. Consenso ed accantonamento a cui il predetto Ministero 'sembra decisamente contrario.

D'altro lato il Senatore Gasparini sembra non voler assumersi ora la responsabilità della direzione politica commerciale dell'organismo stesso, ritenendo inadeguata ai nostri scopi la somma di un milione e mezzo ed ,es'Primendo anche dei dubbi drca l'appoggio effettivo che egli potrebbe in prosieguo di tempo avere dal R. Governo per la realizzazione di un più va,sto programma d'azione verso lo Yemen, specialmente quando si dovesse, come ora dovremmo, cercare di battere la concorrenza sovietica nella fornitura di armi.

Per parte mia ritengo assai dubbio che ci si possa nuovamente rivolgere alle Finanze sia per ottenere una effettiva e considerevole partecipazione finanziaria nella Società di Kos!ieir, sia pure per un aumento del noto fondo di un milione e mezzo, poiché ,le nostre richie3te in questo senso non potrebbero avere nel momento presente che scarse probabHità di successo.

Ma naturalmente ove l'E. V. fosse di diverso parere e ritenesse il caso di rivolgere concordi insistenze alle Finanze, mi as,socierei aill'E. V. con la maggiore polssibile efficacia.

In caso diverso, se cioè dovessimo, sia pure soltanto per qualche tempo, soprassedere alla progettata ricostituzione dell'organismo commerciale da noi desiderato, a me sembra ,che si potrebbe utilizzare una parte del fondo disponibile di un milione e mezzo per offr,ire all'Imam quegli aiuti che si ritenesse utile accordargli in seguito ad una sua eventuale richiesta.

Non converrebbe tuttavia a mio avviso offrire noi stessi una fornitura di armi, il che non avrebbe alcun vantaggio di carattere politico se rimanesse isolata e non coordinata a tutto un programma di azione politica da riprendere quando 'sarà possibile in modo organico 'con metodo e perseveranza, 'ma sempHcemente far !sondare ,in via indiretta l'Imam sul suo attuale fabbisogno di armi. In aUri termini questa eventuale fornitura fatta per necessità di cose sporadicamente (dato che non ci è possibile ora né realizzare e nemmeno formulare il programma della ripresa della nostra azione) non presenterebbe per noi alcuna utilità se non ci fosse esplicitamente chiesta dall'Imam e se non ,corrispondesse ad un suo reale bisogno. Di questo sarà giudice il Governatore dell'Eritrea al quale V. E. vorrà, ove concordi, impartire le necessarie istruzioni.

Praticamente poi la fornitura potrebbe essere fatta, per salvare la forma, a nome di una plseudo-Società commerciale.

Non vi è dubbio ,che ove questa fornitura potesse realmente riuscire gradita all'Imam essa costituirebbe un primo passo verso il miglioramento delle nostre relazioni politiche, ed un piccolo rimedio ai mali della situazione presente.

Ma il r>roblema ha una ;portata ben più vasta ed io non posso non prendere in seria conlsiderazione gli inconvenienti che deriveranno da una nuova interruzione della nostra attività determinata dalla mancanza di mezzi finanziari adeguati e soprattutto di uomini che possano svolgere sul posto l'opera certo difficile che esige la nostra penetrazione politica e commerciale nello Yemen.

Sin qui infatti, occorre riconoscere che non abbiamo difettato soltanto di mezzi finanziarL

Se il Governatore dell'Eritrea non vedrà neanche egli la possibilità di crearsi da se stesso, sul po,sto, gli strument,i dell'azione che è a lui principalmente riservata in questa materia, dovremo forzatamente rinviare ad un miglior momento la ripresa della nostra attività tanto politica che commerciale, ma questo nuovo rinvio sarà altrettanto deleterio per la nostra influenza nello Yemen quanto l'interruzione avvenuta dopo il Governatorato Gasparini e dopo aver creato nell'Imam le note iUus,ioni circa la pOissibilità nostra di mantenere sempre allo stesso diapason la nostra azione politica.

Durante le more che ci sono imposte daUe 1presenti nostre difficoltà noi rischiamo infatti di svalutare le cosiddette " 'conversazioni di Roma , (l) che costituislcono l'unico effettivo e pratico dsultato della nostra azione sullo Yemen, e che possono cons,iderar:si come la magna charta diplomati'ca deUa nostra situazione politica nel Mar Rosso.

Tali conversazioni a cui l'Inghilterra addivenne unicamente per l'influenza che noi ci eravamo acquistata nello Yemen perderanno sempre più di valore, a misura che tale influenza ed in generale il nostro prestig,io diminuiranno.

D'altra parte, quale potrà essere la no1stra situazione di fronte agli avvenimenti che fossero per verificarsi in seguito all'acuirsi del conflitto fra Bin Saud e l'Imam per la questione deU'Assir, conflitto che ha tanto più probabilità di verificarsi quanto ·più Bin Saud (spa:lleggiato dai suoi ·consiglieri inglesi camuffati da arabi) sente ·che l'Imam è stato da noi abbandonato alla lsua sorte? L'Inghilterra non chiede di meglio che dare per la via indiretta dell'Hegiaz una buona lezione all'Imam affinché questi le dia meno noie nei terrJ.tori che rivendica intorno ad Aden. Ma H giorno che dalla competizione per l'Assir l'Yemen uscisse fuori umiliato se non sconfitto, è facile immaginare quanto H prestigio nostro rimarrebbe colpito non soltanto nello Yemen ma nel mar Rosso, e presso tutto il mondo arabo. Anche la certezza e l'incertezza del ritmo con cui procedono i nostri negoziati per il riconoscimento di Bin Saud, e la poca .importanza che questi sembra ora annettere a tale atto che prima sollecitava ansiosamente dal Governo italiano, è una conseguenza del sentimento diffuso fra gli arabi della nostra diminuita influenza nello Yemen e della nostra rallentata azione politica nel Mar Rosso.

Tutto consiglierebbe quindi, anzi esigerebbe, la eliminaz,ione di ulteriori indugi nel ristabilire .i contatti politico-commerciali ·con lo Yemen e nel 'riprendere quella attività che le circostanze attuali specialmente richiedono.

Se, per quanto più 'sopra ho esposto, non ci sarà pos,sibile farlo, correremo il rischio di scontare amaramente nei pros,simi anni questo periodo di inazione impostaci dal difetto di mezzi finanziari adeguati e di uomini adatti agli scopi che ci dovremmo proporre.

Ove l'E. V. avesse qualche particolare suggedmento da fare che agevolasse la ripresa della nostra attività specialmente riguardo all'azione del Governatore dell'Eritrea troverebbe in me il più attento ascoltatore poiché nulla vorrei lasciare intentato pur di ulscire dalla presente dannosissima fase statica della nostra politica nel Mar Rosso.

(l) Cfr. serie VII, vol. IX, p. 666, nota.

(l) Le conversazioni itala-inglesi del 1927, sulle quali cfr. DB, serie I A, vol. II, nn. 460, 462, 463, 465, 468, 469.

72

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, Al MINISTRI AD ATENE, BASTIANINI, A TIRANA, SORAGNA, E A VIENNA, AURITI

T. 124. Roma, 17 febbraio 1931, oTe 1,30.

(Per tutti) -Ulteriori notizie traomesse dal R. Console Skoplje a R. Ministro Belgrado (l) confermano che in riunioni deH'8 e 10 corrente presso Gani bey Kryeziu .sarebbe !stato deciso effettuare incursione in Albania entro prima metà marzo. Bande sarebbero tre completamente armate fucili o moschetti consegnati da sottoprefetto Giacova e forse anche un pezzo artiglieria e mitragliatrici forniti autorità militari. Sottop,refetto Giacova avrebbe fornito per ora

20.000 dinari. A Prizren si organizzerebbe un'altra banda armata. Ex ministro Kocio Tassi dimorante Grecia aderirebbe movimento. Anche a Monastir ha avuto luogo riunione fuorusciti con medesimi intenti; è preannunziata riunione Giacova alla presenza autorità militari. Console Skoplje assicura sue notizie sono state rigorosamente controllate. Da esse risulta generale attività dei fuorusciti albanesi diretti da Gani bey Kryeziu. Essa sarebbe aUmentata da notizie di malcontenti esistenti in Albania e tenderebbe approfittare malattia Re Zog cui fuorusciti danno pochi giorni vita. Galli aggiunge che sembra non dubbio aiuto autorità civili militari jugoslave. Ministro Albania a Belgrado che ha ricevuto uguali informnioni da suo Console intenderebbe intrattenerne Kumanudi.

(Solo per Tirana e Vienna) --Prego V. S. assicurarsi che Governo albanese provvPda a comunicare tali notizie a Re Zog che più d'ogni altro è in grado valutare importanza da attribuirsi attività fuorusdti. Mi intere:o,serà conoscere a tal fine impressioni del Sovrano.

(Solo per Vienna) -Sarà opportuno che anche V. S., con pretesto di accel'tare che notizie sopra 'Segnalate sono a conoscenza del Re, ,procuri di indagare quale impressione esse abbiano prodotto presso il S::wrano.

(Solo per Atene) -Data connessione di attività fra fuorusciti residenti in Jugoslavia e Kocio Tassi, prego V. S. riferirmi dettagliatamente su eventuali movimenti del Tassi e dei suoi accoliti.

1l) E da questi ritrasmesse a Poma C'n t. 333/43/32 del 15 febbraio, ore l 5,40, per. ore 20.

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, MANZONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

R. R. P. CONFIDENZIALE 916/501. Parigi, 17 febbraio 1931.

Stamane ero stato invitato dalla signora vedova Paolo Dupuy (Petit Pm·isien) ad una colazione aHa quale interveniva anche il Presidente del Consiglio, signor Pietro Lavai.

La padrona di casa mi ha avvisato durante il pasto che il Presidente avrebbe avuto dopo colazione un •coUoquio con me. Tolte le mense il colloquio è avvenuto.

Il signor Pietro Lavai, espresse le sue simpatie pel'ls!Onali per l'Italia, rilevate le affinità tra le popolazioni di molte regioni Francesi con quelle di molte regioni Italiane, ha parlato di S. E. l'on. Mussolini dicendo che non lo conosceva personalmente ma che ne aveva seguito e molto apprezzato l'azione: aveva salvato l'Italia dal disordine sociale e politico facendo cosa utile anche alla Francia che altrimenti avrebbe avuto vicino un grave pericolo. Egli altrettanto comprende il movimento Fasdsta in Italia, altrettanto è persuaso che il Fascismo non potrebbe esi,stere in Francia. Non crediate, mi ha detto, che questa sia soltanto la mia opinione personale; no: la grande maggioranza dei Francesi pensa ·così di Mussolini e del Fascismo: ve lo assicuro. Conosceva il nostro pensiero nella questione dei fuorusciti in Francia: ma in Francia vi è una grande ospitalità politica e assoluta libertà di stampa. lo, ha detto, non drammatizzo e non seguo il metodo di drammatizzare i .piccoli fatti, i piccoli episodi: li tengo nel loro limitato quadro, ma non tollero alcun abuso. Pochi giorni fa a quattro Spagnuoii che non credo tenevanls,i in giusti limiti ho dato ordine che se volevano rimanere in Francia si trasferissero da Hendaye al nord della Loira.

Fatto questo preambolo il signor Lavai mi ha chiesto quali e quante erano le questioni tra l'Italia e la Francia. Riproduco questa parte del colloquio sotto forma dialogata, assolutamente fedele nella sostanza se non in tutti i particolari.

Io. Sempre quelle stesse: erano poche quando io giunsi qui: ogni anno crescono di numero ed ogni anno crescono di [!xofondità e di importanza: è quel che succede quando le si lasciano passare senza risolverle.

Lui. Già, ma non bisogna che ci chiediate l'impossibile. Io. Non lo abbiamo mai chiesto e non lo chiediamo: non è nei nostri metodi; ma voi dovete tenere lo stesso metodo con noi.

:L.ui. Non escludo che essenzialmente ci siano tra noi degli amor proprii offesi più che delle vere e proprie difficoltà di fatto. Bisogna cercare di rimuoverli. Io ho le mie idee personali, ma sono amico del signor Briand e credo potere, 1s·e occorre, ottenere da lui più di quello che varii altri potrebbero ottenere. Ma non bisogna chiedermi ciò che non poss0 dare, come la " parità , .

Io. Il !)rimo documento •Che consegnai al signor Briand (l) per cercare un'intesa di massima prima di recarci alla Conferenza di Londra risolveva ·la questione di fondo senza sollevarla. Per carità non facciamo questione di parole, risolviamo praticamente la sostanza delle cose. Siete voi che ci avete ri's.posto parlando di non •parità e con un'argomentazione che ci poneva nel campo dei vostri nemici. Ed allora una soluzione è stata resa imposs,ibile e siamo andati a Londra disuniti.

Lui. Ah!, sapete, in tal materia non si può astrarre dal quadro del possibile nemico: non credo che lo !saremo perché i due popoli sono fatti per intendersi, hanno affinità troppo grandi, hanno interessi in comune che ajutano ad avvicinarli: ma in materia guerra io non parto che dal principio che uno, chiunque, può esser dal lato nemico. No.i Francesi abbiamo bisogno e necessità di difesa coloniale e costiera superiori ai vostri ed io devo tenerne calcolo.

Io. Se si potesse trovare la soluzione alla questione navale il terreno :sarebbe molto sgombrato tra noi. Oggi vi sono conversazioni vostre col signor Craigie. Forse voi potrete arrivare a trovare una soluzione.

Lui. Non escludo che ci si possa arrivare. (Si è esprel3:so più di una volta in tal senso con riguardo non al solo quadro Anglo Francese ma anche al nostro).

Io. Avete letto quel che ha detto il signor Mussolini a l'lntmnsigeant: • ogni

giorno che passa è un giorno perduto "· Ebbene Presidente, cominciate col rilsol

vere la questione nava,le. Spianerete H terreno anche ad a<Itre soluzioni.

Lui. Non lo escludo: ma tenete presente quel che vi ho detto parlando

delle questioni generali, come posso fare non conoscendone i par·ticolari.

Poi il Presidente mi ha parlato del contingente dei vini Italiani all'impor

tazione in Francia, osservando che la cifra fissata tiene conto deHa nostra più

alta importazione e che egli avrà difficoltà a farla accettare ma la imporrà.

Questo è il sunto, particolareggiato e fedele tanto quanto la memoria me

lo permette del colloquio odierno col Presidente Laval.

Ora ne darò la impressione riportata.

Grande franchezza e semplicità. Sincera buona disposizione, ma senza cedere

in nulla nelle linee teoriche, mostrando però buona volontà per la risoluzione

pratica delle divergenze comuni, e ciò sia per convinzione di convenienza per

le due parti sia per convinzione deille affinità tra di esse e del fatto che queste

affinità non possano non influire sulla loro vita internazionale per quanto diverls,i

possano essere i metodi deMa loro esistenza sociale, politka.

Molta praticità e sincerità ma anche molta fermezza e decisione con non

esclusione dei possibili compromessi entro questi limiti.

Il colloquio è partito, come V. E. osserverà, sullo stesso spunto dell'ultima

conversazione tenutami dal signor Briand (2). Può dunque essere che sia stato

preceduto da una conversazione Laval-Briand. Non potrei escludere che il signor

Briand, -che il sig. Lavai ha detto poter influenzare più efficacemente di molti

altri uomini politici -conos·cendo Ie favorevoli disposizioni del sig. Lavai

verso di noi, conoscendone il temperamento pratico e deciso, sentendo che gli è difficile il poter lui 'stesso riprendere le file Italiane, ma sentendone ora la opportunità e la convenienza, possa essere stato lui stesso l'ideatore del colloquio di stamane.

Resta ora a vedere qual seguito dare aHa mossa, almeno per quel tanto che possa metterei in situazione di poter dire che non abbiamo lasciato cadere la cosa, ed anche per quel tanto che concerne la persona del Presidente Lavai. Nessun uomo politico Francese mi ha parlato con la comprensione dell'azione di S. E. il Cavaliere Mussolini e del Fascismo come ha fatto il signor Lavai.

Forse bisognerebbe incunearci a tempo nelle conversazioni Craigie a Parigi, od a Londra, prima che terminino, anche perché non abbia ad avveni·re che abbian a portare frutto, malgrado tutto, solo su uno dei due quadri sui quali avvengono (1).

(l) -Cfr. serie VII, vol. VIII, n. 171, allegato. (2) -Questa conversazione è di incerta identificazione. Si tratta forse di quella ricordata in serie VII, vol. IX, p. 131, nota l.
74

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO A TIRANA, SORAGNA

T. PER CORRIERE RR. 128. Roma, 18 febbraio 1931, ore 15.

Suo telegramma per corriere n. 1318.

Sarà certamente noto alla S. V. che in quelsti ultimi tempi sono affiorate in certa stampa internazionale maligne insinuazioni sulla mancata dnnovazione del Patto di amicizia e di sicurezza, e più recentemente ancora persona del seguito del Re, in un'intervista concessa a Vienna ad un giornale ungheil'ese, annunziava la prossima s·cadenza del Patto, che ormai -a suo dire -sarebbe superato ed assorbito dal successivo Trattato di alleanza.

Con istruzioni (2) ·Che ho inviate aLla S. V. ne1l'imminenza della scadenza del termine per il rinnovo del Patto, Le ho detto che il rinnovo poteva essere ottenuto entro l'anno di validità che ancora restava al Patto. Non so quanto Ella abbia potuto agire nel senso di quelle istruzioni prima deHa partenza del Re per Vienna. Con1unque mi pare che la nostra posizione in merito alla rinnovazione del Patto di sicurezza si sia venuta rafforzando per effetto delle progredite trattative circa il nuovo intervento finanziario (3) e del,la situazione stessa che si è palesata in Albania durante l'assenza del Re.

Sui colloqui di Theodoli col collega francese a Ginevra non si è trovata documentazione. Da un appunto di De Michelis del 12 gennaio 1931 risulta un tentativo del governo rumeno di fare opera di mediazione fra la Francia e l'Italia.

l o -Se in un primo tempo abbiamo evitato una precisa connessione fra le trattative per il rinnovo del Patto e quelle per l'intervento finanziario fu perché non sapevamo fino a che punto queste ultime sarebbero progredite. Constatato ora che esse si avviano verso la fase conclusiva e che è inevitabile per noi quest'altro salassa finanziario, non credo che il rinnovo del Patto possa essere procrast.inato sino a farlo precedere dalla conclusione del negoz.iato finanziario. Sebbene .sia utile forse far vista di non condizionare l'una cosa all'altra -a n'leno che non si trattasse di superare ostacoli troppo forti -tuttavia non deve neppure Iaisciarsi disperdere la forza che ci deriva dal fatto che, in fondo, Re Zog ci chiede un grave sacrifiz.io finanziario e che questo sacrifizio finanziario serve a mantenere quello statu quo interno ·che è previsto appunto dal Patto di sicurezza.

Il titolo fondamentale per il negoziato finanziario è proprio il Patto di sicurezza e sarebbe assurdo pr.ivare di validità un Patto nel momento stesso in cui da una parte se ne valorizzano i benefici e dall'altra se ne affrontano gli oneri. È evidente che se questi oneri da parte nostra si affrontano, è perché funzionano gli interessi politici previsti dal Patto, il che equivale a dire che funzionano le stipulazioni del Patto. Questo dunque non potrebbe che essere riconfermato prima della conclusione del negoziato finanziario, come quello che è stato nel 1926 preordinato per la tutela di quegli stessi interessi politici che ora richiedono un nostro intervento finanziario.

2° -Né credo che s.i debba lal:òdar disperdere la forza che ci può venire dalla nuova situazione psicologica a cui perverrà il Re quando -com'è inevitabile -al ritorno costì sarà messo al corrente dei lavorìo di contatti ed intese esplicato da codesta R. Legazione durante la sua assenza (1). Per quanto questo lavorio possa essere dalla S. V. presentato agli occhi del Re come predisposto al fine di dominare la situazione interna durante l'assenza del Capo dello Stato, pure non è da escludere che egH abbia a riguardarlo come un tentativo di spostare il perno della ·situazione dalla sua persona ,su altre •persone o correnti, e quindi egli abbia a riconsiderare se gli convenga poi di rinunziare ad un patto che da parte nostra gli è ,s,tato sempre presentato come una affermazione della solidarietà italiana con la sua persona. Un siffatto stato d'animo, mentre si presterebbe ad essere sfruttato per ottenere il r.innovo del patto, verrebbe da noi sanato con l'offerta stes.sa di tale rinnovo. Questo potrebbe ai suoi occhi apparire ·come un rafforzamento della rsolidarietà italiana che gli verrà descritta come .indebolita da coloro stessi che, per la frequenza dei contatti con codesta R. Legazione durante l'assenza del Re, dovranno cancellare l'impressione di non essere abbastanza fedeli.

Comunque Le riconfermo che, quetate ormai le preoccupazioni per la salute del Re, occorre decisamente puntare sul rinnovo del Patto del 1926, come primo atto che, ora che Zog è vivo e vitaJle, ·potrà e dovrà essere seguito da altri che assicurino la continuità tranquilla della nostra posizione in Albania.

(1 1 Cfr. nn. 33 " 41.

(l) Sul negoziato italo-francese, anche per questo periodo, cfr. una l. p. di Massigli a Berthelot del 10 novembre 1932, ed. in DDF, n. 317: dopo la costituzione del ministero Lavai (gennaio 1931) Theodoli ha avuto a Ginevra col suo collega francese « des conversations très poussé.es sur les questions coloniales... Le marquis Theodoli m'a méme donné ce détail que, au cours de la dernière session du Grand conseil fasciste, M. Mussolini, pour répondre aux amis du génèral Balbo qui incriminaient la politique française, aurait fait une allusion très précise à ces conversations ». Se si vuole arrivare a una détente con l'Italia, proseguiva Massigli, occorre rivedere le nostre tesi sul disarmo navale, tesi « dont il faut reconnaìtre qu'elles sont difficiles à soutenir jusqu'au bout • e sulle quali si era acceso il disaccordo con l'Italia due anni prima; occorre premere sul ministero della Marina perché modifichi queste tesi.

(2) Cfr. serie VII, vol. IX, n. 409.

(3) ibid., nn. 384, 388 e 427.

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IL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA LEVANTE ED AFRICA, GUARIGLIA, AL MINISTRO A MONTEVIDEO, BERNARDI

TELESPR. 205520/4. Roma, 18 febbraio 1931.

Informo la S. V. che a svolgere opera di propaganda fra codeste colonie croate in senso nettamente separatistico da Belgrado, è partito il 6 ,corrente col

• Conte Verde • il dott. Branimir Jelic, laureato in medicina all'Università di Graz, il quale gode l'intera fiducia dei capi fuorusciti croati per aver dato ripetutamente prova di capacità e di rettitudine.

Sarò grato all'E. V. se vorrà a suo tem1po riferirmi sui risultati della missione Jelic, come pure ,sulla presumibile reazione di codesti ambienti jugoslavi, ufficiali o comunque ligi a Belgrado.

Da Montevideo il dott. Jelk proseguirà per Buenos Aires per invito già ricevuto da quelle colonie croate.

76

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, PATERNO'

TELESPR. S. 205554/28. Roma, 18 febbraio 1931.

Rapporto di V. S. n. 2. P. R. del 10/12 (l) e Telegramma 22 e seguenti del 20 corrente (2).

Il diligente espo'3'to della situazione, contenuto nel rapporto di V. S., conferma sostanzialmente la diagnosi che circa lo stato dei nostri rapporti con l'Etiopia venne fatta nelle riunioni tenutesi 'l'estate scorsa (3) all'atto della Sua partenza per Addis Abeba, e mi induce quindi a confermare a V. S. in pieno accordo con S. E. il Ministro delle Colonie le istruzioni aHora impartitele e che a maggior chiarezza qui appresso riassumo, aggiornandole per quanto è necessario (4).

Del verbale della riunione si pubblicano qui di seguito i passi seguenti:

• Comm. GRIGI -Precisa che S. E. il Capo del Governo ha anche avuto recentemente occasione di parlare con il Ministro Grandi circa la situazione etiopica, sia in relazione alla nota questione del prestito, sia ultimamente prendendo conoscenza del rapporto del Marchese Paternò. Egli ha ripetuto l'istruzione di morfinizzare la situazione in Etiopia.

Comm. GUARIGLIA -Interpreta questa istruzione nel senso che morfinizzare significhi cercare di evitare che gli altri ci nuocciano.

...Constatando l'accordo di massima sul contenuto delle istruzioni da darsi a Paternò in merito alla questione Bertolani, aggiunge che bisogna altresì formulare delle istruzioni di carattere politico generale, in quanto è necessario far sentìre a Paternò che Roma appoggia la sua azione. Ora egli si domanda quali siano i mezzi migliori per giungere a tranquillizzare la situazione, s<ocondo le direttive impartite. A suo avviso non basta, per raggiungere

l "),..,

.:..{

0 ) Il peggioramento dei rapport,i italo-etiopici che per varie note ii'agioni si è andato verificando in questi ultimi tempi consiglia che si proceda ad una accorta opera di distensione che valga a tranquillizza·re h situazione ed a evitare che l'Abissinia abbia a costituire un punto infiammatorio di un conflitto di più vasta portata; opera che con parola rias1suntiva si è chiamata di « morfinizzazione ».

Per raggiungere tale intento non basta evidentemente come V. S. fa giustamente notare -as·sumere un contegno di indifferenza ed assistere passivamente all'azione altrui, diretta a nuocerei; ma occorre contrapporre a quella

tale intento, stare a guardare, rinchiudendosi in una campana di vetro ed assumendo una aria di indifferenza; ma occorre piuttosto agire, contrapponendo a quella degli altri la nostra

azione.

S. E. DE BONO -Osserva però che sembra giustificata l'opinione espressa dal Marchese Paternò di non continuare a piatire presso il Negus concessioni etc. Queste hanno in pratica raggiunto sovente un effetto contrario allo scopo per cui venivano chieste: l'unico mezzo per trarne un utile politico sarebbe quello di profondere delle somme rilevantissime in pura perdita, il che è evidentemente da escludersi.

Comm. GUARIGLIA -L'azione in materia di concessioni deve a suo avviso essere relativa; noi non possiamo né dobbiamo abbandonare quelle che possediamo, dobbiamo continuare ad essere presenti ad Addis Abeba ma insieme mantenere e sviluppare contatti con i capi. Abbandonare in questo momento la politica periferica non farebbe che peggiorare la nostra situazione.

S. E. DE BONO -Concorda nella convenienza che si insista nella politica di contatti con i capi del nord.

Comm. GUARIGLIA -Ritiene che si debba perseverare in tale politica, ma occorre non pensare per il momento a spingerla verso irrealizzabili scopi quali ad es. il volere suscitare ed appoggiare un vero e proprio rivale all'attuale Imperatore, nella competizione per il trono etiopico. È esatto che Tafari subisce il più possibile l'influenza francese, ma questa è naturalmente temperata dalla necessità politica per l'Etiopia di controbilanciarla colle altre influenze dell'Italia e dell'Inghilterra. Non bisogna illudersi che altri al suo posto si regolerebbero diversamente. Il suo più forte -rivale Ras Hailù, mentre ci fa le più ampie proteste di una esclusiva amicizia, tresca coi francesi e cogli inglesi. Non bisogna dimenticare che Menelik fu in certo modo posto sul trono da noi e che con lui dovemmo fare la guerra.

Del resto nell'attuale momento, quantunque sempre più gelosi e scontenti del nuovo Imperatore, gli stessi capi feudali non sanno bene che cosa fare e che cosa volere né sembrano disposti ad una qualsiasi azione positiva. Conviene quindi ancora più, senza forzare per ora, conquistarcene sempre maggiori simpatie, assisterli e dirigerli col nostro consi!!lio.

S. E. DE BONO -Non gli sembra che la nostra azione politica con i capi debba limitarsi a questo soltanto. Se la Francia muove Addis Abeba contro di noi, non è nostro interesse di poterei appoggiare con sicurezza ai capi del nord, o meglio di potere suscitare

ed armare la ribellione di questi capi?

Comm. GUARIGLIA -Ritiene che questa ipotesi non sia d'attualità, che in ogni modo per evitare che la Francia spinga Addis Abeba contro le nostre colonie occorra anzitutto armare e mantenere in efficienza l'apparato bellico delle colonie stesse, soprattutto dal punto di vista aviazione....

S. E. GASPARINI -Egli pensa, dopo la recente visita ad Addis Abeba, che l'efficienza

-del potere centrale deva considerarsi men solida di quanto non fosse vivente !"Imperatrice

e che si abbiano dei sintomi dai quali non sia avventato dedurre la possibilità in un futuro non lontano, di turbamenti interni destinati a scuotere la compagine dell'Impero...

In tali condizioni quale deve essere la nostra azione politica verso i capi? A suo avviso noi non dobbiamo puntare particolarmente su un capo piuttosto che su un altro, in quanto non ci conviene tendere a buttar giù un Negus per crearne un altro che finirebbe poi per seguire, divenuto arbitro dell'Etiopia, la stessa politica verso di noi del suo predecessore; ma dobbiamo piuttosto creare una rete di intrighi e mantenere rapporti politici con il maggior numero possibile di capi,· suscitandone o attizzandone le aspirazioni, riunendoli o eccitando gli uni contro gli altri nell'intento di procurarci le migliori posizioni in qualsiasi eventualità delle vicende etiopiche.

S. E. DE BONO -È d'accordo in tale linea politica verso i capi della periferia e tale azione deve essere svolta dal Governatore dell'Eritrea. Ricorda del resto che fu con tale intendimento che noi mandammo a Ras Hailù mezzo milione di cartucce con quella missione Franchetti che non potè giungere a destino...

S. E. GASPARINI -Osserva che lo stato etiopico è composto delle popolazioni abissine dell'acrocoro etiopico, e di un complesso di altre popolazioni, più numerose, abitanti la fascia esterna e soggiogate dalla razza abissina dominante, quali i Galla, gli Aussa, i Dancali, i Borani etc. La disgregazione dell'Etiopia è da prevedersi che s'inizierà con una specie di sfaldamento simile a quello che è avvenuto per l'Impero ottomano, in quan:to le popolazioni soggette si uniranno a qualunque movimento contro il giogo abissino. Tale sfaldamento può essere agevolato da una graduale azione di assorbimento che noi dobbiamo compiere dalle nostre colonie verso le genti finitime; il compito di attirare tali popolazioni a noi è quindi importantissimo ai fini della nostra politica.

Comm. GABELLI -Osserva che tale azione politica è già dalla Somalia in pieno svolgimento •.

degli altri la nostra azione, curando altresì di chiarire direttamente con l'Imperatore per quanto :possibile i malintesi che ci hanno reso ISO·spetti ai suoi occhi.

Come risulta dai Suoi telegrammi 22 c 23, V. S. ha già egregiamente cominciato a svolgere tale opera di chiarificazione, che va continuata in modo fermo e degno malgrado che mi renda conto delle difficoltà di modificare sostanzialmente l'« animus • dell'Imperatore, fondamentalmente a noi ostile, per motivi personali e più per l'inevitabile contrasto fra gli interessi politici fondamentali nostri ed etiopici.

2°) Tale azione di ·chiarificazione deve essere accompagnata da un atteggiamento non di disinteresse, ma di riserva, in materia di concessioni. Noi dobbiamo certo •cercare di mantenere ed eventua•lmente di aumentare quelle scarse attività che abbiamo costì (sempreché n iloro mantenimento non abbia a nuocere più che giovare al nostro p.restigio); ma non dobbiamo fare il giuoco dell'Imperatore stesso e dei suoi interessati ·consiglier.i, che con l'offa di nuove concessioni, troppo spesso praticamente irrealizzabHi almeno in relazione ai mezzi limitati di cui disponiamo, d inducono ad un •continuo postulare, niente affatto consono, come V. S. giustamente osserva, alla dignità del nostro paese. In merito all'azione da svolgere c.irca le singole •concessioni, quetsto Ministero si riserva del resto di far pervenire, man mano che sarà necessario le opportune istruzioni alla S. V.

3") L'azione politica della R. Legazione ad Addis Abeba deve essere integrata da quella politico-economica da svolgersi nelle zone dove possiamo aUrimenti far sentire la nostra azione: le direttive adottate in proposito nella riunione del giugno vengono ora riconfermate; e di ciò è opportuno V. S. abbia notizia per quanto tale compito non debba essere attuato ma solo opportunamente seguito dalla S. V.

4") Mi rendo anche conto della necessJtà, a cui V. S. accenna, di rafforzare l'attrezzamento militare deUe nostre ·Colonie. Sebbene l'armamento di ess•e sia tale da non dar luogo per ora a preoccupazioni nel caso di azioni offensive d'oltre frontiera, occorre •che esso sia integrato, ,s:pecie neHa parte aviazione, ciò •che contribuirà a dare costà 1la sensazione della nostra forza ed a ristabilire il nostro prestigio. A ciò il Ministero delle Colonie già tende, pure con gli scarsi mezzi ·che gli sono per ora ·corusentiti dalla situazione finanziaria; ed è da sperare che più potrà essere fatto nel futuro.

5°) Il tono di elevata dignità che va impresso a codesta Legazione, non sol

tanto nell'azione politica ma anche nell'atteggiamento e nella stessa vita privata

di tutti i singoli componenti, gioverà altresì al ristabilimento del nostro deca

duto pretstigio; non si tratta di marcare deHe differenze di razza, ma di mante

nere [e distanze; e di far risultare -anche nei confronti dei singoli -la

superiorità di appartenere ad una nazione che non è soltanto una g.rande Potenza

ma è anche erede e sviluppatdce di una mHlenaria civiltà.

E ciò dovrrebbe essere inteso da tutti gli italiani costì rresidenti; mentre so

quale incalcolabile danno alcuni nostri connazionali di costà, se non con altro col

loro atteggiamento .peggio che servile, apportino al prestigio del nostro paese.

A tale :riguardo, prrego V. S. di voler studiare se non vi sia mezzo di portare

qua.Jche rimedio a tale stato di cose, e se non convenga di eliminare con opporr

tuni provedimenti, che potrebbero giungere fino alla perdita della cittadinanza italiana, elementi che non sono ormai italiani che di nome.

6°) Tratto, per ultimo, della questione Bertolani e della di lui cricca. Con

fermo che V. S. è autorizzata a liberarsi del Berto,lani (e naturalmente anche

dei suoi accoliti) nel momento e nel modo che riterrà più opportuni, sia allon

tanandolo dalla Legazione sia inducendolo a rientrare in Italia; ed in tal caso

questo Min~stero non mancherà di fare quanto sarà qui necessario per appog

giare la di Lei azione.

Questo Ministero prevede fin d'ora che l'allontanamento del Bertolani porterà ad un peggioramento, pur temporaneo dei nostri rapporti con codesto Governo, peggioramento che potrà avere conseguenze anche nei riguardi delle nostre poche .attività costà esistenti, specialmente nella questione della concessione della radio; ma questo Ministero sconta di già i danni che ce ne potranno derivare, pur di raggiungere lo :scopo di taglia.re il nodo gordiano di illecite ed interessate infralffilllettenze che già da troppo tempo inceppano, degradandola, l'azione di codesta Legazione, e che sono una deHe principali determinanti della situazione in cui ci trovoiamo. Nel •contempo, questo Ministero lascia a V. S. di esaminare quale migliore azione si possa svolgere per cercare di attutire la ripercussione dell'allontanamento del Bertolani; a ciò potrebbe forse servire una spiegazione diretta ed esplicita coll'Imperatore.

7°) Questo Mini,stero si rende conto .che, date le tradizionali abitudini locali e data ila speciale mentalità di codesti uomini di Governo, dai [Più ai meno elevati, l'azione politica di codesta R. Legazione non può raggiungere che scarsi crisultati se V. S. non potrà disporre di fondi da usare al momento opportuno, ove le ci-creostanze lo imponessero.

Questo Ministero attende al riguardo che V. S. indichi .la somma annua che 11iterrebbe a ciò necessaria, nei limiti H più polssibHe modesti, date le note difficoltà finanziarie; e .per parte sua cercherà di venire incontro alla di Lei richiesta, per quanto risulterà possibi•le in relazione alle disponibilità esistenti.

(l) -CEr. seriE' VII, vol. IX. p. 672, nota l. (2) -Cfr. nn. 17 e 22. (3) -Cfr. serie VII, vol. IX, n. 117. (4) -Queste istruzioni furono decise dopo una riunione, tenutasi il 17 gennaio, fra D? Bono, Gasparini, Guariglia, Ghigi, De Rubeis (capo gabinetto di De Bono), Gabelli (direttore generale dell'Africa Orientale), Indelli, Colucci (funzionario delle Colonie) e Guarnaschelli.
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IL MINISTRO A SOFIA, PIACENTINI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. 382/31. Sofia, 19 febbraio 1931, ore 14 (peL ore 16,20).

Avvenuta pacificazione fra le due frazioni organizzazione rivoluzionaria interna Macedone. Protogherovisti ·si ritrattano lasciando unica organizzazione quella diretta da Mihailoff (1).

(l) Con t. posta 62/21, Sofia 6 gennaio, Piacentini consta~ava il disinteresse dell'opinione nubblica bulgara per la questione macedone, e proseguiva: « Questo 3enso di sta~chezza-e di sfiducia.... costituisce la più grave conseguenza della scissione avvenuta in seno

78

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO A BELGRADO, GALLI

T. 137/23. Roma, 19 febbraio 1931, ore 24.

Suo telegramma 51.

Ministro Jugos,lavia a Tirana ha dato Governo albanese a:ssicurazioni analoghe a quelle date da codesto Ministero Esteri a Villa. Nastasievich ha poi ripetuto a Soragna in presenza Ministro Stati Uniti essere autorizzato impegnare sua parola che Jugoslavia non permetterà alcun movimento sedizioso dal suo territorio. Circoli governativi albane1~i sono tranquilli e così pure Generale Pariani. Reparti albanesi in prossimità frontiera vengono rinforzati.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO A TIRANA, SORAGNA

l'. 138/48. Roma, 19 febbraio 1931, ore 24.

Suo telegramma 48.

R. Ministro a Vienna ha intrattenuto Libohova in merito a notizia di concentramento di fuorusciti alla frontiera albanese. Auriti ha riportato impressione che sia Re Zog che Libohova non nutrono preoccupazioni.

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IL MINISTRO DELLE COLONIE, DE BONO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

TELESFR. UU. STRETTAMENTE PERSONALE 3602. Roma, 19 febbraio 1931.

Relazione telespresso V. E. 205334/150 (1).

La situazione nostra di fronte allo Yemen è da me personalmente vista nell'identico modo con cul la vede la E. V. Io credo di più che rimandare, o cercare espedienti aleatori 'sia tale e quale 'come perdere tutto. Non ritengo che non ostante la buona volontà e l'acutezza d'ingegno del Governatore dell'Eritrea, eg1i possa trovare s,ia pure una modesta panacea per il male che rischia di diventare cancrenoso.

all'Ormi, iniziatasi col graVISSimo errore commesso da 1'/Iihailoff, facendo uccidere il Generale Protogheroff ». Con t. posta 2754/880, Sofia 12 agosto, Cora constatava « che il movin1ento rivoluzionario macedone perde sempre più terreno non solo nell'opinione europea, ma nella stessa opinione pubblica bulgara>.

Dato questo io mi domando: dobbiamo noi fare, o no una politica arabica?

Dobbiamo noi perdere quel poco che ancora possiamo salvare e che ancora

potrebbe darci 1a via per rimetterei tn equilibrio? Di chi la colpa di tutto que

sto? Sarà come dice V. E. un poco degli uomini, ma, secondo me, soltanto un

pochino. Il precipitare in nostro danno delle cose è dovuto essenzialmente alla

mancanza di mezzi. Sono oramai due anni e mezzo che si dichiara la necessità

impellente dii istituire una navigazione nel basso Mar Rosso e non se ne è mai

potuto far niente per mancanza di moneta. Ora si era sulla strada buona fidan

doci dell'apporto finanziario deUa Società di Kosseir e invece pare che la Finanza

non 'Consenta la nostra sacrosanta necessità dell'impiego di tali fondi. Ora qui

si pone il quesito: la quest'ione della politica nello Yemen è ritenuta vitale rper

il nostro prestigio del momento e per l'avvenire? Sì. Ed allora il Ministro delle

Finanze si ricordi di essere italiano.

Con questo esprimo il parere che convenga assolutamente fare azione con

corde attraverso S. E. H Capo del Governo perché la Finanza, che non deve

spremere danari dalle sue !stremate casse, lasci alla Società di Kosseir di impie

gare i propri frutti in un'opera di supremo interesse nazionale.

Io rimango femnaanente del 'Pa,rere 'che Ila fornitura di a,rmi aU'Iman debba

essere fatta con la maschera di una società privata, che dovrebbe costituirsi

sulle basi già concretate. Al riguardo pare che S. E. Gasparini continui a tergi

versare con un ,complesso di • sì • e di • no • di • forse • e • magari •. Io ho

un po' J.',impressione che si voglia far cadere le cose troppo dal cielo e fare

appadre ,che senza di lui la penisola arabica rischia di scomparire!

Condivddo perfettamente l'opinione che salvo il calso di richieste dirette di

armi per parte dell'Iman al Governatore dell'Eritrea, questi non ne debba for

nire e tanto meno offrire.

Proprio in questi giorni vi è il caso dell'autoblindata richiesta, di cui alla

mia lettera 41386 dn data 18 corr.

Secondo me, non bisogna lasciare passare più nemmeno un'ora.

Mettere la corda al ,collo al Ministro delle Finanze, o purtroppo lasciar

andare tutto aUa deriva fidando nel consueto • Stellone • (1).

D'accordo con quello delle Colonie, il R. Ministero degli Affari Esteri ritiene che il punto di partenza per la ripresa di tale nostra azione debba consistere nella ricostruzione di un organismo commerciale, che offra al Governatore dell'Eritrea lo strumento necessario per agire commercialmente e politicamente in un paese che non accoglie ancora rappresentanti ufficiali esteri.

A tale scopo aveva per qualche tempa corrisposto appunto la Società Italo-Araba, travolta poi dalle difficoltà economiche in parte dovute alle inevitabili perdite che sempre accompagnano, specie nei primi loro passi, tal genere di attività. I due Ministeri, cui

(l) Cfr. n. 71.

(l) Il 23 marzo Mussolini inviò a Mosconi una lettera, della quale si pubblicano quii passi seguenti: « Dal 1927 ad oggi, la· situazione è venuta a modificarsi sensibilmente ai nostri danni. Mentre infatti Ibn Saud, re dell'Higiaz, e rivale dell'Imam Yahia, ha consolidato la propria posizione conducendo a compimento la conquista dello Assir e venendo così praticamente a portare i confini del suo regno sino ai limiti settentrionali dello Yemen, la nostra influenza presso l'Imam Yahia è alquanto diminuita, sia per la forte concorrenza che nella vendita delle armi a questo Stato hanno esercitato gli agenti sovietici i quali,inoltre, godono presso l'Imam Yahia della fiducia che loro deriva dall'essere in quantobolscevichi antieuropei in genere ed antinglesi in ispecie, sia per certi infondati sospetti sorti o fatti sorgere nell'animo di quel monarca circa la finalità della nostra azione politicRnel suo paese, sia infine e sopratutto perché la diminuita disponibilità dei mezzi finanziari non ci ha consentito negli ultimi anni di continuare a svolgere la nostra azione politico-commerciale verso lo Yemen con la stessa intensità con cui era stata iniziata nel 1926-27 dal Senatore Gasparini, allora Governatore dell'Eritrea...

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APPUNTO DEL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA LEVANTE ED AFRICA, GUARIGLIA, PER IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

(Archivio Grandi) (l)

Roma, 21 febbraio 1931.

Stamane è venuto a vedermi il Ministro di Jugoslavia di ritorno da Davos dove si è incontrato con Marinkovich.

Egli ha cominciato col dirmi che Marinkovich è perfettamente d'accordo circa Ja necessità di concludere patti economici di cui io gli avevo parlato prima della sua partenza (2).

Ho risposto che non dubitavo della comprensione della ~situazioneaa parte di Marinkovich ma ·che occorreva che ·la questione economica non andasse disgiunta da quella politica. Desideravo ·perciò sapere :se Rakitch era ·latore di comunicazioni di Marinkovich per V. E. circa le questioni politiche.

Rakitch si è dimostrato imbarazzatissimo a .rispondermi ed in solstanza non ha saputo che cosa dirmi. Gli ho perfino chiesto se aveva qualche d.dea circa il modus procedendi per l'esame delle note questioni politiche, ma egli non mi ha !saputo rispondere a1tro che • si teneva a disposizione di V. E. e mia per ogni conversaz,ione che desiderassimo avere ».

In realtà le parti sono invertite. Rakitch 'risponde come rispondevo io quest'estate sfuggendo ad ogni precisazione. Egli parte inoltre per Belgrado stasera e tornerà fra circa una settLmana.

Prima di !asciarci ho insistito ancora sulla necessità che questioni economiche e questioni politiche fossero trattate di pari passo. Al .che Rakitch mi ha risposto « non credete che aHora 1e questioni poilitiche .rischieranno di trascinare troppo a lungo quelle economiche? •. Gli ho risposto che in questo momento

è demandata la responsabilità della nostra azione politica nel Mar Rosso, convengono ora nell'opportunità di ricostituire una analoga Società....

Ricostituita su tali basi, la Società potrebbe cercare, con maggiori e più sicure prospettive di riuscita, di riprendere con lo Yemen i traffici che ci permetterebbero di tener testa alla concorrenza dei sovietici; e di ridare contemporaneamente all'Italia, attrave'rso una solida influenza commerciale, come sempre avviene nei paesi d'Oriente, l'antica influenza politica....

Ond'è che, in considerazione della necessità di non tardare più oltre a riprenderela nostra azione politica nel Mar Rosso, io prego V. E. di voler consentire acchè la Società ·di Kosseir, nelle forme e con le modalità tecniche che saranno in opportuna sede studiate, entri a far parte del progettato organismo commerciale per la ripresa dei traffici con lo Yemen; e resto in attesa di ricevere da V. E. cortese assicurazione in tal senso».

La lettera si concludeva col seguente post scriptum autografo di Mussolini: « Della questione abbiamo parlato anche nell'ultimo Consiglio dei Ministri. Si tratta di utilizzare la somma attualmente conservata religiosamente al Ministero degli Esteri, per collaborare con Kosseir alla costituzione di un organismo economico che ristabilisca gradualmente la nostra posizione nel Mar Rosso ».

In una riunione interministeriale del 30 aprile fu decisa la costituzione della Società Navigazione Eritrea « con un capitale di L. 850.000 circa, ammontare dei proventi dovuti al Tesoro dalla Kosseir ».

In una successiva riunione interministeriale, con partecipazione di esponenti della Società Navigazione Eritrea, del 20 ottobre fu progettato di rispondere positivamente a una richiesta di armi dell'Imam.

era vano fare della politica pura e che le questioni economi:::he avevano anche

esse un aspetto politico poiché ad esempio le difficoltà che incontrava la Fiat

sono dovute più che altro all'atmosfera politica esistente in Jugoslavia.

Ho finito col dirgli che si trattava di risanare tutta una situazione e quindi

bisognava affrontarla nel suo complesso economico e politico.

Non posso nascondere a V. E. che l'atteggiamento di Rakitch è stato oltre

modo freddo e reticente.

Credo che :sarà bene chiamarlo al suo ritorno da Belgrado per vedere se abbia nulla di nuovo da dirci. Poiché occorrerà allora considerare se non ci convenga cercare per 'lo meno di stabilire che Ia cattiva volontà è da parte Jugoslava. E forse non sarà male tenere informata Londra.

D'altro canto occorrerà dare alla Jugoslavia più nettamente l'impressione

della no~tra effettiva possibilità e volontà di sviare altrove delle correnti com

merciali che sono per la sua vita economica assolutamente essenziali.

A questo scopo, ove nulla osti da parte di V. E. l'ufficio si propone di far pubblicare dai giornali qualche articolo sul commercio italo-jugos,lavo che contenga l)pportune minacce e che certo riuscirà più utile dei soliti articoli del

• Giornale d'Italia ». Saranno anche mantenuti i contatti con gli esperti economici italiani per avere elementi concreti circa il seguito della trattazione.

Aggiungo infine che Rakitch mi ha chiesto con spiccato interesse notizie circa l'attentato a Re Zogu la cui vita è stata • felicemente " (diceva lui e dicevo anch'io) risparmiata.

(l) -Nella minuta di questo doc., conservata in AMSE, la data non è completa del giorno. (2) -Cfr. n. 62.
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L'AMBASCIATORE A LONDRA, CHIAROMONTE BORDONARO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. 438/83. Londra, 23 febbraio 1931 (per. il 24).

Mio telegramma 80.

Vansittart mi ha detto che decisione partenza Henderson per Parigi è stata presa ieri ,sera tardi in seguito nuove pro1 po~te francesi che Craigie aveva portate da Parigi e che per quanto non del tutto accettabili dal Governo inglese erano state considerate meritevoli di un diretto ls,cambio di vedute tra Henderson e Briand. Ha aggiunto che se suoi co:Uoqui Parigi sortiranno favorevole esito Henderson si propone di proseguire per Roma pe·r ·Conferire con V. E. In tal caso passi necessari ·per visita di Henderson a Roma verranno fatti direttamente da Ambasciata d'Inghilterra Parigi. Hender:s'On è partito accompagnato da Alexander Primo Lord Ammiragliato, da Selby e da Craigie. Questo Ambasciatore di Francia che ha accompagnato Henderson alla staz,ione e che ho veduto subito dopo non aveva nessun'altra informazione circa improvvisa partenza Henderson. Vansittart non mi ha dato alcuna indicazione di cifre circa possibile accordo che anche da altra fonte mi risulta che non potrà essere seconòo le intenzioni

britanniche un accordo ;soltanto franco-inglese ma un accordo con l'Italia wggetto all'approvazione di tutti firmatarì trattato navale di Londra. Linguaggio Pertinax ed altri giornali francesi su trattative è stato qui generalmente deplorato (1).

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO A TIRANA, SORAGNA

TELESPR. 206157/68. Roma, 23 febbraio 1931.

Suo telespresso n. 340/145 del 14 corr. (2).

Constato dalle dichiarazioni fattele da Mehmet Konitza (3) che coincidono del resto ·con quanto da altre fonti risulta questo Ministero 'che I'attività della Conferenza interbalcanica si riduce sempre più, sia nel contenuto che nei metodi, ad un vacuo e inconcludente rsocietarismo. Non solo i problemi trattati sono i medesimi che, con ben diversa ampiezza e prestigio, vengono discussi a Ginevra, ma la procedura stessa s'ispira a quei sistemi dilatori, a base di riunioni, di Comit&ti e sottocomitati, che non sono certo il maggior pregio deH'istituto ginenino. Si tratta, insomma, di pura logomachia che non sembra destinata ad approdare ad alcun risultato pratico. Ciononostante tale attività merita di essere attentamente seguita perché rivela, in chi la promuove, un chiaro indirizzo politico, ·che è nostro interesse combattere. Alla stessa guisa che il movimento paneuropeo mal nasconde, in ·chi se ne è fatto iniziatore, dei piani di egemonia politica, così è evidente che il movimento pan balcanico tende ad assicurare, attraverrso le ipocrite formule societarie, una posizione di controllo a tutto vantaggio del Governo di Belg.rado. Poiché identico in ambedue i casi, è il terreno di manovra e analoghi gli obbiettivi, anche la nostra linea di condotta non può essere, in ambedue i casi, che la stessa. Ci conviene ,contrapporre, cioè, ideologia a ideologia: al prindpio della solidarietà paneuropea o ;panbakanka opp::>rTe il principio dell'uguaglianza e della giustizia; a una politica diretta a cristallizzare lo ·statu quo e perciò a ·consolidare i trattati, rispondere col far valere l'opportunità di un assetto politico che soddisfaccia le vitaH esigenze di tutti e garantisca a tutti analoghe possibilità di sviluppo. A ciò tende appunto il criterio della

Il) Il 24 febbraio Henderson lasciò Parigi diretto a R::m1a.

Cfr. una l. p. di Rosso a Diana. Torino 15 febbraio 1931, a commento delle trattative navali che Craigie stava conducendo a Parigi: « Dalle notizie che leggo nei giornali italiani e francesi ho tratto rimoressione che Craigie riuscirà difficilmente a concludere qualche cosa a Parigi. Tanto più necessario quindi, a mio avviso, di dimostrare agli Inglesi -riservandoci al momento opportuno di comunicarlo al pubblico -che anche in questa ultima fase delle trattative noi abbiamo dato prova della maggiore buona volontà. Trovo che, intanto, la nostra stampa si è comportata molto bene, conservando un tono pacato e rispondendo molto a tono ai commenti tendenziosi di Pertinax e C. La nostra posizione, grazie all'attitudine tenuta dal nostro Ministro con Craigie, appare molto buona e sarebbe un peccato se venisse guastata dalla nostra stampa. Suppongo che attraverso la Stefani sono stati comunicati a Londra e Washington gli ottimi commenti del Giornale d'Italia e del Corriere •·

revisione che solo .può permettere un più stabile equilibrio di forze e quindi una più solida garanzia di pace.

È bene che le varie co:vrenti dell'opinione pubblica intendano l'eisatta portata di tale principio. Qualora la S. V. abbia ulteriori contatti coi delegati albanesi alla Conferenza interbalcanica potrà suggerire loro l'opportunità di attenersi ai criteri sopra indicati.

D'altro canto, poiché la Conferenza interbalcanica non è una riunione di Governi ma di organizzazioni private e che perciò ·le sue decisioni e tanto meno i suoi dibattiti non impegnano le sfere ufficiali, nulla impedisce a Mehmet Konitza e ai suoi coUeghi di sbizzarrirsi in tal senso, avvalendosi delle larghe possibilità di manovra che i criteri predetti offrono loro.

(2) -Non si pubblica. (3) -Delegato albanese nel comitato della conferenza balcanica.
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IL MINISTRO DELLE COLONIE, DE BONO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

N. RR. 61130. Roma, 23 febbraio 1931.

Con riferimento al rapporto di S. E. Cantalupo del 31 dicembre u.1s.

n. 4240 (1), circa un progetto di accordo itala-egiziano sulla questione di ·confine, e richiamato altresì lo scambio di idee avvenuto mercoledì scorso nel mio ufficio alla presenza d,i S. E. il Maresciallo Badoglio, del Generale Graziani e di un rappresentante di codesto Ministero nella persona del Ministro Guariglia, preciso qui di seguito, a conferma deHe unanimi conclusioni adottate nella predetta riunione, il punto di vista di que1sto Ministero (2).

Lo schema di accordo che conclude le trattative condotte da S. E. Cantalupo col Governo egiziano, rappresenta indubbiamente un lodevoLe :sforzo per addivenire ad una soddisfacente sistemazione dei nostri rapporti di frontiera; e non ho difficoltà a riconoscere che, come risultato diplomatico, non potevamo aspettarci di più. Senonché, sia da parte del Maresciallo Badoglio, che del Generale Graziani, da parte cioè di coloro cui spetta la condotta della nostra azione politico-militare in Cirenaica, non si è potuto a meno di :rilevare ·Che l'accordo proposto, ottimo in tempi normali, non si addice ad una situazione anormale ed eccezionale quale è quella ·che esiste oggi in Cirenaica; e che una regolamentazione di rapporti, basata sul criterio della reciprocità, e redatta in termini tali dai quali appare manifesta la preoccupazione egiziana di assi•curare alle popolazioni di frontiera libertà, sia pur regolata, di movimento e di traffici, e che prescinde perciò dalla reale situazione della Cirenaica, non può condurre che al perpetuarsi di equivoci e di incidenti incresciosi.

Esiste in Cirenaica uno stato di aperta rivolta: e l'Egitto no:1 solo o2piia

capi di essa, ma col concorso di larghi strati della popolazione e persino di funzionari inglesi ed egiziani, dà alla ribellione aiuti materiali ed assistenza morale. Come Ministro delle Colonie devo perciò dichiarare che qualsiasi accord0 il quale non parta da siffatte premei3se e non ci dia garanzia di porre un termine a questo stato di cose, non raggiungerebbe lo scopo, e non ci conviene concluderlo.

A questa considerazione fondamentale si aggiunge quella altrettanto grave della ormai •radicata convinzione che il Governo egiziano non vuole o non può imporre ai propri funzionari di frontiera un atteggiamento diveDso da quello tenuto sinora, e che oscilla secondo i casi dalla semplice benevolenza alla più aperta connivenza. Atteggiamento che, nella persuasione di tutti è dovuto al fatto che la ribellione cirenaica rappresenta per costoro anche un ottimo affare commerciale, su ·cui si è finora largamente speculato. Un accordo la cui esecuzione fosse affidata a funzionari siffatti -e cambiando gli attuali non possiamo sperare di meglio dai successori -sarebbe un accordo di cui noi saremmo destinati a fare inevitabilmente Ie \spese.

In questa situazione non rimane che affidarci esclusivamente alle nostre forze per realizzare una completa, materiale chiusura del confine tagliando quello ·che è stato definito dal Maresciallo Badoglio il cordone ombelicale che alimenta ·la ribellione dall'Egitto. Avremo così una situazione netta al confine come è ormai netta nell'interno della colonia, e H completo isolamento dei ribelli. Aggiungo che mentre l'interesse da parte degli Egiziani al confine è stato sino ad oggi per la continuazione della rivolta, è sperabile •si crei ora J'interesse opposto: l'interesse cioè al ritorno della normalità in Cirenaica e aUa ripresa dei traffici.

Lascio perciò a V. E. sulla base delle suesposte considerazioni di fare al Governo egiziano le comunicazioni che riterrà •più opportune. Ad ogni modo riterrei utile fosse preso atto dell'esplicito riconoscimento fatto da Sidki Pasdà del nostro di.ritto capitolare ad eseguire in Egitto i mandati di cattura emessi contro quei libki che •si sono resi colpevoli di reati comuni; e a ottenere l'espulsione di quelli che per ragioni interne egiziane non potrebbero essere arrestati senza mettere quel Governo in grave imbarazzo. Vedrà anche V. E. 'se sia il caso di aggiungere che la libera attività ostile svolta in Egitto dai rifugiati cirenaici e in ispecie dai membri d'ella famiglia senussita non è certo elemento che possa favorire o affrettare quell'abolizione del regime capitolare che è una delle maggiori aspirazioni del popolo egiziano, e una delle soddisfazioni pilt reclamate dal suo amor proprio.

Come prova delle condizioni esistenti c delle necessità derivanti bastano i telegrammi costà mandati in comunicazione relativi ad incidenti di questi giorni. E a provare anche il contrabbando che si eseguiva e che ancora si tenta valga il fatto che, in seguito alla nostra azione al ·confine, gli intToiti delle nostre dogane cirenaiche sono, in poco tempo, aumentati di più di 4 miHoni (1).

(l) -Cfr. p. 33, nota 2. (2) -Con telespr. 3478 del 22 gennaio, De Bono aveva espresso il suo parere di massima favorevole al progetto di Cantalupo, ma, per rispondere in modo definitivo a Grandi, si riservava di sentire il parere di Badoglio e Graziani.

(l) L'ultimo capoverso è autografo di De Bono.

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IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. POSTA R. 731/381. Vienna, 23 febbmio 1931.

Con il mio rapporto del 29 dicembre n. 2642 (l) facevo presente a V. E. come due possibilità apparissero, dopo la costituzione del Gabinetto EnderS\:hober, nei riguardi deLla restituzione della visita dl V. E., e cioè o quella di rinviarla « sine die " nell'attesa di un futuro Minilstero più volto verso destra, o quella di compierla durante il Gabinetto attuale ma subordinandola a qualche nuovo e più stretto accordo di cui esigere la conclusione come condizione della visita stessa. Nel citato rapporto aggiungevo che non vi era però necessità di prendere fin da aHora una decisione e che poteva attendersi a vedere i risultati della visita di Bethlen e gli svolgimenti degli avvenimenti parlamentari.

Posteriormente a tale rapporto, e cioè nel gennaio, una delle due premesse si adempiva, e Bethlen effettuava qui la sua visita, la quale, senza volcrne esagerare il valore, stringeva meglio, se pur non di molto, i preesistenti vincoli fra Austria e Ungheria e costituiva un beneficio per noi, oltre che per tale fatto stesso e per la indil'etta favorevole risonanza nelle nostre relazioni con l'Austria, perché quel patto di amicizia che tòi era concluso .tra i due Stati finitimi era stato da noi voluto e suggerito.

Rimaneva tuttavia la seconda premessa, quella cioè di un chiarimento nella situazione parlamentare, la quale quando Bethlen venne qui non si era ancora effettuata. Perciò, allorché nella fine di gennaio con il telegramma n. 87/26 (2)

V. E. mi chiedeva se a mio avviso avrebbe presentato qualche reale inconveniente il r1nvio a data imprecisata della restituzione della sua visita, mentre rispondevo (3) che una risoluzione immediata non appriva in quel momento né necessaria né opportuna, e ne davo le ragioni, mi riservavo di manifestare più tardi la mia opinione, e cioè quando appunto quella seconda premessa, da me precedentemente indicata, si fosse compiuta, quando cioè la situazione parlamentare si fosse qui p.resentata con un carattere di relativa stabilità.

Ora due fatti sono avvenuti dopo quella risposta, e cioè il rinvio delle elezioni del Presidente della Repubblica alla fine dell'ottobre pr01"·slmo, e l'arrivo qui della notizia che Seipel ha tuttora bisogno di cure per parecchio tempo e che non è credibile, in considerazione, oltre che della sua salute, delle varie leggi di ·carattere economico e sociale da discutersi ancora in Parlamento, che egli voglia accrescere le naturali opposizioni dei socialisti alle leggi stesse rovesciando l'attuale gabinetto nel quale il cancelliere Ender è riuscito a vincere, nella que~3tione della ripartizione delle imposte, una parte delle difficoltà oppostegli dai rossi, e a ottenere così un risultato che la forza parlamentare dei

(3J Cfr. n. 56.

socialisti e la debolezza extraparlamentare dei borghesi possono far considerare come abbastanza soddisfacente.

Allo stato presente delle cose è quindi da prevedemi come probabile che fino all'autunno non vi saranno qui crisi ministeriali. Chiaritasi così la situazione parlamentare successivamente all'effettuato viaggio di Bethlen, si sono adempiute le due condizioni alle quali subordinavo l'opportunità di esaminare se ci convenitsse mantenerci nel riserbo seguito dopo le ultime elezioni, o usdrne e in tal caso sotto quali condizioni e in cambio di quali vantaggi. A me sembra che tale esame potrebbe farsi più agevolmente a voce che non per scritto; mi permetto perciò chiedere a V. E. se non sarebbe utile autorizzarmi a una breve gita a Roma dopo partito Zogu e dopo venuti qui i ministri tedeschi di cui si annuncia l'arrivo per i primissimi di marzo. Potrei nel venire passare da Budapest e farvi visita a Bethlen, ciò che ·soddk,,farebbe al desiderio da lui manifestatomi di rivedermi colà e non potrebbe che riuscirgli gradito come prova di considerazione del R. Governo, oltre che come segno di riguardo personale da parte mia.

(l) -Cfr. seri" VII, ve-L IX, n. 481. (2) -Cfr. n. 46.
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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, PATERNO'

T. (P. R.) 1961/53. Roma, 25 febbraio 1931, ore 4.

Times 20 corrente in articolo proprio corrispondente romano riassume studio pubblicato recentemente su Rassegna ItaLiana (1) da Generale Bongiovanni, nel quale prospettasi soluzione questioni pendenti fra noi e la Francia col riconoscimento preponderanza francese nel Nord Africa contro prevalenza italiana in Abissinia condizionata a cessione Gibuti all'Italia. Poiché tale articoio potrà essere sfruttato presso Negus ai nostri danni, comunicole, per sua opportuna norma linguaggio, che pubblicazione Generale Bongiovanni non è stata autorizzata, né rispecchia in alcun modo intendimenti R. Governo in proposito.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AI MINISTRI A BELGRADO, GALLI, A TIRANA, SORAGNA, E A VIENNA, AURITI

T. 162. Roma, 25 febbraio 1931, ore 7.

(Per Vienna e Tirana) --Ho telegrafato al R. Ministro a Belgrado quanto

segue: (Per tutti) -Parecchie circos·tanze ;precedenti attentato di Vienna (2) farebbero ritenere che la mano serba c'entri per qualche cosa. Gliele riassumo

nella loro successione cronologica perché Ella possa tenerle presenti nella raccolta di elementi che valgano a confermare ed appoggiare questa impressione, raccolta che dovrà essere particolarmente curata anche per chiarire gli elementi al cui accertamento sono dirette le indagini della polizia viennese.

l) Fra il 30 gennaio ed il 2 febbraio hanno luogo i replicati passi di Nastassievich a Tirana, diretti a mettere sull'avviso Re Zog contro preparativi di attentati, e l'analogo passo fatto presso Schober dal Minirstro di Jugoslavia a Vienna. In merito a tali passi la S. V. ebbe ad avvertire, sulla base di elementi riferiti dal R. Console a Skoplje, ·che essi potevano tendere a costituire un facile alibi per scagionare codesto Governo da ogni possibile prossimo avvenimento (1).

2) Il 3 febbraio Ramiz Bushati parte improvvisamente àa Serajevo per Vienna, ed i conciliaboli che egli tiene fra il 5 e il 7 con tutti i dirigenti del Baskimi Kombetar fanno pensare che egli è canale di intese fra quei di Vienna e i soliti organizzatori di azioni alla frontiera albanese.

3) Il 6 e 7 si riuniscono a Vienna i dirigenti del Baskimi Kombetar appa

rentemente per eleggere un nuovo direttorio.

4) L'll viene segnalato l'improvviso intensificarsi dell'attività di Gani

bey a base di arruolamenti, rconcentramenti, formazioni di bande armate. Le

autorità dviii e militari jugosiave sollecitano contatti, danno denari ed armi.

5) Nei giorni seguenti si diffonde la voce a Skoplje e negli altri centri

del fuoruscitismo che i capi del Baskimi Kombetar preparano a Vienna un

attentato contro Re Zog.

6) Il l 7 febbraio i dirigenti del Baskimi Kombetar sono convocati d'ur

genza alla Legazione jugoslava a Vienna e vi tengono una riunione durata

3 ore.

7) Il 20 ha luogo l'attentato ad opera di un appartenente al Baskimi

Kombetar che si associa nell'impresa un seguace di Fan Noli. Non si esclude

che vi siano altri complici. È certo ·che l'attentato è stato preparato con ogni

cura, tanto che la stessa polizia viennese ha espresso la ·COnvinzione •che l'atten

tato per la precedente e precisa organizzazione non è iniz.iativa albanese bensì

jugoslava.

(Solo per Belgrado e Vienna) -Impressione che rsi trae da questa successione rcronologica di fatti e circostanze viene confermata da quanto riferisce ii

R. Ministro a Tirana :

• Attentato contro il Re viene qui posto in diretta relazione con movimenti dei fuorus.citi e specie di Gani bey alla frontiera. Informatori avevano riferito che frontiera doveva esse,re varcata durante feste Bahiram. Coincidenza attentato avvenuto proprio al secondo giorno Bahiram lascia credere che Gani bey attendesse notizia uccisione del Re, nel qual caso avrebbe tentato penetrare in Albania.

Le assicurazioni da parte jugoslava che sarebbe stato impedito in ogni modo passaggio frontiera, mentre meritano piena credibilità finché situazione perdura normale, possono dar luogo a ragionevoli dubbi pel caso qualche avvenimento aprisse adito a speranze odierna situazione albanese possa essere sconvolta da cima a fondo. Certamente i fuorusciti calcolano che morte del Re costituirebbe tale opportunità, e agenti jugoslavi probabilmente condividono in massima tale opinione. Vi è quindi ragione sospettare che Governo jugoslavo potesse essere stato persuaso lasciar mano libera a Gani bey e suoi partigiani se attentato avesse avuto esito favorevole; salvo poi insistere declinando responsabilità anche nel caso che a rigor di logica tale difesa dovesse riuscire non agevole.

In ogni modo sembra evidente che gli jugoslavi non solo tollerano continua azione e mene dei fuorusciti alla frontiera, ma li mantengono in un relativo stato di discreta efficienza, per conservarsi ,in mano un'arma da usare ove se ne presenti utilità e possibilità dal lato internazionale » (1).

(l) -Nel fase. di gennaio 1931. (2) -Contro re Zog.

(l) Questa era anche l'opinione del ministro della real casa albanese, trasmessa da Auriti a Roma e da qui ritrasmessa a Belgrado e Tirana con t. 95 del 1° febbraio, ore 15. n ministro della real casa albanese si trovava a Vienna al seguito di re Zog. Circa l'opinionedi Galli cfr. il suo t. posta r. u. 804/278 del 16 febbraio.

88

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO A BELGRADO, GALLI

T. 163/30. Roma, 25 febbraio 1931, ore 7.

Suo telegramma 41.

R. Ministro a Tirana riferisce che, sebbene quel Governo sia tranquillo su Tisultato possibile azione di Gani bey, pure Musa Yuka ha posto Nastassievich sull'avviso, prospettandogli 1a gravità della responsabilità che la Jugoslavia si addos,serebbe, favorendo o lasciando ,compiere atti ostili in territorio albanese da gente proveniente d'oltre confine. Soragna aggiunge che questi ammonimenti averebbero maggiore valore se fatti a Belgrado da qualche Ministro di Potenza che più sinceramente è sollecita del mantenimento della pace. Parmi tuttavia che, se ,risultano confermate notizie di cui nel telegramma a cui faccio criferimento, non sia il caso di dare seguito alla proposta di Soragna, a meno che non si ripresentasse tale opportunità a seguito di nuovo intensificarsi di attività alla frontiera. Il che mi pare sia da escludere possa avvenke a breve scadenza dato faUimento dell'attentato di Vienna, attentato che parecchi indizi inducono a critenere connesso con attività di Gani bey alla frontiera albanese.

Avverto tuttavia che, secondo informatori del Generale Pariani e del Governo albanese, i gruppi assalitori sono quattro così divisi:

decisione presa...

Qualunque siP. l'atteggiamento che a noi converrà tenere nei riguardi di Re Zog nessun sospetto deve cadere sulla limpidità della nostra politica, come ha indirettamente messo in rilievo la sentenza della corte di Ried che ha ben chiarito in quale direzione vadano ricercate le responsabilità dell'attentato , .

l) Gani bey da Giakova con direttiva verso Ciafa Prusit; 2) Bajraktar Sali Mani verso Valbone (Tropoja); 3) Spiro Kossovo verso Ciafa Marines (tra Gussinje e Shala); 4) Kadri Mehmet verso i Kastrati (1).

(l) Cfr. il promemoria 200669/34 di Lojacono per il gabinetto di Grandi, del 9 febbraio 1932 circa la questione dei sussidi da corrispondere ai fuorusciti albanesi: " L'Ufficio di Albania a~eva deciso da tempo di lasciar cadere ogni rapporto con i profughi albanesi da noi sussidiati, ad eccezione di alcuni limitati gruppi più legati alla nostra politica e di maggior prestigio ed utilità. L'?ccasion_e per modificare _in tal _senso la n?s~ra pol!tica fu offerta dall'attentato di Vienna, ne sono mtervenutl fatton nuov1 che cons1ghano d1 tornare sulla

89

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO DELLA MARINA, SIRIANNI

L. 824. Roma, 25 febbraio 1931.

Faccio seguito alla mia del 23 corrente, n. 206125/92, per accluderti una ulteriore comunicazione che mi è testè pervenuta dal nostro Ambasciatore ad Angora sulla questione delle cost,ruzioni navali in corso di esecuzione in Italia per la Marina turca e che desidero segnalarti coll'urgenza che il caso comporta (2).

Ti sarò poi grato ·se vorrai provvedere a far porre subito sull'avviso il Presidente dell' • Ansaldo •, secondo suggerisce il Barone Aloisi, per l'occasione di suoi contatti col Sottosegretario della Marina turca. Sembra, infatti, questo momento delicato e decisivo per il futuro della nostra industria navale, soprattutto nei confronti della contesa clientela.

90

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AI MINISTRI A BELGRADO, GALLI, E A TIRANA, SORAGNA

T. 177. Roma, 26 febbraio 1931, o1·e 24.

Mio telegramma 162 (3).

Auriti continua a tenersi in contatto con Schober al fine di esse;re informato risultanze indagini su attentato a Re Zog. Schober gli ha detto intanto che esame delle carte trovate nelle perquisizioni degli albanesi è stato affidato a noto signor Rappaport. Questi avrebbe dichiarato che fin dalle prime letture appare che ·la Jug01slavia non ne usciva immune. Schober ha anche confidato ad Auriti che Ministro jugoslavo si è recato da lui a ricordargli che lo aveva

belli •·

prevenuto su voci di preparativi d'attentato. Avendogli Schober chiesto come ne fosse venuto a conoscenza, Angelinovic si è limitato a replicare esserne stato informato da ·confidenti della Legazione.

Auriti riferisce inoltre che notizie connessione tra attentato e preparativi alla frontiera albanese hanno fatto presa sui circoli dirigenti viennesi e sulla stessa polizia (1).

(l) Galli rispose con t. 484/69/50-70j51 del 26 febbraio, ore 17, per. ore 20,45, sconsigliando di dar seguito alla proposta di Soragna e concludendo: « È del resto mia impressione generale che se in qualche circolo esaltato si desidera il sovvertimento albanese e qualche autorità aiuti mene ed intrighi, gli elementi di maggiore senno e ponderazione finirebbero e finiranno col prevalere poiché a tutti qui è ben chiaro, e ne ho in questi giorni la precisa sensazione, quale pericolosa incognita presenterebbe per la Jugoslavia una anarchia albanese che potesse costringerci a quell'intervento che qui si vuole per ora considerare come casus

(2) -Cfr. il t. (p. r.) per corriere 1498/45, Angora 14 febbraio, col quale Aloisi comunicava il malcontento delle autorità turche per alcuni difetti riscontrati in navi da guerra commissionate presso cantieri italiani. Tali difetti • hanno... fatto qui sorgere il dubbio sulla nostra capacità tecnica e quindi sull'opportunità di avvalersi in avvenire delle nostre industrie marittime>. (3) -Cfr. n. 87.
91

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO AL CAIRO, CANTALUPO

T. 173/27. Roma, 27 febbraio 1931, ore 3. Suo telegram ma 29. Proposte da Lei trasmesse (2) e che rappresentano diplomaticamente un

notevole risultato di cui compiacciomi con V. S., sono state sottoposte ponderato esame da parte competenti autorità militari e coloniali in concorso con questo Ministero. Autor1tà militari hanno però esplicitamente dichiarato (3) di non vedere altro mezzo vincere estreme resistenze ribeHione Cirenaica se non quello mantenere e rafforzare attuale rigorosa ·chiusura frontiera, ritenendo situazione essere tuttora prematura per mettersi su di una vla di accordi ~~~pirati al principio di una collaborazione egiziana sulla quale per il momento non è possibile fare esclusivo affidamento in tale materia. Di fronte a tali eE,plidte dichiarazioni questo Ministero, il quale da pa.rte lsua deve anche riconoscere che cattiva volontà finora dimostrata da autorità anglo-egiziane non ispira tutta necessaria fiducia per fondare su tale collaborazione soluzione alla questione, doveva lasciare alle autorità coloniali la responsabilità di assolvere il compito che esse

"Nel corso dell'istruttoria si sarebbero manifestate due tendenze le quali avrebbero una certa influenza sui magistrati austriaci; quella caldeggiata da questa Cancelleria Federale che vorrebbe ridurre il processo alle sue minime proporzioni inviando al processo i soli due attentatori per evitare un processo politico sia contro l'Albania, sia contro la Jugoslavia, sia infine contro l'Italia. L'altra tendenza trova invece i suoi appoggi nella massoneria e nella

social-democrazia la quale lavora su di ottimo terreno perché si faccia il processo 'monstre'

per inscenare le solite accuse contro l'Italia responsabile dello stato di cose in Albania e per

lanciare i suoi strali contro il fascismo. Quale delle due tendenze potrà avere la prevalenza è

ancora -oggi -impossibile dirlo. Certo che la tendenza appoggiata dalla massoneria e social-democrazia, al momento, sembra la più forte. E se questa riuscisse a prevalere non sarà possibile di evitare un processo politico contro il fascismo malgrado tutta la buona volontà della magistratura che sembra disposta di volere mantenere il processo chiuso nel suo alveolo...

Sicché, nel caso la tendenza massonica aiutata in questa bisogna da forze occulte jugoslave, francesi e ceke riuscisse a prevalere si è più che certi che si avrà il processo politico. Quello che è sempre stato impedito alla Jugoslavia di ottenere dalla Società delle Nazioni e cioè 1:1 discussione sul Patto d~ Tirana, le si presenterebbe invece il destro con il processo

contro gli attentatori di Re Zog r>er sollevare quella disamina e quella critica al Patto di Tirana e all'alleanza ltRlo-Albancse che pctrebbe avere una ripercussione molto vasta ».

Con successivo teles!Jr. r. 356"1/2036 del settembre 1931 lo stesso Auriti comunicava: " Schober mi ha detto che questa legazione jugoslava gli rimprovera di aver ceduto alle mie pressioni facendo trasferire a Ried il processo contro gli attentatori di Zogu, il quale avrebbe dovuto invece aver luogo in Vienna. Ciò che, com'è noto a codesto R. Ministero, è vero. Schober ha aggiunto che egli lo ha energicame•1te negato e mi ha chiesto di fare lo stesso; del che gli ho data promessa.

Ho colto l'occasione per pregarlo di fare di tutto affinché non sia permesso all'ex deputato Modi_g!iani di venire in Austria a deporre nel processo stesso (mio telespr. 2007) ,

{3) Cii'. :-L 3-1·

dichiaravano di volere as3umersi, di provvedere cioè alla salvaguardia della frontiera coi soli nostri mezzi. D'altra parte giuste considerazioni di politica generale prospettate da V. S. debbono passare in seconda linea dinanzi alla suprema lex mi:Htare della Colonia.

Questo Ministero ha prospettato soltanto la necessità di fare anche esclusivo affidamento su noi stessi per quanto riguarda questione fuorusciti, essendo evidente ,che lasciata cadere la via degli accordi diventa più difficile per noi reclamare un atteggiamento più favorevole da parte del Governo egiz.iano.

D'accordo pertanto con il Ministero delle Colonie resta inteso che V. S. dovrà far comprendere costì che si ritiene da parte nostra preferibile soprassedere allo studio degli accordi proposti finché la situazione cirenaica non sia meglio chiarita.

V. S. troverà modo però di prendere atto del riconoscimento del nostro diritto capitolare circa arresto e espulsione fuorusciti libici, pur facendo comprendere che per il momento ci asteniamo da qualsiasi precisa domanda, per fare atto amichevole verso l'Egitto ed evitargli imbarazzi nella presente sua situazione interna.

Tutto ciò era stato già deciso ed erano in corso le istruzioni per la S. V., prima che S. E. De Bono pronunciasse il suo discomo alla Camera, il cui testo diffuso dall'Agenzia Reuter è sostanzialmente esatto (1).

Se codesto Governo si lamentasse dell'omissione di qualsiasi accenno alle note proposte, V. S. potrà ricordare quali e quante no!.3tre proteste le hanno precedute e determinate, ed atteggiamento sempre ostile tenuto fin qui dal Governo egiziano e che giustifica pienamente nostro risentimento.

In fin dei conti trattasi sempre di proposte il cui valore potrebbe essere soltanto giudicato alla stregua dei fatti. Non sarà inutile ricordare anche persistenza rifiuto egiziano ,ratifica precedenti accordi di frontiera.

In altri termini, e dato anche che non intendiamo addivenire per ora ai proposti accordi, ,converrà che V. S. non accetti eventuali recriminazioni da parte di code:>to Governo il quale al postutto non potrebbe se mai che allegare una questione di forma mentre noi abbiamo ben altre e sostanziali ragioni nei confronti delle autorità anglo-egiziane.

(l) Cfr. quanto comunicava Auriti con t. posta 1461/813 del 14 aprile, circa l'istruttoria del processo contro gli attentatori:

(2) Cfr. p. 23, r..ota 2.

92

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ORSINI BARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. GAB. 495/122. Berlino, 27 febbmio 1931, ore 15.40 (per. m·e 19).

Mi riferisco al mio telegramma n. 120. Treviranus mi ha detto per incarico Cancelliere germanico che la mia osservazione su inopportunità presenza di

scorso Braun riunione socialista lunedì è stata trovata giusta e che questi era stato pregato per ragioni superiori politica estera voler desistere suo proposito. Quanto ad opera propaganda antifascista Nenni Governo tedesco non ha modo di p·roibirla specie quando viene fatta in riunione non aperta e in Paesi come Prussia nei quali domina partito socialista. Cancelliere germanico ... (l) riprova e non mancherà sorvegliare acciocché sia ·contenuto dentro limiti segnati dalla legge. Infatti nell'invito alla manifestazione « Vorwarts , ha tolto stamane nomi del Braun e Nenni. Cancelliere germanico mi fa... (l) grato Capo del Governo per recenti prove di amicizia verso il Reich e farà :il possibile guadagnare sua fiducia più di quello che possa concedere a Hitler.

Cancelliere germanico non è preo·ccupato possibili accordi navali italafrancesi; spera però che il R. Governo non vorrà assumere oggi ... (l) impegni che possano limitare azione Conferenza disarmo (2) alla quale Treviranus dice Governo germanico non insi:sterà tanto per poter ·,realizzare armamenti quanto piut,tosto per essere posto in parità di condizioni di diritto ·con altre Potenze, cioè per avere riconosciuta facoltà di armarsi se e ... (l) nella misura propria competenza. Nelle attuali condizioni economiche del paese Governo tedesco non :sperpererà certo denaro in armamenti che non potrebbero 'rispondere bisogni di queUa situazione che si presenterà forse tra 20 o 30 anni. Desidera solamente es<Sere sbarazzato catene Versailles ed essere posto in condizioni di diritto pari a quelle altre Potenze.

(l) Grandi risponde evidentemente al t. Cantalupo 475 del 25 febbraio, del quale si pubblica il passo seguente:

93

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, CHIARAMONTE BORDONARO

T. 181/38. Roma, 27 febbraio 1931, o1·e 24.

In relazione recenti avvenimenti, fra cui importanti .contemporanea prepa

razione di bande armate alla frontiera albanese e attentato contro Re Zog a

Vienna, signor Swire ha inviato al Times alcune corriS!pondenze (3).

Lo stesso Swire ha fatto presente al R. Ministro a 'I1irana che Times si mostra spesso restio a pubblicare quanto suo corrispondente invia da quella capitale.

" Agenzia Rcuter diffonde rese>conto sintetico discorso Ministro De Bono Camera facen

dogli dire 'proteste indirizzate all'Egitto essendo riuscite vane Italia ha deciso chiusura com

pleta frontiera cirenaica-egiziana '.

Presidente del Consiglio dei Ministri telefonandomi esprimeva sorpresa per dichiarazione

attribuita Ministro delle Colonie avendo nostra protesta portato a proposta del Governo

egiziano per regolamento frontie1·a cui questo Governo attende risposta"·

Anche a Vienna, su iniziativa di Auriti, era stata favorita una campagna di stampa nello stesso senso.

Sarebbe utile, se fOis,se possibile farlo senza che appaia nostro intervento diretto, un amichevole interessamento presso direzione giornale perché pubblichi quanto il signor Swire gli invierà da Tirana.

Prego V. E. esaminare se Villari o altri possa efficacemente incaricarsi di ciò.

(l) -Gruppi non decifrati. (2) -Cfr. però quanto aveva comunicato lo stesso Orsini Baroni con t. 449/113 del 24 febbraio, ore 15,20: « Si seguono con preoccupazione trattative in corso anglo-francesi programma navale. Preoccupazione deriva anzi tutto eventualità che Francia come compenso entrata Patto di Londra e per rcal2 o apparente diminuzione armamenti navali si assicuri appoggio Inghilterra alla Conferenza Generale Disarmo. Come sempre in tale cir~ostanza attenzione questi circoli va verso decisioni Italia». (3) -Grandi aveva sollecitato l'intervento giornalistico di Swire con t. (p. r.) 1730/58 del 26 febbraio, ore 3, diretto a Tirana.
94

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. (p, R.) PER CORRIERE 1670/73/53. Belgrado, 27 febbraio 1931

(per. il 3 marzo).

Vreme odierno riporta dal Katolicki List di Zagabria, organo dell'arcivescovato croato, un messaggio a tutti i sacerdoti cattolici della Jugolsiavia. Vi si dice che i sacerdoti ed i maestri sloveni e croati della Venezia Giulia non hanno miglior sorte di quelli del Messico, Russia e Lituania data la soppressione dell'insegnamento del catechiismo e delle preghiere nella lingua materna slovena

o croata. Si afferma un interessamento del Santo Padre alla situazione di detti sacerdoti e si conclude con l'ordinare che il 19 marzo p.v. festa di San Giuseppe, protettore della Chiesa Cattolica, oppure la domenica dopo la festa, in tutte le chiese cattoliche di tutto lo stato si facciano pubbliche preghiere per la libertà di culto dei connazionali. I sacerdoti sono invitati a spiegare alla popolazione il messaggio, e ad invitarla a pregare non soltanto quel giorno ma sempre.

Tale pubblico avviso giustificherebbe la mia immediata azione per impedire una manifestazione che è diretto inammissibile intervento nelle faccende interne italiane da parte dell'autorità religiosa jugoslava.

Ma ciò può avere ripercussioni di tale delicatezza e può prestarsi a tali malevole interpretazioni che mi astengo da qualsiasi passo fin che V. E. non me ne dia preci!sa istruzione fissandone limiti e modalità eventuali.

Mi astengo anche dall'intrattenerne questo Nunzio per evitare qualsiasi imbarazzante situazione e compromettere altra azione che V. E. potrà eventualmente decidere attraverso la nostra Ambasciata presso la S. Sede.

Metto in rapporto ·la notizia in oggetto col memoriale dei sacerdoti allogeni consegnato al Ministro jugoslavo Simic presso .Ja Santa Sede e di cui mio telespresso n. 997/355 del 24 febbraio 1931 (1). Sembrami pure difficile che tale decisione del Vescovo di Zagabria sia •presa all'insaputa del Governo (2).

Galli condivise il giudi=io di Rochira su mons. Slamic. Cfr. il suo t. (p. r.) per corriere 1762/75176 del 2 marzo, che così proseguiva: " Già più volte ho avuto occasione di segnalare a V. E. la crescente im!JOrtanza della propaganda irreden'dsta ed antitaliana che vengono svolgendo i gruppi di aJloeeni sempre piu nurr1erosi che en1igranc clandestinan:.ente e con

H6

(l) -Non si pubblica. (2) -A giudizio di Rochira (suo telespr. 706/102, Zagabria 27 febbraio) la pastorale d\ ,-nons. Bauer era stata " in precedenza autorizzata dal Vaticano. Ma io ritengo per certo che il Governo serbo abbia esercitato la sua influenza presso questo Arcivescovado per indurlo ad assumere tale atteggiamento... Inoltre l'Arcivescovo dr. Bauer ha al suo fianco quale segretario Monsignor Slamic, un giovane sacerdote originario dell'Istria, antitaliano e ligio a Belgrado, il quale ha grande influenza sul suo Capo, già molto vecchio"·
95

IL MINISTRO A BUDAPEST, ARLOTTA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

R. 1150/ 193. Budapest> 28 febbraio 1931.

Il dispaccio riservato n. 723 (l) che l'E. V. si è compiaciuta inviarmi con l'istruzione di mettere nel di Lei nome questo Presidente del Constglio dei Ministri al corrente delle impressioni generali da Lei Tipodate circa i recenti lavori del Consiglio e della Commissione Europea a Ginevra, nonché delle conversazioni che V. E. ha avute colà con uomini politici di diversi Paesi, mi è giunto particolavmente tern,pestivo, ed efficace a controbattere una certa spiegabile trepidazione colla quale si sono seguiti dai più alti C>ircoli politici di questa Capitale, sotto l'influenza concomitante dell'opinione pubblica appassionata aUe questioni internazionali, e delle malcelate insinuazioni della stampa demo-liberale abilmente ispirata da influenze franco-piccolointesiste ovviamente interessate, i recentissimi negoziati di Roma per l'accordo navale (2).

Posso con sicurezza affermare che mai, forse, come in questa circostanza, il Conte Bethlen, il quale mi ha proprio ieri intrattenuto a colloquio per circa due ore, ha ascoltato con così costante attenzione la dettagliata esposizione che gli ho fatta, sulla scorta fedele di tale dispaccio, della comunicazione ordinatami.

Egli mi ha incaricato di esprimergliene con effusione suoi più vivi ringraziamenti anche in nome del Governo Ungherese, riscontrandovi nuova prova di quella ·Continuazione di rapporti lealmente amichevoli del Governo Fa,scista verso l'Ungheria, alla quale :mi ha rinnovato la dichiarazione di tenere con sincera riconos·cenza come al principale caposaldo della sua politica estera.

Posso dire che ha seguito con vero appassionato interesse la lucida dimostrazione fattagli dall'E. V. della • manovra , di Ginevra, e •che mi è parso immedesimarsi perfettamente delle ragioni che La hanno indotta, dinanzi allo esitante atteggiamento di Curtius -del quale ha riconosciuto spontaneamente i legami che tuttora lo avvicinano allo politica tradizionale di Stresemann -a decidere seduta stante di valersi dell'invito alla Russia quale abile determinante di una situazione netta nelle relazioni degli aggruppamenti di Potenze Europee. Ha riconosciuto, del pari spontaneamente, come il Conte Kàrolyi, sotto l'incubo predominante forse, ha egli detto, di eccessiva preoccupazione anti-

regolare passaporto, ma a titolo definitivo, in Jugoslavia. Le 'Novosti ' di pocm gio~ni or sono ne indicavano l'ammontare in 70 od 80 mila. Ritengo tale cifra esagerata, in ogni caso essi sona qualche decina di migliaia perfettamente inquadrati nelle loro associazioni nelle quali sacerdoti e maestri allontanati dalla Venezia Giulia sono gli organi di collegamento con lR direzione composta da avvocati medici ingegneri. Ciò imprime ad ogni manifestazione antltaliana una sua particolare asprezza ed astiosità, ed è anche da pensare che se in avventurata ipotesi ci si potesse domani avviare ad un chiarimento definitivo dei rapporti italo~ugoslavi e ad una loro normalizzazione, questi gruppi bene organizzati e che arrivano :.1 far sentire la loro voce ed influire anche nelle amministrazioni centrali compirebbero opera di sabotaggio non senza effetto , .

bolscevica, non sia riuscito sufficientemente, neanche dopo la conversazione con l' E.V., a spiegarsi la mossa italiana, di tutta la portata della quale invece, egli, Bethlen, mi ha ora dichiarato di essersi integralmente reso ·conto, classificandola di « politica di grande stile, che va molto al di là delle semplici apparenze del momento , .

Molto lo ha interessato il richiamo alle inequivocabili condizioni cui l'Italia ha subordinato, coi 1SUO memorandum del 4 luglio scorso (1), la esistenza di una Unione Europea, e si è dimostrato convinto delle favorevoli ripercussioni che tali riserve devono indubbiamente comportare per gli interessi ungheresi.

Non ho mancato di chiarirgli, d'altra parte, illustrandogli con le stesse parole del dispaccio citato, le considerazioni di V. E. al riguardo, i limiti condizionali che devono porsi, almeno pel momento, alle poSJsibilità di collaborazione italo-germanica, nonché quelli ben precisi che l'odierna Italia pone alle proprie relazioni con la Russia dei Soviets.

A questo proposito, il Conte Bethlen mi ha rinnovato l'espressione di una certa perplessità, già da lui vagamente accennatami in altro precedente incontro, con cui si segue qui da questo Governo e da questa opinione pubblica il delinear'si di un possibile ,riavvicinamento tra Russia e Rumenia, e mi ha interessato ad informarLa ·che, a richiesta fattagli avanzare da Angora sul modo come sarebbero visti in Ungheria gli eventuali buoni uffici che il Governo Turco fosse cHsJposto ad interporre (e ciò conferma, del resto, quanto ha già riferito al riguardo di tale disposizione l'Ambasciatore Aloisi) per facilitare un simile riavvicinamento, egli aveva fatto rispondere in senso redsamente dilatorio (conforme, ha aggiunto Bethlen, alla decisa contrarietà di questo Governo di fronte ad un mutamento delle attuali relazioni tra le due Potenze in questione), facendo cioè pregare Angora di rimandare possibilmente ogni decisione in merito ad epoca posteriore a quella della preannunciata prossima visita a Budapest di Ismet Pascià e di Tevfik Rusdi, circostanza che avrebbe fornito ampiamente occasione di esaminare e discutere verbalmente ,}a cosa con i due uomini di stato turchi.

Sullo stesso argomento, quando si è parlato di ciò che Titulescu ebbe ·a dire all'E. V. a Ginevra a proposito del recente trattato di alleanza polaccoromeno, il Conte Bethlen, che ne aveva, al pari di questo Ministero Esteri, seguito con preoccupazione le fasi del relativo negoziato, mi ha pregato di riferirLe espressamente in suo nome che egli aveva dato incarico, subito dopo la conciusione di quello, al proprio rappresentante diplomatico a Varsavia, di chiedere es·plicitamente al Governo Polacco, se nel trattato fosse stata effettivamente inclusa la clausola (che Titulescu ha poi deplorata conversandone con l'E.V.) concernente la garanzia per la frontiera occidentale. Al che, mi ha ancnra detto il mio int~::rlocutore, Zal~ski avrebbe risposto con formale dichiarazione in senso negativo, ma pur non ancora sufficientemente precisa se trattarsi cioè in genere

della frontiera occidentale, oppure se il Ministro degli Esteri polacco abbia inteso • con una di quelle riserve mentali che sono notoriamente consone al suo carattere • (sic) rassicurare il richiedente nei riguardi degli interessi particolari ungher~si verso la frontiera romena. E per ciò il Conte Bethlen Le sarebbe assai grato se l'E. V. volesse, possibilmente, compiacersi informarlo se Le risulti come stiano in definitiva effettivamente le cose.

Il Conte Bethlen ha avuto naturalmente notizia dal signor De Hory di quanto l'E. V. gli ha comunicato circa i rinnovati approcci fatti ora dal Governo romeno presso di noi per cercare di asls:icurarsi l'appoggio mediatore italiano nel tentativo di riavvicinamento alla Rus,sia (1). E, mentre mi ha !Pregato, anche per questo, di ringraziarLa vivamente a suo nome, ed ha mostrato di essere convinto delle considerazioni generiche ,che, anche per parte mia gli svolgevo nell'intento di avvalorare la certezza in cui doveva rimanere, che in nessun caso sarebbe presumibile lo svolgimento da parte deH'Italia di un'azione politica nella quale non fosse anche tenuto il giusto conto degli interessi ungheresi, che il Governo Fascista ha già dimostrato di sapere efficacemente tutelare, mi ha peraltro pregato di far sapere all'E. V. ancora, senza reticenze, che, per lo meno nel fondo del suo animo, si augura vivamente che un accordo tra Bucarest e Mosca non abbia a realizzarsi. Se l'E. V. giudicherà potermi fornire qualche ulteriore dettaglio che Le risultasse in merito all'eventuale sviluppo delle relazioni romeno-sovietiche, permettendomi di ,ragguagliarne così il Conte Bethlen, penso ciò possa utilmente contribuire a liberarlo da quel po' di nervosismo che, nel delicato momento internazionale attuale, lo tiene -se pur certam2nte non nei nostri riguardi -ciò malgrado spiegabilmente un tantino perplesso.

L'intereslsante colloquio si è chiuso, con indubbia soddisfazione -e direi quasi con gusto non celato -del ,conte Bethlen, quando per ultimarlo, gli ho letto, in sunto dettagliato, l'appunto della Sua conversazione con Benes (2). È certo superfluo che io mi soffermi a ripo,rtare le salaci osservazioni colle quali, sorridendo con ironia, il mio interlocutore -i cui ultimi battibecchi col suo • amico personale •, Ministro degli Ested cecoslovacco, attraver:so interviste di stampa e pubbliche dichiarazioni in parlamento ho di recente rife,rito a parte -ha punteggiato le affermazioni fatteLe. Per i Ruteni subcarpatici si è molto interessato, ma ha detto che le misure di • pretesa autonomia • concesse dal Governo di Praga sono • fantats.tiche speculazioni che non possono praticamente né illudere, né soddisfare nessuno • (sic).

Il Conte Bethlen La ringrazia assai dei chiarimenti che, anche su questo punto, V. E. ha voluto spontaneamente fornirgli, ed ha subito aggiunto, con espressione non dubbia di ,sincerità, che, anche senza bisogno di questi, era stato, fin dal primo mnmento, persuaso • delle artate e tendenziose trasfigurazioni di Benes, che aveva tentato così rivalersi deUo sca,cco subìto nella questione della presidenza della Commissione del disarmo, e del quale noi Ungheresi dobbiamo senza dubbio essere precipuamente grati all'azione dell'Italia • (sic).

(l) -Del 17 febbraio, che non si pubblica in quanto ricalca le linee della relazione Gwndi a Mussolini clel 2 febbraio pubblicata al n. 52. (2) -Sul quale cfr. n. 99.

(l) Cfr. serie VII, vol. IX, n. 133.

(l) -Cfr. nn. 9, 21. (2) -Cfr. n. 31.
96

APPUNTO DEL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI (Copia; ACS, Segreteria particolare del Duce, Carteggio riservato, fase. Gran Consiglio 242/R, sottof. 9)

... (1).

Il Gran Consiglio del Fascismo, udite le relazioni Grandi e Sirianni, considera pienamente soddisfacenti i termini dell'accordo navale itaio-francese conclusosi a Roma perché:

l" lascia impregiudicata la questione di principio e segna un'altra tappa verso la parità;

2·· non compromette le necessità fondamentali della difesa navale italiana;

3" non sposta le posizioni internazionali di politica estera, prese dall'Italia in questi ultimi tempi;

4" prepara un'atmosfera migliore per la conferenza del disarmo del 1932;

5" dimostra che l'Italia -purché rsia lasciata tranquilla -non intende turbare la pace del mondo.

Il Gran Consiglio vota un plauso ai Niinistri Grandi e S.irianni e ai loro collaboratori.

Nuove possibilità degli aerei.

Prestiti? (2).

97

L'INCARICATO DEGLI AFFARI D'ALBANIA, LOJACONO, ALL'ADDETTO MILITARE A TIRANA, PARIANI

Roma, ... febbraio 1931 (3).

Ho ricevuto con piacere la Sua cortese lettera del 30 gennaio (4), e trovo che è sommamente utile stabilire ogni più larga comunicativa fra i tre lati del nostro triangolo esecutivo -Lei, Soragna e me -in presenza o in previsione di avvenimenti che si dimostreranno certamente gravi, anche se affrontati

(3ì Il documP'lto :~ee;.---.-a !;-:nrginl2 l'annDt:l:?.io·:1e di Lojacono ·. ,, }Jros-etto di risposta >' Si ignora se fu spedito.

-come saranno -con la ferma volontà di superarli, non :solo, ma anche di volgerli a nostro pieno favore.

l -Le notizie che vengono da Vienna sono autentiche sulle non cattive

condizioni organiche del Re e bisogna diffonderle non soltanto come un dovere

ma come una ·Convinzione. Se non uscissimo convinti, noi stessi, della dilazione

più o meno lunga che le condizioni fisiche del Re sembrano offrirei, dovremmo

puntare subito sul giuoco della morte piutto::to che su quello della vita; scegliere

un nuovo punto di partenza sopra nuove combinazioni, piuttosto che affidarci

alle S!Jeranze di una discendenza ereditaria.

È quindi decisivo in questo momento intenderei se noi crediamo o non

crediamo nel giudizio medico di Vienna.

2 -Da tutti gli indizi che si posseggono, io propendo per c·rederci. Ed allora,

diviene ·perfettamente di attualità il programma del matrimonio e dell'erede.

A tale proposito bisogna preparare il terreno qui e costà; qui per trovare la

moglie e costà per predisporre il marito.

Per quello che riguarda il primo compito, mi occorrerebbe rsapere -prima di ·perdere il cervello a scovare una candidata di maggiore bellezza ma certo di minore livello -se la ·candidatura " Genova » deve intendersi definitivamente tramontata. Non credo che possa risorgere, in competizione con • Genova », l'idea di salire più in alto sia perché si tratta di una bambina e sia perché quello che non riuscì con la sorella maggiore, in .condizioni di floridezza fisica e di più lieto avvenire da parte maschile, n,on ·sembra possa aver fortuna in false di evidente declino. Le a:li deLle aspirazioni del Re debbono avere perdute molte penne; se egli stesso non ,lo capisce spontaneamente, bisogna che intorno a lui lo sentano tutti gli altri.

Propenderei quindi, prima di ogni altra cosa, per un tentativo di rivalutazione della candidatura « Genova ». Solo dopo precisa constatazione dell'insucce1sso di tale candidatura, ritengo debba pas:sarsi all'esame di altre combinazioni, valutando se valga la pena di una scelta in Italia all'infuori della famiglia Reale, ciò che potrebbe avere inconvenienti perché altro è una Principessa Reale che affronta ·la cosa per disciplina e quindi con un senso altissimo del dovere ed altro è una ragazza snobistica che venga a cercare a Tirana (!) fini mondani per passare poi forse, da una disillulsione ad una condotta immorale, ciò che ferirebbe il nome della donna Italiana in Albania.

3 -Ad ogni modo, il collocamento in primo piano del problema matrimoniale rende, come giustamente Lei dice, di minore attualità il problema della successione non ereditaria. Ma ciò non significa che i concerti iniziati prima della visita del Re a Vienna, e cioè nel momento del :pessimismo, debbano essere mollati del tutto. È buona prudenza tenere in mano le fila per non essere colti da avvenimenti imprevisti o affrettati.

A questo riguardo credo che sarà bene che, al ritorno del Re a Tirana, si faccia qui a Roma un altro consulto, questa volta fra di noi tre, per ricevere :poi le definitive istruzioni di S. E. il Ministro e di S.. E. il Capo del Governo.

4 -In linea di massima, Le dirò che noi comprendiamo i concetti fondamentali secondo i quali tanto Soragna quanto Lei vedono quasi inevitabile il

7 -Documenti diplomatici-Serie VII-Vol. X

caos dopo la sparizione del Re; ma non condividiamo i concetti derivati secondo l'Ui Loro dicono che, dato come inevitabile il caos, convenga a noi steslsi di mollare le posizioni della •Costituzione, del Iegittimismo e della monarchia, per abbracdare l'idea ~epubblicana. Prima di arrivare a questo che significherebbe insanabile divisione di fazioni tra un candidato nostro ed un candidato avversario, e ,che potrebbe aprire la via a11le lotte intestine, bi·sogna bruciare tutte le cartr.cce che possano valere a salvare l'ordine ed il potere centrale e le pOisizioni nostre basate sul mantenimento dell'uno e dell'altro. Noi dobbiamo esseTe conservatori per principio ed orientare, anticipatamente, le cose per il trionfo dello statu quo.

5 -Inoltre Ja monarchia, oltre ad essere un successo italiano nelle tappe del passato (ed anche per questo una caduta di es,sa potrebbe figurare come uno scacco o per lo meno ·come una incoerenza della poUtica fascilsta) contiene degli spiragli di nuovi successi che non debbono essere otturati con le nostre stesse mani. Lei stessa, parlando con S. E. Grandi, ebbe a far balena·re una idea di dinastia italiana. O~a, noi non vogliamo apparire affatto come iniziatori di simile idea che dovrebbe figurare come impol.sta -quasi ·contro nostra apparente riluttanza -da una corrente del popolo albanese. Ma da questa riluttanza più o meno ,sincera, a precludere, con un ritorno repubbUcano, una soluzione del genere, d ·corre molto. L'idea érepubblicana deve essere considerata, per molte ragioni, come· contrada agli interessi italiani.

6 -Rimanendo nel campo deila monarchia, ripeto che noi dobbiamo figurare come sostenitori, ad ogni costo, di una dinastia nazionale albanese. Parlare in Albania di Pr.incipi Sabaudi, sarebbe, da 'Parte nostra, un agire precipitato. Ne paruino -1se ·credono -gli albanesi; e noi risponderemo ·che preferiamo la dinastia locale fino a che non diventi travolgente, per opera degli stessi albanesi, i'idea di una dinastia straniera. In questo, H lavorio del Principe di Wied può servirei; infatti può essere utile che Ia perforatri·ce destinata ad aprire la strada ad un Re non albanese sia di acciaio germanico; quando poi resterà l'ultima parete da perforare, avremo sicuramente modo di ,stappare il meccanismo di Wied, denunziando al mondo che, a \"ittoria conseguita sugli Imperi Centrali, non è ammissibile vedere rinascere uno dei più .tipici esponenti :dell'idea imperiale austro-tedesca. E poiché di Re nazionale non se ne vuol parlare, ecco uscire fuori una proclamazione sabauda; ,proclamazione che evidentemente dovrebbe figurare come parto spontaneo di una corrente politica albanese.

7 -Non è quindi del tutto abile in questo momento stroncare il principe

di Wied; bisogna invece 1servircene per documentare che sono gli albanesi che

non vogHono una dinastia nazionale. La stroncatura verrebbe iPiÙ oltre e cioè

dopo che le mene di Wied sieno servite a questa documentazione.

Come \"ede, caro Generale, vi è molto da fare e da tessere. In conC'lusionE::

prima, fare di tutto per non correre incontro ad avventure e dominare gli avve

nimenti dalle poll.izioni attuali; se poi, si dimostrasse impossibile Ia permanenza

nelle pOisizioni attuali, contrattaccare e strappare nuovi vantaggi.

8 -Sono d'accordo con Lei che, per attuare un .programma simile, occorre avere in mano degli uomini; e vengo al caso Topalai.

Sarà il maggiore Topalai una delile pedine della nostra resistenza sulle posizioni o del nostro contrattacco? Non lo so: bisognerà prima conoscere quale dei nostri piani sarà per preva,lere.

Ammesso che Topalai sia una pedina, è proporzionato il :suo rendimento con J.'onere ·che lsi vorrebbe fin da ora farci assumere, con ·l'acquisto di una sua grossa tenuta? Cosa avverrebbe se nel nostro giuoco ogni pedina del calibro Topalai dovesse essere pagata con una tenuta?

In ogni caso è possibile che H manipolatore di una combinazione simi·le sia un tipo ·come Recupito? i·l quale promette, vende fumo, ~compra tenute, .scontenta tutti, e poi vede il Governo Fascista correr dietro a 1sanare i cocci delle rotture di lui? È possibile abbinare le speculazioni mercantili di Recupito con le finalità di una politica innegabilmente a grandi Unee che egli non è lontanamente capa,ce di capire?

Io ored:o ·che sia ur:gente non da·re più ·corda a quest'uomo o pe•r 'lo meno togliergli ~a capacità di interferire inconsapevolmente nel campo dei grandi interessi politici. In quanto a questi, ,cercheremo di dipanarli ·col massimo deLle nostre forze e della nostra devozione, e dipaneremo, tra gli aUri, anche il caso Topalai, purché non venga tra .l'arcolaio ed il gomitolo un ar·ruffone come il Recupito.

(l) -Il documento, il cui primo capoverso è stato ineerito nell'ordine del giorno del Gran Consiglio del fascismo del 3 marzo, giorno nel quale Grandi pronunciò la sua relazione, è stato datato a margine dalla segreteria di Mussolini «febbraio 1931 "· Mussolini fu messo a conoscenza dell'accordo navale (per il quale cfr. n. 99) nel pomeriggio del 27 febbraio da Grandi a Sirianni. Si inserisce il documento alla fine di febbraio. (2) -Secondo informazioni anonime, datate Roma 10 marzo 1931, Farinacci avrebbe deprecato l'accordo in forza del quale, a suo giudizio, l'Italia veniva a rinunciare di colpo alla parità navale con la Francia (ACS, Segreteria particolare del Duce, carteggio riservato, fase. Farinacci 242/HJ. In seguito a una conversazione avuta con l\1:ussolini il 6 marzo. Fummi inviò il giorno successivo un cablogramma alla banca Morgan in cui smentiva ogni connessione tra l'acco~do navale e un nrestito francese all'Italia (Archivio Grandi).

(4) Non pubblicata.

98

COSTITUZIONE ED ATTIVITA DEL COMITATO FRANCIA-ITALIA NEL REGNO (l)

Roma, ... (2).

Come è noto, a Parigi funziona già da tempo il • Comité France-ltailie • il quale, composto di cospdcue personaHtà degli ambienti intellettuali, coglie frequenti occalsioni per manifestazioni di amicizia itala-francese.

Fra le varie iniziative •sono pavticolarmente da rico!'darsi i • déjeuners

Stendhal • organizzati periodtcamente con intervento di aCìca!demici di Francia,

di personalità 'lettera-rie ed anche politiche deLla Repubblica fu-a .J.e quali quasi

costantemente anche rappresentanti del Governo. Uno di essi fu tenuto a Roma

nell'ottobre scorso prendendo occasione dalola presenza neLla ~capitale dei vari

uomini eminenti di F.ranc:ia che avevano partecipato aUa •Commemoii'azione di

Mistral e aHa crociera VirgiUana. E 'ad un recente • déjeuner Stendha'l • a

Parigi fu invitato il Ministro Sola insieme agli esperti itaUani profittando del

loro tsoggiorno colà per alcune trattative commevciaJli.

Già da tempo il Conte Manzoni av,eva segnalato le premure che il Sena

tore Jean Rivain presidente del Comitato di Direzione del • France-Italie •

gli rivolgeva acciocché non fosse più oltre procrastinata la 'costituzione di un analogo comitato Itala-Francese che abbia a svolgere nel Regno un'attività parallela a quella del Comitato parigino.

Prendendo occasione dalle suaccennate cerimonie in memoria di Mistral in Roma, il Senatore Rivain ottenne udienza da S. E. il Capo del Governo, esponendogli il lavoro compiuto ed il prog.ramma da svoigere in avvenire. Secondo quanto egli riferisce in una lettera indirizzata al Conte Manzoni, egli ricevette da

S. E. Mussolini l'approvazione e la promessa che l'auspicato Comitato « Francia-Italia » appoggiato alla Reale Accademia sarebbe stato prontamente costituito nel Regno sotto la presidenza di quattro personalità all'uopo designate e che si sarebbero messe subito al lavoro. A Presidente effettivo sarebbe stato prescelto S. E. Marinetti, mentre Luciano Gennari avrebbe funzionato da Delegato in Itaiia del • France-Italie " e rispettivamente da delegato in Francia del nuovo Comitato • Francia-Italia "·

Senonché in detta ·lettera ai R. Ambasciatore, il Senatore Rivain lamentando 'Che onmai a vari mesi di di,stanza il neo-comitato non abbia dato segno alcuno di attività accenna aUa sfavorevole impressione che tale fatto produce negli ambienti parigini degli amici devoti ed attivi dell'Italia.

Il Conte Manzoni trasmettendo la lettera del Senatore Rivain con suo rapporto 15 gennaio u.s. (1), chiedendo di conoscere come effettivamente stessero le •Cose, e prospettando da parte sua la ·convenienza che anche negli ambienti culturali e intellettuali del Regno non forsse trascurata un'azione parallela a quella che già da tempo si svolge in Francia, proponeva che prendendo occasione da due conferenze che a metà :febbraio doveva tenere in Roma Gabriel Faure, il Comitato Italia-Francia tenesse quaiche riunione di circostanza.

Sottoposta la cosa a S. E. il Capo del Governo questi fece conoscere che mentre nulla ostava per tle due ·conferenze Faure (le quali effettivamente già hanno avuto luogo) non fosse ancora il momento di organizzare altre speciali manifestazioni in tale circostanza.

Nel frattempo, e presumibilmente virsto il mancato seguito dato ai passi del Senatore Rivain presso il Conte Manzoni, non sono mancate da parte f.rancese altre pressioni per altra via, come attesta l'unito promemoria del Capo dell'Uffieio Stampa in data 28 febbraio, cui è allegata in copia una lettera di Luciano Gennari, e nel quale è cenno altresì delle ripetute sollecitazioni fatte dal corrispondente romano del Temps a nome anche del suo direttore, Louis Mill che pure fu a Roma per le cerimonie a Mistral e VirgUio.

A meglio comprendere l'atmosfera di disappunto che lsi è venuta creando in tali ambienti dei così detti • italianisants » di Francia, 'giova ricordare che già vi avevano contribuito precedenti circostanze, quale ad esempio il lamentato scarso interessamento della stampa italiana a conferenze di personalità

francesi in Italia, le mancate conferenze Bérard nel Regno (v. appunto a parte) e particolarmente i ritardi che furono a suo tempo frapposti alla costituzione in Milano dell''' As;sociazione amici della lingua francese ».

Si rammenta, in ogni modo, che il R. Ambasdatore in Parigi attende ancora un riscontro al citato suo rapporto dei 15 gennaio circa l'effettivo stato delle cose nei riguardi del Comitato Francia-Ita'lia e della sua attività, ed in particolare circa una " déclaration de latinité , che dovrebbe esser firmata da personalità .latine e letta alla Sorbona il 25 marzo p.v., e sulla quale il Senatore Rivain afferma di avere egualmente intrattenuto a suo tempo S. E. il Capo del Governo (1).

(l) -L'appunto, anonimo, è stato redatto dall'Ufficio I della direzione generale Europa Levante ed Africa. (2) -Posteriore al 28 febbraio 1931. Si inserisce sotto tale data.

(l) È il rapporto riservato 203/114, del quale si pubblica il passo seguente: « Io condivido il pensiero del Signor Rivain che, quali che siano le relazioni tra gli ambienti dei due popoli in cui si agisce o si pensa politicamente, conviene che si curi di mantenere l'avvicinamento tra gli ambienti intellettuali e culturali. Gli ambienti commerciali si tengonoin contatto per necessità di vita e sono più influenzabili dalla politica, specialmente dai contrasti politici. Quelli che invece più sovrastano alla politica sono ~li ambienti intellettuali e culturali puri. Ecco verché io do ragione e condivido il pensiero del Signor Rivain ".

99

BASI DI ACCORDO ITALO-FRANCO-BRITANNICO (2)

Roma, 1 marzo 1931.

A. Naviglio regolato dal Trattato di Washington.

I. Navi di linea.

a) Prima del 31 dicembre 1936 la Francia e l'Italia potranno rispettivamente fare entrare in serv.izio due navi di linea di un dislocamento non superiore a 23.333 tonn. ed armate con cannoni di calibro non superiore ai 305 m/m (12 pollici) (3).

b) All'entrata in servizio di ciascuna di queste navi, la Francia radierà una nave della classe • Diderot •; nelle stesse condizjoni, l'Italia radierà circa

16.820 tonn. di incrociatori di .pr~ma classe che hanno oltrepassato i limiti di età (os•sia in totale 33.640 tonn.).

c) Senza pregiudizio di una revisione generale dei tonnellaggi in navi di linea fissati dal Trattato di Washington, e per facilitare la conclusione del presente Accordo, il tonnellaggio totale in questa categoria, assegnato rispettivamente alla Francia ed all'Italia ai termini del detto Trattato, sarà portato da

175.000 a 181.000 tonn.

IL Navi porta-aerei.

Fino al 31 dicembre 1936, la Francia e l'Italia potranno ciascuna fare entrare in servizio 34.000 tonn. di navi porta-aerei.

I precedenti dell'accordo vanno cercati nelle proposte, fatte a titolo personale ed ufficioso, da Craigie nel corso delle conversazioni romane del 17-21 dicembre 1930 (per le quali cfr. serie VII, vol. IX, n. 475). Nel febbraio 1931 Henderson e Alexander, dopo essersi recati a Parigi, proseguirono per Roma (cfr. n. 82). Le conversazioni ufficiali si svolsero tra la delegazione italiana, guidata da Sirianni, e quella inglese, guidata da Alexander, il 26-28 febbraio, e si conclusero la mattina del l" marzo (Cfr. un documento dal titolo «Appunti sulle riunioni tenute a Palazzo Chigi dal 26 al 28 febbraio 1931 », conservato in USlVI, cart. 3290/2).

10.000 tonn. (USlVI, Appunti cit.).

Nota a I ed a II. I Governi francese e italiano si notificheranno l'un l'altro col maggiore anticipo possibile prima della presentazione dei relativi progetti di legge, la loro intenzione di fare autorizzare la costruzione di qualsiasi nave appartenente ad una di queste categorie. Le disposizioni di cui sopra faranno oggetto di uno scambio di lettere fra i Ministeri della Marina della Francia e dell'Italia eccezione fatta per la questione di cui al paragrafo I c) che formerà oggetto di un Protocollo speciale

-o di una Dichiarazione. B. -Naviglio regolato dal Trattato di Londra. La Francia e l'Italia conformeranno alle regole seguenti i loro programmi relativ;i alle costruzioni da completare prima del 31 dicembre 1936. a) Incrociatori con cannoni di calibro superiore a 155 m/m (6.1 pollici). Nessuna ulteriore costruzione dopo il completamento del programma del 1930. b) Incrociatori con cannoni di calibro non superiore ai 155 m/m (6.1 pollici) e cacciatorpediniere. Il tonnellaggio delle nuove costruzioni da completare non oltrepasserà il tonnellaggio rimpiazzabile in questa categoria fino al 31 dicembre 1936. Le unità che hanno già oltrepassato i limiti di età e quelle che li oltrepasseranno durante la vita del Trattato saranno radiate al momento del loro rimpiazzo, salvo nel caso ove, vuoi la Francia, vuoi l'Italia preferissero radiare in loro vece un tonnellaggio equivalente di incrociatori con cannoni di calibro superiore a 155 m/m (6.1 pollici). Ai fini del presente Accordo i Membri della British Commonwealth of Nations, la Francia e l'Italia dichiarano di non avere l'intenzione di rimpiazzare prima del 31 dicembre 1936 alcun cacciatorpediniere che abbia meno di 16 anni di età a tale data. Resta inteso, tuttavia, che qualora il presente Accordo dovesse aver fine in conseguenza delle deliberazioni della conferenza Generale

del Disarmo del 1932, i diritti al rimpiazzo risultanti dalle regole di rimpiazzo del Trattato Navale di Londra rimarranno integr,i.

c) Sommergibili.

Nessuna ulteriore costruzione tranne il completamento del programma del 1930 eccezione fatta per il rimpiazzo del tonnellaggio che raggiungerà i limiti di età dopo il 31 dicembre 1931. Le unità che hanno oltrepassato i limiti di età saranno radiate salvo nel caso in cui tali radiazioni avessero per effetto di far scendere la cifra del tonnellaggio totale al di sotto della cifra del tonnellaggio in sommergibili menzionata all'art. 16 del Trattato di Londra.

Subordinatamente ad una revisione generale della questione navale nel corso della Conferenza del Disarmo del 1932, il tonnellaggio francese di sommergibili in servizio non eccederà, fino al 31 dicembre 1936, la cifra di 81.989 tonn. rappresentanti attualmente il tonnellaggio che non ha oltrepassato i limiti di età delle unità costruite od in costruzione.

I Membri della British Commonwealth of Nations sostengono che questa cifra di 81.989 tonn. è troppo elevata in relazione a queHa di 150.00 tonn. di cacciatorpediniere loro assegnata dal Trattato Navale di Londra, ma essi con

vengono di notificare alle altre potenze firmatarie della Parte III del Trattato

di Londra che essi non invocheranno l'art. 21 del Trattato di Londra, in attesa

della summenzionata revisione generale della questione navale.

In previsione del caso che non fosse possibile, alla Conferenza del 1932,

di giungere ad un equilibrio soddisfacente tra il tonnellaggio francese in sommer

gibili ed il tonnellaggio della British Commonwealth of Nations in cacciator

pediniere, i Membri della British Commonwealth of Nations conserveranno il

loro diritto di accrescere nella misura che essi giudicheranno necessaria, la loro

cifra di 150.000 tonn. di ca10ciatorpediniere.

d) La Francia e l'Italia dichiarano inoltre: (a) di accettare tutte le dispo

sizioni della Parte III del Trattato Navale di Londra, in quanto esse concernano

i Membri della British Commonwealth of Nations, gli Stati Uniti d'America

ed il Giappone; (b) di accettare per quanto loro concerne quelle tra queste

disposizioni che hanno una portata generale (e che non sono in contraddizione

con le disposizioni del presente Accordo).

e) All'atto della firma dell'Accordo, i Membri della British Common

wealth of Nations, la Francia e l'Italia, oppure tutte e ,cinque !J.e Potenze parte

cipi del Trattato di Londra firmeranno una dichiarazione del tenore seguente:

È inteso che il presente Accordo non stabilisce alcuna proporzione perma

nente in qualsiasi categoria di navi, tra i Membri della British Commonwealth

of Nations, la Francia e l'Italia. In particolare resta inteso che nessun prece

dente è creato per la soluzione definitiva della questione di sapere se, ed al

caso in qual maniera, il tonnellaggio residuo che ha oltrepassato il limite di

età al 31 dicembre 1936 possa essere ulteriormente rimpiazzato.

(l) -Nel 1929 il governo italiano aveva deciso di rimandare l'accettazione di un progetto francese di apporre al teatro della Scala una lapide in onore di Stendhal. Il 3 marzo 1931 Ojetti scrisse a Grandi, domandando se era giunto il momento di accettare quel progetto. Il 20 marzo Grandi rispose in senso affermativo. (2) -Il documento fu reso pubblico l'l l marzo.

(3) Nelle conversazioni con gli inglesi Sirianni mise in rHievo che questo capoverso costituiva una concessione fatta dall'Italia, dal momento che lVIussolini aveva inteso di riservarsi la libertà di costruire, in questa categoria, unità varianti dalle 35.000 tonn. alle

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO A VIENNA, AURITI

T. R. 200/69. Roma, 2 marzo 1931, ore 24.

Suoi telegrammi 33 (1), 35 e 36.

AIJiprovo proposta sospensione sussidi ai vari gruppi di fuorusciti a~tbanesi,

meno che a quello di Mustafà Kruja. Non ritengo invece opportuno corri

spondere doppia mensilità ai reverendi Shantoja e Karma.

Già altre volte avevo fatto noto a V.S. essere venuto momento di abbandonare loro destino fuorusciti e dovere sussidi essere ~corrisposti soltanto a quelle persone che potrebbero comunque avere un ,ruolo di prim'oJ:'dine nella situazione interna albanese. Occasione parmi propizia per adottare senz'altro questa linea di condotta. Disponibilità finanziaria che così si viene, a conseguire può essere concentrata per venire incontro a richiesta di denaro Hassan bey Pristina.

Ove non fosse possibile di ridurre richiesta di costui fino a farvi fronte con disponibilità sussidi di marzo, potrebbe essergli assicurata altra analoga mensilità.

Prego inoltre V.S. continuare a tenermi informato seguito che avranno suoi suggerimenti a Libohova, in modo che io possa riesaminare conseguente nuova .posizione di Hassan bey (1).

(l) T. per corriere 460/33 del 23 febbraio: prossimo incontro di Libohova con Prishtina; suggerimento di Auriti a Libohova che Prishtina fosse ricevuto anche da re Zog. Dal successivo t. Auriti 1031/560 del 15 marzo risulta che Libohova ebbe vari incontri con Prishtina ma che questi non fu ricevuto dal re.

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L'AMBASCIATORE A BERLINO, ORSINI BARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. (P.R.) PER CORRIERE GAB. RR. 1729/129. Berlino, 2 marzo 1931 (per. il 4).

Ministro di Baviera mi fa dire in via assolutamente personale amichevole che in questi circoli di Governo desta una certa meraviglia e scontento maniera libera con la quale maggiore Renzetti parla in certi salotti contro attuale Governo Reich. È stato osservato al Ministro di Baviera che Renzetti non appartiene Ambasciata e che è un libero cittadino Presidente della Camera di Commercio Italiana; questi mi ha risposlo però e'1sere a questo Governo noto che Renzetti è un fiduciario di S.E. Mussolini.

Ciò riferisco ad ogni buon fine. Ho pregato Renzetti di essere prudente e riservato -egli mi assicura di esserlo -ma effettivamente non sembra esserlo sufficientemente (2).

zioni interne della Jugoslavia ove anche nelle file dell'esercito e fra i generali di più alto grado

vi è grande malcontento nei riguardi di Re Alessandro ».

roni a dare, in suo nome, a Renzetti « quei suggerimenti che appariranno opportuni per evitare

il ripetersi degli inconvenienti accennati nella predetta comunicazione • (t. 1208 del 25 marzo).Lo stesso 2 marzo Renzetti aveva inviato a Orsini Baroni la seguente lettera (comunicata da Orsini Baroni al ministero il 5 marzo):

« Ella ha oggi voluto dirmi che il Ministro della Baviera von Preger ha avuto l'amabilità di ricordarsi della modestissima -per quanto è mia parte beninteso -conversazione che or sono alcuni giorni, Egli volle degnarsi di tenere con me a casa von Dirksen. Se io non ho mal compreso, von Preger avrebbe dato un certo peso a quanto io ho detto; è logico intuire ciò dal fatto che se ne ricordi. Credo allora doveroso completare quanto stamane ho avuto l'onore di dichiarare all'E. V.

Nella mia conversazione a casa Dirksen alla quale presero parte vari altri dei presenti.io presi la parola di tanto in tanto, dopo avere esplicitamente dichiarato che io ero un qualunque spettatore e che pertanto esponevo delle impressioni; quelle che ogni straniero che qui vive e lavora può avere. Dissi che stimavo molto il Cancelliere Brtining, che ne ammiravo gli sforzi, il patriottismo, il senso della responsabilità. Che però la Germania era travagliata da gravissimi problemi di ordine sociale, finanziario, che con i soliti sistemi non si lasciavano risolvere. La lotta di classe porta sempre dei danni.

Le destre, dissi, ritengono di poterli risolvere in quanto credono di poter raccogliere il popolo sotto una sola bandiera, facendosi banditrici di una nuova idea; mi astenni però dal formulare giudizi su persone e sulle idee. Dichiarai che la crisi mondiale è una vera e propria crisi di fiducia e che la Germania si risolleverà non appena avrà ritrovato se stessa, e accennai al caso dell'Italia la quale ha confidenza nel suo Duce, procede unita e compatta. e non già per prepararsi alla guerra, come sostengono i suoi avversari, ma soltanto per dedicarsi alle opere di pace.

Questo all'incirca è stato il contenuto delle mie esposizioni, con le quali non mi pare di avere offeso alcuno. Io ho parlato, così come sempre faccio, da privato, da amico della Germania, da fautore di una politica di riavvicinamento fra il nostro Paese e questa Germania, dicendo poi cose ben semplici, che si possono leggere in ogni giornale. Mi guardai bene dall'accennare anche di sfuggita alle relazioni itala-tedesche. alle accuse contenute nella stampa governativa tedesca contro l'Italia, a quella politica, a mio parere, di illusioni, che

(l) Cfr. il t. posta 909/486, Vienna 4 marzo, col quale Auriti riferiva su un suo colloquio con re Zog. Questi disse ad Auriti « come la Serbia sia la causa di ogni irrequietezza nei Balcani, come sarebbe necessario che essa sparisse, quali speranze Egli tragga dalle condi

(2) Questo documento fu sottoposto in visione a Mussolini, il quale autorizzò Orsini Ba

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IL MINISTRO A TIRANA, SORAGNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

R. R. 481/202. TiTana, 2 maTzo 19:31.

La malattia, poi il viaggio del Re Zog a Vienna -in complesso più che due mesi in cui la vita del regime è uscita in qualche modo dalla sua carreggiata normale -hanno costituito anche per la R. Legazione in Albania un periodo interessante e del pari alquanto discosto dalle linee abituali di attività che le erano state a IPOCO a poco imposte dalla presenza e daHa \POlitica giornaliera del Capo di questo Stato.

E invero, daUa stipulazione del ,patto òi amicizia fino a·l dicembre scorso, l'attività morale italiana si era andata restringendo sempre più nell'ambito della Presidenza e poi òeHa Reggia. Re Zog aveva assunto la veste di •intermediario fra l'Italia e l'Albania e la funzione di realizzatore e di esecutore delle finalità della nostra politica, per imporla agli elementi recalcitranti ed al nazionalismo sospettoso dei più. Noi, quasi in cambio, eravamo venuti restringendo la nostra azione ad un appoggio esclusivo ed incondizionato alla sua persona e al suo regime, rinunciando ad influire sulla politica interna se non attraverso la sua persona, e !imitandoci, nei contatti sempre più rari e formalistici con le personalità e coi gruppi albanesi, alla stereotipa approvazione e lode dell'azione della monarchia, quale essa si fosse. A questa attitudine eravamo stati condotti da cause diverse: fra cui non ultima e, fino ad un certo punto,

non meno ragionevole, il convincimento che Zog, albanese e di consumata abilità, conoscesse il paese ben più profondamente di noi e possedesse la capacità di governarlo, di domarlo e di dirigersi fra le difficoltà della politica interna, molto meglio di quanto fosse concesso al più abile ed al più informato dei nostri agenti. Sembrava quasi che, essendoci assicurati a caro prezzo questa specie di Vicerè dell'Albania, il lasciargli le mani completamente libere ed il rinunciare ad ogni interferenza, fosse, anziché una rinuncia, una valorizzazione ed una utilizzazione completa delle qualità e della personalità di Ahmet bey Mahti, agente supremo degli 'interessi italiani quaggiù. Il periodo dall'elevazione di Zog al Regno fino alla mia venuta in Albania, ha segnato il momento più saliente di questa nostra politica, periodo che non mi perito a dichiarare logico, necessario e fecondo di buoni risultati, sia nell'ordine interno che nell'ordine internazionale.

qui viene seguita verso la Francia e a tutto CIO msomma di cui ho avuto occasione di riferire più volte alla E. V. E naturalmente mi guardai bene dal dire che io conosco personalità Italiane e Tedesche.

Del rèsto V. E. sa che la mia opera è stata qui compiuta valendomi soltanto di conoscenze ed amicizie, alcune delle quali rimontano a dieci anni or sono. allorquando, membro della Commissione Interalleata di plebiscito e governo dell'Alta Slesia, ebbi modo, pur operando per il mio Paese, di difendere molti tedeschi dalle angherie francesi. Quale privato e quale amico così ho avuto e posso avere libertà di movimenti e di parola, così come ognuno ha qui, che rispetti scrupolosamente le leggi e ìe abitudini della Nazione e che inoltre non persegua interessi propri. E in tale veste di privato ho anche tenuto la conversazione con von Preger, naturalmente non facendo mistero della mia mentalità di fascista, parlando anzi di nostre realizzazioni e dando qualche giudizio, s'intende sempre da un punto di vista soltanto ideologico, sopra fatti e situazioni. In una discussione accademica mi pare si possa

fare ciò!».

Da parte sua, Ahmet Zogu, se, come non credo, avesse la capacità rifles

siva di esaminare gli avvenimenti di cui la sua persona è il principale fattore,

con gli occhi dello storico, dovrebbe definire lo stesso periodo come quello

dello sfruttamento ad oltranza degli interessi italiani da parte sua, e come il

proprio capolavoro di abilità nell'opera di separazione morale fra il popolo

albanese ed il popolo italiano, proprio nel momento stesso e via via che gli

Italiani prendevano effettivamente una parte sempre più intensa nella vita

albanese e divenivano un elemento sempre più indispensabile nella vita del

Paese.

La credenza, direi quasi la leggenda, che Zog ha saputo tanto bene accreditare e perpetuare in Albania, in Italia ed all'estero, del sospettoso nazionalismo albanese, delle difficoltà sormontate per portarci l'Albania fra le braccia, di quelle giornaliere che egli doveva superare per mantenercela, della avversione albanese ad ogni iniziativa italiana -avversione rche però egLi riusciva sempre faticosamente a vincere -è stata, si può dire, la molla e l'arma principale della sua politica verso di noi; e, per il giuoco delle rcose, è divenuta fino ad un certo punto realtà, anche indipendentemente dalla sua stessa volontà -per quanto, in ciò, ben precisa. Non v'è infatti alcun dubbio che Re Zog, di fronte a certi preconcetti iniziali di parecchi dei maggiorenti, e dei suoi partigiani stessi, contro la sua politica italofila, ha creduto più opportuno -e in certo senso, sull'inizio, anche in buona fede -di dipingerla loro più come un capolavoro di abile sfruttamento, che come una direttiva onesta e leale di governo. Perciò, al momento stesso in cui rinserrava ,i suoi rapporti finanziari, politici e militari con l'Italia, egli credeva di buona politica il dire e far spargere discretamente la voce che questa strettezza di rapporti era compatibile con l'indipendenza e la libertà d'Albania soltanto in quanto li maneggiava lui, abilissimo a coglierne il buono evitandone il danno; ma che chiunque altro si fosse arrischiato ad avvicinarsi per proprio conto agli italiani, correva rischio di perdere la verginità nazionale, intorbidare la purezza del proprio albanesismo al cento per cento, e contribuiva a far periclitare i destini della patria. Ancor più e siccome egli era il custode e il vindice della sicurezza albanese, così chi si fosse arrischiato a profittare della situazione o per senti

menti o per interesse, aocostandosi agli italiani, aveva tutto da temere dal suo malcontento: e questo, mi creda V.E., è stato di gran lunga l'argomento più efficace di tutti. V.E. vede tosto come, da questo punto di partenza, da questo concetto iniziale, che poteva essere anche giustificato in parte da neces

sità politica, dovessero germogliare -nel terreno della mentalità di Zog, sospettosa, gelosa, appassionata dell'intrigo, complicata fino al margine della confusione, preoccupata soprattutto di mantenere la propria indispensabilità

i fiori e ri frutti che tutti gli italiani in Albania hanno potuto per il passato constatare. E cioè: allontanati a poco a poco dalle cariche quelli che passavano per nostri amici; chiamati al potere gli avverlsari e suoi e nostri; ac1carezzate certe tendenze nazionaliste ed i personaggi stessi che maggiormente le impersonavano; il sospetto, il formalismo, il vuoto insomma, creato intorno alle nostre rappresentanze diplomatica e militare; le difficoltà di ogni genere suscitate alle nostre varie iniziative, anzi a quelle stesse desiderate dal Re, col .·isultato di uscite di compromesso, maneggiate dal Re stesso come sotto la spinta Ineluttabile della necessità; la stampa, incoraggiata periodicamente ad attaccare o a fare il silenzio sulle nostre cose; l'opinione pubblica mantenuta in uno stato di discreto avvelenamento nei nostri riguardi; i funzionari tutti, dviii e militari, chi più chi meno, incoraggiati ad arginare con opera discreta di soffocamento, di ostruzionismo, quegli stessi organizzatori che la volontà del Re chamava in Albania, sia per valersi della loro preziosa opera tecnica, sia per usarli a loro volta quali mezzi per mantenere in rispetto e per bilanciare i funzionari albanesi.

In sostanza un .capolavoro di politica machiavelUca (di que[Ia falsa, però) cioè di una p~liHca di ·chiaro oscuri, di equilibri, di neutralizzazioni, di cui Costantinopoli è stata la maestra all'Oriente intero, dalla decadenza dell'Impero di Oriente, attraverso i Sultani, fino ai giorni nostri.

Le stesse avversioni, di cui largamente godette e gode il regime in Albania e la nostra alleanza a tinte così spiccatamente personali, hanno poi fornito automaticamente nuovi motivi all'isolamento dell'Italia in Paese.

Mentre, infatti, in parte dell'opinione pubblica albanese, specie nella burocrazia, il Re Zog_ si sforzava di insinuare la sensazione che egli era costretto a richiedere l'aiuto politico e finanziario dell'Italia, ma che avrebbe saputo difendersi dalle strettoie che di tali aiuti-sono la conseguenza e, ad un momento propizio, liberarsene; la pubblica opinione, avversa a Zog, si veniva confermando nella convinzione, non infondata, che il potere del bey del Mahti si fosse consolidato e si mantenesse unicamente in grazia all'appoggio italiano; e che l'Italia, lasciando a Zog la mano libera in Albania in cambio della fedeltà politica, era in certo modo responsabile del mal governo, delle prepotenze e degli abusi -vuoi reali, vuoi immaginari -del regime. Donde la contraddizione continua: da un lato, il veder di malocchio le nostre ingerenze; dall'altro, il rimprovero di assenteismo, di non saper fare abbastanza, e di non influire rpiù e me~lio nei 'consigli e neHa amministrazione del rpaese.

Ne è venuto di conseguenza che, mentre la nostra penetrazione in Albania è innegabilmente progredita, ed il Re -pur nel groviglio degli intrighi e dellf' difficoltà che egli contribuiva a suscitare -ha finito per servirei a tale scopo, noi ci siarpo venuti a trovare moralmente isolati e sospettati. I nemici, sono rimasti tali per definizione; i servi del regime, i funzionari, i manutengoli piccoli e grandi del Governo e della Corte, ci fecero intorno il vuoto ossequioso, perché persuasi di piacere così a chi comandava; gli amici ci abbandonavano, sia perché lo appoggiarsi a noi era un pericolo per la carriera e financo per la pelle, sia per,ché messi in disparte e malvtsti dal Re; e ci accusarono, e non a torto, di essere incapaci di difenderli e di aiutarli. Il più cospicuo esempio di quest'ultima categoria fu Shefket Verlaçi; ma son parecchi e parecchi coloro a cui l'antica italofilia ha portato poca fortuna. Con l'inizio del distacco di Zog dai bey e con la lotta ingaggiata contro di essi per la riforma agraria, anche questi antichi nostri naturali alleati ci dilsertarono. L'ultimo fede,le, Hias Vrioni, se ne andò d'Albania giurando di non voler più tornar qui finché gli indirizzi non cambiassero. Ci era rimasto, unico frequentatore, l'ineffabile Omer Fortusi a cui una innocenza mentale universalmente riconosciuta e così assoluta da coincider quasi con la perfezione dell'arte di • navigare » ha permesso di sbandierare i suoi sincerissimi e profondi sentimenti italofili, ed insieme di godere,

se pure a mo' dl cagnuolo o di scimmietta favorita, la benevolenza e persino , la confidenza del Sovrano e della sua Eminenza Grigia, il Krosi.

Fra le conseguenze più gravi per noi della contaminazione con Zog, è da portare come esempio il raffreddamento e, in certi momenti, quasi la rottura con quelrl'elemento cattolico, ecclesiastico montagnalo, il quale dovrebbe invece, per ragioni confessionali, costituire una delle basi della nostra influenza in Albania, e che, in un certo senso, detiene le chiavi della più importante delle zone di frontiera. I benefici continui, i servizi piccoli e grandi resi, non hanno valso a sanare il dispetto di quegli ambienti per il sostegno da noi fornito al regime di Zog e per il nostro attaccamento alla sua persona. I dirigenti del clero avversano Zog di quell'odio compresso ed oscuro con cui sanno odiare i servitori dell'altare; le montagne, indirizzate da certi parroci, dai più dei bairaktari, dai Gion Marka Gjoni, odiano in lui il musulmano autore vero o creduto di tutte le miserie, di tutte le ingiustizie, di tutti i patimenti di quelle povere e selvatiche regioni. Nulla più da sperare dall'Italia, che ha prestato incondizionatamente il suo braccio e la sua borsa al tiranno, e che ha rinunciato, o per impotenza o per disegno, a frenare o a mitigare il malgoverno dei suoi fidi, dei suoi protetti, dei suoi gendarmi.

Ma, d'altra parte, si farebbe un'idea inesattissima di questa politica astuta e contorta del Re verso l'Italia, chi credesse che essa costituisse un metodo speciale dell'agir suo ristretto ai rapporti con la grande alleata. In realtà, la politica di isolamento degli Italiani in Albania e di contrapposizione a loro di forze albanesi, cioè di una specie di equilibrio tra cui si asside il Re traendone rpartito, è la medesima che egli adopera in tutte le circostanze e nella quale si concreta il suo metodo di Governo. Distruggere i grandi gruppi, ed opporre l'uno all'altro i frantumi; abbattere gli uni mediante le gelosie degli altri; deprimere costantemente chi si eleva; provocare quasi la corruzione e le malversazioni dei suoi agenti e dei suoi Ministri per servirsene, fatti più docili e più schiavi dalla minaccia del Tribunale e dalla malevolenza del pubblico; .aiutare sottomano i nemici contro gli amici; suscitare opposizioni subdole od aperte contro le stesse iniziative che ebbero la sua piena approvazione; mentire di regola e nelle circostanze stesse in cui la menzogna è inutile; tener tutti in un eterno dubbio circa le sue decisioni; dir sempre di sl in un primo tempo per poi scivolare pian piano nel no; trascinare, stancare, accarezzare ed insidiare nel medesimo istante: tale è il suo metodo di governo.

È indubbio che il metodo lo ha servito per imporsi e regnare. Ma è anche indubbio che Zog, pur riuscendo a realizzare fin qui questo giuoco sopraffino, vi ha in certo qual modo esaurito le proprie qualità eccezionali di manovratore ed è giunto al 1931, dopo diversi anni di tale sistema, un po' a corto di fiato. Ormai, ad uno ad uno, tutti l'hanno capito; e tutti cominciano ad esserne stanchi ed a chiedere requie. Gli si chiederebbe di moderare tanta fertilità di intrigo; di cominciare a distinguere tra nemici ed amici, e a sostenere un po' più stabilmente questi ultimi; di decidersi e poi non sabotare le sue stesse decisioni; di creare uomini e non di deprimerli uno a uno.

Ispiratore, strumento e profittatore di questo metodo di Governo è l'Emi

nenza Grigia, l'antico fattore e vetturale di Zog, Abdurraman detto il Krosi

(il Rognoso), la persona più potente in Albania dopo il Re: anzi, l'unica per

sona potente del paese. Ignorante, illetterato, furbo, intrigante, senza scrupoli, bugiardo ed assassino: la più perfetta canaglia che io abbia mai conosciuto. Appollaiato a Corte, questo vecchio ed insaziabile uccello da preda osserva e fiuta tutte le pratiche, tutti gli affari, grandi e piccoli, dell'Albania: quali r:vversa, finché non abbiano pagai.o il pedaggio; altri lascia procedere fino ad un certo punto, per svaliglarli in cammino; quelli ove non può per il momento rapinare, fa accantonare. Sejano, Tigeliino, non hanno raccolto su di sé maggiore odio, maggior rabbia, maggior disprezzo furioso ed impotente, quanto ne raccoglie il Krosi. Ma chi, avendo qualche cosa da perdere, ha mai 01sato

di parlarne apertamente fino a qualche tempo fa?

Ora, da circa tre mesi, cioè dalla mattina in cui si sparse in poche ore per l'Albania la notizia che il Re aveva avuto un misterioso attacco di dolori viscerali, le lingue si son snodate. Ho detto sopra che la Legazione, come l'Albania, sono uscite dalle rotaie usuali della loro vita; e lo confermo, nel senso che, per tre mesi, tutti, dai Ministri ai Cavas, non hanno fatto che parlare dell'Albania senza Zog, ne hanno parlato più o meno liberamente con la Legazione, ed hanno dato libera stura ai loro timori, alle loro speranze, ai loro progetti, alle loro animosità.

Ho riferito in diversi precedenti rapporti sullo stato d'animo della gente. Le conversazioni, che ho avuto in seguito, non mi hanno dato luogo a modificare le informazioni e le conclusioni a cui ero giunto nelle mie esposizioni, le quali però si riferivano tutte al caso della morte del Re. Ora, nell'imminenza del ritorno di quest'ultimo, e per il caso che la vita politica in Albania riprenda, sotto la direzione del Sovrano, il suo corso normale, è d'uopo elaborare le impressioni del periodo di interregno, per trarne argomento a rivedere la linea nostra di condotta. È innegabile che la malattia, poi l'assenza del Re, nonché le ripercussioni dell'attentato di cui poco mancò non fosse vittima, hanno contribuito a farci toccare con mano una situazione degli spiriti, che prima più

o meno indovinavamo ed intuivamo, ma che, adesso conosciamo con assoluta certezza. Sono gli elementi di tale situazione di natura da suggerire qualche mutamento o qualche modifica nella rotta? Osserviamo i più perspicui.

1° Prestigio della monarchia e del regime. Innegabilmente sono in decadenza. Quel che di buono è stato fatto viene preso come un minimo che non si poteva fare a meno di fare, dati i danari e gli aiuti di ogni genere che il Governo ha avuto dall'Italia e pochi sono equanimi abbastanza da metterli sulla bilancia.

zo Prestigio del Re. Ne rimane soprattutto una grande paura, ed il senso quasi fatalistico che finché avrà un fiato di vita e finché sarà appoggiato dall'Italia, riuscirà sempre a neutralizzare tutto e tutti, a meno di un intervento bellico dall'esterno. Come uomo di governo, non rimane che scarsa fede nella sua capacità a costruire, e gli si riconosce soltanto quella di manovrare senza fine e sterilmente gli uomini, quasi tutti :incolori, che si succederanno nei pubblici uffici politici. Ho osservato che il giuoco del Re, di cui parlai sopra, di servirsi degli italiani ed al tempo stesso di manovrare contro essi la pubblica opinione è ormai chiarissimo a tutti e non desta la minima ammirazione nemmeno nei più spregiudicati. Le stesse critiche per quanto concerne la politica interna: questa Dittatura ch2 non è poi dittatura; questo non comandare mai

direttamente ed apertamente, ma spingere da un lato ed arrestare sottomano dall'altro; questo gonfiare gli uomini e gli istituti per sgonfiarli bruscamente; questo fornicare continuo con avversari a danno degli amici; questo non far mai una cosa perché è creduta buona in se stessa, ma perché può servire di laccio o di trappo-la a quakuno -tutto questo armeggio è ormai noto e rinoto fin nei suoi più intimi particolari, non interessa più ma stanca e indispone. Nessuno sa più quel che deve fare; i deputati, anche i più fedeli, perdono la bussola; i Ministri, anche i più platealmente deferenti, non sanno in che direzione dare. Non v'è ordine impartito a Tizio -e, intendiamoci, ordine_preciso -che Tizio possa mettere pienamente in effetto senza trovarsi arrestato da Caio che lo dovrebbe eseguire ed ha avuto istruzioni segrete in contrario. Alla lunga tutti rimangono umiliati, disorientati e scontenti di essere tenuti eternamente sulla corda. Il viaggio a Vienna, tacciato ora da tutti come una imprudenza colpevole; l'attentato, quasi provocato dalla cieca temerità reale; sussurrati maneggi coi fuorusciti, finiti nel sangue del povero Topalai, sono ora criticati con accanimento, come una prova di affievolimento del discernimento e della furberia di Zog. Gli stessi intimi, a lui legati, ne sono rimasti abbacchiati e scossi.

Quanto alla possibilità di un mutamento di rotta: nessuno crede che il Re sia capace di modificare il proprio carattere, quindi, nessuno crede ad un miglioramento.

3° Prestigio della classe politica dirigente. Intendo per classe politica dirigente la breve serie di individui fra cui il Re attinge i Ministri ed i consiglieri privati: i Kotta, i Frasheri, i Mehemet Konitza, i Fitzo, ecc. È caduta più che mai in basso. In occasione della temuta crisi, venivano divisi in due categorie: quella più bassa da mettere da parte per incapacità e mancanza di prestigio, e quella più stretta, formata dagli aderenti della • clique • da allontanare, perché infesta e pericolosa.

4° Prestigio della Famiglia Reale e dell'Ambiente di Corte. Nullo quello della Famiglia Reale, 'compresa alllche la Regina Madre. Quanto all'ambiente di Corte esso si riassume, per il popolo, nell'odiata persona di Abdurraman Mahti, il quale viene addirittura considerato come H mal genio del Re e come un impedimento preliminare a qualsiasi buon governo in Albania.

Aggiungo che questi miei accertamenti della situazione spirituale dell'Albania sono completamente confermati dalle risultanze avute e dalle impressioni del Generale Pariarri il quale, obbligato, per la parte che gli compete, a prepararsi ad affrontare la situazione militare eventuale derivante dalla possibile scomparsa di Re Zog, ha lavorato, sempre in perfetto contatto con me, ma in modo completamente indipendente, con altre persone, altri agenti ed altre vie, ed è pervenuto agÌi stessi risultati; e sente la loro importanza e quanto \Sia necessario tener conto di quanto abbiamo chiaramente veduto attraverso lo spiraglio che ci ha improvvisamente aperto la malattia del Re e l'eclisse momentanea della sua presenza soffocatrice. Dirò anzi che il Pariani, il quale ha sempre avuto nel passato una vera fiducia nel Re, nella sua relativa sincerità e correttezza, nella sua capacità a comprendere e maneggiare l'Albania, nella sufficiente dirittura delle sue intenzioni di massima e nella abilità dei suoi metodi; e che è stato un sostenitore zelante del principio -tutto per il Re, e soltanto attraverso e mediante il Re -ha fatto, addottrinato da quanto ha visto e sentito, una evoluzione ben maggiore di quanto abbia dovuto farla la Legazione, per venire a questa coincidenza di constatazioni.

Tutto ben vagliato, ,io credo che il ragionamento più sano e più freddo ci debba portare ad una certa revisione delle nostre linee politiche in Albania; una revisione cauta, più di sfumatura che di fondo, ma ispirata ai principi generali suggeritici dalla situazione.

Non è certo questa l'ora in cui possiamo pensare a staccarci dal Re. Tutto, nel passato e nel presente della nostra politica in Albania ci consiglia di continuare ad essere i sostenitori della monarchia di Re Zog; ma specialmente il fatto che l'andargli contro ci porterebbe ad ,indebolire d'un tratto le sue posizioni, quindi a fargli cercare altri appoggi, e rovesciare tutte le carte giuocate fin qui: dovremmo finire per provocare noi la rivoluzione, con il che rischieremmo di spalancare le porte che siamo riusciti, se non a chiudere, per lo meno a socchiudere, e renderemmo nullo il nostro sforzo per farci dell'Albania una alleata non priva di qualche parvenza di unità e di consistenza, e per conferirle una tal quale -almeno apparente -forza militare, e servircene nel giuoco della politica generale -senza escludere anche, il che sarebbe forse soverchio pessimismo, che ci possa servire nel caso che in Europa e nei Balcani parlasse il cannone. E siccome so che V.E. non pensa diversamente, così non spendo altre parole ad illustrare questa teoria.

Ma, d'altra parte, non posso non segnalare gli inconvenienti gravi che deriverebbero daH'esserd attaccati alla persona del Re ed 3JVerne avaHati moral

mente tutti gli atti, al momento in cui questa persona sparisse dalla scena, !asciandoci a tu per tu con un paese scontento e diviso, in grazia delle sue arti di governo, e nel cui scontento altri hanno potuto mietere messe di appoggi -a tu per tu con un paese per cui tanto facciamo, e dal quale egli si studia di tenerci separati e lontani. Non v'è alcun dubbio che numerosissime personalità e larghi strati della popolazione -i più pericolosi -sono contrari

al Re; e continuano a guardare altrove per aiuti e speranze. L'assenza del Re, la possibilità della sua morte, ci hanno accostato molti che, superata la pregiudiziale dell'ostilità contro gli alleati di Zog, non cercherebbero di meglio che camminare con noi: per esempio, il clero cattolico. Il ritorno di Zog, vivo e vitale, se ci trova nelle vecchie disposizioni, taglierà corto a questi accostamenti; o li renderà così imbarazzanti, di fronte alla nostra impotenza a giovare agli amici e nuocere ai nemici, che sarà meglio cessarli per conto nostro. Ora, io debbo credere che Zog è vitale, in base ai bollettini dei medici di Vienna; ma non lo posso ritenere a prova di rivoltella o di una polmonite; e l'avvenire, forse vicino, mi preoccupa, perché l'avvenire, sparito Zog, sarà largo di difficoltà per chi, al di sopra la testa di Zog, non si sarà assicurato o conservato aderenze, simpatie e conoscenze nel paese e avrà la propria causa troppo intimamente legata a quella di quest'uomo il cui genio non ha trovato in questi ultimi anni forza di decisione di risolute azioni fuorché nel complicato intrigo e nella depressione alternativa degli individui e degli istituti.

I due punti di vista che ho esposti in quest'ultimo e nel precedente alinea

sembrano talmente discordanti, talmente inconciliabili, che una politica ondeg

giante tra l'uno e l'altro potrebbe venir bollata del carattere di incertezza che

conduce all'insuccesso: o con Zog o contro Zog. Eppure non è così, ed io stimo che, per forza di cose, noi dobbian1o continuare nella prima, e, al tempo ,;tesso, temperarla con la seconda. Mai come in questa nostra attività in .A.ro:mia mi è parso vero il proverbio che • bisogna continuare a mescolare le carte finché prenda forza il braccio , .

E, per venire al pratico: sono d'avviso che, ,senza lasciar afferrare il punto preciso del mutamento, la nostra politica debba d'ora innanzi mirare più all'Albania che al suo Re. In questo senso il famoso apporto finanziario ha una importanza decisiva, perché significa un contratto finanziario più col paese che col Sovrano; in quanto che il paese potrà far senza il Sovrano, ma non senza l'ossigeno annuale a cui si avvezzerà e che gli diventerà indispensabile al normale respiro. L'ho per sì importante, che vale anche la pena di ingoiare qualche ultimo rospo onde vararlo. Viceversa, io sarei prudentissimo, almeno per parecchi mesi a contrarre nuove compromissioni con la persona del Re. Volere

o no, per forza di cose, parlando per tre mesi delle possibilità della sua morte, noi abbiamo dato l'impressione che lo riteniamo un agente utile e per ora insostituibile, ma non indispensabile -direi quasi che lo subiamo: ciò coincide in fondo col sentimento più o meno confesso anche degli Albanesi, i quali ammettono di non sapersene sbarazzare. Sarebbe ora un errore, dopo tutto questo sussurro, debuttare con qualche colpo di gran cassa che ci mostri legati a lui per la vita e per la morte; aspettiamo per lo meno a vedere come si mettono le cose e con che spirito e con che fiato si rimette al lavoro il Re. Altrimenti torniamo alla freddezza completa con gli amici, sui quali dobbiamo contare per salvare la situazione in caso di crisi, e rischiamo anche che, disperati, non ingrossino troppo l'ondata del malcontento che bolle sotto la superficie e che viene così sistematicamente riscaldata dai vicini del Nord. I\on credo, dico il vero, gran che allo • sposiamo sposiamo , del Krosi, ma, in ogni modo, guardiamoci dal correre troppo rapidamente su auesta via (come qualcuno proporrà); Zog è una azione di borsa che oggi è assai più deprezzata di un paio di anni fa. Aspettiamo un po' a vedere se risale. E nemmeno per il viaggio a Roma, se vien posto sul tappeto, mi mostrerei caldo: vediamolo prima alle nuove prove. Non parlo del rinnovo del patto di amicizia, perché su tal punto V. E. mi ha impartito istruzioni che non si discutono (1).

Qui in Albania l'importante sarebbe di poter influire nel senso di direttive di governo che rispondano meglio alle finalità del prestigio regio e quindi agli interessi nostri, che siamo pure ancora gli associati del Re: qualche maggiore fecondità d'azione, qualche provvedimento pratico, qualche neutralizzazione della nefasta camarilla, qualche maggiore dignità e capacità di Ministri. Salvo le 'SiPeranze che ripongo nell'arma dell'ap<porto finanziario, non mi Hludo che si possa far gran che, a meno che non si cambi il cervello dell'uomo; e neppure mi illudo che si possa ottenere un vero cambiamento fondamentale

« Di sua iniziativa, Dino mi ha dichiarato che gli avvenimenti degli scorsi giorni [l'attentato a re Zog] lo avevano indotto a riconsiderare il suo precedente atteggiamento contrario alla rinnovazione del Patto. Riconosceva di essere stato in errore quando, nei mesi sèorsi. interpellato da Re Zog, si era dichiarato contro la rinnovazione, e mi assicurava che d'ora innanzi, ove ne fosse stato ancora interpellato, si sarebbe pronunciato in senso affermativo>.

nel suo sistema di bugiarda, faticosa, coperta e sfibrar1te guerriglia contro uomini ed iniziative nostre. Fondo questo mio pessimismo sul sentimento assolutamente generale degli Albanesi, espresso in modo e toni diversi, ma con tutta chiarezza: tanto meglio se sarà almeno in parte smentito dai fatti.

Bisogna poi dire che questa povera Albania, vero paese da mandato, non spreme proprio nessuno dal proprio seno che si possa imporre a.l Sovrano come collaboratore. Ho approfittato delle critiche senza fine rivolte ai Ministri ed ai Ministrabili per dire a tutti: indicatemi due uomini, un uomo nuovo, un Presidente del Consiglio: nessuno. Lo stesso Musa Yuka, dopo essersi contorto ben bene, non ha saputo tirar fuori un nome, nemmeno il 'Proprio. Se l'è cavata promettendo di pensarci la notte. Gira e rigira si ricade nell'eterno Kotta così ostico ai cattolici, ai bey, ai nostri amici: Kotta, non più né meno italofobo degli altri, ma la cui futura nomina passerà per un segno di debolezza nostra. E, se si esclude Kotta, si precipita per la china coi Jafer Ypi e gli Abdurraman Dibra.

Mettere innanzi amici nostri? A parte che la loro verginità non è molto fragrante, se si pensa che i più in vista sono Feyzi Alisotti ed Ekrem bey Libohova, portarli al portafoglio vuol dire compire la loro liquidazione morale in sei mesi, con segreta gioia del Re -e cavarne ben poco di positivo per i nostri interessi. Pescare qualche commerciante facoltoso, del tipo Dovana. il così detto Ministro tecnico? A parte che il loro tecnicismo consiste soprattutto nel saper collocare il danaro al 30%, sta il fatto che non ne vogliono sapere; specialmente non vogliono saperne di lavorare ed ammattire col Re; e, per fare affari, preferiscono servirsi di un Ministro che esserlo.

In ogni modo, la personalità del Sovrano è un acido corrosivo che intaccherebbe metalli ben più resistenti di quelli di cui sono impastati i migliori albanesi.

Mi accorgo che, se V.E. si attendeva da questa mia esposizione delle conclusioni atte a suggerire direttive politiche molto brillanti, debbo averLa delusa. In sostanza, quanto posso subordinatamente consigliare si riassume così: tirare avanti, essere per ora amici del Re quanto basta a tenerlo dalla banda nostra e non farlo vacillare in sella; cercare al tempo stesso di essere amici della più parte dei suoi nemici, perché son quelli che domani ci occorrono assolutamente in una contingenza; accontentarci che questo e quelli sospettino continuamente di essere segretamente traditi, ma non al punto che si risolvano a romperla con noi; tenerli in lena, sciogliendo i cordoni della borsa, ma con questa sempre ben stretta i.n mano; cercare di migliorare, di far procedere quanto si può dei nostri interessi di penetrazione economica; e stare a vedere come procede la seconda luna di miele di Zog e dell'Albania, dopo lo stamburamento pummente fittizio che saluterà il ritorno dello sposo. Se questi avrà attinto dalle diagnosi, più che dalle cure_. del Dott. Chvostek quella vigoria che, dall'agosto in poi, ho osservato declinare man mano, e se il paese sentendo lo sforzo del domatore rinvigorito, tornerà ad accucciarsi, segnalerò tosto questi fenomeni a V.E., e le sfumature potranno subire i ritocchi che si crederanno necessari (l).

(l) Cfr. un appunto di Lo Faro del 2 marzo su un colloquio avuto con Gemi! Dino il giorno precedente. Se ne pubblica il passo seguente:

(l) Annotazione a margine di Mussolini: • Importante •·

103

L'AMBASCIATORE D'INGHILTERRA A ROMA, GRAHAM, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI (Archivio Grandi)

L. P. Roma, 2 marzo 1931.

Please allow me to send you my warmest congratulations on the sucessful issue of this difficult and delicate negotiation. None appreciated better than the British Delegation in what great measure this success was due to the spirit cf broad statesmanshi1p 1shown by Your Excellency and it will never be forgotten. Aga:in ali my sincerest congratulations and good wishes (please do not trouble to answer them), may this be the beginning of a new era.

104

IL PRESIDENTE DELL'AGIP, GIARRATANA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

L. Roma, 3 marzo 1931.

Prendendo lo spunto dalla chiusura dell'esercizio 1930, ritengo oppor

tuno segnalarti che la gestione del monopolio dei petroli in Albania ci ha

portato nell'anno decorso ad una perdita di oltre due milioni di lire. Con la

perdita del 1929 abbiamo un deficit totale di quasi 2.750.000 lire.

A tale cifra vanno aggiunti gli ammortamenti delle spese d'impianto (il noto milione ed accessori), i quali per il 1929 ammontano a circa 300.000 lire e per il 1930 a 500.000 lire, complessivamente 800.000 lire, dimodoché l'Albania rappresenta per l'AGIP, fino ad oggi, una perdita di 3.550.000 lire.

I motivi di questa perdita ti sono noti dalle precedenti relazioni, e ti confermo anche oggi che una eliminazione di questa perdita in un prossimo avvenire non può aver luogo, dato che dobbiamo continuare a versare al governo albanese, per i diritti di monopolio, una somma superiore di quanto incassiamo a tale titolo.

Con tutto questo sacrificio la nostra situazione in Albania non ha fatto alcun passo avanti. Malgrado tutti i nostri sforzi di addivenire ad un chiarimento delle questioni pendenti, il governo albanese sfugge ad ogni seria discussione, dimodoché anche la questione così importante della costruzione dei depositi, riguardo la quale, come ti è noto, abbiamo assunto degli impegni con la R. Madna, è arenata.

L'atteggiamento del governo albanese si risolve in un continuo sabotaggio di tutto quello che riguarda la nostra società, la quale non ha potuto ottenere neppure il regolamento previsto dal contratto di monopolio concluso con gli albanesi, regolamento che dovrebbe disciplinare l'esecuzione del contratto stesso. In attesa di tale regolamento, subiamo ogni giorno le imposizioni più strane ed assurde nel campo della determinazione dei prezzi, nel controllo tecnico da parte degli organi albanesi; ciò naturalmente ha un effetto economico disastroso e contribuisce ad aumentare le nostre perdite.

Ho l'impressione che il governo albanese, in considerazione del fatto che l'AGIP è un'azienda parastatale, ritenga poter far subire all'AGIP ogni imposizione, anche se illogica, per cui credo che senza un chiaro e preciso intervento diplomatico, nulla potrà cambiare nella situazione suddetta. Ti prego di farmi conoscere se ritieni che sia il caso di far agire una simile pressione, oppu.re se dobbiamo battere la strada finora seguita.

105

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, CHIARAMONTE BORDONARO

T.u. 28/44. Roma, 4 marzo 1931, ore 1,40.

Al momento della sua partenza da Roma Craigie si era riservato di tenersi in comunicazione con Rosso per accordarsi circa opportunità o meno di pubblicare col testo dell'accordo anche tabelle statistiche. Prego far conoscere d'urgenza a Craigie che mentre non vediamo difficoltà a pubblicare tabella contenente cifre delle nuove costruzioni che Francia ed Italia potranno completare entro 31 dicembre 1936 (1), riteniamo invece ·Che non sarebbe opportuno pubblicare tabelle relative alla situazione comparativa delle due flotte. Confido quindi che pubblicazione ufficiale sarà limitata alla sola tabella delle costruzioni. Prego .telegrafarmi assicurazione a!l riguardo.

106

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AGLI AMBASCIATORI A BERLINO, ORSINI BARONI, A LONDRA, CHIARAMONTE BORDONARO, A MOSCA, ATTOLICO, A PARIGI, MANZONI, A WASHINGTON, DE MARTINO, AI MINISTRI A ATENE, BASTIANINI, A BELGRADO, GALLI, A BUCAREST, PREZIOSI, A BUDAPEST, ARLOTTA, A PRAGA, PEDRAZZI, A SOFIA, CORA, A TIRANA, SORAGNA, A VIENNA, AURITI, E AL SOTTOSEGRETARIO GENERALE DELLA SOCIETA DELLE NAZIONI, PAULUCCI DE' CALBOLI BARONE

T. PER CORRIERE 210. Roma, 4 marzo 1931, ore 20.

Mio telegramma 80 (2). Credo utile che V. E. (V.S.) sia informata dell'esito degli accertamenti sanitari compiuti a Vienna sullo stato di salute di Re Zog. Le diagnosi dei medici viennesi hanno concordemente affermato che H Re è affetto da intossicazione per nicotina ed è andato visibilmente deperendo per una vita anormale di lavoro e di abusi, contro cui è stato consigliato come

cura decisiva il semplice ritorno ad un regime fisico più razionale e moderato. Queste diagnosi sono confermate da controlli indiretti che ci danno garanzia di autenticità e perciò V.E. (V.S.) è in condizione di ~mentire, in eventuali conversazioni, ogni diceria in contrario. Del re.'òto una conferma indiretta di questo stato di cose è venuta dall'attentato odioso diretto contro il Re e che dimostra che gE avv2rsari di lui avevano perduto speranza sugli effetti del male.

L'attentato di Vienna, su cui la pollzia viennese t2nta ora di fare luce, è stato preceduto da una serie di fatti e di circostanze che inducono a credere che esso non fosse se non il primo atto di un dramma che doveva concludersi .eol capovolgimento della situazione albanese. L'insistenza di alcuni passi diplomatici jugoslavi a Tirana e a Vienna diretti a mettere sull'avviso Governo albanese e quello austriaco che si preparava un attentato contro il Re degli Albanesi aveva già fatto pensare che gli organizzatori tendevano a costituirsi un facile alibi in vista di prossimi avvenimenti.

(l) -Cfr. n. 99. (2) -Cfr. n. 39.
107

IL PREFETTO DI ZARA, VACCARI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T.u. 1748178. Zara, 4 marzo 1931, ore 20,40 (per. ore 22).

Al telegramma n. 1915.

Prevedo che giorno 6 marzo è necessario fare brevi dichiarazioni atte incoraggiare intervenuti. Rassicurarli cioè circa risoluto atteggiamento nostro Governo nei confronti riforma agraria in Dalmazia che giornalmente procede. Rassicurarli che Istituto finanziatore inizierà immediatamente sua attività. Segnalo •Catso proprietario che se entro dieci giorni non soddisfarà propri impegni avrà case e terreni venduti asta. Condizioni economiche maggioranza assoluta proprietari zaratini sono ridotte estremo limite.

Senatore Tacconi · è elemento prezioso sua competenza ma non è edotto

necessità e circostanze territorio Zara, Pago, Sebenico.

Segnalo Comm. Salghetti Podestà Zara (l) quale elemento tecnico e so

prattutto profondo conoscitore consistenza patrimoniale e urgenza situazioni

economiche.

Sarò grato se perverrammi urgente risposta predetti punti fondamentali.

Rassicurazioni al riguardo infonderanno coraggio per resistenza ai proprietari

che ogni giorno di più minacciano sbandamenti (2).

« In una precedente letterrr, che porta la data del 18 dicembre u. s., avevo informato l'E. V. della difficile situazione finanziaria in cui si trovano alcuni proprietari zaratini, facendone i nomi. Essi sono: Bakmaz Pasquale, Cattich Simeone e Antonio, Perlini Antonio, Per!ini Giuseppe e Tamino Giambattista.

Verbalmente poi espressi all'E. V. il timore che questi signori, per sfuggire al pericolo del fallimento, che li incalza sempre più dappresso, e perché ridotti ormai in condizioni tali

(l) -Il comm. Francesco Salghetti era anche presidente della locale federazione fascista agricoltori. (2) -Grandi rispose con t. 2009 del 6 marzo, invitando a ,Roma Tacconi e Salghetti per prendere accordi con l'istituto finanziario. Sulla questione cfr. anche una lettera forse di Salghetti a Vaccaro, in data Zara 18 febbraio, della quale si pubblicano i passi seguenti:
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IL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI, AL PRIMO MINISTRO INGLESE, MAC DONALD

T. 218. Roma, 4 marzo 1931, o1·e 23.

Ringrazio vivamente V.E. per il Suo cortese telegramma (1). La soddisfazione espressa da V.E. per l'accordo intervenuto sulla questione navale in seguito alla missione dei ministri Henderson ed Alexander, trova in me piena rispondenza.

Sono convinto che tale accordo eserciterà benefica influenza non solo sui rapporti fra le Potenze firmatarie, ma anche sulla situazione politica ed economica del mondo. Esso costituisce altresì la migliore preparazione per la Conferenza generale del disarmo.

Colgo volentieri questa occasione per dire a V.E. quanto abbia apprezzata l'opera efficace svolta da V.E. per il raggiungimento dell'accordo e quanto gradito ricordo abbia lasciato la visita dei ministri Henderson e Alexander a Roma (2).

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IL MINISTRO A BUCAREST, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. 538/6. Bucarest, 4 marzo 1931, ore 12,30 (pe1·. ore 18 del 5).

Accordo navale è stato qui accolto con profonda soddisfazione. In modo unanime avvenimento marittimo rit~rmto di grande importanza per la Romania. Si crede infatti assai probabile un completo chiarimento tra l'Italia e la Francia e quindi l'eliminazione del temuto pericolo che Romania potesse un giorno trovarsi a dover scegliere fra Roma e Parigi.

da non trovare credito in alcun posto, potessero venir messi nella necessità di liquidare le

loro proprietà in Jugoslavia prima ancora che siano concluse, e forse prima ancora che siano iniziate quelle trattative che il nostro Governo si propone di avviare col Governo jugoslavo,al fine di migliorare a favore dei propri cittadini la situazione creata in Jugoslavia ai proprietari di terreni dalla nota legge sulla riforma agraria...

Una vendita precipitata verrebbe poi a riflettersi dannosamente su tutti gli altri proprie

tari, non tanto forse come portatrice di cattivo esempio, quanto perché ne romperebbe la

compagine, indebolendo sensibilmente di fronte all'avversario la loro posizione di difesa.

Sembrami perciò venuto il momento in cui, facendo richiamo a quanto è stato proposto

nelle riunioni tenute a Zara in tema di riforma agraria nei giorni 9 e 10 gennaio u. s. sotto

la presidenza dell'E. V. e concretato al punto 3 del rispettivo verbale, convenga prospettare

alle autorità centrali l? necessità di un pronto intervento, col mettere a disposizione dei

proprietari sopra nominati, la cui forza di resistenza sta per venir meno, un adeguato importo

da anticiparsi sugli indennizzi che a loro, prima o poi, verranno corrisposti dal Governo jugo

slavo a riforma compiuta ».

Il 1o marzo Henderson aveva inviato da Parigi una lettera a Graham, da questi trasmessa al governo italiano. Dalla copia, che si conserva nel Fondo Ambasciata di Londra, busta 751, e in USM, cart. 3291/4, si pubblica il passo seguente:

« I consider it fortunate that my visit gave me the opportunity of meeting Signcr Mussolini. His co-operation in the work of the consolidation of peace which lies in front of us is quite indispensable, and ìt was of unquestionable advantage to me to be able to explain the policy I am endeavouring to pursue to Signor Mussolini in person. I should be grateful

Queste sfere politiche sono inoltre concordi nel ritenere che un riavvicinamento itala-francese, facendo venire meno la divisione dell'Europa in due gruppi antagonistici, consoliderà la pace generale e quella dei Balcani in particolare, con grande profitto della sicurezza della Romania.

(l) -Non rinvenuto. (2) -Una prima minuta del telegramma così proseguiva: « Prego V. E. di gradire con l'espressione dei miei sentimenti più cordiali, i voti migliori per il Suo Paese».
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IL MINISTRO DELLA GIUSTIZIA, ROCCO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

(ACS, Vescovi, Gorizia)

N. 15922/267. Roma, 4 marzo 1931.

Fu già segnalata a cotesto On. Ministero, da ultimo con nota del 20 ottobre 1930 n. 15485-267 Vescovi, la situazione politica nella Archidiocesi di Gorizia, resa difficile ed anol1IIlale dalla permanenza in quella sede di Mons. Francesco Borgia Sedej, prelato di origine ISil.ava, attacatissimo al vecchio regime austria,co, di mentalità ristretta e non adattabile al nuovo stato di cose.

Ora altri fatti sono sopravvenuti ad aggravare tale situazione.

Per espressa disposizione del detto Arcivescovo, la predica in lingua slovena per le così dette • Missioni • fu tenuta, nel dicembre u.s. da un religioso iugoslavo del Convento di Merna, nella Chiesa di S. Ignazio, sita in piazza della Vittoria, nel centro della città di Gorizia.

In seguito alle rimostranze del Prefetto, dirette ad impedire turbamenti dell'ordine pubblico, il detto Arcivescovo non solo ha resistito, ma ha soggiunto ·che )gli sloveni non sono allogeni, bensì autoctoni apfPartenenti a terre, il cui carattere slavo è dimostrato da secoli di storia.

Lo 'stesso Ardvescovo inviò al Padre Guardiano del Convento di S. Croce in Aidussina una lettera in data 8 gennaio p.p., con la quale fa divieto ai Padri Raffaele ed Isaia (che nel giorno di Natale avevano rivolto ai fedeli alcune parole in lingua italiana nelle Chiese di Dobraulico e Vartorino) di predicare in qualunque lingua in tutte le Chiese ed oratori dell'Archidiocesi, e di esercitare la confessione, tranne che per i penitenti di lingua e nazionalità italiana.

Il prefetto di Gorizia, di fronte a questo contegno irriducibile di Mons. Sedej, ha rilevato ·ancora una volta le conseguenze sempre più dannose che ai fini politici poissono derivare dalla ulteriore di lui permanenza in queHa Sede, ed ha ·chiesto 1Che siano adottati provvedimenti d'urgenza.

Prego pertanto l'E.V. di voler riprendere le pratiche, in via diplomatica, presso la S. S.ede, affinché .senza indugio sia provveduto aHa sostituzione del

if you would convey to him my thanks for the friendly reception which he accorded me and for his own important contribution to the work which we have achieved. I am convinced that it constitutes a great step in advance of which Italy is bound to reap the benefits. Signor Mussolini was good enough to send me through Signor Grandi a photograph of himself just before our departure from Rome. Please convey to him a suitable expression of mv thanks of this important memento of a meeting which cannot but have far-reaching effects Òf a beneficent nature at a moment which is not without difficulty for the peoples of Europe as a whole •·

l'attuale Arcivescovo, la cui posiziOne è divenuta ormai insostenibile ed assolutamente ineompatibile ~con il programma politico del Governo nel Goriziano. Gradirò di essere informato del risultato delle pratiche suddette.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, ALLE RAPPRESENTANZE DIPLOMATICHE ALL'ESTERO

T. PER CORRIERE R. 212. Roma, 5 marzo 1931.

Testo dell'.A:ccordo (l) raggiunto a Roma nelle recenti :conversazioni con i

Ministri britannici e successivamente approvato dal Governo francese verrà

pubblicato quanto prima. Sue linee fondamentali erano state concretate in

occasione degli scambi di vedute intervenuti nel dicembre scorso tra R. Go

verno ed Esperto inglese Signor Craigie.

Accordo si ispira al concetto della vacanza navale in alcune categorie di navi e di un rallentamento nel ritmo delle costruzioni per altre categorie. Esso non pregiudica principio della parità essendo stata eS[p:reSisamente riservata questione della rl'!lat1vità delle forze. Accordo concerne pro~amma di nuove costruzioni fino al 31 dicembre 1936. Sotto questo riguardo rappresenta diminuzione delle costruzioni francesi di d11ca 75 mila tonnellate in confronto richieste avanzate dalla Francia a1la Conferenza di Lon:dra. Risultati ,pratici dell'accordo sono principalmente i seguenti:

l) Programmi di costruzioni per prossimi 6 anni saranno pratLcamente uguali e doè precisamente 161 mila tonnellate per Ita:lia e 165 mila 300 circa per Francia;

2) Differenza fra i tonnellaggi ~complessivi flotta Jirancese e :lilotta italiana rtsulterà al 31 dicembre 1936 diminuita di ICÌI"ca 16 mHa tonnellate in confronto dell'attua,le ,superiorità francese :con un miglioramento per l'Itallia nella pevcentuale del naviglio più moderno e per la Francia nella qualità di quello oltre i limiti di età.

Accordo ra~P~Presenta soluzione di compromesso basata su modus vivendi fino al 1936 ~che R. Governo ha accettato anche per favorire :causa della ddu:zione progressiva degli armamenti nello :spirito prossima Conferenza Generale Disarmo.

È priva di qualsiasi fondamento notizia che nei colloqui coi Ministri inglesi sia stata discussa questione armamenti terrestri od eventuale Patto Mediterraneo.

Superfluo aggiungere che è semplicemente assurda notizia riportata da alcuni giornali secondo la quale Accordo sarebbe in rapporto con prestiti .all'Italia (2).

(l) -Cfr. n. 99. (2) -Sui quali cfr. l'accenno al n. 96.
112

IL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA LEVANTE ED AFRICA, GUARIGLIA, AL MINISTRO A BUCAREST, PRERIOSI

L. 207917/45. Roma> 5 marzo 1931.

Riferendomi alle nostre recenti conversazioni, ti invio qui accluso un parere (l) dell'Ufficio Trattati, circa l'interpretazione dell'articolo 5 del Patto di amicizia e di collaborazione cordiale tra l'Italia e la Romania, firmato a Roma il 16 settembre 1926.

Come vedrai, la tesi della decadenza del Patto in mancanza tanto di una esplicita rinnovazione, quanto di una denunzia è fondatissima, come anche noi pensavamo.

In tali condizioni giova quindi più che mai mantenere il silenzio, in attesa

di eventuali aperture romene.

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APPUNTO PER IL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA LEVANTE ED AFRICA, GUARIGLIA (2)

Roma, 6 marzo 1931.

Si richiama l'attenzione sopra l'unito rapporto da Angora (3) relativo alla nomina di un rappresentante della Banca Commerciale Italiana nel Consiglio della costituenda Banca di Stato di Turchia -rapporto che getta una interessante luce sulla sincerità di Tewfik Ruscdi bey, sulle direttive tedesche in Turchia ed anche sul singolare atteggiamento della politica bancaria del Signor Toeplitz.

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IL CAPO GABINETTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GHIGI, ALL'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, DE VECCHI

TELESPR. R. 208015/415. Roma, 6 marzo 1931.

Il R. Ministro a Belgrado ha avuto, da fonte fiduciaria, la segnalazione che un gruppo di sacerdoti allogeni avrebbe recentemente inviato al Governo

di Belgrado, per il tramite della Legazione di Jugoslavia presso la Santa Sede, un memoriale (l) nel quale il Governo stesso è invitato a subordinare, in occasione dei negoziati per il concordato col Vaticano, ogni sua concessione ad un impegno della Santa Sede di ottenere una efficace protezione del clero slavo di cittadinanza italiana da pretese persecuzioni fasciste contro il clero stesso e l'uso della lingua slava nelle Chiese. Nel detto memoriale si suggerirebbe, perfino, al Governo di Belgrado di valersi, per la protezione di questo clero allogeno d'oltre confine, anche d'un'azione di propaganda all'estero, da farsi ad opera della massoneria e del socialismo belgradese.

Sull'argomento il R. Ministro ha, poi, ulteriormente, riferito col rapporto che accludo a V.E. (2).

La questione viene, ora, ad assumere maggior rilievo dal fatto della ultima pastorale dell'Arcivescovo di Zagabria, Monsignor Bauer, -pastorale che è stata largamente diffusa sulla stampa estera, e della quale anche la nostra (Giornale d'Italia del 3 corrente) ha dato notizia -in cui si indicono, addirittura, speciali preghiere dei credenti per i cattolici allogeni della Venezia Giulia, fatti oggetto, nella libertà di fede e di culto, a persecuzioni che vengono considerate alla stregua di quelle che i cattolici soffrono in Russia e nel Messico.

Tutto questo fa, evidentemente, parte della campagna che in Jugoslavia a scopo di diversione di malsicure situazioni e pericolose tendenze della situazione interna -risulta si vada organizzando per porre in primo piano un'agitazione in pro' dei nuclei allogeni che al comune confine servono, e, purtroppo, attivamente le finalità del Governo di Belgrado.

In relazione a quanto sopra riuscirebbe utile a questo Ministero aver comunicata ogni ulteriore notizia di cui l'E.V. sia o possa venire in possesso sull'argomento, specie nei riguardi dell'atteggiamento che il Vaticano intenderebbe assumere in questa contingenza.

Tutto ciò accompagnato sempre dall'apprezzato parere dell'E.V. (3).

(l) -Non si pubblica. (2) -L'appunto è dell'Ufficio III della direzione generale Europa Levante ed Africa. (3) -Manca, ma forse allude al t. per corriere 432/56 del 23 febbraio. Pomi, direttor~ della Commerciale di Angora, aveva tenuto un atteggiamento evasivo di fronte a una propostasovietica, favorita dal governo italiano, per farlo nominare consigliere, al posto del direttore della Banca Ottomana, Sorbier nella costituenda Banca di stato turca. Nel doc. sopra cit. Aloisi comunicava che, da informazioni ricevute da Suritz, risultava probabile la nomina a consigliere del Sorbier in seguito ad una intesa tra i finanzieri francesi e tedeschi della Banca Ottomana e il governo turco, intesa di cui forse la Comit era al corrente.
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IL MINISTRO DELL'AERONAUTICA, BALBO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

N. 3262. Roma, 6 marzo 1931.

Ho esaminato il promemoria che codesto Dicastero ha presentato a S.E. il Capo del Governo e concernente la domanda inoltrata dal Consigliere Delegato della Società Anonima « Caproni Bulgara " allo scopo di ottenere l'interessamento del R. Governo per una sistemazione della Società stessa.

E. -APIH, OV. cit., pp. 292-293.

Ritengo opportuno, per un completo esame della questione, e prima di trarre quelle conclusioni che ho già prospettato a S.E. il Capo del Governo, riassumere, per sommi capi, i precedenti della questione stessa, precisandone gli esatti termini.

Fin dall'inizio delle trattative intercorse fra la Società Cecoslovacca • Aero • e la Ditta Caproni per il trapasso a quest'ultima dell'Azienda, dopo un particolare studio delle possibilità connesse all'azienda stessa, comunicai personalmente aiil'Ing. Caproni che non potevo considerare favorevolmente tale iniziativa, nè gli nascosi i pericoli che il suo passo presentava, sia per l'ostruzionismo che gli sarebbe stato mosso dagli enti Governativi, sia per le dannose influenze politiche che sarebbero state esercitate a suo danno. Precisai, altresì, allo stesso Ing. Caproni che gli impegni che egli stava per assumersi (circa tre milioni di lire) non erano in nessun caso giustificati dal reddito attribuibile all'azienda: ciò a prescindere dalla considerazione che la stessa decisione della Società Cecoslovacca di disfarsi dell'azienda, e la mancanza da parte francese di qualsiasi energica azione per impadronirsi dell'affare costituivano elementi di capitale importanza per dimostrare che questo, soprattutto dal punto di vista aeronautico, oltre che da quello militare e politico, non aveva affatto quell'interesse che voleva ad ogni costo annettervi l'Ing. Caproni.

Le difficoltà oggi prospettate nella domanda presentata dal Consigliere Delegato della Società • Caproni Bulgara • non possono quindi destare sorpresa, ma erano più che previste, perchè il mercato bulgaro non è davvero, almeno oggi, in condizioni da poter mantenere in vita un'industria del genere.

Ciò premesso, alle richieste di agevolazioni e di aiuti rivolte al R. Governo dalla • Caproni Bulgara • il Ministero dell'Aeronautiva deve rispondere, per parte sua, che, data l'attuale situazione dell'industria aeronautica nazionale, la quale si basa tuttora sull'appoggio statale, non può assolutamente devolvere anche una miiÌima parte di tale appoggio a vantaggio di un'industria che, sia pure italiana, per costituzione, svolge la propria attività esclusivamente su territorio straniero. L'industria aeronautica nazionale, infatti, che ancora oggi ha come principalissimo se non unico cliente lo Stato, è riuscita finalmente ad avere qualche ordinazione dai mercati esteri grazie all'intensa propaganda svolta dalla R. Aeronautica e soprattutto al felice esito delle nostre crociere: ciò nonostante essa è stata costretta a licenziare numerose maestranze per evitare una pericolosa sproporzione tra l'attrezzamento e l'effettiva produzione delle sue officine. È dunque mai possibile che per mantenere all'estero un'industria che è stata considerata sempre con estrema sfiducia dal Ministero dell'Aeronautica, questo debba sottrarre lavoro ed appoggi finanziari alle industrie esistenti sul territorio nazionale, compromettendone l'efficienza futura ed aumentando la disoccupazione tra le maestranze specializzate?

Neppure è possibile accogliere la proposta di far concorrere lo Stato nella costruzione dei due hangars richiesti dalle clausole della concessione, perchè dal punto di vista militare-aeronautico la cosa non può rivestire alcun particolare interesse.

In conclusione, quindi, se codesto Dicastero ritiene di poter accogliere, sia pure in parte, le richieste della • Caproni Bulgara • , facendo gravare i conseguenti oneri sul suo bilancio, il Ministero dell'Aeronautica non può che vedere con compiacimento e con speciale interesse un tale intervento; il bilancio aeronautico invece non può assolutamente, per tutte le ragioni fin qui esposte, dare appoggi di alcun genere al capitale itaHano che ad ogni costo è stato investito all'Estero in imprese prive di particolare interesse (1).

(l) -Cfr. l'accenno al n. 94. (2) -Allude probabilmente al n. 94. . , . (3) -Sulla questione della pastorale di m<;>ns, Ba~er, I?e Vecchi consegno ~n promem<;>r!a al cardinale Pacelli. La minuta del promemoria e priva di data, ma De Vecchi diede notizia al ministero della avvenuta consegna il 10 marzo. Per ulteriori notizie sulla questione cfr.
116

IL MINISTRO A PRAGA, PEDRAZZI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. PER CORRIERE 589/17. Praga, 6 marzo 1931 (per. il 9).

La notizia dell'accordo navale tra Italia Francia e Inghilterra ha causato in questo paese una impressione molto viva. Un diffuso senso di ottimismo su tutte le questioni europee si è immediatamente impadronito della pubblica opinione, ed insieme si è manifestata una grande curiosità di sapere se l'accordo sia fine a se stesso o non sia invece il primo passo di un radicale mutamento nella situazione politica del continente. Trascuro di riferire a V.E. le impressioni di indole generale che sono uguali a quelle di tutti gli altri paesi europei (improvvisa fiducia nell'avvenire, senso di sollievo per non essere costretti a parteggiare in una questione acuta, gioia nel poter essere quindi amici di tutti senza sacrifici e senza pericoli). Ma debbo invece riferire quanto qui si dice e si crede intorno alle ripercussioni che l'accordo potrà avere in confronto della Europa Centrale e dei suoi problemi. Faccio noto che queste impres!;;ioni che riferisco non sono destate soltanto dai giornali di vario colore, ma da colloqui molteplici che ho avuto in questi giorni con Ministri delle altre potenze, con ministri del governo locale, primo di tutti Benès che pare incantato degli avvenimenti. Secondo tutti costoro, dunque, le conseguenze degli accordi significheranno a breve scadenza un mutamento completo della politica italiana nei riguardi del problema revisionistico. Nessun giornale trascura di cantare il • de profundis • alle speranze tedesche per l'appoggio italiano alla politica della revisione, e soprattutto di rilevare come l'Ungheria resti sola scornata

ed isolata da questo ipotetico mutamento di fronte della politLca italiana specialmente dopo le dichiarazioni di Henderson ai giornalisti. Nessuno qui ammette che l'Italia non abbia colla firma dell'accordo presi impegni precisi per un fronte unico italo-franco-inglese alla prossima conferenza del disarmo ed in genere per una politica ginevrina accordantesi con quella degli alleati di guerra. Da queste deduzioni, che qui son date per logiche e sicure, si arriva a vedere un completo rovesciamento della situazione centro-europea dove l'Italia accostandosi alla Piccola Intesa diverrebbe elemento di statu quo, mentre l'Ungheria isolata e delusa non avrebbe che da accettare la fatalità

degli eventi. Il Narodni Politika, che da qualche giorno va annunciando un mutamento di politica italiana verso la Cecoslovacchia, scrive a questo proposito che negli scorsi giorni, prima dell'arrivo a Roma dei ministri inglesi, avrebbero avuto luogo a Parigi alcune conferenze di carattere politico concernenti da una parte i rapporti della Francia con la Piccola Intesa, dall'altra i rapporti dell'Italia con la Piccola Intesa e colla politica revisionista ungherese. In altri termini l'accordo navale avrebbe avuto un prologo sul tema: Europa Centrale.

Su questo tema battono i giornali, gli uomini politici, gli uomini d'affari, insomma tutti. Alle numerose domande che mi sono state fatte in proposito io ho risposto secondo le direttive contenute nel telegramma n. 212!19 del 5 corrente (l).

Altra deduzione della stampa locale è che l'accordo abbia tolto ogni opposizione italiana alla candidatura di Benès alla Conferenza del Disarmo. È stato il Paris Midi a parlare della cosa, e subito la stampa praghese l'ha afferrata a volo. Si ritiene infatti che dopo le dichiarazioni di Henderson ai giornalisti, secondo le quali l'Italia, Inghilterra e Francia si presenteranno con un fronte unico alla conferenza, nessuna ragione vi sia che l'Italia mantenga la sua opposizione a Benès. Nè si fa alcun conto della opposizione tedesca o russa, se non abbia l'appoggio dell'Italia.

Altra notizia che si diffonde sempre di più, con caparbia tenacia, è che l'accordo sia il preludio di un prestito straniero all'Italia. Anche queste notizie vengono da Parigi e sono credute. Per questo mi sono affrettato a smentirle ancora una volta. Insomma, dagli accordi di Roma si traggono a Praga conseguenze estesissime, capovolgimenti di situazioni, rialzo della Piccola Intesa, lamentevole sconfitta dell'Ungheria. Non sto a dire che noi siamo diventati improvvisamente molto simpatici. Colla irresponsabilità caratteristica a questa stampa, l'odio è diventato in pochi giorni quasi amore, salvo a ridiventare odio in una qualsiasi prossima occasione.

(l) Con telespr. rr. 3710/1125, Sofia 4 novembre 1932, Cora informava che finalmente il ministero della guerra bulgaro si era deciso a commissionare alla Caproni bulgara otto aerei. « Ritengo che alla favorevole conclusione delle trattative con la Caproni abbia molto contribuito la soluzione della pratica dell'invio degli aviatori in Italia, pratica che si trascinava da alcuni anni •.

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L'AMBASCIATORE A PARIGI, MANZONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. PER CORRIERE 594/123. Parigi, 6 marzo 1931 (per. il 9).

Private notizie giuntemi indicano che l'offensiva economica soviettica designata colla qualifica di " dumping • è in attivo svolgimento in Francia. L'antracite del Donetz viene, nonostante l'aggravio del maggior costo di trasporto, offerta nel Nord della Francia a prezzo inferiore dell'antracite inglese ed una considerevole quantità sarebbe già stata venduta con preferenza sulla merce inglese. Il metodo è sempre lo stesso, di offrire a un tanto meno dell'offerta

inglese, quale questa sia. Grandi quantità di legname russo sono òfferte a prezzo di dumping sul mercato francese in concorrenza col legname nazionale. Grandi depositi di merci russe di corrente consumo, quali formaggi tipo olandese, uova, commestibili, sono stati fatti ad Amburgo per essere offerti sul mercato europeo occidentale a prezzo di dumping.

I circoli commerciali ed economici francesi sono già assai preoccupati di questo stato di cose. Il Governo ne ha trattato già due volte in discussioni al Parlamento. Il Ministro del Commercio in un comunicato del 20 febbraio ha dichiarato che l'applicazione del decreto Flandin del 3 ottobre 1930 non aveva prodotto i risultati attesi e che di conseguenza si sarebbe riesaminato il problema degli 1scambi commerciali con la Russia, ed i servizi del Ministero del Commercio già studiavano un insieme di misure suscettibili di sostituire il decreto del 3 ottobre.

I circoli politici sono svegli anche essi sulla questione Soviettica e in parte già la impostano in relazione alla scadenza, ed eventuale rinnovamento, del Trattato Tedesco-Soviettico di Berlino del 1926. Di fronte alla minaccia all'ordine sociale borghese costituita dell'offensiva commerciale soviettica; di fronte al fatto che la borghesia francese costituisce la grande maggioranza del corpo elettorale, che le elezioni legislative saranno nel 1932, che questa borghesia è toccata fortemente nella borsa del rifiuto soviettico di riconoscere i debiti zaristi, che tutti i partiti, non per ragioni speciali quello socialista (ed almeno in grado assai minore e con più obbligata manovra d'ipocrisia) sono particolarmente sensibili verso gli elettori alla vigilia delle elezioni; è probabile che la pressione parlamentare sul Governo per una difesa attiva contro il dumping soviettico, raccolga larga adesione nel Parlamento Francese ed incida, pel motivo sopra indicato, anche sul quadro delle relazioni FrancoGermaniche. Già si pone qui alla Germania il dilemma: o con noi contro i Sovietti, non rinnovando il Trattato del 1926, o più che mai avremo la convinzione che la Germania collide coi Soviet contro la Francia e contro l'occidente europeo. La dichiarazione del 5 corrente fatta a Vienna dal Signor Curtius ai giornalisti in Vienna (vedi • Neue Freie Presse •) in materia di difesa contro il dumping soviettico, che misure applicate in comune accordo dai Governi Europei non produrrebbero i risultati sperati ma che ogni paese aveva la possibilità di proteggersi a mezzo di diritti doganali; la lettera di Arnold Rechberg al giornalista .francese Emilio Buré (vedi • Ordre » odierno) che segnalo e invio con uno speciale telespresso odierno, nella quale si afferma che intesa Franco-Germanica non può esservi a meno della revisione del Trattato di Versaglia, e che se questa condizione non è conseguibile non resta alla Germania altra via che la politica soviettofila (l): sono fatti destinati ad aumentare l'~llarme nei circoli politici Francesi •prodotto dal senso della minaccia Soviettica-germanica.

179'

In questa situazione, e nelle generalmente oscure sensazioni che essa produce nel pubblico francese, mentre le correnti locarnofila ed antilocarno si battono in Parlamento e fuori, con risultati che sono quasi contradittorii, come quelli dell'approvazione al discorso Maginot e dell'approvazione al dtsiCorso Brdand, e che rappresentano la transizionalità e l'incertezza della scena politica, la sospensione degli animi e delle impressioni, si comprende che circoli politici della Francia e pubblico francese si volgano alla ricerca di solidarietà e di amicizie ed esplodano in manifestazioni di larga approvazione quando avvengono fatti come la recente intesa navale che danno il senso, da una parte di un riavvicinamento verso l'intesa cordiale anche con l'Inghilterra ,laburista, e dall'altra di un chiarimento con l'Italia, e, in complesso, di un rinsaldamento politico tra le tre grandi Potenze Occidentali. Se, dicono alcuni, si !POtrà fare un saldo di comuni vedute tra Londra-Parigi-Roma-Belgrado-Praga-Varsavia e Bucarest, l'Occi:dente, il centro ed il sud est europeo !potranno sentirsi tranquilli non solo contro la minaccia soviettica, ma anche contro la collusione soviettico germanica, e potranno sperare di riuscire perfino a trascinare la Germania con loro in caso di effettiva aggressione rivoluzionaria e militare

dei Sovietti (1).

(l) Cfr. n. 111.

(l) Cfr. quanto comunicava Manzoni con successivo t. posta 1304/734 del lO marzo: "Lo spauracchio bolscevico (che è quello agitato dal Rechberg) doveva servire agli uomini di destra tedeschi per trovare un punto di saldatura tra i partiti di destra e di sinistra francesi, oggi in massima concordi nel considerare il regime russo come una grande nube che incombe minacciosamente sulla politica e sugli interessi europei, e quindi della Francia, che per essi rappresenta l'Europa ».

118

IL PRESIDENTE DELLA ASSOCIAZIONE NAZIONALE VOLONTARI DI GUERRA, COSELSCHI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

L. P. Roma, 6 marzo 1931.

L'Associazione dei Volontari Francesi, che inaugurò nei giorni decorsi,

con molta solennità la sua bandiera, alla presenza delle maggiori personalità

del Ministero Francese, ha inviato un messaggio in occasione dei recenti

accordi navali. A tale messaggio io risponderei al Presidente con quello del

quale ti unisco copia (2), che pur essendo contenuto nei termini più vivi e

cordiali, conserva inalterate quelle linee programmatiche che il Volontarismo

italiano deve opportunamente mantenere.

Torna a !pOrsi la questione deHa restituzione della famosa visita alla quale

i volontari francesi terrebbero tanto, e che, dopo le loro insistenti lettere ci

sembrerebbe assolutamente scortese differire di troppo.

D'altra parte, nell'attuale situazione sarebbe un errore, a mio avviso, non

profittare delle disposizioni dei volontari francesi, i quali, come risulta dal

Cfr. il t. (p. r.) per corriere 10144 del 20 ottobre 1930, a firma Ghigi e diretto a Mosca, Parigi e Berlino: a domanda del consigliere d'ambasciata dell'URSS, Ghigi aveva rispostoche l'Italia non si sarebbe associata ad un'eventuale proposta francese per • una energica azione • contro il dumping sovietico.

l'unito promemoria, darebbero a noi, italiani, la direzione di un eventuale accordo tra i volontari latini. Questo accordo potrà o non potrà valere agli effetti pratici; ma dal momento che noi avremmo la direzione, parrebbe utile stringerlo.

Infine debbo farti presente che S.E. il Capo del Governo non ha mai vietato la visita; solo l'ha sempre subordinata all'esito delle trattative navali; dopo le quali anzi dove l'esito fosse stato favorevole, mi disse di considerarla opportuna.

Tenendo quindi presente che il 21 aprile si inaugurerà la Casa degli Italiani a Parigi e la Sezione della Dante Alighieri (per la quaie sono stuto ufficiaLmente delegato da S.E. Boselli) io riterrei che si potesse stabilire 'Per lé.. visita a Parigi -dato che a tale epoca dovrei ugualmente trovarmi colà -appunto, la fine di aprile.

Attendo le tue decisioni in proposito, e comunque ti prego di darmi il benestare per il messaggio che non posso non mandare al più presto.

ALLEGATO.

RESTITUZIONE DELLA VISITA ALL'ASSOCIAZIONE DEI VOLONTARI FRANCESI

La nostra Associazione ebbe la visita del Presidente e del Segretario dei Volontari di guerra di Francia, i quali portarono per primi il loro saluto ed ebbero accoglienze cordiali e doverosa ospitalità.

Successivamente venne a Roma un inviato speciale della Presidenza dei Volontari francesi, con l'incarico di proporre la costituzione di una confederazione interalleata dei Volontari di guerra.

Rispondemmo declinando senz'altro una tale proposta, poiché il volontarismo italiano non potrà mai avere alcun contatto coi volontari Serbi; decidemmo che soltanto potevamo prendere in considerazione una federazione tra i Volontari delle Nazioni latine, su queste basi:

l) Sede a Roma con direttive italiane. 2) Impegno da parte dei Volontari francesi e belgi di paralizzare l'azione calunniosa antifascista svolta in Francia e in Belgio contro l'Italia. 3) Impegno da parte dei Volontari francesi -nel caso di un contrasto itala-jugoslavo -di svolgere un'azione nel loro Paese per far comprendere l'inopportunità di un intervento francese in favore della Jugoslavia, non avendo la Francia alcun interesse da tutelare nell'Adriatico.

Queste condizioni furono fatte con la quasi sicurezza che non sarebbero state accettate. Invece la Presidenza dei Volontari francesi fece sapere che sarebbe stata disposta a trattare, stabilendo la sede di questa unione latina a Roma sotto le nostre direttive.

Indipendentemente da ciò i Volontari francesi insistono (come si può vedere anche dalla lèttera indirizzata al Segretario Generale dell'Associazione) per una restituzione della visita, ciò che in fondo è un obbligo di cortesia.

Si chiede che cosa dobbiamo rispondere. Per ora non abbiamo dato che risposte evasive e temporeggiatrici.

Il Presidente: CosELSCHI

(l) II tel. fu ritrasmesso a Londra, Berlino e Mosca.

(2) Manca.

119

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO A BELGRADO, GALLI

T. PER CORRIERE 2053. Roma, 7 marzo 1931, ore 18.

Suo telegramma per corriere n. 73/53 del 27 febbraio scorso (1).

La pastorale dell'Arcivescovo croato fa, evidentemente, parte di quella campagna che V.S. ha esattamente segnalato e che mira a porre in primo piano in Jugoslavia ed altrove, per tortuose finalità, la questione delle pretese persecuzioni degli allogeni della Venezia Giulia. Il Times ha osservato che la data della circolare dimostra che essa fu decisa durante la permanenza di Re Alessandro a Zagabria. In quali relazioni stia tale circolare colle direttive della Santa Sede e del memoriale dei sacerdoti allogeni, oggetto del telespresso della S.V. n. 997/355 del 24 febbraio, mi riservo di accertare. Allo scopo potranno servire di utili elementi di controllo le indagini che alla S.V. fosse possibile, dal canto Suo, di compiere negli ambienti di codesta Nunziatura.

Alla pubblicità data all'estero della pastorale di Monsignor Bauer verrà adeguatamente risposto dalla nostra stampa. Non ritengo, infatti, anche senza tener conto di altre opportunità in relazione con situazioni di particolare delicatezza non ancora bene accertate, che ci convenga in alcun modo prestarci alla manovra jugoslava con passi suscettibili di offrire occasione formale di discussioni e di conferire serietà alla campagna mossa contro di noi.

In questo ordine di idee la S.V. ha, quindi, fatto benissimo ad astenersi da passi del genere.

120

APPUNTO DEL COMM. BROCCHI PER IL CAPO DELL'UFFICIO DI POLITICA ECONOMICA, CIANCARELLI

Roma, 7 marzo 1931.

1) Il sistema • bancario " (2), da me suggerito a seguito di Superiore incarico, per rendere possibile la conclusione di accordi economici con alcuni Stati vicini, senza ricorrere ad unioni doganali o alla concessione di dazi preferenziali, è stato discusso, approvato ed adottato:

a) nella riunione interministeriale dell'agosto u.s.;

b) nella discussione avvenuta presso S.E. Bottai al mio ritorno da Ginevra, con il concorso dei rappresentanti delle Confederazioni;

c) nella successiva riunione intermi.nisteriale prima della mia partenza per la seconda visita a Budapest;

d) nella discussione avvenuta presso S.E. Bottai, con il concorso degli On. Benni e Jung ed in presenza di S.E. Acerbo, il giorno del mio ritorno da Budapest.

2) Il sistema in questione è stato discusso, approvato ed adottato dal Governo austriaco e dal Governo ungherese, il quale ultimo, a mezzo di S.E. Arlotta, ha fatto 'Conoscere che esso considerava quel sistema come il mezzo più idoneo per risolvere la questione in discorso.

3) Ho appreso che, mentre nelle discussioni su accennate il sistema non era mai 'stato apertamente combattuto, autorevo-li personalità, convinte che nessun nuovo ordine di idee doveva essere adottato per poter concedere legittimamente sia a noi sia ai nostri contraenti benefici speciali, in occasione di esportazioni reciproche, avevano prospettato, forse senza avere approfondito lo studio del sistema proposto, anche a Membri del Governo, i pericoli che, secondo loro, potrebbero sorgere dal sistema stesso. Queste personalità asserirono che, adottando il sistema in questione, altri Stati non soltanto avrebbero potuto chiedere un trattamento analogo, ma avrebbero potuto rimproverare di aver cercato di violare i trattati, o di avere tentato di eludere la clausola della nazione più favorita e che avrebbero potuto ricorrere a rappresaglie.

4) Non essendo possibile assumere la responsabilità di negoziati senza il convincimento che tutti gli organi competenti sono convinti della legittimità delle nostre proposte, nella riunione del febbraio u.s. ho pregato che fosse riaperta la discussione sui vari sistemi che erano stati suggeriti. In quella riunione è stato riconosciuto all'unanimità che non si poteva proporre altro sistema all'infuori di quello cosidetto « bancario •.

5) In conversazioni avute con i Delegati austriaci a Parigi è stata nuovamente affermata la possibilità di noie a seguito dell'applicazione del sistema

• -bancario •, ed il sig. Schiiller oppose ,che il sistema funziona invece come • -una macchina di precisione • e che se qualcuno chiedesse spiegazioni non si avrebbe nessuna difficoltà a dimostrare che si è seguita veramente la traccia dettata dalla Società delle Nazioni.

6) Difatti il Comitato di studio per il collocamento dei raccolti futuri degli Stati danubiani riunitosi a Parigi, sulla base delle informazioni fornite alla Delegazione francese dal Delegato ungherese sul sistema da adottarsi, ha raccomandato che per facilitare le esportazioni si ricorresse anche alle operazioni bancarie ed allo sconto di tratte sui mer,cati più favorevoli.

7) Ciò non pertanto, anche recentissimamente, si è insistito nel prospettare --non in contraddittorio -a Membri del Governo i supposti inconvenienti del sistema, giuridicamente o formalmente considerato ineccepibile, ma praticamente pericoloso. Anzi, nelle discussioni con la Delegazione ungherese, per giustificare il ritiro delle concessioni precedentemente prospettate, sono stati messi in luce i rischi ai quali si sarebbe esposti a seguito dell'applicazione del sistema stesso. Ciò ha provocato dichiarazioni alquanto dure del R. Ministro d'Ungheria.

8) Questo atteggiamento è determinato senza dubbio dalla profonda convinzione che il sistema « bancario • presenta realmente dei rischi deprecabili, a meno che non sia invece determinato da uno studio non sufficientemente

-Documenti diplomatici-Serie VII-Vol. X

approfondito della soluzione suggerita; la quale non cerca di eludere i trattati, ma traccia nuove vie e introduce il sistema della reciprocità e dell'interdipendenza di agevolazioni bancarie, campo finora non disciplinato dai trattati.

9) Non avendo ragione di credere che la ipotesi esatta non sia la prima, considero dovere di onestà e di correttezza di dichiarare a V.E. che, fino a quando supponevo che tutti fossero rimasti in definitiva convinti della legittimità ed opportunità del nostro procedere e fossero solidali nell'azione non avevo avuto alcuna difficoltà di assumere la piena responsabilità del suggerimento dato. Dopo constatato però che il sistema non è gradito a persone autorevoli, non sembra ineccepibile, e che è stato osteggiato da organi competenti, per cui dal nostro campo stesso potrebbe involontariamente sfuggire una voce, che a suo tempo potrebbe essere valorizzata contro di noi, devo pregare che sia considerata come ritirata ogni mia proposta, per la difesa della quale io non ho alcuna· istruzione, che mi investa dell'autorità di contraddire gli organi competenti.

(l) -Cfr. n. 94. (2) -Sul quale cfr. serie VII. vol. IX, nn. 228 e 277.
121

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO A BUDAPEST, ARLOTTA

D. 1011. Roma, 9 rna1·zo 1931 (1).

Sono lieto che le informazioni forniteLe per farne oggetto di conversazione col Conte Bethlen circa gli ultimi lavori di Ginevra dentro e fuori la Società delle Nazioni, abbiano potuto agevolare a V.S. il compito di controbattere le malcelate manovre di elementi a noi contrari che si svolgono di quando n1 quando costà (2) e delle quali è necessario ed utile tener debito conto, per quanto indifferenti pu3sano essere ad esse il Conte Bethlen e gli elementi politici nostri amici.

A questo scopo ho tenuto particolarmente a tenere informato codesto Governo dei risultati dell'Accordo Navale testè concluso a Roma prima che fossero noti agli altri Governi e, mentre facevo informare dettagliatamente ;l Ministro De Hory da Guariglia, spedivo a V.S. il telegramma riassuntivo degli accordi stessi (3).

Questo Ministro di Ungheria è stato in realtà il primo a riconoscere che la soluzione della questione navale italo-francese poteva avere ripercussioni be

A questi telegrammi Arlotta rispose con t. r. 580/42 del 7 marzo: Bethlen si compiaceva per il raggiunto accordo. « Ha aggiunto dopo esame della situazione generale europea, che si compiace vivamente dell'accordo anche per la favorevole ripercussione che il rasserenamento atmosferico tensioni franco-italiane avrà certamente su possibilità collocamento prestito estero del quale Ungheria avrà assoluto bisogno prima delle elezioni politic!,e Bethlen mi ha pregato infine solo di esternare confidenzialmente a V. E. la sua grata fiducia che (qualora occorresse) stampa europea [sic] trovi modo ribattere accortamente eventuali insi

nuazioni organi esteri tendenti a far apparire che da recente accordo possa derivare raf

forzamento blocco Piccola Intesa a danno Ungheria giacché notasi qualche tentativo da parte oppositori interni sfruttare tale manovra contro di lui presso locale opinione pubblica >.

nerìche non soltanto nell'atmosfera generale europea ma specificamente anche nel ben compreso interesse dell'Ungheria, la cui azione politica potrà trovare miglior modo di esplicarsi in ambiente europeo più calmo e più scevro di sospetti, di timori e di preconcetti. Gli ho fatto dire d'altra parte che anche l'azione italiana in favore dell'Ungheria avrebbe potuto essere verosimilmente più agile e più efficace dopo l'accordo con la Francia, giacché quest'ultima non aveva oramai il pretesto di 'presentarci all'opinione pubblica eurqpea come inspirati dal solo intento di turbare la pace ad esclusivo nostro vantaggio.

Sarà bene che anche V.S. illustri convenientemente questi concetti al Conte Bethlen, affinché egli possa valersene anche per 'Controbattere le manovre dei suoi oppositori e persuadere coloro (e in Ungheria sono moltissimi) cui la passione patriottica e la fretta di risanare i mali dal paese fanno velo al giudizio.

V.S. assicurerà il Conte Bethlen, se pur valesse la ,pena di farlo, che le conversazioni avvenute a Roma con i Ministri inglesi non hanno avuto per oggetto alcun argomento politico, come del resto lo stesso Henderson ha dichiarato ai Comuni, e che esse si sono svolte su di un terreno di stretto tecnicismo.

È naturale che gli ambienti politici francesi e la maggior parte della stampa parigina si sforzino ora di dare agli accordi stessi un significato e una portata che vanno molto al di là delle concrete realizzazioni raggiunte. È questa una comprensibile manovra, che avrà non lunga durata, poiché le discussioni di politica generale non tarderanno a riaffiorare e non tarderà quindi a palesarsi la permanente divergenza italo-francese sui metodi che occorre adottare per riaprire finalmente in Europa non soltanto un'era di vera pace, ma un'era di giustizia internazionale.

Se infatti è vero che l'accordo navale faciliterà di molto i lavori della .futura .conferenza del disarmo, non è men vero che l'Halia non ha alcuna ragione di abbandonare ora la tesi sempre sostenuta in materia di disarmo, tesi che corrisponde alla nostra concezione della migliore organizzazione della vitn politica europea.

Io sono perfettamente convinto ,che la saggezza politica del Conte Bethlen valuta a pieno tutte Queste considerazioni, a differenza di molti uomini politici tedeschi che vedono nella politica italiana soltanto un giuoco di altalena tra la Francia e la Germania.

Ho constatato però che lo stesso Curtius ha fatto nelle sue recenti dichiarazioni ai giornali buon viso all'Accordo navale, ma non so rendermi abbastanza conto della sua sincerità e perciò le sarò grato di voler pregare a mio nome il Conte Bethlen di farmi sapere anche da 1parte sua le reali impressioni tede15iche, poiché egli ha meglio di ogni altro il polso della situazione politica in Germania.

A proposito di quanto V.S. mi ha riferito col rapporto del 28 febbraio scorso,

n. 1150/193 (1), di una certa perplessità del Conte Bethlen circa il delinearsi di un possibile riavvicinamento tra Russia e Romania, sarà bene che V.S. gli faccia presente che la nostra azione politica presso quei due governi è inspirata alle stesse direttive ungheresi.

Noi non abbiamo infatti, come l'Ungheria, interesse a vedere scomparire il contrasto, perciò nelle conversazioni con uomini politici russi e rumeni mostriamo un platonico desiderio di sanarlo per non aver l'aria di disinteressarcene ma non ·spingiamo la nostra azione più oltre.

Sarà bene anzi che il Conte Bethlen sappia come questo Ministro di Romania mi abbia esplicitamente detto, alcune settimane or sono, che il suo Governo sarebbe stato lieto di vederci assumere la parte di mediatori fra Russia e Romania (1), ma che io mi sono mantenuto sulle generali, mettendo innanzi le difficoltà di questo compito e non dando al Principe Ghika l'impressione di volerle affrontare. D'altra parte il R. Ambasciatore a Mosca nulla più mi ha riferito circa conversazioni da lui avute con Litvinoff sull'argomento e ho ragione di credere ·che questo non sia stato più abbordato fra i due.

Ella può quindi con sicura coscienza calmare le eventuali apprensioni del Conte Bethlen, assicurandolo 'che i nostri rappresentanti tanto a Mo•sca quanto a Bucarest hanno soltanto istruzioni di ascoltare quanto venisse eventualmente loro detto in tale materia, ma di non farsi menomamente parte diligente per provocare siffatte conversazioni.

Ella vorrà piuttosto far rilevare al Conte Bethlen che in questo momento sembra che sia proprio da parte sovietica partito l'impulso a un miglioramento indiretto delle relazioni colla Romania, giacché le offerte russe di un patto di amicizia e di non aggressione a Varsavia non .possono non avere un significato anche nei riguardi della Romania, dati i rapporti di alleanza fra questa e la Polonia recentemente rinnovati e resi più intimi.

A questo proposito V.S. vorrà anche dire al Conte Bethlen che non ho fino ad oggi notizie precise circa l'inserzione nel trattato polacco-romeno della clausola concernente la garanzia per la frontiera occidentale. Il R. Ministro a Bucarest è stato infatti recentemente per qualche tempo in Italia ie occasione della morte del suocero, S.E. Tittoni, ma prima che partisse l'ho di nuovo incaricato di compiere accurate indagini al riguardo, del cui ri~ultato mi riserbo di tenere informato il Conte Bethlen non appena possibile (2).

« Il Ministro di Ron1ania è venuto a pregarmi, a non1e deJ suo Governo. affinchè il Governo Italiano interponga i suoi buoni uffici per comporre il dissidio esistente fra l'U.R.S.S. e la Romania specie per la questione della Bessarabia.

Ho risposto che il Governo Italiano ringraziava per questa prova di amicizia ma che trattandosi di cose di particolare delicatezza una eventuale azione poteva esser esplicata solo se si presentassero circostanze specialmente favorevoli.

Non ritengo infatti, (tanto più finché il Governo di Bucarest continui nell'attuale atteggiamento di domandare sempre senza dare nulla) che sia venuto il mome~to di accedere alla richiesta della Romania ciò che significherebbe cambiare l'atteggiamento tenuto fin qui nei suoi riguardi.

È invece a mio avviso opportuno non assumere alcun irnpegno in proposito, pur ser..z8. declinare l'offerta, lasciando così aperta la possibilità di una nostra azione ave mutate circastanze lo consigliassero ».

«In risposta al pro-memoria in data 7 marzo n. 208237/424, la Direzione Generale E.L.A., nel restituire i documenti relativi alla petizione dei rappresentanti dei ' Siculi ' alla Società delle Nazioni, ha il pregio di confermare alla Direzione Gen:erale Società Nazioni quanto ebbe a comunicarle col pro-memoria 4 novembre 1929 e cioè che l'atteggiamento dell'Italia, nella questione di cui trattasi, debba essere informato, oltre che a criteri strettamente giuridici, anche e soprattutto a considerazioni di indole politlca, che ci consig~.-2J.nn ad appoggiare, per quanto possibile, la tesi ungherese"·

(l) -Il documento fu minutato da Guariglia il 7 marzo. (2) -Cfr. n. 95. (3) -Cfr. t. 212/28 del 5 marzo, ore 7; e anche il successivo t. 219/29 u. precedenza assoIuta del 5 marzo, ore 14,30. Si tratta di 2 te!. circolari.

(l) Cfr. IL 95.

(l) Si riferisce presumibilmente a questo passo del ministro di Romania il seguente ;eppunto senza data di Grandi (Archivio Grandi) :

(2) Cfr. il seguente promemorin per la direzione generale Società delle Nazioni dell'Ufficio II della Direzione Generale Europa Levante ed Afric:a, del 12 marzo, n. 208795/47G:

122

IL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA LEVANTE ED AFRICA, GUARIGLIA, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, CHIARAMONTE BORDONARO

L.P.RR. 208312/138. Roma, 9 marzo 1931.

Faccio seguito e chiarisco il mio telegramma personale n. 37 del 27 febbraio

u.s. (l) con cui ti pregavo di saprassedere aUe conversazioni con cotesto Governo in materia di mandati.

Dalle ultime notizie pervenute dal R. Console in Bagdad appare che sta per essere firmato, od è già stato firmato un accordo fra il Governo irakiano e l'I.P.C., secondo il quale questa Società si vedrebbe confermata la concessione di ricerche petrolifere in parte del territorio ìrakiano, mentre il restante territorio resterebbe a disposizione del Governo deU'Irak per conces:sioni di ricerche a terzi. D'altra parte da un telegramma pervenuto :recentemente dalla B.O.D. di Londra all'A.G.I.P. si rileva che il Governo irakiano suggerisce un prossimo incontro con i rappresentanti della B.O.D., per discutere circa la concessione alla

B.O.D. di ricerche petrolifere nei territori che, secondo l'accordo con l'I.P.C., non sarebbero più sottoposti al vincolo di quest'ultima Società.

In tali condizioni il valore del compenso circa la questione dei petroli

irakiani, cui io ti accennai quale richiesta da formularsi in primo luogo, è

notevolmente diminuito per non dire quasi annullato; e non sembra più il caso

di dare un tale contenuto alla nostra richiesta principale.

Inoltre un fatto nuovo è venuto alla conoscenza del Ministero degli Esteri: l'esistenza del trattato anglo-americano-irakiano di cui tratta il telesprcsso ministeriale n. 207265/C in data 28 febbraio; trattato a mezzo del quale gli Stati Uniti d'America, stipulando con la Gran Bretagna cd insieme con l'Irak, si sono di già garantiti nell'lrak non solo la continuazione dello stato attuale di parità di diritti con gli Stati membri della Società delle Nazioni; ma anche, dal momento in cui cesserà il mandato in poi, il trattamento della Nazione più favorita nei confronti di qualsiasi terzo stato, in attesa che venga concluso un più dettagliato accordo al. riguardo fra i due Stati.

Tenendo conto di tali fatti nuovi, ricapitolo e aggiorno quanto ebbi ad esporti nel colloquio che avemmo al riguardo, in materia di cessazione di mandati:

Occorrerebbe dire al Governo Britannico t:he noi vediamo con favore in linea dl principio -la fine del mandato irakiano; ma che abbiamo da fare delle riserve sul modo come sembra sia intenzione dell'Inghilterra di giungere alla cessazione di detto mandato.

a) Da un lato, noi non potremmo ammettere che il Consiglio della Società delle Nazioni fosse chiamato a giudicD.re circa la capacità dell'Irak a governarsi

da solo soltanto sulla base degli elementi che i rappresentanti della Potenza Mandataria hanno fornito alla Commissione dei Mandati della Società delle Nazioni. È questa per noi una tesi che ha portata generale, in quanto non vogliamo si crei un precedente che sarebbe applicato domani se, com'è probabile. venisse in discussione la questione della cessazione di qualche altro mandato, dove i nostri interessi sono ben più sostanziali e rilevanti di quello che non siano nell'Irak. Occorrerebbe convincere la Potenza Mandataria che è suo interesse lasciare alla Società delle Nazioni il più ampio esercizio del suo diritté"J d'investigazione circa lo stato dell'Irak, in modo da giudicare con piena conoscenza di causa, se il pupillo possa essere emancipato. La Società delle Nazioni a mezzo della Commi:ssione dei Mandati dovrebbe insomma procedere ad una diretta inchiesta in Irak.

Questo nostro modo di vedere non è derivato da un sentimento di diffidenza verso lo Stato mandatario: ma si ispira alle preoccupe1zioni da un lato di mettere la Società delle Nazioni in grado di giudicare con piena conoscenza e coscienza se è raggiunto lo scopo del mandato qual è stabilito daH'ad. 22 del Patto; e dall'altro di non creare un precedente -ripetesi -in materia di cessazione di mandati ,che potrebbe domani essere invocato in occasione della cessazione di altri mandati.

Le deliberazioni in materia dovendo a Ginevra essere prese all'unalo.in<iti. non ,può la Gran Bretagna non tener conto di tale nostro 1punto di vista: quanto è accaduto a proposito dell'accordo giudiziario anglo-irakiano dimostra che una nostra opposizione porrebbe sostanziali inceppi alla procedura; né, se noi in seguito alle vive ins!stenze inglesi abbiamo finito per cedere circa l'accordo giudiziario (per noi di scarso interesse) potremmo ugualmente mostrarci altrettanto condiscendenti per il futuro, ed in qucstioEe di 'Principio più importante e più vasta.

b) Occorrerebbe d'altro canto far osservare che In Gran Bretagna ha provvl"duto ,coll'accordo anglo-1rakiano, firmato a Bagdad il 30 Giugno u.s., a regolare i suoi interessi con l'Irak, e sostanzialmente ad incorporare questo paese nell'Impero britannico. L'Irak, nell'ambito dell'Impero, va ad assumere una r~osizione analoga a quella che vi avrebbe l'Egitto, ove venisse concluso il trattato di indipendenza.

Ora è discutibile che, dato l'origine ed il carattere dei mandati, dato che si tratta di territori su cui tutte le Potenze vincitrici hanno un teorico diritto di sovranità, dato che la Potenza Mandataria aveva solo il compito di guidare lo Stato a mandato fino al momento in cui fosse stato in grado di governarsi da sè, ma da questa missione affidatale ne ha tratto indubbiamente, pure tenuto conto degli oneri sopportati, un beneficio, si possa alla fine terminare tale missione con un accordo diretto fra tutore e pupillo, accordo col quale il tutore garantisce i suoi interessi, senza minimamente preoccuparsi dei diritti pur limitati che gli altri stati vincitori godevano nel territorio a mandato, durante il regime di mandato.

Se la Gran Bretagna non si è preoccupata di regolare tali diritti degli altri

Stati neH'Irak, essa deve riconoscere più naturale che fin da ora noi ci preoc~u

piamo di raggiungere una sistemazione. Del resto il precedente del trattato

anglo-americano-irakiano dimostra che gli Stati Uniti, resisi conto della situa

zione che si veniva a creare con la prevista cessazione del mandato irakiano, hanno cercato di tutelare fin da ora i loro interessi; ed altresì che la Gran Bretagna non solo non si è opposta, ma ha agevolato ed è divenuta parte contraente di tale sistemazione.

Tutto ciò è bene sia fatto presente a cotesto Governo fin d'ora, chiarendo che l'Italia, in occasione del primo caso di cessazione di mandato, e dato che quanto verrà stabilito per la fine del mandato irakiano verrà applicato anche nel caso di cessazione di altri mandati, intende sostenere per ragioni di principio sia il diritto di investigazine diretta nell'Irak da parte della Società delle Nazioni, per giudicare se siano stati raggiunti gli scopi dell'art. 22 del Patto, sia il diritto di giungere ad un'equa tutela dei propri interessi nell'Irak, per il momento in cui cesserà il regime di mandato, come hanno già provveduto a fare gli Stati Uniti d'America.

Ciò posto a base del nostro punto di vista nella questione, si potrebbe aggiungere che l'Italia non sarebbe aliena ad intendersi col Governo britannico nel senso ,che essa, in ,pratica, non solo non si opporrebbe, nei varii stadii della procedura di Ginevra e nel corso dell'inchiesta diretta in Irak che noi patrociniamo, alla realizzazione delle vedute britanniche, ma si impegnerebbe anche a favorire il compimento della sistemazione cui mira la Gran Bretagna, purché questa d'altra parte venga incontro al nostro atteggiamento agevolandoci nella sistemazione di qualche altro nostro interesse.

Non sarebbe infatti facile al R. Governo di giustificare davanti all'opinione pubblica italiana una propria adesione ad una forma di liquidazione del mandato irakiano che sostanzialmente consolida per l'avvenire la prevalenza britannica nell'Irak.

L'Italia, vittoriosa in guerra con gli altri alleati, si è vista ingiustamente esclusa dalla ripartizione dei mandati: oggi che si tratta della cessazione di uno di tali mandati e che tale cessazione -secondo il programma britannico si risolve in sostanza nell'entrata dell'Irak nell'Impero britannico, l'Italia si attende che alla sua adesione alle mire britanniche corrisponda qualche contropartita da parte del Governo di Londra.

Quali potrebbero essere tali contropartite?

Avrei preferito ricercarle nell'ambito steSiso dei nostri interessi nell'Irak; ed è perciò che a Roma ti parlai in primo luogo, quale possibile compenso, degli interessi petroliferi dell'A.G.I.P. nella B.O.D. e della concessione che questa Società ha richiesto al Governo irakiano. Ma l'accordo fra la B.O.D. ed il Governo di Bagdad sembra ormai avviato di per sè, giusta le notizie che ho richiamate in principio di questa lettera. Onde siamo costretti a cercare in altro campo il principale compenso.

Tale campo può essere quello dei petroli albanesi: si potrebbe tentare di ottenere dal Governo britannico l'impegno formale di !asciarci mano libera per quanto riguarda i petroli in Albania. Tu sei già al corrente dei nostri desideri al riguardo che sono dettagliatamente esposti nell'apposito memoriale che ti consegnai a Roma (1).

Ma insieme, ed a latere, si potrebbe pure cercare di ottenere qualche cosa in materia di petroli irakiani: si potrebbe cioè chiedere in modo generico l'impegno formale inglese dl appoggiare presso il Governo dell'Irak quegli interessi petroliferi italiani nell'Irak che fossero connessi con interessi petroliferi inglesi.

Ciò tenderebbe, da un lato a facilitare alla B.O.D. di ottenere la concessione eli ricerche nei territori ora sottratti al vincolo dell'I.P.C., dall'altro a cercare di far ottenere alla B.O.D. delle condizioni di concessione non troppo onerose da parte del Governo Irakiano.

Tale impegno potrebbe altresì essere completato coll'assicurazione da parte del Governo Inglese di influire opportunamente sull'I.P.C. perché questa conceda alla B.O.D., ad eque condizioni, il diritto di usare della pipe-lìne che l'I.P.C. costruisce su Tripoli e su Caifa per il trasporto dei petroli irakiani.

È questo un punto particolarmente importante perché scarso valore politico e pratico avrebbe la concessione petrolifera della B.O.D. se non venisse insieme procurato il mezzo per il celere smaltimento dei suoi petroli verso i porti del Mediterraneo.

Che se poi il Governo di Londra non vedesse modo di soddisfarei nella nostra richiesta circa gli interessi petroliferi in Albania e nell'Irak, si potrebbe studiare qualche compenso in materia di confini libici. Per ora, ad ogni modo. sarà bene tu non faccia cenno di questa eventualità, perché in proposito ti scrivo esaurientamente a parte per sentire il tuo pensiero circa la linea di condotta da proporre a S.E. il Ministro.

(l) T. 1794/37, che non si pubblica. Con t. 442/84 del 23 febbraio, Chiaramonte Berdanaro aveva comunicato di aver detto a Vansittart, in base alle istruzioni ricevute, che l'Italia non faceva più obbiezioni al progettato accordo giudiziario anglo-irakeno. Le istru7ioni a Bcrdonaro non sono pubblicate; ma cfr. pp. 9-10, nota. Ulteriori istruzioni furono date verbalmente da Guariglia, come risulta più avanti dal testo.

(l) Allude forse all'« Appunto per le trattative da svolgere con gli inglesi per le concessioni petrolifere in Albania », del 6 febbraio. L'Italia mirava a rilevare la concessione

123

L'AMBASCIATORE AD ANGORA, ALOISI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. PER CORRIERE 639/576/81. Angora, 9 mm·zo 1931 (per. il 19). Telegramma di V.E. n. 25 (1). Tefik bey è rimasto molto .soddisfatto della comunicazione che gli ho

fatto del contenuto del telegramma al quale mi riferisco e mi ha incaricato di ringraziare V. E. Egli aveva •pure ricevuto un'uguale comunicazione da parte dell'Ambasciatore di Turchia a Roma il quale lo ha altresì informato che V.E. si è compiaciuta di approvare il giudizio che egli ha espresso sul trattato in questione e da me comunicato in precedente telegramma.

Ho avuto l'impressione che le spiegazioni che gli ho dato lo abbiano molto tranquillizzato ed egli era specialmente ansioso di conoscere se negli incontri con i Ministri .inglesi era stata discussa la questione degli armamenti terrestri e di un eventuale patto mediterraneo.

che l'Anglo-Persian aveva in Albania. « Giunti al momento di passare alla fase di sfruttamento o decadere, gli Inglesi -che perseguono la politica mondiale della restrizione della produzione petrolifera, e che sentono l'influenza dei bassi prezzi di smercio -dichiarano di non potere iniziare lo sfruttamento, ma non intendono, d'altra parte, decadere... ».

La smentita nl riguardo contenuta nel telegrainma di V.E. essendo molto chiara, ho potuto rassicurarlo, ma tuttavia mi è p&.rso che egli avesse dei forti cubbi che tale argomento abbia potuto fare oggetto di uno scambio di idee a Parigi tra Ministri Inglesi e Francesi. Ho replicato che la lettera e lo spirito della comunicazione di V.E. davano tutti gli elementi per credere il contrario. I\'Ii ha dichiarato allora che l'accordo navale itala-francese era un pieno successo della politica italiana.

Avendo poi dal canto suo fatto conoscere il pensiero di Litvinoff sull'accordo di Roma (mio telegramma n. 72) ne ho profittato per dimostrargli l'opportunità di cogliere l'occasione della firma dell'accordo navale turco-russo (mio telegramma n. 78) per fare pubblicamente conoscere la identità di vedute del Governo di Angora coi Governi di Roma e Mosca sulla politica del disarmo esposta e finora strenuamente difesa da V.E. Egli ha accolto l'idea con particolare interesse accettando il mio consiglio.

(l) Si tratta con ogni probabilità del n. 111.

124

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO A BUDAPEST, ARLOTTA

T. (P. R . .ì R. 2133/27. Roma, 10 marzo 1931.

V. S. può comunicare al Conte Bethlen (l) da parte di S. E. Capo del Governo che conversazioni con fiduciario (2) per noto prestito possono essere riprese. V. S. vorrà aggiungere che sarà opportuno che fiduciario sia in grado trattenersi qui tempo occorrente in vista di varie questioni tecniche da esaminare (3).

125

IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

R. R. 053/510. Vienna, 10 marzo 1931.

Ho chiesto a Schober quali fossero il contenuto e i risultati dei suoi colloqui cor1 Curtius (4). Mi ha risposto che non si era nulla concluso di 1importante e che si era principalmente discusso di questioni economiche. La Germania ha

M. 0RMOS, L'opinione del conte Stefano Bethlen sui rapporti itala-ungheresi (1927-31), in « Storia contemr)oranea », 1971, pp. 298-299). Arlotta riteneva opportuna la concessione del prestito anche per impedire che l'Ungheria, stretta dalle necessità finanziarie, si avvicinasse alla Francia.

Più tardi, tra la fine del 1931 e il 1932, Mussolini riuscì a vincere la riluttanza di Mosconi e a concedere a fondo r>erduto un prestito di 15 milioni di lire al Governo ungherese per consentirgli di pagare alla Fiat una fornitura militare di 12 aerei, di un centinaio di trattori e di cinque carri armati.

parlato di unione doganale, senonché egli ha obiettato che questa favorirebbe l'agricoltura dell'Austria, ma ne rovinerebbe l'industria. Gli interessavano assai più gli accordi regionali con l'Ungheria e l'Italia, ed eventualmente la Jugoslavia. Dopo che tali accordi saranno stati stipulati e posti in vigore si potrà, passato un anno dalla loro applicazione, esaminarne i risultati, e solo in base a questi considerare l'eventualità di altre e più vaste intese (mio telespresso

n. 462 del 7 corrente). Quanto alle questioni politiche, le conversazioni di maggiore importanza erano state quelle sul problema delle minoranze, circa il quale l'Austria avrebbe lasciata alla Germania la direzione della trattazione internazionale, limitandosi da parte propria a seguire l'azione del Governo del Reich. Ciò ad ogni modo riguardava le minoranze negli Stati che hanno dei doveri verso di esse in base ai trattati. Una questione sul trattamento delle minoranze non esisteva naturalmente nei riguardi dell'Italia -come egli aveva già spiegato ad un mio collega che gliene aveva rivolta precisa domanda giacché i trattati non ci attribuivano alcun obbligo a tale proposito. Se I'Italia credeva fare qualche concessione, non poteva procedervi che spontaneamente. Egli lo aveva fatto presente al Capitano Provinciale del Tirolo, il quale era di recente andato a lamentarsi con lui perché, malgrado il nostro trattato di amicizia, l'Italia non avesse nulla mutato in Alto Adige circa l'insegnamento privato del tedesco. Gli aveva rammentato come la liberazione dei confinati e la soppressione dei visti ai passaporti fossero effetto della propria politica di fiducia e di amicizia. Se si fosse voluto ricominciare con le violenze e le minacce verbali in Tirolo, il solo risultato sarebbe stato quello di obbligare il Governo austriaco a fare le sue scuse a quello italiano e di costringere questo a riprendere in Alto Adige la politica seguita fino al patto di amicizia. Ora di tutto ciò egli aveva intrattenuto Curtius, facendogli notare l'utilità che anche il Governo germanico desse consigli di moderazione e prudenza a quelle associazioni e persone del Reich che prestavano mano alla campagna antitaliana, e gli aveva citato il caso di von Busch, ex diplomatico tedesco e ora a capo del " Deutsche Schulverein Siidmark ", il quale aveva scritto a Schober recentemente che, non essendo questi riuscito con i suoi mezzi pacifici a ottenere nulla dall'Italia, quell'associazione avrebbe ricominciato la campagna. Egli aveva insistito invece con Curtius sul concetto che solo da un ulteriore ancor più amichevole carattere nelle relazioni dell'Italia non solo con l'Austria ma anche colla Germania vi era da sperare che il miglioramento già effettuatosi nell'Alto Adige si andasse consolidando e ampliando. Sempre circa l'Italia, nessuna preoccupazione avrebbe manifestata Curtius per il nostro recente accordo con la Francia, del quale si sarebbe invece compiaciuto nell'interesse della tranquillità mondiale. Oltre questi argomenti e quelli accennati nel promemoria da lui datomi in copia e qui accluso (1), circa i quali i risultati sarebbero stati quali sono esposti nel promemoria stesso, non si sarebbe parlato e combinato altro. La parola • Anschluss " non sarebbe stata pronunciata neppure una volta sola in tutto il corso delle conversazioni.

Nel complesso Schober si è mostrato mediocremente soddisfatto della visita di Curtius e non ne ha magnificati i risultati. Non solo per quello che da lui

mi è stato detto, ma anche per quello che ho udito da altri, sono fino a ora tratto a credere che nulla di importante sia effettivamente stato concluso. Dal punto di vista formale la disdetta all'ultimo momento e senza plausibile ragione della venuta di Bri.ining ha offeso la permalosità di Schober e raffreddato l'entusiasmo dell'opinione pubblica, del che è apparso il riflesso nel linguaggio assai misurato e generico della stampa viennese. Dal punto di vista sostanziale lo scopo più importante che Curtius si era prefisso sembra fosse nel campo economico, ciò che si spiega colla presente situazione industriale e commerciale del mondo in genere e della Germania in specie. Vi è stato un tentativo tedesco di stringere a sé l'Austria in tale campo, ma gli anteriori lunghi negoziati per il trattato di commercio, e il malcontento qui destato dopo la sua stipulazione, non erano una favorevole premessa; e per di più il Governo austriaco ripone oggi le sue speranze, più che nella Germania, negli accordi regionali con alcuni dei suoi vicini; ciò che deve essere da noi tenuto presente per i prossimi negoziati di Schiiller in Roma.

Poco c'era da fare nel campo politico e meno ancora sembra si sia fatto. Non sono tempi per la Germania di star di nuovo a girare sul grammofono della stampa dei due Paesi i vecchi dischi dell'« annessione , ; e del resto in Austria non si ha ora uno smodato desiderio di offrire le punte metalliche (mio telespresso n. 462). Così che discorsi e articoli sono stati misurati e generici. Si è parlato nei colloqui di qualche argomento specifico e di non grande importanza. Per il resto, Curtius ha svolto i consueti temi delle identità di origini, di interessi e di politica, e per consolare i disillusi ha proclamato che l'« Angleichung » l'agguagliamento, fa continui progressi. L'affermazione potrà produrre qualche effetto all'estero, ove la falsa credenza che si ha in proposito sarà rafforzata da queste asserzioni del ministro germanico. Ma chi vive in Austria e ne segue giornalmente le vicende non è tratto in inganno da quelle parole, perché sa che non rispondono al vero. Se qualche provvedimento è preso d'accordo tra i due Stati in materie secondarie, bastano a spiegarlo la contiguità di un tratto della frontiera, la comunanza di lingua e anche in parte di razza. IVIa un vero agguagliamento non v'è stato, non vi è e non vi sarà.

Se un giorno l'unione avverrà, essa non sarà stata effettuata da supposte ma inesistenti approssimazioni successive, bensì dalla volontà di una Germania che, riacquistata la libertà internazionale di agire, procederà all'annessione dell'Austria.

(l) Questo telegramma risponde alla l. rr. 1018 del 21 febbraio di Arlotta a Guariglia (Archivio Grandi). Arlotta faceva pressioni perché il Governo italiano si decidesse a concedere \m prestito militare, chiesto da Bethlen già nell'aprile 1928 per 300 milioni di pengi:i (cfr.

(2) -Scitovszky. (3) -Il progetto di prestito militare fu definitivamente abbandonato nel luglio 1931 (Cfr. OnMos, L'opinione, p. 309).

(4) Curtius si era recato a Vienna.

(l) Manca.

126

L'AMBASCIATORE A MOSCA, ATTOLICO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. PER CORRIERE 684/1100/55. Mosca, 12 marzo 1931 (per. il 18).

Non soltanto il telegramma della E.V. in data 5 corrente (l) n. 38 ma anche il particolare interessamento dimostratomi da Krestinsky in un mio

incontro con lui, come lo stesso riserbo della stampa -che per qualche giorno si astenne dal pubblicare anche soltanto le notizie telegrafiche concernenti il nostro accordo navale -mi fecero dubitare che qui la cosa fosse vista con una certa apprensione. Appena, quindi, mi giunse il telegramma della E.V. chiesi di vedere Litvinov. La comunicazione che, a titolo di personale cortesia, gli avrei fatto del contenuto e dei termini dell'accordo mi avrebbe, ove necessario, fornito occasione per i chiarimenti del caso.

Superata la parte informativa della conversazione, Litvinov mi disse che, assai più del contenuto tecnico dell'accordo, lo interessavano le sue conseguenze e sviluppi politici. Avrebbe esso potuto influire sulla politica generale dell'Italia in materia di disarmo? Le preoccupazioni in proposito erano, specialmente a Berlino piuttosto vive. A mie argomentazioni ed assicurazioni in contrario, la conversazione si allargò progressivamente al campo della politica generale. Avrebbe quest'accordo e, soprattutto, avrebbero gli sviluppi dì esso troncato sul nascere la cooperazione itala-tedesca, che era stata una delle maggiori e più recenti conquiste ginevrine e costituiva una linea nuova nella politica itala-tedesca? Osservai che le basi dell'accordo navale risultavano, dal telegramma della E.V., praticamente concretate fin dal dicembre scor:so. Ciò non aveva impedito all'Italia di assumere a Ginevra il contegno che assunse. Del resto, osservai questa preoccupazione sembrarmi strana in chi, come la Germania, fa tutti i tentativi possibili per riavvicinarsi alla Francia. Seguì una breve discussione sui limiti in cui Curtius continua o meno la politica di Stresemann, Litvinov sostenendo che egli tende ad attenuarla, al che io ribattei che se, in certe affermazioni nazionali, Curtius sembrava spingersi oltre

Stresemann, gli era che -a parte ogni nuova esigenza parlamentare -dalla evacuazione della Renania in poi, terminata cioè la fase preparatoria della politica Stresemann, incominciava una seconda fase, in cui le affermazioni tedesche dovevano portarsi -necessariamente -sopra un campo assai più positivo e scottante che non per il passato.

Litvinov accennò quindi anche alla Turchia, ricordando come essa fosse stata a grado a grado -del che Litvinov si faceva anche merito egli stesso portata ad allontanarsi sempre più dalla Francia e ciò a tutto vantaggio dell'Italia. Essa potrebbe ora avere l'impressione, disse Litvinov, che " after all, all ways lead to Paris , .

A questo punto interruppi dicendo scherzosamente: Vedo che voi parlate degli altri; e perché non di voi stessi? Relativamente sorpreso dell'attacco, Litvinov cercò obiettare l'U.R.S.S. trovarsi in condizioni diverse. Senonché, senza tener conto di questa supposta differenzazione, io credetti opportuno -anche a scopo... profilattico -entrare nel vivo della questione, prospettando al mio interlocutore l'intero quadro, quale io lo vedevo, della situazione internazionale dell'URSS e dei sintomi che esso presentava di una politica collaborazionista. Cominciando dall'Italia, osservai che le basi della nostra politica con l'URSS essendo essenzialmente e genuinamente economiche ed esenti da ogni calcolo politico, assicuravano la sopravvivenza delle relazioni stesse in ogni tempo e in ogni circostanza. Mentre parlavo, il R. Governo aveva deciso di portare da 200 a 300 milioni il limite finanziario degli accordi dell'agosto, una Mis

sione industriale italiana si pr~parava a venire nell'URSS, una Delegazione di giuristi a negoziare convenzioni le più svariate. L'immediato presente, come il prossimo avvenire parlavano dunque· ugualmente a favore di uno sviluppo delle nostre relazioni.

Ma ciò non era vero soltanto nei riguardi dell'Italia. Anche le relazioni

dell'U.R.S.S. con gli altri Paesi miglioravano. Indubbiamente, e molto, con la

Germania, la cui missione industriale ora a Mosca gettava le basi di una coope

razione economica senza precedenti. Anche l'Inghilterra, nonostante tutte le

• anti-campaigns ", aveva migliorato il proprio regime di crediti per l'U.R.S.S. con sensibile vantaggio per il rispettivo intercambio. Altri piccoli paesi avevano fatto lo stesso. Persino con la Francia, si era, per l'evidente volontà di entrambi le parti, evitata la rottura e forse si preparavano tempi migliori.

L'U.R.S.S. -dicevo -traversa un periodo di • ricostruzione » e quindi essenzialmente e necessariamente collaborazionista e ciò mentre si disegnano nel mondo le linee di una « détente , generale. Perché, in queste condizioni, l'U.R.S.S. dovrebbe preoccuparsi di un riavvicinamento franco-italiano? In primo luogo, io ignoravo fino a qual punto questo riavvicinamento potesse, allo stato delle cose, andare. (Mi ricordai, in proposito, delle riserve fatte dalla

E.V. a Milano) (1). Dall'accordo navale per sè stante, nulla mi attendevo oltre una relativa • détente , della situazione generale. Dell'avvenimento Briand avrebbe forse profittato per una offensiva pacifista in tutte le direzioni, compresa la Germania e l'Italia. Ma, quanto a quest'ultima nessun riavvicinamento sostanziale sarebbe stato, in regime fascista, possibile se non sopra basi che ne accrescessero internazionalmente il prestigio e la forza. Di questo, al caso, gli

amici dell'Italia, 'compresa la Russia, non avrebbero avuto che a rallegrarsi, perché l'Italia avrebbe potuto e voluto usare di questo aumentato prestigio e di questa sua forza anche a vantaggio loro.

La conversazione si portò quindi sopra altri argomenti.

Non posso assicurare l'E.V. di avere completamente rassicurato o, più ancora, convinto Litvinov. Ma, con queste mie dichiarazioni a prescindere da ogni loro effetto immediato, ho gettato le basi di conversazioni future, sbarazzando il terreno da ogni ipocrisia.

Tutto quanto precede è interessante, non solo in se stesso, ma anche per la situazione psicologica che rivela. Intanto, le preoccupazioni che Litvinov accusava nella Germania e nella Turchia erano soltanto accampate per coprire le preoccupazioni proprie? In parte sì, ma non completamente. Litvinov ha questo pregio, di non essere un dissimulatore abituale e • costituzionale». Specialmente se incoraggiato, come io lo incoraggio, sulla via di una rude franchezza, egli dice spesso cose che politici consumati e professionali difficilmente direbbero. Qualcosa di vero, quindi nelle preoccupazioni berlinesi e turche -che egli ha esplicitamente affermate -ci deve essere.

Ma quanto ho riferito alla E.V. è interessante anche per un altro rispetto. Lo stato d'animo che la situazione ha rivelato così nei governanti russi come attraverso le preoccupazioni russe in quelli tedeschi e turchi, mostra anche

un'altra cosa; che, effettivamente la nostra tensione con la Francia ci portava automaticamente e senza alcun nostro sforzo alla testa di tutto il movimento antifrancese, polarizzante intorno a noi e a nostro favore le crescenti antipatie e resistenze che l'egemonia francese suscita nel mondo. Ciò, naturalmente -ed io mi guarderei bene dal parlarne in questo senso -non ci può e non ci deve allontanare da un riavvicinamento con la Francia nei limiti in cui questo risponde ai nostri interessi generali e quindi alle determinazioni dell'E.V., ma dovrebbe pur indurre la Francia ad apprezzare, più e meglio, il valore della nostra amicizia che evidentemente rappresenta per essa un apporto doppio. Un blocco antifrancese si stava, per generazione spontanea, formando veramente, e l'Italia ne era, contro ogni sua volontà e automaticamente, portata alla testa.

(l) Si tratta con ogni probabilità del n. 111.

(1) Allude al colloquio Grandi-Litvinov del novembre 1930.

127

IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. POSTA R. 1020/555. Vienna, 12 marzo 1931.

Telespresso di V.E. n. 207667/117 del 3 marzo (l). Starhemberg è venuto ieri da me a parlarmi lungamente sulla situazione delle Heimwehren.

Per quanto riguarda il movimento di scissione apparso dopo le elezioni, egli si dichiara nel complesso soddisfatto. È già riuscito a ricondurre a sé così le Heimwehren del Burgenland come le organizzazioni ferroviarie austriache. Le due persone che rimangono da eliminare sono Fey, Capo delle Heimwehren di Vienna, e Steidle Capo di quelle del Tirolo. Egli si dice convinto cbe entrambe finiranno con il cedere e ritirarsi. Maggiore resistenza e difficoltà di Fey oppone Steidle, perché ha ancora del denaro e paga i suoi sottocapi. Donde Steidle tragga questo denaro, Starhemberg non sa. Forse gli rimane ancora parte di quello datogli da noi: ma non è affatto da escludere ne abbia dalla Francia. Egli si è recato a Parigi già tre volte entro uno spazio di tempo relativamente breve, e le giustificazioni di sue imprese amorose in quella città non persuadono chi conosca i suoi gusti facili in simili materie. È da tener presente che la Francia mostra da qualche tempo speciale interesse per il Tirolo ove gli ufficiali sciatori ch'essa vi manda, di origine alsaziana, non compiono opera a noi favorevole. Del resto Steidle dispone in tutto il Tirolo di un 1500 uomini, ciò che è una cifra insignificante, e le simpatie che vi godeva vanno sempre più diminuendo anche fra quelli che, ciò malgrado, non si decidono ancora a parteggiare per Starhemberg.

Circa gli agitatori italiani in quelle province, Starhemberg mi ha confidato che uno dei più noti fra questi e cioè il Pembauer, il quale è a capo dell' • Andreas Hofer » e si vanta di avere l'appoggio del Governo germanico, gli ha narrato che per sua richiesta il Pabst aveva inviato il Rodler (mio teles1presso

2166 del 23 ottobre 1930) (l) a cercare contatti e sussidi dai Jugoslavi con i quali l'. Andreas Hofer » crede poter lavorare a nostro danno, ma che il Pabst, il quale tra parentesi starebbe ora per entrare nei ranghi di Hitler, ne aveva contemporaneamente avvisato l'Italia. Così che i Jugoslavi, avutone sentore, si erano rifiutati di allentare i cordoni della loro borsa con grave danno della comune causa. Sempre a proposito del Tirolo, Starhemberg mi ha anche confidato che uno dei dirigenti di quelle Heimwehren gli aveva chiesto se avesse ricevuto denaro da noi e se fosse in rapporto con noi, avendone per risposta che egli non aveva ricevuto nulla ed era in semplici rapporti sociali con me, al pari che con questi altri Ministri delle Grandi Potenze. Gli era anche stato domandato dalla stessa persona come si sarebbe comportato se gli fossero stati offerti aiuti pecuniari da noi, ed egli aveva detto che la questione non aveva pratico valore non essendogli stato offerto nulla: solo dopo che un'offerta gli fosse stata fatta, avrebbe considerato come comportarsi. Del resto anche gli ungheresi gli avevano rinnovato di recente la domanda se qualcosa avesse ricevuto da noi ottenendo una risposta negativa. Maggiore preoccupazione egli ha invece dimostrato circa i suoi rapporti con il partito cristiano-sociale. Questo non riesce a perdonargli che sette degli otto mandati ottenuti nella Camera dalle Heimwehren sono stati conseguiti con la perdita di altrettanti seggi dei propri membri, e teme sempre che esse possano pigliare il sopravvento. Quel partito vorrebbe che le Heimwehren si limitassero a mettersi al proprio seguito e a fare da spauracchio ai socialisti, non prendendo alcuna parte alla vita politica di cui esso intende serbare il monopolio a proprio beneficio. La cosa ha importanza non tanto in sé sibbene in quanto gli industriali finanziatori sono cristiano-sociali, e, pur riconoscendo il fondamento delle obiezioni di Starhemberg, non osano uscire dal partito, che offre loro presenti e sicuri benefici, per gli incerti e futuri di Starhemberg. Tuttavia la principale obiezione di questo è che, considerata l'origine e lo sviluppo delle Heimwehren, non può oramai limitarsi il loro compito a quello che sarebbe il desiderio dei cristianosociali. I contadini non sentono nelle campagne il pericolo socialista, e in ogni caso il cencio rosso dei marxisti non basta più ad eccitarli. Le Heimwehren devono oggi rappresentare un'idea e avere un programma politico di ricostituzione e rafforzamento dello Stato, e soltanto dietro questa bandiera si possono far muovere le popolazioni delle campagne dl cui il malcontento per la presente crisi economica, le transazioni parlamentari e in generale l'attuale stato di cose, aumenta sempre più. Solo alimentando questa volontà di rinnovamento dei contadini si può farli marciare. Qualche sovvenzione con tutto ciò gli industriali l'hanno pur data, perché sanno che se le Heimwehren andassero in malora i socialisti ricomincerebbero con le prepotenze di un tempo; ma in misura inadeguata, perché, se per un verso temono il sopravvento dei rossi, dall'altro temono anche, come si è già detto, quello delle Heimwehren. A queste difficoltà altre se ne aggiungono, derivanti da qualche debito cambiario contratto durante la campagna elettorale. Egli non dispera di sormontare le une e le altre obbligàndo i membri delle Heimwehnm a una minima contri

buzione mensile, la quale, dato il loro numero, rappresenterebbe in complesw una somma piuttosto considerevole. Questa riforma gli farà perdere vari partigiani, perché finora nessuno è stato abituato a pagar niente; ma meglio essere in numero minore, se uniti e disciplinati. Naturalmente se, fino a che la riorganizzazione e la riforma non siano compiute, • potesse ottenere da altra parte qualche sovvenzione, questa faciliterebbe la soluzione di tutto •. (I fiduciari ungheresi mi dicono aver chiesto qualche contributo a Budapest, ma non credo che per ragioni di bilancio si risponderà loro affermativamente; pare accorrerebbero circa duecentomila scellini). Anche quando Seipel sarà tornato, egli non stima che nella sostanza il contegno dei cristiano-sociali muterà, perché

Seipel ha sempre mostrato lo stesso animo.

L'osservazione di Starhemberg corrisponde alla verità. I cristiano-sociali vogliono proteggere le Heimwehren purché queste obbediscano loro, e del resto lo stesso potrebbe ripetersi per Schober. Le Heimwehren devono servire a rendere transigenti i socialisti affine di consentire a quelli di dividere con questi la torta. Ma se le Heimwehren facessero una rivoluzione e vincessero, non solo i socialisti bensì anche i cristiano-sociali rimarrebbero a denti asciutti.

Circa i suoi rapporti con i nazional-socialisti tedeschi Starhemberg mi ha detto che uno dei suoi partigiani, e cioè Hueber, è andato a parlare a Hugenberg che gli si è mostrato ragionevole, ma che con Hitler non c'è modo di intendersi. Questi pretende che le Heimwehren debbano cedere il posto ai nazionalsocialisti, senza rendersi conto dell'impossibilità di un simile programma. Il nazional-socialismo si è messo contro la Chiesa, e in Austria, se si vuole dalla propria i contadini, bisogna rispettare le profonde credenze religiose. Perciò Starhemberg nei suoi discorsi non solo non parla mai contro la religione, ma afferma spesso esplicitamente la volontà di rispettarne e osservarne i precetti nell'attuazione del proprio programma politico.

Starhemberg mi ha ripetuto di non aver dimenticato la promessa di

inviare una particolareggiata relazione a S.E. il Capo del Governo (1). Ne ha

già preparati i concetti, ma gli è assolutamente mancato in città il tempo e il

modo di svolgerli. Andrà fra giorni a passare un paio di settimane in cam

pagna e lì potrà stendere a suo agio la relazion2 stessa. Egli vuole che sia

così completa da dare un quadro della situazione sotto ogni aspetto esatto.

Dopo che sarà stata inviata e letta, si riserva venire a Roma per conferire

col Duce.

(l) Non rinvenuto.

(l) Cfr. serie VII, vol. IX, n. 324.

128

APPUNTO DEL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA LEVANTE ED AFRICA, GUIRIGLIA, PER IL CAPO GABINETTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GHIGI

Roma, 13 marzo 1931.

La prego informare S.E. il Ministro che il giorno 11 corrente ho tenuto una riunione coi rappresentanti dei Ministeri Interni, Finanze, Corporazioni,

l'On. Jung etc. per discutere eire<: la nossibililà di adottare misure economiche contro la Jugoslavia atte a rendere questa più conscia della gn:vità della situazione e più arrendevole nei negoziati da condurre prima o parallelamente a quelli politici (l).

Si è dovuto constatare però che date le clausole del vigente trattato di commercio, le nostre misure di rigore non potrebbero avere che un carattere fito-sanitario ed anche in questo campo ho trovato riluttanti i rappresentanti degli altri Ministeri.

Abbiamo però deciso:

l) di iniziare la campagna di stampa e Gayda ha già avuto una parte del materiale;

2) di provocare dei voti delle Confederazioni al Governo perché costringa la Jugoslavia con tutti i mezzi ad una revisione dei propri traffici con noi;

3) di proseguire lo studio anche nel campo fito-sanitario e dell'ostruzionismo doganale, almeno per impressionare i delegati jugoslavi quando verranno a Roma per la prossima conferenza del grano.

(l) Cfr. n. 68.

129

APPUNTO PER IL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA LEVANTE ED AFRICA, GUARIGLIA (2)

Roma, 13 ma1·zo 1931.

Pirelli ha personalmente rimesso all'Ufficio l'acclusa lettera dell'Amministratore Delegato del Credito Italiano (3).

Il Credito ebbe a suo tempo comunicazione delle direttive impartite da

S.E. il Capo del Governo per una nostra astensione dalla partecipazione al prestito jugoslavo. Non ebbe occasione di darvi seguito, allora, per il fatto che la questione del prestito ha avuto una lunga battuta d'aspetto.

L'Unio n Parisienne ( 4) torna, ora, alla carica, probabilmente in relazione alle conseguenze che, nella stessa Jugoslavia, si attribuiscono al recente patto navale. Donde la domanda, da parte del Credito Italiano, di conferma delle direttive accennate.

L'Ufficio ha provveduto a far sapere a Pirelli, che si è incaricato della comunicazione al Credito Italiano, in risposta all'acclusa lettera, che non risulta che le direttive abbiano ad essere mutate.

Si è rimasti d'accordo, che il Credito Italiano farà, verbalmente, dare risposta negativa all'Union Parisienne, motivandola col fatto che gli ambienti industriali italiani che fanno affari colla Jugoslavia, gli unici fra i quali sarebbe

stato possibile collocare la quota italiana del prestito, sono, proprio nell'attuale momento, assai sfavorevolmente disposti per il constatato prolungarsi dello sbilancio nel traffico fra i due paesi, che costituisce già un annuale ed ingente esodo di denaro italiano in Jugoslavia (1).

(l) -Cfr. n. 62. (2) -L'appunto è dell'Ufficio III. (3) -Diretta a Grandi. Non si pubblica. (4) -La Banque de l'Union Parisiennc.
130

IL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA LEVANTE ED AFRICA, GUARIGLIA, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, CHIAROMONTE BORDONARO

L. P. 208916/171. Roma, 13 marzo 1931.

Nel memorandum che, eire~ le questioni italo-francesi dei confini libici e della Tunisia, facemmo nella scorsa estate pervenire al Governo Britannico (2), noi accennammo anche alla questione che abbiamo tuttora aperta con gli inglesi, circa la determinazione delle frontiere fra la Cirenaica ed il Sucìan anglo-egiziano.

In seguito ad autorizzazione datami da S.E. il Ministro, io ebbi, quest'estate, prendendo occasione dell'interessamento che in quel momento mostravano gli inglesi per un regolamento delle questioni pendenti fra noi e la Francia, ad intrattenere « informai way » della questione del confine cirenaico-sudanese questo Ambasciatore d'Inghilterra (3) es,primendo l'opinione che una definizione delle frontiere fra noi e gli inglesi avrebbe potuto giovare al componimento della questione libica coi francesi; ma nessun seguito mi risulta abbia avuto

detta conversazione.

La successiva occupazione dell'oasi di Cufra ha dato luogo alle note dichiarazioni di Dalton, ed a commenti su quakhe giornale britannico (commenti riprodotti da giornali egiziani) in genere ispirati al concetto che il regolamento della frontiera fra Cirenaica e Sudan non presenta sostanziali difficoltà, mentre altrettanto non potrebbe dirsi per la definizione dei confini della Libia coi territori francesi.

Anche a me sembra che relativamente agevole sarebbe raggiungere con Londra un accordo circa detta frontiera: in realtà gli inglesi, a parte la convenzione anglo-francese 1899 (che riguardava spartizione di zone di influenza e non determinava frontiere ma contro la quale pur tuttavia l'Impero ottomano ebbe a protestare) nonché la successiva convenzione anglo-francese del 1919 che fissava bensì le frontiere fra i possessi francesi e britannici, ma contro la quale noi abbiamo protestato e che abbiamo a più riprese dichiarato di ritenere nei nostri riguardi del tutto inefficiente, quale res inter alios acta, non hanno, verso di noi, alcuna efficace base giuridica da far valere per sostenere la loro sovranità sul triangolo desertico ad ovest del 25° meridiano ed a sud

dd 22o parallelo fino ai possessi francesi. Inoltre la regione iD contestazione se è di scarso valore per noi, sarebbe di nullo valore per gli inglesi, in quanto essa verrebbe a costituire un territorio strozzato fra territori nostri e francesi ed un innaturale prolungamento verw ovest del Sudan anglo-egiziano.

Noi abbiamo da far valere su detto territorio i diritti dell'ex Impero ottomano di cui siamo i diretti successori; il fatto che nè il Sultano nè noi abbiamo mai riconosciuto alcuna convenzione ed accordo che attribuisse il territorio ;,uddetto alla Gran Bretagna; la considerazione infine che il triangolo desertico in contestazione fa parte dell'hinterland libico, e della Libia è una diretta e naturale continuazione.

Ciò malgrado, sono per mio conto molto dubbioso sulla convenienza che vi sarebbe per noi a sollevare per primi con cotesto Governo la questione del regolamento di tale frontiera; e ciò per varie ragioni che qui di seguito ritengo opportuno di esporti:

a) Noi dobbiamo partire dalla tesi che il territorio di cui si tratta è divenuto di sovranità italiana fin da quando annettemmo la Libia, succedendo all'Impero ottomano, tesi che abbiamo sostenuto nel presentare a cotesto Governo le nostre riserve e proteste circa la convenzione anglo-francese del 1919. In conseguenza, noi non dovremmo eventualmente iniziare delle trattative con gli inglesi che sulla questione di delimitazione della frontiera fra detto triangolo desertico ed il Sudan, in quanto anche prima del 1911 le frontiere fra i territori turchi e quelli sudanesi-egiziani non erano mai state delimitate. Ad una tale fissazione della linea di frontiera si dovrà un giorno giungere; ma non è cosa nè importante nè urgente. Tale nostra tesi mal si concilierebbe con delle • avances " che noi oggi ci inducessimo a compiere a Londra, mettendo quasi sullo stesso piede la questione pendente ,con gli inglesi con quella di diverso carattere che abbiamo aperta con i francesi, verso i quali trattiamo per vere e proprie attribuzioni di territorio, precipuamente in base all'art. 13 del patto di Londra.

b) D'altra parte noi oggi siamo -e più saremo fra breve -ne1la condizione di • beati possidentes ", in quanto già nostri reparti coloniali si spingono da Cufra nel territorio di cui si tratta; ed è da prevedersi che giungeremo fra breve anche ad Auenat, l'oasi più importante -credo --della zona, e la più vicina anche (a ouanto sembra, perchè la sua posizione geografica non è esattamente determinata) alla linea ideale di prolungamento dell'attuale confine cirenaica-egiziano al EUd del 22'' parallelo. Più tempo passa, e più tale occupazione di fatto si consoliderà ed assesterà rendendoci così più facile l'accordarci ,con la Gran Bretagna su una linea di frontiera col Sudan conforme ai nostri interessi (1).

c) In terzo luogo, occorre aver riguardo agli accenni che sulla stampa nazionalista egiziana sono stati fatti circa la pretesa di un intervento egiziano nel regolamento delle frontiere fra Sudan e Cirenaica.

La questione investe lo scottante problema eli attualità dei rapporti angloegiziani circa il Sudan, scoglio contro il quale si è urtata la definizione dei rapporti fra Gran Bretagna e Egitto.

Sarà disposta l'Inghilterra a discutere ora da sola con noi circa la frontiera sudanese, non tenendo conto della pretesa dell'Egitto a far sentire anche la sua voce? Il Governo laburista ci ha abituati ad una politica di remissività, che può autorizzarci a supporre che Londra preferirà non affrontare }_:;Cr ora la discussione sui confini e lasclnre inalterato lo statu quo, per non d&re ragione a nuove proteste egiziane nella questione del Sudan: qualunque regolamento di frontiera la Gran Bretagna stipulasse ora con noi, i nazionalisti egiziani non mancherebbero di gridare al tradimento di Londra che cede territori egiziani etc. etc.

D'altra parte è per noi preferibile discutere solo con l'Inghilterra piut::osto che con l'Inghilterra e l'Egitto insieme: ricordo il precedente delle trattative ,per l'accordo di Giarabub, nelle quali gli egiziani dimostrarono molto più degli inglesi, uno spirito di stretta intransigenza; e più ne dimostrerebbero adesso se venisse ammessa una loro partecipazione alle trattative per il confine cirenaico-sudanese. Anche da questo punto di vista quindi sembra converrebbe attendere che si definisca la rispettiva posizione della Gran Bretagna e dell'Egitto nel Sudan, con la probabile esclusione di quest'ultimo dalla possibilità di intervento nelle trattative.

Se tutte le suesposte ragioni consiglierebbero a non farci noi parte diligente nel provocare dagli inglesi un regolamento delle suddette frontiere, è d'altra parte certo che ci gioverebbe giungere a discutere coi francesi soltanto dopo che tale regolamento con gli inglesi fosse intervenuto.

Ed i francesi, prendendo occasione dal recente accordo navale, sono tornati alla carica per definire con noi le questioni libica e tunisina. Ti informo riservatamente che questo Ambasciatore di Francia, De Beaumarchais, nel primo colloquio avuto con S.E. Grandi dopo la conclusione dell'accordo navale (1), gli ha espresso la speranza di poter riprendere le discussioni con noi sui due problemi suddetti, discussioni per ora arenate; ed ha anche per suo conto impostato con la maggior nettezza le trattative, precisando le intenzioni francesi. In sostanza egli ha detto che la Francia sarebbe disposta a venire incontro al desiderio dell'Italia, cedendo parte del Tibesti e fissando grosso modo la frontiera fra la Libia e l'Africa equatoriale francese lungo la cresta delle montagne di detta regione; ma mentre con ciò l'Italia dovrebbe dichiararsi soddisfatta dei diritti a compensi in base all'art. 13 del patto di Londra, la Francia vuole nel contempo regolare definitivamente la questione degli italiani di Tunisia, assorbendo nel corso di due o tre generazioni quei nostri connazionali ed eliminando ogni privilegio che in Tunisia ancora godiamo in base alle convenzioni del 1896. De Beaumarchais ha detto chiaramente che la Francia non può ammettere la continuazione dell'attuale stato di cose in Tunisia; ed ha lasciato altresì intendere che è nel programma di Parigi l'abolizione del

protettorato tunisino, e l'equiparazione della Tunisia all'Alger:a. Per analog1a può supporsi che rientri anche nel programma di Parigi, a più o me;-:o lunga scadenza, l'abolizione del protettorato sulla zona francese del Marocco.

Parigi vuole insomma consolidare ed unificare i propri possessi africani mediterranei, fondendoli in un unico blocco; e per raggiungere tale scopo vuol cominciare con eliminare l'ostacolo principale, che è la situazione particolare assicurataci in Tunisia dalle Convenzioni del 1896.

Non ti sfuggirà la gravità di tali dichiarazioni di De Beaumarchais nei nostri riguardi. Io non so ancora quali saranno le determinazioni di S.E. Grandi circa la ripresa dei negoziati italo-francesi; osservo però che, 1pur astraendo dal considerare se sia per noi conveniente discutere con la Francia soltanto sui problemi libico e tunisino, non sarebbe possibile accettare l'impostazione delle trattative su detti problemi quale è stata accennata dall'Ambasciatore di Francia. Ma mi sembrerebbe utile ,frattanto esaminare se la Francia, nel mirare

al programma di unificazione dei suoi possedimenti nel Nord-Africa, non venga ad urtare, oltre che contro i nostri, anche contro gli interessi britannici.

Assisterebbe la Gran Bretagna indifferente ad un rassodamento della potenza francese nel Nord-Africa? È vero che un'annessione della Tunisia non cambierebbe nulla all'attuale stato di fatto strategico-navale nel Mediterraneo; ma ricordo anche che, quando si trattò di applicare ai maltesi sudditi britannici residenti in Tunisia i famosi decreti sulla cittadinanza del 1921, la Gran Bretagna fece a questo provvedimento, pur di limitata portata per lei e che non feriva diretti suoi interessi, lunga ed asprissima opposizione, proprio per ragioni di 'principio, sostenendo (come noi sostenemmo pure, in via subordinata, in quanto la nostra principale linea di difesa era per la Tunisia costituita dalle Convenzioni del 1896; ma come sosteniamo tuttora per gli analoghi decreti emanati nella zona di protettorato francese del Marocco) che fosse contrario al diritto internazionale il far divenire, in base ad una legge francese, cittadini francesi degli stranieri domiciliati non in territorio francese, ma in te1·ritorio di pmtettorato. Ed il ricorso all'Aja dette ragione alla te:si britannica; dopodiché Londra e Parigi finirono per mettersi d'accordo, riuscendo la Francia ad ottenere la snazionalizzazione dei maltesi alla terza generazione.

Questo precedente può far supporre che Londra non assisterebbe senza opposizione ad un cambiamento della situazione giuridica internazionale della Tunisia (1).

Questa mia esposizione -e chiedo venia per la lunghezza del mio scritto da un lato mira, caro Ambasciatore, a conoscere il tuo pensiero, tenuto conto dei propositi e delle intenzioni di cotesti ambienti politici, sull'opportunità o meno di prendere noi l'iniziativa del regolamento della frontiera fra Cirenaica e Sudan; dall'altro tende a metterti al corrente delle non celate intenzioni francesi (v. anche l'articolo di Barde sull'Oeuvre del 7 corrente) cir,ca :la Tunisia perchè tu veda possibilmente di indagare qm'~ rE 'zione prL·durrebbe in cotesti ambienti un eventuale provvedimento di abolizione di quel protettorato.

(l) -Annotazione di Grandi: « D'accordo •. (2) -Probabilmente allude al memorandum cit. in serie VII, vol. IX, p. 239 e nota 3. (3) -Cfr. ibid., p. 240 e nota l, per l'accenno al progetto di Guariglia.

(l) In una riunione recentemente tenutasi al R. Ministero delle Colonie con l'intervento :lel Governatore della Libia e del Vice Govematore della Cirenaica, io stesso ho spinto i Capi militari a procedere ad atti di occupazione e di possesso nella zona anzidetta, raccomandando tuttavia di non innalzare la nostra bandiera nelle oasi occupate. E ciò appunto per provocare l'apertura di negoziati da parte britannica. [Nota del documento].

(l) Il primo colloquio qui documentato fra Grandi e Eeaumarchais dopo la conclusione dell'accordo navale è quello del 17 marzo (cfr. n. 136). Guariglia si riferisce a un colloquio di cui non si è trovato il verbale ovvero confonde con un colloquio fra Beaumarchais e Ghigi al quale accennò lo stesso Eeaumarchais a Grandi il 17 marzo.

(l) Ciò dico nella suppos1zwne che, quando il problema si presenterà in modo concreto, non sia più al potere il Gabinetto laburista; chè, in caso diverso, è da prevedersi che l'opposizione britannica ai propositi francesi sarà tutt'altro che salda ed efficace. ..[Nota del documentol.

131

IL MINISTRO AL CAIRO, CANTALUPO, AL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA LEVANTE ED AFRICA, GUARIGLIA

L. P. 882. Cairo, 13 marzo 1931.

Ho visto Gasparini (1). Grazie per quanto mi fai conoscere attraverso lui. Siccome conosco perfettamente l'ambiente, le persone e le cose, i riferimenti del comune amico mi hanno dato interessanti particolari che mi sono giunti 'Jaturalmente nuovi, ma nulla mi hanno appreso -circa la perfetta condotta del Ministero degli Esteri -che io non avessi già o esattamente intuito o chiaramente letto tra le righe delle comunicazioni ufficiali.

E, proprio in risposta ai riferimenti circa lo svolgimento delle decisioni r~ui si è pervenuti, desidero dirti che io condivido pienamente il punto di vista del Ministero degli Esteri, e apprezzo in tutto la condotta pratica ch'esso ha tenuto di fronte alle recise dichiarazioni dell'altra parte, tutti i precedenti e tutte le previsioni consigliavano senz'altro di lasciar ad essa la responsabilità della decisione. Non potevamo in alcun modo, noi Esteri, assumerci la responsabilità di risolvere quella che, data la domanda posta dalle Colonie, doveva oramai conisiderarsi non la situazione della sola frontiera, ma la situazione globale della Cirenaica. Se io fossi stato al tuo posto.. avrei fatto quello che hai fatto tu (2).

Ciò premesso, e in relazione a tali fatti, voglio metterti al corrente di un particolare. Ho avuto recentemente col Vice-Governatore della Cirenaica uno scambio di telegrammi confidenziali, che non avevo finora comunicati ad alcuno

Per queste due principali ragioni il Governo italiano decide di rinviare la continua·· zione dei negoziati, pUr mantenendo vivi i suoi principi e sentimenti di cordialità e collaborazione con il Governo egiziano, principi e sentimenti che rientrano esattamente nel quadro della cordiale politica italiana verso il mondo musulmano in generale, e in particolare verso quello egiziano. Se a tali principi e sentimenti, per quanto tocca la frontiera, si oppongono ancora ostacoli, ciò è da attribuirsi unicamente alla politica egiziana.

Infatti, se a mio nome personale, e a titolo di rilievo confidenziale, potevo io rico

noscere al Ministro degli esteri che l'attuale Governo egiziane aveva finora dato prova di

buona volontà e di interessamento per la repressione del contrabbando e potevo ritenere

che Roma avesse la medesima sensazione, dovevo ufficialmente prospettare le vivissime

doglianze del Governo italiano per la nessuna o minima corrispondenza dell'azione degli

esecutori locali alle buone intenzioni del Governo centrale. Questa è la situazione attuale:

alla frontiera si frustra quanto al centro si vorrebbe attuare...

Sono subordinatamente di avviso eh~. se la piega presa nelle recenti circostanze

ha potuto portare una momentanea asprezza nei nostri rapporti con questo Governo, la

situazione determinatasi potrà in ogni modo essere volta efficacemente -e in tal senso

per mio conto mi adopero -ai fini di una più forte pressione, e debba essere sfruttata

per spingere l'Egitto a fare il suo dovere».

Cfr. anche un'altra !.p. di Cantalupo per Guariglia del 13 marzo: « Ho tenuto appo. sita condotta, allo scopo d;. mantenere contatti molto cordiali col Governo col quale il mio linguaggio è sempre ufficiale, e invece ho dato al Re in via confidenzialissima e privata la sensazione che siamo furiosi e che è ora di finirla: questo faccio perché in definitiva è sempre Lui che comanda al Suo Governo».

pc!'ché, se le proposte egiziane fossero state accolte dalle Colonie, ogni anteriore scambio di idee sarebbe stato automaticamente superato, e assorbito nel fatto nuovo. Ma poiché tali accordi non sono stati realizzati, lo scambio dei telegrammi in parola merita di essere segnalato al Ministero degli Esteri, sia pure, per ora, nella presente forma confidenziale, perché essi telegrammi (allegati telegr. 235, 2159, 271, 362, 300, 453) (l) assumono un chiaro carattere: mettono in luce l'opinione che nutre la Cirenaica (che cioè tutto o molto possa, se non addirittura debba, essere risolto da questa Legazione); in confronto di quella che nutro io, e spero voialtri (che cioè noi possiamo dare una collaborazione efficiente, ma non risolutiva).

Ti prego di esaminare se questi telegrammi possano essere utilmente portati a conoscenza del :\'Iinistro Grandi, e ancora se possano eventualmente essere portati da te e in via cor:iìdC[lZiale a conoscenza del Ministro De Bono, affinché egli riconosca la verità non modificabile di questo mio parere: che la situazione della Cirenaica può essere risolta, per sempre, solo in Cirenaica.

Ti sarò grato se vorrai farmi eventuali comunicazioni in !proposito (2).

ALLEGATO.

CANTALUPO A GRAZIANI

T. POSTA 453. ·· • Cairo, 9 febbraio 1931.

Al telegramma 300 (3). D'accordo che occupazione Kufra non indurrà Ornar Muktar cedere subito. N o n condivido invece parere Egitto sia esclusivo fattore resistenza. Infatti contrabbando frontiera è ormai sicuramente minimo. Che Ornar Muktar riceva di qui armi si è talvolta supposto, mai provato. Allorché si parla di contrabbando armi bisogna fornire elementi precisi: ciò che finora non ho potuto fare perché mai cotesto governo mi ha dato elementi concreti. Anche ultima s2gnalazione presunta carovana armi passata Cirenaica è tutt'altro che provata e questo Governo la dichiara insussistente come espongo con mia comunicazione a parte. Per quanto io non abbia nessun diritto né veste per esprimere pareri sulla situazione interna della Cirenaica, unicamente per rispondere a quanto è detto nel sopracitato telegramma 300, chiarisco definitivamente -fino a che fatti nuovi non interverranno -mio pensiero così: perfettamente conscio che situazione Cirenaica non è suscettibile miracoli e che la risoluzione di essa deve trovarsi gradualmente, da una parte non ravviso giustificato il pessimismo dato continuo sensibile nostro miglioramento e sempre maggiore e oramai provata precarietà ribelli, dall'aìtro non sembrami in alcun modo debbasi attendere esclusivamente dai rigori egiziani alla frontiera definitiva disfatta Ornar Muktar.

I ribelli della Cirenaica debbono essere, pur sempre, battuti in Cirenaica. A parte ciò, sto dimostrando al Ministero Esteri che con cinque mesi di azione diplomatica -perfettamente armonica con quella militare di cotesto governo

la Legazione di Cairo ha visto ridurre al mrmmo, dico al minimo, il contrabbando confinario: ciò che prova essere fondata mia fiducia nella fecondità della collaborazione tra Cairo e Bengasi -cioè tra Esteri e Colonie -alla quale si deve se la situazione frontiera, che è stata per il passato particolarmente dannosa alla politica cirenaica, è ora migliorata in misura della quale forse i ribelli hanno un'idea più precisa e reale di quanto noi stessi non possiamo avere.

(l) -Gasparini era in viaggio per l'Eritrea. (2) -Con r. 801/264 dell'8 marzo Cantalupo aveva comunicato di aver parlato col ministro degli esteri egiziano : « Ho comunicato che il Governo italiano intende soprassedere alla continuazione delle conversazioni dirette a stabilire un :tegolamento di frontiera, e ciò per due essenziali ragioni: prima, perché la situazione attu2.le della Colonia non può ancora consentire un regolamento fondato sul passaggio di dementi delle rispettive tribù dall'uno all'altro territorio, sia per fini commerciali sia per fini di pascolo e semine; seconda, non meno essenziale, pel'ché la condotta delle autoritil egiziane di frontiera è tale, fino ad oggi, da non poter affatto ispirare la fiducia e l'ottimismo necessari per fondare anche su di esse una collaborazione, cui solo la più assoluta lealtà reciproca potrebbe dare consistenza. (1) -Si pubblica solo l'ultimo. (2) -Con telespr. u.r. 209335/67 del 14 marzo Guariglia, rispondendo a un quesito posto da Cantalupo, gli comunicava il parere del ministero delle colonie, che cercasse « di ottenere l'espulsione dall'Egitto, per altro paese d'Oriente, dei capi ribelli rifugiatisi di recente in Egitto dopo l'occupazione di Kufra, in ispecie dei Sief-en-Nasser e di Salah el Ateusc ». (3) -Del 4 febbraio, nel quale Graziani diceva: « Caduta Kufra non indurrà certamente Ornar Muktar a sgombrare dal Gebel fino a che il confine gli procurerà mezzi per combattere e viveri ora che non possono più fornirgliene le popolazioni>.
132

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ORSINI BARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. PER CORRIERE 681/169. Berlino, 15 marzo 1931 (per. il 18).

Ieri nel pomeriggio è arrivato S.E. von Schubert, e stasera riparte per

Roma. È venuto, come mi diceva scherzando il Signor von Btilow, • fra due

desinari •. Difatti, il 17 sera dev'essere a Roma perché ha invitato gente alla

Ambasciata. Ieri ha avuto lunghi colloqui con Curtius e con Briining -sta

mane è venuto a visitarmi. Ha di nuovo poi conferito con Curtius che lo ha

trattenuto a colazione.

Egli conversando con me si è dimostrato molto soddisfatto non solo del

soggiorno romano, ma anche dell'interessante lavoro diplomatico che vi com

pie e soprattutto dell'aiuto che trova in V.E.

Mi ha detto essere stato chiamato (Curtius la sera avanti mi diceva, invece,

che Schubert aveva chiesto di venire a Berlino!) per riferire sul colloquio· con

Henderson, relativamente al quale tante fantasie erano corse, e sul pensiero

del R. Governo, in merito al recente accordo itala-anglo-francese.

Schubert non mi ha messo a parte certo di quello che ha riferito né delle

sue informazioni in merito -mi ha solo incidentalmente detto:

l) di avere qui affermato a voce e per iscritto che l'Italia non ha quel

l'assoluta urgenza di crediti che generalmente si crede. Evidentemente, se ne

troverà negli Stati Uniti -dove li ha cercati -non in Francia, sarà per

l'economia nazionale una utile cosa, ma non si tratta di cosa ur;ente;

2) esser convinto che non solo l'Italia, ma nemmeno l'Inghilterra hanno

preso con il Governo francese impegni che limitino la loro azione alla futura

conferenza del disarmo.

Egli poi ha dimostrato tanto a Curtius quanto a Bruning essere ormai giunto il momento di dimostrare una risonanza sulle amichevoli disposizioni del Governo italiano verso la Germania. Di queste disposizioni amichevoli egli trova traccia anche nel discorso pronunciato da V.E. sabato scorso alla Camera dei Deputati, sebbene sia da rilevarsi che il nome Germania non venne pronunciato. Al che gli ho replicato che per la sostanza H dire di V.E. è molto chiaro e che non può non riuscire di soddisfazione per il Governo del Reich; che del silenzio passato sul nome • Germania » forse il Signor Curtius, così guardingo e così pieno di riguardi, sarà rimasto anche contento. In ogni

modo il suo contegno nel recente discorso al Reich::;to.;; giustificava, a r::lo avviso, quello di V.E. nel discorso di sabato.

A questo punto von Schubert mi ha interrotto dandomi ragione e mettendomi al corrente delle conseguenze dell'imperfetta trasmissione, da parte del Wolff Bureau, del discorso del Signor Curtius.

Egli è rimasto sorpreso dal fatto che V.E. abbia pronunciato sabato il Suo discorso: lo attendeva martedì; se avesse saputo che V.E. avrebbe parlato ieri, non si sarebbe mosso.

Quanto alle direttive della politica tedesca, tanto Briining che Curtius gli hanno detto di continuare a muoversi sulla strada aperta, con comune vantaggio per i due Paesi, da V.E. a Ginevra nei colloqui con S.E. Curtius (1).

Con l'avvicinarsi del momento in cui la grande questione che interessa particolarmente la Germania cioè la Conferenza del Disarmo, verrà all'ordine del giorno, i contatti fra i due Governi dovranno essere intensificati. Lo stesso mi ha detto confidenzialmente S.E. Nadolny. Ciò potrà anche avvenire, ma bisogna non perder di vista che eventualmente questa intensificazione della attività diplomatica tedesca a Roma è determinata anche dalla circostanza che ormai tanto Briining quanto Curtius cominciano a rendersi conto di un fatto: che cioè da parte della Francia la Germania nulla ha più da attendersi in soddisfazione dei suoi " des:derata ». Nell'imminenza della scadenza dell'accordo russo-tedesco di Berlino, il Quai d'Orsay insiste in ogni modo e con ogni mezzo per staccare Bedino da Mosca e indurlo a combinare un'azione contro ci Sovietici (2). Questo mi confermano anche i rappresentanti dell'alta banca tedesca recatisi nei giorni scorsi a Parigi. La Francia vuole che la Germania non rinnovi l'accordo suddetto.

V.E. sa che il Gabinetto attuale, nonostante le pressioni che da Parigi gli pervengono anche per il tramite del Vaticano, non ha affatto intenzione di lasciar cadere quell'accordo e di abbandonare una linea di condotta che rappresenta la sana tradizione germanica, la migliore salvaguardia contro la politica polacca ed una garanzia per l'avvenire. Esso, a meno di sorprese, lo rinnoverà tanto più facilmente, in quanto che nei circoli direttivi si giudica ora il patto italo-franco-inglese per le costruzioni navali con molta obbiettività e senza troppo ampie deduzioni.

L'intenzione di rinnovare quell'accordo e la disillusione ultima che la tendenza francofila propugnatrice dell'intesa va subendo gradatamente, portano Berlino sempre più a intensificare i contatti con Roma. Non sarà quindi da sorprendersi se in un periodo di tempo più o meno breve noi saremo chiamati a vedere di questa tendenza una chiara espressione. Del resto già la prossima vi:Sita di S. E. von Guerard, Ministro delle Comunicazioni, a Roma, in forma ufficiale, ne è un primo sintomo. Sarà il primo Ministro in carica del Reich che tocca, in forma ufficiale, il suolo romano.

Parlandomi della situazione politico-parlamentare von Schubert mi manifestava tutta la sua sorpresa per la complessità nella quale essa si presenta e per le difficoltà contro cui lotta, momento per momento, il Cancelliere -corr:plessità e difficoltà delle quali a Roma non aveva chiara idea. Egli però è convinto che Briining sormonterà anche le presenti difficoltà, mentre l'ondata nazional-socialista andrà perdendo di forza. Non ho creduto entrare su questo punto in discussione con lui, tanto più che fra i nazionalsocialisti e lui vi è una vecchia ruggine. Si è lamentato delle corrispondenze da Berlino pubblicate dal « Giornale d'Italia • che egli trova troppo partigiane per i nazionalsoc:<'Iisti e poco rispettose per il Cancelliere Briining.

L'ho calmato promettendogli di richiamare il Signor Stendardo, corrispondente del ''·Giornale d'Italia • da Berlino (1), ad una maggiore obbiettività.

A mia volta però gli ho osservato che sarebbe altrettanto vantaggioso ai rapporti fra i due Paesi, se gli emissari del fuoruscitismo italiano in Francia non trovassero tante porte aperte a Berlino quante ne trovano, e se potessero scorrazzare meno per la Germania, condonando contro il Fascismo.

Egli ne ha convenuto e mi ha promesso di intrattenerne oggi Curtius. Su ciò ci siamo separati.

(l) -Cfr. nn. 19 e 36. (2) -Cfr. n. 117. Secondo l'opinione di Renzetti, che ne scriveva a Ferretti il 6 marzo, il tentativo di intesa franco-tedesca, volta a staccare la Germania dalla Russia, era condotto in Germania da von Papen, proprietario del giornale " Germania », da von Rechberg e da altre !Jersonalità del Zentrum. fra cui Leopold, industriale delle ligniti, e Lammert, industriale della carta, legati a Treviranus (ASME, Fondo Ministero Cultura Popolare, busta 108).
133

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO A BELGRADO, GALLI

T. (P. R.) 2357/41. Roma, 16 marzo 1931, oTe "''L

Mio telegramma per corriere [.p. r.] n. 2053 del 7 corrente.

Dalle notizie che qui giungono e dalla lettura della stampa jugoslava risulta che costà si sta facendo tutto il possibile per intensificare l'agitazione inscenata colla recente pastorale dell'Arcivescovo di Zagabria (2), agitazione che dovrebbe avere la sua solenne manifestazione pubblica nelle cerimonie indette per il 19 corrente nelle Chiese Cattoliche della Jugoslavia.

Pur confermandole che il Governo fascista non intende entrare in discussione con Belgrado circa il merito dell'assurda manovra politica che si è fatta muovere da Zagabria e che manca del resto di qualsiasi serio fondamento, reputo tuttavia opportuno che l'attenzione del Governo jugoslavo sia da noi richiamata sopra le possibili conseguenze di tali manifestazioni pubbliche, 10 quali, a prescindere da quelli politici, possono avere riflessi sull'ordine pubblico coll'eccitare, sotto specie religiosa, ostilità anti-italiane.

La S.V. voglia quindi subito, e quindi tempestivamente, segnalare la cosa ad ogni utile fine al Signor Marinkovich, telegrafandomi l'esito del suo passo.

(ll Nel gennaio del 1932 Alfredo Stendardo era segretario del Fascio di Berlino.

(2) Cfr. n. 94. A giudizio di Galli, « si è di fronte all'azione di propaganda antitaliana meglio organizzata che si sia mai avuta fin qui, certo la più estesa e profonda dopo il mio arrivo in questa residenza. e che non può !asciarci indefinitamente indiffe~enti • (t. per corriere 691/95171 del 16 mC!rzo).

134

L'AMBASCIATORE A LONDRA, CHIARAMONTE BORDONARO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. 670/131. Londra, 16 marzo 1931, ore 17,55 (peT. ore 2 del 17).

Mi sono espresso stamane con Henderson nel senso della lettera di V.E.

n. 1013 del 10 corrente (l) di cui gli ho lasciato copia. Henderson ha mostrato di gradire molto comunicazione e mi ha detto di avere scritto pochi giorni fa

V.E. circa adesione Patto Generale felicitandosi dell'accenno fatto da V.E. all'importante argomento nel Suo discorso di sabato alla Camera dei Deputati. Henderson mi ha anche pregato di far sapere all'E.V. quanto terrebbe ad incontrarLa settimana ventura a Parigi in occasione riunione del Comitato studi Unione Europea per poter tempestivamente intrattenersi con V.E. su questioni di politica generale e preparazione riunione del Consiglio maggio prossimo di cui non ebbe tempo di discorrere durante sua recente troppo breve visita Roma. Oltre del Patto Generale oggetto sua ultima lettera, vorrebbe parlare con V.E. anche intorno modalità cessazione mandato per l'Irak di cui gli ho fatto già primo sornmario cenno stamane, rimanendo d'accordo che ne avrei oggi intrattenuto più ampiamente Cadogan.

135

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. 2101/99/74. Belgmdo, 17 marzo 1931, ore 21,20 (per. ore 24).

Telegramma di V. E. n. 2357/41 (2).

Nii sono espresso con Fotich nel senw prescrittomi da V. E. Av~ndo egli risposto che scarsi erano i poteri del Governo su autorità religiose cattoliche e che meglio sarebbe rivolgersi a Santa Sede gli ho replicato fermamente che si trattava di azione che si svolgeva in tutti i territori jugoslavi con lar.,;o ~ttivissimo appoggio della stampa, delle associazioni irredentiste allagene, che sarebbe stata anche radio-diffusa (vedi mio telegramma per corriere di ieri 95/71). !'ie risultava una così ampia campagna antitaliana che non aveva precedenti e non poteva lasciare indifferente Governo jugoslavo se questo teneva a buoni rapporti con noi. Che Governo aves~e o non mezzi per impedire manifestazione non mi riguardava (se li avesse voluti li avrebbe certo

Grandi incaricava Bordonaro di ringraziare Henderson per la sua lettera del l o marzo (su cui cfr. p. 171, nota 2).

2C9

trovati) come non lo riguardava se R. Governo credeva agire per mio mezzo

o per mezzo Ambasciatore presso la Santa Sede.

Fotich mi ha risposto che prendeva atto mia comunicazione di cui avrebbe informato immediatamente Marinkovic (1).

(l) Con questa lettera. che si conserva nel Fondo Ambasciata di Londra, busta 751,

(2) Cfr. n. 133.

136

APPUNTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, SUL COLLOQUIO CON L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, BEAUMARCHAIS

Roma, 17 marzo 1931.

Beaumarchais -Mi esprime la sua soddisfazione ed i suoi complimenti per l'esposizione fatta sabato scorso alla Camera. Dopo avermi intrattenuto sugli affari correnti, entra a parlare direttamente dei rapporti italo-francesi e della nuova situazione determinatasi in seguito all'accordo navale. « Ho l'obbligo anzitutto (e mi sono affrettato a farvelo sapere attraverso il vostro Capo di Gabinetto (2) prima del vostro discorso alla Camera e subito dopo il mio ritorno da Parigi), di smentirvi le notizie apparse sulla stampa francese sul contenuto del mio colloquio col Ministro degli Esteri Briand, trasmesse poscia in Italia come di ispirazione ufficiosa da parte del Governo francese. Ed ora parliamo del più importante. Vi è in discussione fra di noi un • Trattato di arbitrato e di amicizia , , il quale dovrebbe rappresentare la conclusione di un accordo sulle diverse questioni in sospeso. Quando voi sarete pronto potremo discu~erne le clausole e gli articoli relativi. Circa la questione del confine libico poiché il Governo italiano insiste sul fatto che l'oasi di Giado non soddisfa il punto di vista coloniale dell'Italia, ebbene, il Governo francese sarebbe dispcsto a studiare un altro progetto. Ad esempio una linea che correggesse da ovest ed est l'attuale rientrante del confine sud. Non credo che su questa questio:;e sarà impossibile intenderei. Il problema delicato rimane invece quello della Tunisia. La Francia deve definire questa questione e risolvere le questioni Ì.'1 sospeso relative ai suoi dominì africani. Vi dico subito che siamo disposti c:d una soluzione non drastica. bensì graduale, una soluzione a termine, che teng::~ conto delle ovvie suscettibilità dell'opinione pubblica italiana. Ma una soluzione deve essere trovata, sin da ora, sia pure se essa deve essere applicata anche soltanto di qui a qualche tempo. Il Signor Briand mi ha incaricato di far cmwscere al Signor Mussolini che il Governo francese è disposto ad un accordo generale, di carattere largo, politico, economico, finanziario, che tenga co;;to degli interessi italiani, che risolva tutti i punti di frizione e malinteso esiste:'cti fra i nostrl due Paesi. Ad esempio se vi è " quelque loin coin dans le mor-e< ..,

n1ia cornunicazione }) (t. 746 clel 23 Inarzo). 12) Allude probabilmente al colloquio con Ghigi menzionat0 a p. 202, noia.

qui vous intéresse d'une manière olus ou moins spéciale • il Governo francese è disposto ad ascoltare con simpatia quelle indicazioni che il Governo italiano gli darà, di venire incontro ai suoi desideri. Lo stesso dicasi per quanto riguarda l'intesa franco-jugoslava. Il Governo francese è disposto a studiare la maniera per impedire che d'ora in avanti da parte jugoslava si speculi troppo sovente e inesattamente sull'appoggio di Parigi. Perché non riprendiamo in esame quello che è stato ad un certo momento un progetto concreto, un accordo a tre italafranco-jugoslavo, che finirebbe con l'essere, nella forma che il Governo italiano riterrà più conveniente, una specie di garanzia delle frontiere adriatiche italiane? Un Patto a tre, di tal genere, modificherebbe interamente i caratteri della situazione quale attualmente si presenta fra Roma Parigi e Belgrado.

Un'altra questione che il Governo francese sarebbe disposto ad esaminare in modo serio, sarebbe quella dei fuorusciti italiani residenti in Francia. Il Governo francese ha già soppresso dei giornali dei fuorusciti italiani nel passato, ma sarebbe disposto ad andare anche oltre. Il Governo italiano da parte sua dovrebbe in tal caso attenuare • la propaganda dei Fasci italiani in Francia , .

Beaumarchais mi accenna quindi al fatto che il Presidente della Repubblica si recherà 1'8 di aprile a Nizza per imbarcarsi per il suo viag-gio in Tunisia. Nel 1909 quando il Presidente Fallièrcs si recò a Nizza, e nel 1919 quando il Presidente Deschanel r1petè lo stesso viaggio, S. M. il Re d'Italia, seguendo una vecchia consuetudine inviò a Nizza per salutare il Presidente della Repubblica un Principe della Real Casa, ' mi sembra , dice sempre Beaumarchais,

• S.A. Reale il Duca di Genova, e S.A. Reale il Principe di Udine " (1). Beaumarchais conclude ripetendo che egli è incaricato dal signor Briand di fare del suo meglio perché si realizzi, con soddisfazione dei due Paesi, una intesa generale, su tutte le questioni, aggiungendo che il Signor Briand sarebbe fin d'ora lusingato e felice come conclusione di tale intesa di incontrarsi col Capo del Governo italiano.

Grandi -Ringrazio Beaumarchais delle sue comunicazioni. Avendo appena esaurito i lavori parlamentari alla Camera, e non prevedendo che egli mi avrebbe parlato oggi di queste questioni, non sono in grado (gli ho detto) di rispondergli dettagliatamente, ciò che potrò fare soltanto dopo avere riflettuto su quanto mi ha esposto.

Beaumarchais -Ho intenzione di ritornare a Parigi in occasione della Pasqua. Vi sarei grato se potessimo rivederci e iniziare qualche discussione concreta prima della mia partenza per Parigi.

Grandi -Naturalmente. Ci vedremo e parleremo.

(l) Il 23 marzo Galli protestò presso Marinkovié. Questi «si è limitato prendere attn

(l) Il 10 febbraio Manzoni aveva suggerito l'opportunità che, in occasione del prossimo viaggio di Doumergue in Tunisia. questi venisse scortato da navi da guerra italiane nelle acque territoriali della Sardegna. Il ministero rispose il 29 marzo che, " presi gli ordini d2 S. E. il Capo del Governo, si ritiene preferibile. per considerazioni di varia indole, non dar corso al proposto omaggio ufficiale nelle acque territoriali sarde, anche perché esso potrebbe prestarsi ad interp~etnzioni tendenziose da parte di cotesti ambienti politici e della stampa francese». Il 6 marzo il console a Nizza aveva riferito verbalmente a Guariglia il suggerimento del prefetto ct;. quella città che un principe di casa Savoia si recasse a salutare Doumergue. Guariglia espresse " parere recisamente contrario a una manifestazione di cordialità italo-Irancese "· (Cfr. un «Appunto per gli atti, della direzione generale Europa Levante ed Africa, consegnato al gabinetto di Grandi il 24 aprile). Sull'atteggiamento di Guariglia cfr. anche n. 152, allegato.

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PROGETTO DI LETTERA DEL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI, ALL'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, BEAUMARCHAIS

... (1).

Dopo che è stato felicemente raggiunto l'accordo fra i nostri due Paesi circa gli armamenti navali, S.E. il Ministro degli Affari Esteri mi ha informato che

V.E. si è recata da lui e gli ha manifestato il proposito di riprendere le conversazioni per le questioni rimaste in sospeso, riguardanti la situazione degli Italiani nel Protettorato di Tunisi ed i confini meridionali della Libia (2).

Per parte mia non posso che concordare in tale desiderio, ed ho quindi pregato il Ministro degli Affari Esteri di riprendere bli conversazioni in nome del Governo italiano; ma prima di darvi inizio mi sembra necessario fornire a V.E. delle precisazioni circa alcuni punti contenuti nella Sua lettera del 23 luglio u.s. (3), allo scopo di sgomberare definitivamente il terreno da alcune inesatte impressioni originate da precedenti conversazioni con V.E. sugli stessi argomenti.

Nei riguardi della situazione degli Italiani nel Protettorato eli Tunisi, V.E. ha rilevato nella citata Sua lettera che non è soltanto nella precedente Sua lettera in data 22 luglio 1929 (4) che il Governo italiano aveva avuto per la prima volta conoscenza " del desiderio della Francia di perseguire in Tunisia l'estinzione graduale dei privilegi nazionali che sono delle sopravvivenze del regime capitolare ,, ma ha afferma.to che "fino dalle prime conversazioni avute con me non mi aveva dissimulato che la Francia non poteva consentire a prendere in considerazione delle nuove alienazioni territoriali che a condizione della cancellazione a termine, con ogni riguardo per le situazioni acquisite, delle ipoteche gravanti sulla Reggenza ". Ed aggiunge " di aver tratta l'impressione da tutte le precisazioni ed informazioni che io Le chiesi al riguardo che questa domanda non mi sembrasse un'esigenza irrealizzabile».

Questa però non può essere altro che una impressione personale di V.E. poiché non è mai stato nelle mie intenzioni di farLe delle dichiarazioni implicanti l'accettazione del punto di vista francese, che il Governo italiano non da ora ma da anni respinge, e più precisamente da quando ha dovuto constatare che le dichiarazioni ufficiali e scritte fatte dall'Ambasciatore Barrère nella sua nota del 9 settembre 1918 (per le quali da parte del Governo francese esulava qualsiasi " arrière-1pensée politique , nella denuncia della convenzione del 1896) non corrispondevano più alle vere intenzioni del Governo francese. Questo infatti, subito dopo l'invio di tale nota, cominciò a dimostrare chiaramente lo scopo che voleva raggiungere sia mediante la quotidiana azione snazionaliz

zatr~ce degli elementi italiani, che con i noti provvedimenti legislativi sulla

cittadinanza contrastanti con la lettera e lo spirito delle suddette convenzioni del 1896.

Né il fatto che io abbia domandato a V.E. delle informazioni e precisazioni sul punto di vista francese poteva implicare, come è ovvio, il mio consenso ad esso, poiché ciò sarebbe stato in piena contraddizione con tutta la linea di condotta sempre tenuta dal Governo fascista nella questione, con lo spirito stesso col quale iniziammo le nostre preliminari conversazioni, cioè quello di raggiungere la soluzione di ambedue le questioni (statuto degli Italiani nel Protettorato di Tunisi e confini libici) e non di una sola di esse. Ed invero con la proposta contenuta nella lettera di V.E. del 22 luglio 1929 si prospetterebbe una soluzione (sia pure inaccettabile) della sola questione del confine libico, giacché tale soluzione sarebbe subordinata alla soppressione pura e semplice a più

o meno lunga scadenza dell'altra questione della situazione degli Italiani nel Protettorato.

Ma siffatto collegamento non è mai stato da me neppure considerato, anche perchè ho sempre pensato che il Governo francese, malgrado ogni suo desiderio o provvedimento contrario, non avrebbe in definitiva potuto disconoscere le chiare dichiarazioni fatte dal suo Ambasciatore Barrère con la lettera del 9 settembre 1918, specialmente tenendo conto dei vincoli determinati per i nostri due Paesi dalla guerra insieme combattuta ed insieme vinta.

Aggiungo infine che mai il Governo fascista ha prospettato al Governo francese, anche nelle conversazioni che hanno avuto luogo precedentemente alle nostre, altra soluzione per la questione della situazione degli italiani nel Protettorato, che il prolungamento puro e semplice delle Convenzioni del 1896 per un periodo di anni più o meno lungo, secondo le circostanze avessero consigliato.

Sono dolente quindi di aver causato a V. E. la inesatta iffiiPressione cui Ella accenna, ma credo che l'E.V. avendo avuto modo di constatare personalmente da vicino, per la Sua gradita dimora in Italia, come uno dei capisaldi della politica fascista sia appunto costituito dalla più gelosa tutela della nazionalità italiana, non potrà non riconoscere che mal si accorderebbe con questo fondamentale postulato anche la sola possibilità per il Governo fascista di prendere in considerazione l'eventualità di sottoscrivere alla snazionalizzazione di parecchie diecine di migliaia di cittadini italiani.

Quanto alla questione dei confini libici, rilevo con sincero rincrescimento che il Governo francese persiste nel ritenere di aver egualmente adempiuto alle stipulazioni dell'art. 13 del Patto di Londra, e che anzi è convinto che la Francia, pur essendo stata meno favorita nella ripartizione delle colonie tedesche in Africa a titolo di mandato (forma di governo circa la quale non posso condividere l'affermazione di V.E. che essa salvaguardi tutti gli interessi delle Potenze non mandatarie). ha fatto all'Italia delle concessioni che per 30 mila kmq. superano quelle fatteci da un'altra Potenza più favorita nella detta ripartizione.

In realtà non è sulla base del solo kilometraggio che si può calcolare il vaiore comparativo di tali concessioni, poiché in tale materia i principali elementi di valutazione sono invece l'ubicazione del terreno, le sue risorse natu

rali, le sue possibilità di sfruttamento, in una parola tutti q_uei fattori da cui si possano trarre utilità e vantaggi pratici e che sono indipendenti dall'estensione territoriale. Non è qui il caso di entrare in un esan1e dettagliato di tale questione, ma a mio avviso non sarebbe difficile dimostrare che il valore quantitativo passerebbe in seconda linea dinanzi al valore qualitativo ove si volesse sceglierlo come termine di paragone fra le concessioni in parola.

A parte ciò, mi consenta, Signor Ambasciatore, di richiamare la Sua attenzione sul preciso testo dell'art. 13 del Patto di Londra il quale riconosce all'Italia il diritto di reclamare equi compensi « notamment dans le règlement en Ea faveur des questions concernant les frontières des colonies italiennes de l'Erythrée de la Somalie et de la L1bye et des colonies voisines de la France et de l'Angleterre ».

Anzitutto occorre notare che questo testo dice chiaramente che i compensi possono essere reclamati specialmente (notamment) nel ,campo delle questioni di frontiera. Ciò dunque significa che oltre questo campo particolarmente specificato, ve ne potrebbero essere degli altri cui applicare le eventuali richieste italiane.

Io non credo che il Governo francese possa sostenere che tali altre materie, oltre la questione della frontiera in cui ritiene di averci data soddisfazione, siano quelle trattate negli accordi Bonin-Pichon del 1919, e riferentisi ad alcune questioni tunisine.

1\i[a anche se ciò fosse, presentando ora le proposte contenute nella lettera di V.E. del 22 luglio 1929 relativamente alla situazione degli Italiani in Tunisia, è evidente che la Francia viene a fare un passo indietro nella esecuzione dell'art. 13 del Patto di Londra, annullando quelle concessioni già fatteci in altri campi oltre quello specifico della modifica dei confini della Libia.

Ne conseguirebbe pertanto che ove, per dannata ipotesi, ll Governo italiano accettasse le proposte della lettera di V.E. del 22 luglio 1929 annullanti sostanzialmente per la parte riguardante la Tunisia gli accordi Bonin-Pichon, l'Italia si troverebbe ad avere nuovamente altre ragioni di credito verso la Francia, oltre quelle che è convinta di poter vantare ancora in aggiunta ai predetti accordi.

V.E. ben vede quindi che le Sue proposte del 22 luglio invece di chiudere, manterrebbero aperta in forma più vasta la questione dei compensi del Patto di Londra.

Ma un altro malinteso conviene che io chiarisca a questo proposito, malinteso che deriva anch'esso da un'impressione di V.E. di cui non posso condividere l'esattezza. E cioè che io abbia giudicato sufficienti a chiudere il negoziato gli accenni fatti nelle nostre conversazioni preliminari ad un possibile nuovo andamento della frontiera O(:cidentale della Tripolitania, rhe si sarebbe poi all'incirca concretato nelle proposte dl modifica di tale frontiera contenute nella lettera di V.E. del 22 luglio 1929.

A parte il fatto che le nostre conversazioni preliminari non furono altro che un generico scambio di idee privo di qualsiasi valore impegnativo, gli accenni alla questione delle frontiere libiche fatti fra di noi in quella occasione si riferirono alla sola frontiera occidentale della Libia, ma non facemmo mai insieme parola della frontiera meridionale di quella colonia. Il problema non

fu toccato. Logicamente quindi, quando venne il momento di specificare detta

gliatamente le richieste italiane, io dovetti affrontare anche la questione del

confine meridionale libico e proposi p€rciò di risolvere radicalmente tutto il

problema adottando come linea di frontiera il 18° parallelo.

Sarebbe stato infatti assurdo se il Governo italiano, in un negoziato che avrebbe dovuto avere per iscopo di chiudere definitivamente le questioni coloniali pendenti fra Italia e Francia, si fosse limitato a considerare la sola questione del confine occidentale della Libia, lasciando aperta l'altra ben più grave questione del confine meridionale, alla quale si riconnette del resto tutta la controversia che pende ·da undici anni tra i nostri due Paesi e che deriva dalla Convenzione anglo-francese del 1919. Né varrebbe a questo riguardo invocare i noti accordi Visconti Venosta-Barrère e Prinetti-Barrère, poiché V.E. ben sa che il Governo italiano fin dall'indomani della firma della convenzione anglo-francese del 1919 (stipulata a sua insaputa 1'8 settembre e cioè quattro giorni prima della firma degli Accordi Bonin-Pichon, e negoziata quindi all'infuori di noi proprio nello stesso periodo in cui i Delegati italiano e francese negoziarono i detti accordi) notificò a Parigi il proprio punto di vista, sostenendo appunto ,con argomenti che ritiene sempre validi e ben fondati (quale che sia il pensiero contrario manifestato dal Governo francese nelle numerose note scambiate sulla questione) che la citata convenzione anglo-francese si risolve in una violazione degli accordi itala-francesi del 1900 e del 1902.

Il Governo italiano quindi in questa materia dove crede che il suo buon diritto non deriva soltanto dagli impegni del Patto di Londra (H quale però parlando del « règlement en faveur de l'Italie des questions concernant les frontièn.s de la Libye » non poteva evidentemente riferirsi soltanto alle frontiere occidentali) ma da tutta una precedente situazione giuridica e diplomatica, non poteva rimanere agnostico nell'attuale negoziato e doveva proporre delle soluzioni che debbono essere giuste e considerate con una certa larghezza di criteri, se si vuole che siano definitive.

Infine, polchè V.E. nella lettera cui rispondo ha creduto di richiamare ancora una volta la tesi francese nei riguardi della partecipazione dell'Italia al regolamento della questione di Tangeri per cercare di dimostrare che, con la convenzione del 25 luglio 1928, la Francia ha fatto un sacrificio superiore 2, quello dell'Inghilterra e della Spagna, non posso non ritornare a ripetere che il Governo fascista non ha mai accettato la suddetta tesi francese e crede di avere esaurientemente dimostrato da parte sua che gli accordi italo-francesi del 1900-1902 e 1912 non potevano comprendere la zona di Tangeri, che aveva sempre avuto una particolare situazione giuridico-diplomatica. E ciò è tanto più vero in quanto mentre con un accordo itala-francese furono abolite le capitolazioni nella zona francese del Marocco, il regime capitolare continuò a sussistere a Tangeri finchè l'Italia non vi rinunciò dopo ottenuta soddisfazione dei suoi diritti con la convenzione del luglio 1928.

Aggiungerò infine che la parola « sacrificio » da V.E. usata per qualificare l'atteggiamento amichevole della Francia verso le richieste del Governo fascista (assunto soltanto dopo parecchi anni di discussione durante i quali l'Amministrazione della Zona di Tangeri non aveva potuto funzionare regolarmente per il mantenimento dei diritti capitolari da parte dell'Italia) mi sembra ina

9 -Documenti diplomatici-Serie VII-Vol. X

deguata al caso di cui si tratta. E ciò perchè certamente nessun danno ha potuto

subire la Francia nè moralmente nè materialmente dall'ammissione dell'Italia

a partecipare all'amministrazione di Tangeri nella logica misura corrispondente

ai suoi interessi ed al rango che le spetta come grande Potenza mediterranea.

Ma se si volesse qualificare di " sacrificio » la semplice rinuncia a sostenere

una tesi giuridica quale quella che la Francia sosteneva per Tangeri nei nostri

riguardi, debbo pur tuttavia rilevare che analogo " sacrificio » avrebbe fatto

anche la Spagna, poichè anche questa avrebbe · potuto dare, ove lo avesse

voluto, la stessa inesatta interpretazione sostenuta dalla Francia, agli accordi

italo-spagnuoli del 1913 sostanzialmente analoghi a quelli italo-francesi.

Chiariti così questi punti essenziali dell'atteggiamento del Governo italiano

nelle questioni in discussione, e confidando di aver dissipato le impressioni

personali che V.E. credette di poter trarre dalle nostre conversazioni prelimi

nari, sono lieto di constatare che il Governo della Repubblica desidera dimo

strare al Governo fascista le sue disposizioni concilianti, ricercando un nuovo

terreno d'intesa.

Ed a questo scopo spero che le comunicazioni che V.E. avrà incarico di

fare a S.E. il Ministro degli Affari Esteri siano tali da poter costituire la base

di un'utile e soddisfacente ripresa dei negoziati sulle questioni suindicate.

(l) -Minutato prima del 17 marzo. La copia c0nservata nell'Archivio Grandi reca la seguente annotazione di Grandi: «Progetto di lettera all'Ambasciatore di Francia. redatto da Guariglia, dopo l'accordo navale del l" marzo. Questa lettera ho pensato in definitiva fosse meglio non spedirla, ed attendere. Poi è venuto il ... disaccordo navale, e non se n'è fatto più nulla>. (2) -Cfr. p. 202. nota l. (3) -Cfr. serie VII. vol. IX, n. 172. (4) -Cfr. serie VII, vol. VII. n. 557.
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IL NUNZIO APOSTOLICO PRESSO IL QUIRINALE, BORGONGINI DUCA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

(Copia)

N. 1582. Roma, 17 marzo 1931.

Mi pregio di richiamare la benevola attenzione di V.E. sopra una questione gravissima che interessa in particolar modo la popolazione della Archidiocesi di Gorizia e il prestigio del clero della medesima Archidiocesi : essa è il dissesto della • Federazione delle Cooperative e Cassa centrale delle Casse rurali » con sede in Gorizia.

È noto che nel territorio della Archidiocesi di Gorizia i cattolici sia di lingua italiana sia di lingua slovena, fin dal 1900, incominciarono a fondare casse rurali, organizzate secondo i principi della dottrina sociale cristiana. Tali casse, che divennero sub:lto fiorenti, ebbero lo scopo fondamentale di impedire l'usura, di aiutare la conservazione dei patrimoni rurali, come base economica di moltissime famiglie di agricoltori, di preservare il popolo dal pericolo socialista, e infine di favorire le istituzioni di beneficenza e di educazione cristiana.

Le casse rurali dei cattolici sloveni, nel 1929, formarono la • Federazione delle Cooperative e Cassa centrale delle Casse rurali » della Provincia di Gorizia.

Come V.E. forse saprà, la gestione di tale Federazione, in seguito a provvedimenti del R. Governo, è stata tolta ai naturali amministratori, per passare nelle mani di speciali Commissari nominati dal Governo stesso, insieme ad uno speciale consiglio di amministrazione.

Ora tale organismo, da che si trova sotto la gestione dei commissari governativi, è andato incontro -se le informazioni pervenute alla Santa Sede sono esatte -ad una situazione sempre più difficile, che ora è diventata disastrosa. Secondo la relazione del Commissario Ministeriale, al 30 settembre u.s., le passività ammontavano a L. 3.555.496.25.

A quanto si afferma, in base al Concordato omologato dal Tribunale di Gorizia, si intenderebbe pagare ai creditori della Federazione solamente il 40% dei loro depositi.

È evidente che tale provvedimento avrebbe per conseguenza il fallimento della maggior parte delle Casse rurali della Regione, portando seco la rovina di migliaia di piccoli possidenti e risparmiatori, circa 42 mila.

V.E. non potrà certamente non riconoscere che le preoccupazioni di Mons. Arcivescovo di Gorizia abbiano un giusto e serio fondamento, perchè il disastro finanziario si è, purtroppo, realizzato dopo che la gestione della suddetta Federazione è nelle mani dei Commissari governativi.

Sono pertanto a pregare l'E.V. di voler fare presente a S.E. il Capo del Governo tale incresciosa ed urgente questione, onde, nella sua equità, egli voglia autorizzare gli organismi bancari dello Stato ad alleviare i danni patiti dal pericolante istituto, con quei mezzi che valgano a salva11lo; tale atto avrà certamente una favorevole ripercussione nella popolazione goriziana, e gioverà a corroborare la fiducia della medesima verso il Governo Nazionale (1).

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IL NUNZIO APOSTOLICO PRESSO IL QUIRINALE, BORGONGINI DUCA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

N. 1579. Roma, 19 marzo 1931 (per. il 21).

Con Nota del 26 Dicembre u. s. n. 1282 (2), in seguito ad alcune diff~de intimate all'insaputa dell'Ordine Diocesano a sei sacerdoti dell'Archidiocesi di Gorizia, diffide che preludevano ad altri e più gravi provvedimenti (come la limitazione di libertà di uscire di notte, malgrado le esigenze del sacro ministero per l'assistenza dei moribondi, ed anche il confino) mi permettevo di richiamare l'attenzione dell'E.V. circa la procedura in tali casi seguita, che ritenevo del tutto difforme dalle disposizioni del Concordato.

Tale Nota, contrariamente a quanto mi attendevo, non ha avuto finora riscontro alcuno. Anzi il deplorato inconveniente si è aggravato, perchè altre diffide sono state intimate, con lo stesso procedimento a due parroci, ritenuti peraltro insospettabili dalla locale Autorità ecclesiastica.

Il primo, Rev. Valentino Batic, parroco di Piedivalle, veniva dal R. Questore rimproverato di aver distribuito alla popolazioone dei libri sloveni di propaganda jugoslava e di avere albergato, nel 1927, nella sua canonica due sacerdoti jugoslavi. Alle quali accuse il parroco rispondeva dichiarando che libri incriminati null'altro erano che le pubblicazioni della Confraternita dei

S.S. Ermagora e Fortunato, d'argomento religioso, con esclusione di ogni accenno politico, e stampate a Gorizia, previa censura sia dell'Autorità ecclesiastfca sia di quella civile. Quanto all'altra accusa, H Rev. Batic faceva presente che i due sacerdoti cattolici da lui ospitati avevano i loro documenti in piena regola e l'ospitalità in canonica era stata concessa per un senso di doverosa carità cristiana e sacerdotale, a evitare che i due ecclesiastici fossero costretti a prendere alloggio in locale non corrispondente al loro stato di sacerdoti, non avendo il paese di Piedivalle alberghi decenti, ma semplici osterie.

L'altro parroco, rev. Francesco Cernigoi, di Camigna, veniva egualmente diffidato per motivi privi di fondamento, come ad es. quello di far propaganda antitaliana mediante libri e conferenze, mentre trattasi semplicemente dei libri già accennati, e di conferenze mariane fatte mensilmente in una sala della canonica, durante la riparazione della chiesa parrocchiale.

Anche più grave è poi il caso del parroco di S. Croce Aidussina, Rev. Giovanni Rejec, il quale (benchè fosse stato esaurientemente difeso dall'Arcivescovo, come feci presente a S.E. l'Ambasciatore Conte de Vecchi con lettera in data del 3 Gennaio u.s.) è stato condannato, senza che l'Ordinario ne fosse inteso, alla pena del confino per la durata di tre anni, quale « propagandista irredentista slavo, che ha svolto sino ad oggi opera contro la nazionalità italiana e contro le istituzioni del fascismo ".

Tali misure, specialmente l'ultima, sono in contrasto non solo con lo spirito, ma anche con la lettera del Concordato perchè, trattandosi di procedimenti in realtà, penali, il Procuratore del Re che pure fa parte della Commissione Provinciale di Polizia, avrebbe dovuto, a norma dell'art. 8, informare l'Ordinario, trasmettendo di ufficio al medesimo la decisione istruttoria.

Quanto poi al Rev. Rejec se scopo dell'ammonizione era l'allontanamento di lui dalla parrocchia, non sfuggirà all'E.V. che avrebbe dovuto osservarsi il disposto dell'art. 21 del Concordato ove è detto: « sopraggiungendo gravi ragioni che rendono dannosa la permanenza di un ecclesiastico in un determinato beneficio parrocchiale, il Governo italiano comunicherà tali ragioni all'Ordinario che, d'accordo col Governo prenderà entro tre mesi le misure appropriate. In caso di divergenza tra l'Ordinario ed il Governo, la S. Sede affiderà la soluzione della questione a due ecclesiastici di sua scelta, i quali d'accordo con due Delegati del Governo Italiano prenderanno una soluzione definitiva "·

Tanto mi reco a premura di segnalare alla E.V. in nome della S. Sede, facendo le :più vive rimostranze :per l'accaduto, ed anche :perché Ella si compiaccia di ottenere da S.E. il Capo del Governo che le misure prese vengano annullate come difformi dal Concordato, il quale è legge dello Stato, e sia provveduto per l'avvenire (1).

(l) -Appunto di de Ciutiis, del 25 marzo: « L'originale dell'unita nota della Nunziatura, inviato in visione a S. E. il Capo del Governo, è stato da lui trattenuto». Grandi preparò una risposta, che però non fu spedita, alla nota di Borgongini Duca. Nella risposta era detto che • le Autorità italiane competenti, pur rendendosi conto di tale situazione, sono dispiacenti, in vista dell'attuale crisi economica, di non potere intervenire nel senso auspicato per alleviare la condizione delle singole Casse ". (2) -Cfr. serie VII, vol. IX, n. 476.

(l) Annotazione di Mussolini: • Atti •.

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IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. POSTA 1503/530. Belgrado, 19 marzo 1931.

Miei telegrammi n. 98/73 e n. 100/75.

La impressione per lo scoppio delle bombe avvenuto nelle prime ore del mattino del 17 corrente perdura immutata. Le circostanze nelle quali l'attentato si è verificato perdurano assai misteriose. Le comunicazioni di polizia tendono a far credere che l'attentatore sia giunto a Belgrado con un treno della notte, abbia nelle vicinanze della stazione deposto frettolosamente le quattro bombe (tre scoppiarono fra le 4 e mezzo del mattino e le 5 ed un quarto, una verso le 7 e mezzo per inutile zelo di un ufficiale che voleva asportare la bomba inesplosa e ne rimane vittima), e sia ripartito già con un treno delle 6,50.

Ma sta in fatto che le bombe sono state tutte collocate intorno al Ministero della Guerra, la Accademia Militare, e l'edificio dove si trovano gli appartamenti degli ufficiali mentre di fronte vi è una caserma della guardiE che ha ancora qualche suo piccolo reparto in città. Le quattro bombe sono state deposte a breve dj.stanza l'una dall'altra in strada dove le sentinelle dei vari edifici suindicati distano di poche decine di metri, e sono di fazione anche nella notte. Di qui la ipotesi che possa essersi eventualmente trattato di elementi militari avversi al regime, tenendo anche presente una circolare che il Ministro della Guerra avrebbe, pare, diramato circa due mesi addietro e che prescriveva di perquisire le sentinelle per accertare se avessero bombe. Tuttavia questa ipotesi non è stata qui menomamente accennata.

In un primissimo tempo, nelle prime ore del mattino. si è tentato di accreditare la versione si trattasse di comunisti. Quanto dettomi da Fotic ne è la riprova. Mezzo meschino che non poteva reggere, tanto vero che la sera stessa la , Pravda " usciva con un commento accennante alla colpabilità dei soliti agenti prezzolati dal nemico (non velata allusione all'Italia, malgrado che nelle polemiche si parli anche di Ungheria e soprattutto di Austria e si taccia l'Italia), ed ieri come oggi non si accusano che i croati che al « soldo straniero • hanno la loro officina a Vienna. Anzi si capovolge arditamente e sfacciat&mente la scoperta di tre emissari della polizia di Zagabria inviati a Vienna per uccidervi Percez e gli altri emigrati croati, per tentare una abile confusione di cose che dovrebbero stare a dimostrare una congiurata aggressione contro la onorabilità, integrità, grandezza e prosperità jugoslava che muove ad invidia i vicini.

Lo stesso Fotic che con una disinvoltura mirabile mi aveva prevenuto di minacce consimili dirette anche contro l'edificio della Legazione (minaoce delle quali il governo jugoslavo era prevenuto!!) a poche ora di distanza mi affermava che ormai non v'era più dubbio « si trattava di cosa organizzata a Zagabria •.

Se profonda è la impressione, la irritazione non è certo minore. Essa si rispecchia nella rabbiosità dei commenti giornalistici, nella asprezza degli at

tacchi odierni che V.E. troverà nei riassunti telegrafici Stefani, nella rassegna

stampa e ,che sono di uguale tono per tutti i giornali maggiori e minori di

Belgrado. Le bombe, siano o no croate, hanno avuto l'effetto sicuro di richia

mare l'attenzione su una situazione inquieta che serpeggia negli ultimi mesi

e che ha come suoi episodi significativi (dopo le atrocità del processo Macek

dello scorso anno ed i numerosi « suicidi » che hanno punteggiato la istrut

toria) l'assassinio del Sindaco di Novi Gradiska, le varie bombe di Zagabria,

il suicidio del Poropat che è l'ottavo od il decimo della serie, l'atroce assas

sinio del Prof. Sufflay, le minaccie di assassinio del Prof. Lukas, la scoperta

dei sicari incaricati di uccidere Percez, mentre infiniti indizi inducono a cre

dere che la Jugoslavia non sia estranea al complotto contro Re Zogu con

giunto a preparativi di bande per sovvertire l'ordine in Albania, e si è orga

nizzata con maliziosissima arte una campagna antitaliana così estesa e profonda

come non si era vista sin qui.

Se questa è la pura cronaca ultima che deve essere presente per valutare la situazione, peccherei in eccesso se vi attribuissi un significato più profondo e più decisivo in rapporto alla situazione e solidità del Regime dittatoriale. Questo non è scosso, appena turbato. Non vi è qui sensibilità morale a mezzi governo quali essi siano purchè il fine riesca. Ed il fine del Governo Dittatoriale è quello di mantenere la unità contro ogni possibile ostacolo, di indirizzare ed educare il nuovo spirito verso un senso jugoslavo. E se le bombe continuano a provare la estrema difficoltà della unione dei croati ai serbi, non bisogna trascurare che esse producono però anche una reazione utile ai fini del governo dittatoriale non soltanto in Serbia ma anche in tutte le regioni (prima la Dalmazia) dove l'unione a Belgrado è sentita come necessità di difesa contro altre supposte ambizioni, o dove lo jugoslavismo comincia, specie neHe nuove generazioni, a formarsi in nucilei sempre più forti e rpiù attivi.

Il ,prestito internazionale ne è toccato, e questo è qui soprattutto sentito, e con non celato vivissimo dispetto (1).

141

IL MINISTRO AL CAIRO, CANTALUPO, AL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA LEVANTE ED AFRICA, GUARIGLIA

L. P.RR. 934. CaiTo, 19 maTzo 1931.

Faccio seguito alla mia lettera. 882 del 13 Marzo (2).

Da essa avrai rilevato che, nello scambio di punti di vista tra il Generale Graziani e me, a proposito della situazione della frontiera, l'ultimo telegram

ma (dispaccio per posta 453 del 9 febbraio) era stato spedito da me. Ieri mi è pervenuta la risposta (l) a detto telegramma, per posta da Roma, dove travasi il Generale Graziani. Desidero portare anche il telegramma a tua conoscenza, sia perché esso completa la documentazione, sia perché con esso il Graziani espone con franchezza sempre maggiore le sue idee. Egli n:ette in evidenza definitivamente i suoi progetti e la sua condotta di guena.

A detto telegramma non risponderò perché ormai non potrei rendere il mio pensiero con eviàenza m.aggiore di quella con cui l'ho reso -o mi illudo di averlo reso -col mio telegramma 453; ed anche perché nel suo ultimo dispaccio il Graziani afferma circa la « base di armam.enti , dei ribelli in Egitto, cose che io ritengo per un'altissima percentuale ines2.tte. Inoltre la interpr~tazione che egli dà della mia modesta opera L'Italia Musulmana non risponde alle intenzioni con cui io ho scritto quel libro, del resto tanto chiaro quanto estraneo alla mia azione diplomatica: .per queste principali ragioni non potrei rispondere che con un telegramma di natura polemica. E questo non voglio né devo fare, perché desidero che il Graziani agisca nella piena libertà d'azione, che lo stesso Ministero degli Esteri ha inteso !asciargli, e nella piena serenità dei suoi mezzi intellettuali e morali: da parte mia gli saranno dati sempre e solo aiuti.

Inoltre avendo io esposto interamente nel mio rapporto 4240/1237 del 31 dicembre 1930 (2) diretto al Ministero degli Esteri, e il mio pensiero personale e il succo delle costatazioni, che ho qui fatto nei riguardi dei riflessi negativi che la presente politica cirenaica ha sui nostri interessi islamici generali, non avverto per il momento il bisogno di aggiungere alcunché a quel rapporto. Ho detto quello che dovevo dire, e poiché faccio il funzionario intendo parlare solo agli organi dai quali dipendo.

Infine per tua conoscenza non riservatissima, ma addirittura segreta, voglio farti un'altra confidenza, e comunicarti il testo di un telegramma (3) che in data 29 gennaio, subito dopo aver letto il mio rapporto del 31 dicembre

N. 4240!1237 mi inviava il mio vecchio amico Senatore De Bono, attraverso l'ufficio cifra del Ministero Esteri. Te lo accludo.

:rvranifestazioni indirette, in senso affine a quello espresso nel telegramma De Bono, sono inoltre ieri pervenute, in alcun modo da me sollecitate, da un diretto collaboratore del Maresciallo Badoglio ad un mio non meno diretto collaboratore. Naturalmente io tengo conto delle istruzioni che mi pervengono per via gerarchica, e passo il resto al privato e inutile archivio delle mie esperienze umane ( 4).

ALLEGATO l.

GRAZIANI A CANTALUPO

T. 110. Roma, 10 marzo 1931.

Ricevo oggi qui 453. Nessun pessimismo da parte mia ma realismo fino alla esasperazione. Nessuna pretesa che disfatta Ornar Muktar possa almeno ora dipendere rigori egiziani ma nessuna fede mai in essi come ultimo indegno episodio pattuglia dovrebbe finalmente sgannare. Ogni modo reticolato Bardia Giarabub meglio di qualunque altro argomento chiarirà situazione. Non tenendo conto questi elementi sarebbe assai semplicista dire che ribelli si battono per sempre Cirenaica ove si uccidono bensì uno ad uno ma nessuna battaglia campale sarà mai possibile. Contrabbando non è fatto finito; la speculazione commerciale si è trasformata bensì in vero e proprio rifornimento bellico con una base posta in paese che io non posso invadere. Mancano perciò alla mia campagna due fattori essenziali per la condotta: primo la garanzia del confme che un governo in mala fede non sa, né vuole, né volendo potrebbe accordare, per incapacità; secondo la possibilità di colpire al cuore l'avversario e cioè alla base. Sono questi principi fissi e leggi ineluttabili della guerra che nessuna diplomazia orientale ha mai potuto distruggere coi suoi raggiri. Ornar Muktar ed i suoi protettori attenderanno perciò invano di scoprire in me l'asino camuffato da leone. Io li strangolerò prima o poi col ferro feroce d'una più feroce realtà occidentale possibilmente pagana. Non ci è altra via, credimi, e tuo programma di azione così bene tracciato in Italia Musulmana non diverrà mai per colpa mia una teoretica dell'azione stessa. Questa mia è parola fascista e tu certo così la intenderai.

ALLZGATO II.

GHIGI A CANTALUPO

T. 1310/13. Roma, 29 gennaio 1931.

Ecco seguente telegramma personale per V. E. di S. E. il Ministro delle Colonie: « 448 -Riservatissimo per Lei solo. Decifri ella stessa. Ricevo rapporto ufficiale e tua lettera. Concordo e darò disposizioni. Occorre però procedere con... gradi. Sono perfettamente teco circa apprezzamento situazione islamica ma tu conosci nostra situazione Cirenaica. Risponderotti epistola. Viaggio Egitto temo resterà desiderio causa mancanza tempo e moneta. Affettuosamente. De Bono ».

(l) -Cfr. anche quanto aveva detto Galli con t. posta r. 1482/520 del 18 marzo: « Allo stato dr cose attuale. pu_r senza svalutare l'azione e Io sforzo di tutti coloro che osano ~ffrontare I!i drttat~ra dr Belgrado ~ turb1,1re. la sicurezza di fronte all'opinione pubblica rnterna ed rnternazwnale con le mamfestazwm note, non è dato trarne però ancora alcun elemento per una previsione di risultati risolutivi nel campo politico ». (2) -Cfr. n. 131. (l) -É l'allegato I. (2) -Cfr. pp. 33-35, nota. (3) -È l'allegato II. (4) -Da una !.p. Cantalupo a Guariglia del 10 aprile 1931: quanto "alle faccende della Cirenaica, voglio chiarire che io non intendo minimamente premere sulle autorità coloniali affinché adottino la politica diciamo così nostra, invece di insistere in quella del G.[ov<;rno della Cirenaica]. No: ma voglio solo continuare a dimostrare che non è vero che qui c'è la base militare e alimentare della rivolta: è falso: il contrabbando è ridotto al minimo. Quando io ero Sottosegretario passavano carovane di 1500 cammelli. Ma riceverete presto un mio rapporto molto sintomatico sui frutti che, dalla politica puramente guerresca, stiamo raccogliendo •.
142

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, ALL'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, GEISSER CELESIA

T. PRECEDENZA ASSOLUTA 280/94. Roma, 20 marzo 1931, ore 24

Questo Ambasciatore di Fran:::ia è venuto a dirmi stasera da parte del Suo Governo che secondo notizie di buona fonte, suffragate da recenti notizie stampa e specialmente da una pubblicazione della N eue Freie Presse del 17 scorso, nella giornata di domani sarà presentato ai Parlamenti tedesco ed austriaco il testo di un accordo doganale austro-tedesco. Il Governo francese propone che i Ministri delle Potenze firmatarie con l'Austria del Protocollo

N. l del 4 ottobre 1922 rammentino al Governo austriaco gli impegni con esso presi e l'interesse politico dell'osservanza di simili impegni per la tran

quillità così dell'Europa come dell'Austria stessa. Il pas~o dei rappresentanti dovrebbe essere individuale ma concertato e dovrebbe essere eseguito di urgenza.

Ho risposto a Beaumarchais, pure non tacendogli il mio scetticismo circa il fondamento della notizia, che avrei telegrafato a V.S. istruzioni conformi alla proposta del Governo francese ed Ella vorrà in conformità avv2rtirne codesto Ministro di Francia.

Nel dare però urgente comunicazione a Schober della dichiarazione di cui sopra Ella vorrà confidenzialmente spiegargliene l'origine. Vorrà in pari tempo aggiungere che il R. Governo ha presente quanto egli disse giorni sono riservatamente ad Auriti (l) e cioè che vi era stato da parte di Curtius llella sua recente visita a Vienna una proposta di unione doganale ma che tale proposta non era ,stata a'ccettata da lui gia,cché egli riponeva J.e sue speranze nei noti accordi regionali per i quali Schiiller è fra giorni atteìso a Roma. Il R. Governo ha piena fiducia in quelle chiare e recise dichiarazioni di Schober il quale pertanto vorrà dare al passo italiano il valore che da simile premessa deriva.

143

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO A BUCAREST, PREZIOSI

D. R. 1139. Roma, 20 marzo 1931.

Durante il recente soggiorno della S.V. a Roma ho avuto occasione di intrattenerLa circa la questione generale dei rapporti itala-romeni, e specialmente circa il nostro atteggiamento nei riguardi dei rapporti russo-romeni.

Ritengo utile, riferendomi a tali conversazioni ed anche a quelle che Ella ha avuto in proposito con Guariglia, ricapitolare ora le direttive generali che ho fissato a V.S. per norma della Sua azione fino a quando nuovi elementi della situazione internazionale non ci consigliassero di cambiarle.

I nostri diretti rapporti con la Romania non cessano finora di essere ispirati ad un reciproco ma platonico desiderio di miglioramento, per noi determinato dalla convenienza di allentare per quanto possibile, i legami tra la Romania, la Francia e la Piccola Intesa, e determinato invece per la Romania dalla speranza di allentare :i nostri legami con l'Ungheria e di farci avvicinare alla politica francese rinunciando a quelle teorie revisionistiche che per noi sono dei saggi richiami alla realtà delle cose, mentre i poco accorti e non beati possidentes vorrebbero farli passare come nostri tentativi di rimettere tutto in giuoco per pescare nel torbido.

Ad ogni modo però, occorre riconoscere che, malgrado la finora dimostratasi inanità di queste rispettive speranze, un risultato apprezzabile è stato da noi raggiunto nelle nostre relazioni con la Romania, poiché costì si è fatto certamente strada in più o meno larga misura il convincimento che non basti alla politica romena di mettersi sotto le ali della gran protettrice

Francia, ma che occorre, sia pure in secondo luogo, non trascurare l'Italia, e tenere in qualche conto anche le direttive e le esigenze della politica italiana. Ad ottenere questo risultato, che è unicamente dovuto all'impostazione data da S.E. il Capo del Governo alla nostra politica estera, ha giovato anche la azione svolta da V.S. ed io seno ben lieto di dargliene atto.

È evidente però che il recente accordo navale itala-francese che la Francia tenta abilmente di sfruttare nel campo della politica generale, farà nascere anche costì delle illusioni assurde, da cui potrebbe uscire attenuato il risultato per noi vantaggioso cui dianzi accennavo, ed è perciò che V.S. farà bene a riportare alla moderazione le accese fantasie ogni volta che Le capiterà la occasione mostrando l'assoluta arbitrarietà delle illazioni politiche che si vorrebbero dedurre da un accordo, il quale è di natura essenzialmente tecnica, e può rischiarare bensì l'atmosfera in cui si dovranno discutere le questioni politiche ma certamente non risolverle di per se stesso.

In altri termini, conviene che la situazione attuale dei nostri rapporti con la Ror_1ania non venga mutata, e specialmente in questo periodo di tempo che ci sep;~ra dalla scadenza del patto di amicizia italo-romena con relativi documenti annessi.

Nella mia lettera dell'S gennaio scorso (l) Le manifestavo in sostanza le mie preoccupazioni per la portata eccessiva degli articoli 2 e 3 del Patto, che furono da nol accettati in circostanze ora sorpassate e che debbono indurci ad un serio rics3me delle nostre convenienze attuali nei riguardi della possibilità di liberar:.:c:12 o di subordinarne la proroga a nuove e speciali condizioni. Ella mi ha accennato qui a Roma all'opportunità di esigere dalla Romania per la rinnovaziow~ del patto così come è un impegno preciso nei riguardi della Jugoslavia, e questa proposta è in verità degna di essere presa in considerazione, ma fino a quando non saranno meglio chiariti i nostri rapporti con la Jugoslavia (chiarimento che tuttora si trascina in mezzo a molteplici difficoltà di cui non è possibile prevedere fin d'ora la fine) sarebbe assai arduo emettere un definitivo giudizio sulla convenienza o meno per noi di discutere con la Romania l'argomento jugoslavo, e perciò 1n'è giuocoforza soprassedere ad ogni decisione. Rebus sic stantibus, penso però che la soluzione ideale sarebbe sempre quella di liberarci dal vigente patto d'amicizia italo-romeno oppure di sostituirlo 1con uno dei soliti anodini patti di ·Conciliazione e di arbitrato senza clausole imbarazzanti di carattere politico. Infatti, ove riuscissimo a mettere i rapporti itala-jugoslavi si di un terreno normale ed in una atmosfera per quanto possibile amichevole mediante un diretto accordo con Belgrado, sarebbe inutile chiedere e dover quindi pagare a Bucarest delle garanzie o quanto meno delle assicurazioni di carattere pur sempre platonico. Ove invece i nostri rapporti con la Jugoslavia perdurassero nell'incerta attuale situazione, quale aiuto effettivo potrebbe darci la Romania per migliorarli, o pe1 evitare che diventassero peggiori?

Scarso o nessuno, mi sembra. Ed allora bisognerebbe pagare o chiedere alla Romania degli impegni per un caso di guerra, questione ,che esigerebbe

un ancor più ponderato esame delle circostanze in cui dovrebbe esserne affron

tata la discussione.

In tali condizioni perciò non mi resta che rinnovarLe le istruzioni dateLe co~ la mia lettera dell'8 gennaio scorso, di non prendere cioè alcuna iniziativa, nella speranza che il Governo romeno non ci faccia alcuna comunicazione di sue intenzioni prima del 18 luglio 1932, dandoci così modo di sostenere allora l'avvenuta decadenza del Patto di amicizia, tesi che si appoggia su forti argomenti giuridici come V.S. avrà potuto rilevare dalla memoria trasmessaLe recentemente da Guariglia.

Se invece il Governo romeno ci facesse qualche apertura prima di quella data, ci regoleremmo secondo le circostanze del momento.

Per quanto riguarda poi i rapporti russo-romeni Le confermo quanto Le ho detto poco tempo fa a Roma, che cioè noi non abbiamo in sostanza interesse a veder scomparire il contrasto fra i due Paesi ma soltanto a seguirne da vicino le fasi ed anche ad attenuarne certi lati più aspri, in modo che la Romania, come Le dicevo con la mia lettera dell'8 gennaio, possa venire indotta a sentire in tono minore la necessità dei suoi vincoli di alleanza con la Francia, la Polonia e la Jugoslavia. Ma la nostra azione non deve e non può andare per il momento più oltre anche per non provocare i timori del Governo ungherese il quale guarda con preoccupazione forse anche eccessiva alla possibilità di un riavvicinamento russo-romeno, e le cui apprensioni ho dovuto recentemente calmare (1), assicurandolo della vera portata delle istruzioni date a V.S. sull'argomento.

Aggiungo infine per utile Sua informazione e norma che questo Ministro di Romania mi disse esplicitamente alcune settimane or sono che il suo Governo sarebbe stato lieto di vederci assumere la parte di mediatori fra Russia e Romania, ma che io mi mantenni sulle generali mettendo innanzi le difficoltà di questo compito e non dando al Principe Ghika l'impressione di volerle affrontare.

D'altra parte il R. Ambasciatore d Mosca nulla più mi ha riferito, circa conversazivni da lui avute con Litvinoff sull'argomento ed ho ragione di credere che questo non sia stato più abbordato fra i due.

(l) Cfr. n. 125.

(l) E il dispaccio n. prot. 92, non rinvenuto.

144

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, FANI, AL MINISTRO A HELSINKI, TAMARO

'l:'ELESPR. 209842/16. Roma, 20 maTzo 1931.

Suo 86/29 del 5 febbraio u. s. (2).

Mentre accolgo in massima la proposta di cui al suo interessante rapporto in riferimento, relativo all'oggetto, prego tuttavia la S.V. di voler far sì che noi non si abbia comunque ad apparire part.e diligente.

Per quanto concerne le facilitazioni di viaggio ed ogni altra agevolazione mi riserbo eventuali comunicazioni qualora la visita in questione venga effettuata non appena la S.V. avrà riferito in modo particolareggiato, a cosa concretata (1).

(l) -Cfr. n. 121. (2) -Cfr. n. 60.
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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL PRESIDENTE DELLA CONFEDERAZIONE GENERALE FASCISTA DELL'INDUSTRIA, BENNI

L. 209030/98. Roma, 20 marzo 1931.

A maggiore completamento delle notizie che, in vista di un incremento della nostra espansione economica in Africa, ti ho fatto pervenire con le mie precedenti lettere del 15 e del 27 dicembre 1930, ti invio ora, qui unito, un estratto (2) della relazione presentata a S.E. il Capo del Governo dall'On.le Baragioia, il quale, come ricorderai, ha compiuto lo scorso anno, in compagnia dell'On.le Durini, un viaggio di esplorazione commerciale nell'Africa Centrale.

L'estratto allegato si riferisce sopra tutto alla colonia portoghese dell'l':..ngola e alla provincia del Katanga nel Congo Belga.

Le considerazioni svolte dall'On.le Baragiola, concordano di massima cc:le osservazioni fatte per altre regioni dell'Africa dal nostro Ministro in Etiopia, Marchese Paternò, e dal giornalista Carlo Dall'Ongaro, e confermano l'opinione che già ti ho espresso, che cioè sia ormai necessario affrontare risolutamente il problema della nostra espansione economica in Africa.

Mi auguro che al ritorno del Dottor Bordoni, alla cui missione mi accenni nella tua gradita del 2 gennaio, si possa quindi procedere alla realizzazione pratica di quei progetti che debbono permetterei di partecipare, in modo più adeguato alla nostra potenzialità industriale, al già intrapreso sfruttamento economico del continente nero (3).

(l) -In un primo tempo era stata sottoposta alla firma di Grandi la seguente risposta a Tamaro: « Questo R. Ministero ritiene che sia preferibile, per diverse considerazioni di pratica opportunità, soprassedere, almeno per ora, al progetto di una visita in Italia di dirigenti lappisti e comunque che la parte nostra non abbia ad esser<! parte diligente •· (2) -Non si pubblica. (3) -Si fa qui menzione di un progetto di De Michelis, inteso a risolvere il problema della eccedenza demografica italiana, basato sulla creazione di una banca internazionale la quale avrebbe dovuto finanziare lo stanziamento di gruppi di coloni italiani nei territori del mondo scarsamente popolati, come per esempio quelli sud americani. De Michelis presentò in proposito un memorandum nel maggio del 1931 alla Commissione di studio per l'Unione europea. Il progetto venne di fatto « insabbiato >, ma ancora nel gennaio del 1934 l'Ufficio internazionale del lavoro se ne occupava, sottolineando che i territori da colonizzare eventualm2nte si trovavano soprattutto in Africa. (Cfr. Bureau International du Travail, Commission permanente des Migrations, C. M. II/3. 1934, ciclostilato). Da un rapporto datato Ginevra 17 marzo 1934 risulta che il progetto De Michelis era stato ripreso e riproposto dal partito laburista per giungere ad una più equa ripartizione delle terre del mondo non coltivate. Bova Scoppa, allora delegato a Ginevra, si dimostrava favorevole a sostenere il progetto laburista, che teneva aperto il problema italiano della esuberanza demografica. Ma a Roma lo si bocciò perché « questa questione è rimasta allo stato di un progetto » e « non sembra per ora che sia possibile far nulla •.
146

APPUNTO PER IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI (l)

Roma, 20 marzo 1931.

È venuto oggi a vedermi il Ministro di Jugoslavia.

Dopo avermi chiesto se saremmo stati disposti a cedere al Ministero jugoslavo dell'Industria l'edificio della nostra ex-Legazione a Cettigne, mi ha fatto cenno degli articoli recentemente pu])blicati dal Giornale d'Italia e dal Corriere della Sera sulla situazione degli scambi itala-jugoslavi, articoli 'Che gli erano apparsi specialmente aspri.

Gli ho dsposto che, tenuto conto della lunga maturazione delle preoccupazioni dei nostri ambienti economici circa il continuo aumento dello sbilancio di tali scambi, gli articoli potevano, anzi, apparire abbastanza sereni ed obbiettivi. Che, se qualche acutezza d'espressione poteva essere stata notata, doveva pur considerarsi che, insieme al calcolo sconfortante delle cifre, i nostri ambienti economici erano da tempo impressionati dalle metodiche ostilità e difficoltà che incontrano nei loro affarl colla Jugoslavia, ostilità e difficoltà che derivano da considerazioni completamente estranee all'economia.

Il signor Rakic ha replicato che egli ha già avuto oc•casione di farci sapere, dopo il suo ritorno da Davos, che il suo Governo era disposto a negoziare con noi un accordo economico sulla base della reciprocità (2). Ha creduto di aggiungere che, però, a suo avviso, nessun accordo economico avrebbe potuto persuadere i commercianti dei due paesi ad intensificare i loro affari, fino a tanto che non si avesse, contemporaneamente un effettivo miglioramento delle relazioni politiche fra Italia ed Jugoslavia.

Ho detto a Rakic che era impossibile non essere esattamente del suo parere e che, del resto, egli aveva potuto apprendere, direttamente da S.E. il Ministro, quale fosse il pensiero del Governo a questo proposito. D'altra parte, anche colla migliore delle buone volontà, non si sarebbe davvero potuto affermare che in Jugoslavia si stava adoperandosi per creare la base di opinione pubblica per tale miglioramento. Gli ho citato H caso di sobillazioni nel campo economico, in quello politico (pastorale Bauer e pubbliche ;preghiere indette per il 19 marzo) (3), in quello mondano (isolamento, 'comandato, dei nostri ufficiali a Belgrado, ·cui fa riscontro la situazione del personale ufiLciale jugoslavo in Italia) ecc., sobillazioni di cui, a volontà, gli organi responsabili di Belgrado possono tenere il controllo. Gli ho aggiunto che tutte le situazioni malcerte, come quelle che la Jugoslavia ha voluto conservare con noi, non possono a meno di portare a punti di maturazione come quello della questione economica, che sembrava impressionarlo. Da parte nostra le oneste intenzioni erano state alla Jugoslavia manifestate e precisate. Era ora alla Jugoslavia di decidere e di parlare.

Rakic ha fatto cenno di aver esposto più o meno tale situazione a Belgrado. Siccome, peraltro, arriva ora da Belgrado, e non mi ha accennato al desiderio di essere ricevuto da S.E. il Ministro, può darsi che non abbia ancora nulla di serio da dire. Converrà, quindi, da parte nostra di insistere, in modo opportuno, nell'azione iniziata.

(l) -L'autore dell'appunto non è stato identificato. (2) -Cfr. n. 81. (3) -Cfr. nn. 94 e 133.
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AL MAGGIORE RENZETTI (l)

L. 1650/629. Roma, 20 marzo 1931.

Ho avuto incarico di richiamare la tua attenzione sul contenuto dell'unito notiziario (2) dell'organizzazione degli elmetti d'acciaio (National Sozialistischer Parlamentsdienst) per la parte che si riferisce al patto navale.

Gli apprezzamenti sulla efficienza dell'Italia « nie ueberschaetzt » ed i suoi presunti guai all'estero e all'interno " nie unterschaetzt " dei signori nazionalsocialisti, non meritano certo l'onore di una confutazione, a te però non è il caso di nascondere che la cosa è enorme.

148

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

R. P. Belgrado, 20 marzo 1931.

Dopo ricevuto il dispaccio direttomi da V.E. il 4 febbraio u.s. col n. 538 per darmi notizia del riassunto di una conversazione avuta dall'E.V. a Ginevra il 22 gennaio u.s. con Marinkovich (3), ho avuto più volte occasione di toccare

o di sfuggita od un poco più ampiamente, il tema dei rapporti itala-jugoslavi in relazione alla possibilità che dai colloqui in corso ne potesse venire una nuova ed utile sistemazione su basi durevoli e definitive.

Salvo che per qualche punto di maggiore rilievo, nessuna conversazione meritava di essere riferita a V.E., ed anche i punti che adesso dirò non potevano prendere utile posizione che in una più complessa esposizione cui mi desse motivo l'incontro che avrei avuto con Marinkovic quando fosse tornato da Davos.

Marinkovic è tornato il 14 corrente dopo quasi due mesi c mezzo di assenza, e poco prima di lui, dopo anche due mesi di congedo era tornato da Londra Henderson, il Ministro di Gran Bretagna.

E nei primi di febbraio avevo avuto un colloquio con Kumanudi ed anche con Fotich, pure tornato da Ginevra.

Il primo avendomi ·chiesto se avessi qualche dettaglio sul colloquio di V. E. a completamento del poco che fino ad allora aveva riferito Marinkovic ed avendo io risposto negativamente, questi aveva affermato saper soltanto che le conversazioni avevano fatto un passo innanzi poiché, pur senza giungere ad una conclusione, le due questioni più importanti, Francia ed Albania, erano state esaminate più da vicino ed in maniera concreta. Tale progresso era considerato soddisfacente e di buon auspicio.

Fotich tornato da Ginevra volle spontaneamente mettermi al corrente di qualche maggiore dettaglio. Della sua conversazione un solo punto merìta rilievo perché può avere un significato di estremo valore.

Fotich mi ha detto che essendosi parlato dei rapporti con la Francia si era venuto a precisare quali impegni reciproci Italia ed Jugoslavia avrebbero potuto assumere ed ha continuato quasi testualmente così:

" Noi potremmo prendere impegno di neutralità in caso che la Francia attaccasse l'Italia, ma se fosse l'Italia ad attaccare la Francia non potremmo prendere uguale impegno, sia peT gli obblighi contmttuali che abbiamo con la Fmncia sia per osservare .gli impegni diversi che in tale ipotesi potessero derivarci dal fatto che siamo nella Società delle Nazioni"·

Il significato letterale di tale frase non è equivoco, e si ha tutto il diritto di dedurre una indiretta conferma della esistenza di un patto franco-jugoslavo che contenga un impegno di reciproco appoggio nel caso di attacco italiano contro la Francia o contro la Jugoslavia.

Non ho creduto a quel momento costringere Fotich ad una precisazione del suo pensiero, perchè egli è persona di tale scaltra abilità che avrebbe subito cercato sfuggire ad una insistenza, ma è punto che se le conversazioni procederanno, dovrà essere opposto a Marinkovic perchè egli lo spieghi e lo chiarisca in tutta la sua portata, data la costante affermazione non esistere alcun patto segreto fra Francia e Jugoslavia del che del resto (malgrado i giuramenti fatti da questo Ministro di Francia ad Hender.son) vi è troppo motivo di dubitare.

Più interessanti invece i colloqui con Henderson dopo il suo ritorno da Londra. Egli si mostrava perfettamente al corrente anche dei singoli dettagli della conversazione di V.E. con Marinkovic. Li aveva avuti da Graham. Riferiva, come impressione complessiva, che non si erano fatti progressi, non si era arrivati a nessuna conclusione, in contrasto con l'opinione più ottimista che Kumanudi, come già a me, gli aveva ripetuta. Col Re aveva parlato soprattutto della questione albanese ed il Re gli aveva affermato di non comprendere formule complicate, non rendersi conto perchè la Jugoslavia dovrebbe accedere ad una dichiarazione fatta da altre potenze (quella del '21). La questione era per lui semplice e voleva una formula semplice e chiara che non desse luogo ad equivoci. Ma un punto egli non ammetteva: che l'Italia potesse in determinate estreme circostanze inviare truppe in Albania temendosi da ciò un suo stabilirsi in quello stato in modo definitivo. Ciò la Jugoslavia non avTebbe potuto tolleraTe neanche a Tischio di gueTTa.

In occasione successiva Henderson ha nuovamente veduto Re Alessandro e riparlato di questo argomento. Faccio anche la ipotesi che la dichiarazione fatta da Re Alessandro alla Reuter (l) possa essere stata suggerita, almeno per la parte albanese, dal ministro inglese. Certo è che dopo tale pubblicazione Henderson mi ha detto essersi incontrato col Re che aveva richiamata la sua attenzione sul passo della intervista riferentesi all'Albania per fargli notare che essa conteneva le stesse parole che egli .gli aveva dette nell'ultimo colloquio.

In ogni caso Henderson dal suo ritorno da Londra [pensa con ot3tinazione alla questione albanese col fisso fermo suo proposito di conciliare gli interessi italo-jugoslavi con concezioni pericolosamente sempliciste le quali lo hanno fatto giungere alla conclusione che la Jugoslavia dovrebbe cercare di concludere direttamente con Re Zogu un patto di reciproca neutralità e non aggressione. Henderson mi ha anzi detto che desiderava il mio avviso prima di parlarne a Marinkovic. Nel rispondergli, marcando che parlavo a titolo presonaie (e sospettando che questa non fosse una idea sua ma forse di Re Alessandro), mi sono limitato a fargli qualche generica obiezione, esprimergli qualche dubbio e mettergli in evidenza qualche pratica difficoltà. Ed ora ripensandovi a mente riposata ritengo ancora di più che tale idea (sua o di Re Alessandro) non ha alcuna possibilità di pratica attuazione. Ma è di natura tale da poter rendere la situazione più confusa e creare un insieme assai imbarazzante per noi.

E qui è bene che io precisi che la evoluzione dell'atteggiamento di Henderson mi costringe ad essere sempre più cauto verso di lui, tanto più che non credo utile, con qualche imprudente atteggiamento, interrompere quella atmosfera di confidenza che ha ispirato sinora le nostre relazioni. Egli arrivò qui circa un anno addietro con schietti sentimenti antifrancesi dei quali non ha mai fatto mistero, con un giudizio sulla Jugoslavia che poco poteva differire dal nostro, animato da uno zelo di fare qualche cosa ad ogni e qualunque costo per conciliare gli interessi italo-jugoslavi su una linea antifrancese. Ma i suoi contatti locali sono quasi inesistenti. Per metà del suo tempo va a caccia. Dei colleghi del corpo diplomatico vede soprattutto me. Ma si incontra invece con estrema frequenza con Re Alessandro e col Principe Paolo, in ogni possibile occasione e circostanza. Ne è derivato che sul suo bagaglio teorico e sul suo pensiero politico lineare la influenza della parola reale acquista una sempre maggiore preponderanza che tende a fargli vedere tutto quanto si svolge in Jugoslavia solo attraverso le spiegazioni le giustificazioni e gli interessi del Re. Tutto il bene è nel Re tutto il vero e l'onesto è ne[ Re, tutto il male l'intrigo, il torbido, è nei suoi organi sia centrali che periferici. Bisogna aiutare il Re nei suoi onesti scopi. Da questa concezione unilaterale della vita politica jugoslava è ora sorto, spontaneo o suggerito, il pensiero di un accordo jugoslavo albane!3e, ,che renderebbe inutile un accordo italo-jugoslavo riguardo all'Albania, metterebbe anzi noi nella necessità di accettarlo. Se a dò si aggiunge la tendenza a fare il conciliatore e l'intermediario, V.E. vede quanta pericolosità sia nella sua attività, e pur non avendo il minimo dubbio nella sua fondamentale onestà e dirittura anglosassone, quanto delicati i miei contatti con lui.

Vengo ora al colloquio con Marinkovic. La mattina del 17 corrente scambiati i primi saluti egli è entrato subito nella esposizione del colloquio con

V.E. con quella facilità di eloquio e quella gradevole e variata esposizione che gli è propria e lo fa apparire quale egli è, uomo di alta mentalità e di larga abilità e concezione. In modo curiosamente insistente ha tenuto a mettere in vista, quasi con vanità, che ormai i suoi rapporti con l'E.V. sono particolarmente amichevoli e cordiali, che la conversazione con V.E. si svolge ormai su un piano di assoluta sincerità e cordialità. Del colloquio con l'E.V. non mi ha detto niente di più di quanto di essenziale V.E. ha già incluso nel riassunto inviatomi, ma lo ha completato con domande e risposte, con la ripetizione degli aneddoti narrati a V.E. e che sono un suo particolare mezzo di espressione

e di convinzione, con ricordi personali, con digressioni nel campo della politica generale. Da tutta la intonazione appariva però il desiderio di continuare i colloqui e concluderli. Se la conversazione di V.E. con lui ebbe a durare, come egli mi ha detto, quattro ore, la esposizione a me non è durata meno di un'ora e mezzo durante la quale io non ho ,potuto far sentire che qualche osservazione o qualche superfluo brevissimo commento. Solo alla fine gli ho detto:

a) che V.E. si era genericamente riservata di darmi istruzioni quando egli fosse ritornato a Belgrado. Avrei riferito a V.E. quanto egli mi aveva detto, ed atteso le promesse istruzioni. Condividevo il suo avviso che non si dovesse restare troppo a lungo a marcare il passo. Lo avrei ripetuto a V.E.

b) che l'accettazione della formula del '21 mi pareva convenientissima per la Jugoslavia perchè non si trattava in fondo che di accedere a patto già esistente depositato ed accettato dalla S.d.N. Il patto prevedeva che le potenze firmatarie raccomandassero l'Italia per ristabilire, se necessario, l'ordine in Albania. Alla deliberazione della S.d.N. che avrebbe stabilito forme modi durata di tale mandato anche la Jugoslavia avrebbe partecipato, quindi con ogni sua maggiore possibile garanzia. Ma era 'Chiaro che ,con buoni rapporti fra Roma e Belgrado ogni velleità speculatrice di elementi albanesi di mutare periodicamente lo stato delle cose interne, sarebbe cessata, quindi allontanato indefinitamente od addirittura eliminato ogni pericolo di una situazione anarcoide che esigesse l'intervento di una terza potenza per ristabilire l'ordine. Ciò dicevo a titolo personale e conoscendo approssimativamente le idee di

V.E. e per rispondere a talune delle sue affermazioni che sembravano prendere una posizione definitiva ed irriducibile.

Così il colloquio si è chiuso. Ma debbo in primissimo luogo dire a V.E. che mentre esso si svolgeva mi domandavo come mai Marinkovic potesse tenermi un così lungo colloquio senza fare alcun minimo cenno della diversa realtà che è in Jugoslavia e che dimostra quale tenace accorta campagna antitaliana si vada svolgendo negli ultimi mesi e che ha il suo culmine nelle preghiere per i sacerdoti allogeni (1). E mi sembrava quasi avulso e staccato dal suo paese e dai suoi colleghi di Governo.

È bensl vero che in altra occr.sione egli ebbe a dirmi che la sua natura ottimista non trovava eco soverchia, r.:a poichè lo si lasciava agire come agiva, ed egli era 1sicuro che il suo ottimismo avrebbe finito col trionfare, non si curava degli elementi che gli potevano essere contrari.

lVIa se non è Marinkovic a tenere conto della diversa realtà che ha così aspro aspetto antitaliano, dobbiamo certo noi farlo.

V.E. mi farà pervenire, se e quando vorrà, le istruzioni che riterrà del caso. In ogni modo a me pare che non si possa non tenere conto della situazione interna il cui dettaglio V.E. conosce dalle altre mie esposizioni nè qui varrebbe la pena ripeterlo s& non come indice: difficoltà interne e con l'Austria ed Ungheria in rapporto alla questione croata, partecipazione jugoslava all'attentato di Re Zogu e alla formazione di bande per il sovvertimento dell'ordine in Albania, attività antiitaliana non mai cessata in ogni possibile campo e modo. Non che a questo io creda dovere attribuire eccessiva importanza, ed ancor meno che ne possa venire un mutamento qualsiasi nel regime dittatoriale. Ma non è possibile agire e decidere come se tutto ciò non avvenisse.

In secondo luogo è da tenere conto del fatto nuovo: l'accordo navale italafrancese. Io non so, nè posso sapere, se esso avrà o no sviluppi ulteriori. Ma esso segna in ogni caso una nuova atmosfera di estrema importanza, e nel tempo immediato prossimo dei rapporti italo francesi e per una durata non precisabile ma non brevissima, indica che se vi siano difficoltà itala-jugoslave queste non dovranno influenzare nelle conversazioni di Parigi. Perciò è piuttosto la Jugoslavia che ha interesse oggi a cercare un accordo con noi. Questa è la sensazione che ho avuto qui al primo giungere delle favorevoli notizie sulle conversazioni di Roma, e ne ho riferito. Il malumore e la gelosia non sono stati soverchiamente celati, ed anche il discorso che V.E. ha tenuto al Parlamento non ha trovato qui che commenti malevoli diretti a svalutarlo o a mettere in vista non espresse intenziom (fino a raccomandare alla Francia di badare più che mai alle pretese italiane in Tunisia ed in Corsica).

Perciò per quello che io posso da qui giudicare nella situazione presente e tenuto conto di ogni possibile elemento in mio possesso, è mio subordinato avviso che così come per i rapporti economici (e dico ciò in separato rapporto

dente come l'affermazione da me ripetutamente fatta che il fenomeno irredentista è in costante crescenza e tende a prendere una parte preminente nelle relazioni itala-jugoslave, sia esatta. Cfr. quanto comunicò Galli (tel. posta 3286!1071 del 15 giugno) con riferimento al R. r. 2200/280 dell'8 giugno del console generale a Zagabria, Umiltà:

« Le sue conclusioni corrispondono a quanto ho avuto più e più volte occasione di

ripetere specialmente dai primi mesi del 1929, dopo la proclamazione della dittatura: scarsa efficienza iniziale della opposizione croata, progressivo suo indebolimento, impossibilità per essa di compromettere le basi dell'organismo statale. Di contrapposto a ciò: costante rafforzamento dell'idea jugoelava, contributo fortissimo che le recano i fuorusciti istriani e giuliani sia sloveni che croati, aumento costante dell'avvicinarsi di uomini e di gruppi al governo ed alla Corona. A ciò gioverà ora moltissimo l'attuale soggiorno del Sovrano, che adopera a tal fine la più efficace forma di propaganda e di azione personale. Qui se ne è soddisfattissimi.

Resta dunque, soltanto nelle città e nei eruppi intellettuali, uno stato d'animo irrimediabilmente avverso ai serbi per le ragioni storico religiose culturali che sono ben note >.

Sulla questione jugoslava cfr. la documentazione contenuta in ACS, Presidenza del Consiglio, 1931-33, fase. 14/3/987, circa l'uccisione, avvenuta a Trieste nell'aprile 1931, di un fascista locale ad opera di un fascista livornese, membro dell'associazione degli « azzurri dalmato-corsi ». Ne nacque un'-l polemica tra Coselschi, presidente della Associazione nazionale volontari di guerra, e la federazione per la Venezia Giulia della Associazione stessa, appoggiata da Delcroix. Questa sostenne che vedere in Venezia Giulia ovunque sovversivismo slavo significava fare il giuoco della Jugoslavia.

odierno) anche per la eventualità di accordi politici si sia oggi nella condizione

di attendere dalla Jugoslavia quelle migliori e più favorevoli aperture che essa

vorrà farci per la continuazione dei colloqui.

In attesa di quanto V.E. crederà farmi sapere...

(l) -Mittente è, con ogni probabilità, Ferretti. (2) -Manca. (3) -Cfr. n. 30.

(l) L'8 marzo.

(l) Con t. posta 1680/578 del 31 marzo, Galli iniziava un nuovo serv1z10: l'invio trimestrale delle notizie raccolte sulla agitazione irredentista. Tali notizie, • cosi raccolte ed elencate, danno una sensazione precisa e netta della intensità dell'agitazione, e provano in modo evi

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, ALL'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, GEISSER CELESIA

T.u. 293/95. Roma, 21 marzo 1931, ore 24.

Mio telegramma n. 280/94 (1).

Questo Ministro Austria ha presentato oggi Pro-Memoria (2) nel quale

informa che in seguito conversazioni scambiate in occasione recente visita

costì del Ministro degli Esteri tedesco si è convenuto tra Governo germanico

e Governo austriaco di iniziare quanto prima trattative circa un accordo per

l'agguagliamento delle condizioni doganali e di politica commerciale tra i

due Paesi sulla base di determinate direttive. Facendo conoscere che Germania

ed Austria si dichiarano pronte iniziare trattative per un regolamento analogo

con ogni altro Stato europeo che ne esprima il desiderio il Pro-Memoria au

striaco aggiunge che dal punto di vista economico dev'eSisere attribuito speciale

valore a che i Paesi di cui si tratta rimangano in complesso per i principali

prodotti agrari un territorio di importazione.

Quanto precede appare in contraddizione con le dichiarazioni fatte da Schober al Ministro Auriti dopo la visita di. Curtius e cioè che l'Austria prima di stipulare la conclusione di accordi economici con la Germania voleva attendere non solo che fossero stipulati quelli regionali con gli altri Stati con i quali sono in corso i noti negoziati ma anche che un anno di tempo fosse passato dopo la loro conclusione per esaminarne gli effetti. Tali dichiarazioni come risulta dall'ultimo periodo del telegramma succitato erano state la premessa dalla quale il R. Governo aveva tratto come conseguenza il tono ed il valore della comunicazione fatta fare da V.S. Quantunque il Pro-Memoria austriaco non parli di quell'unione doganale di cui al mio telegramma precedente, si tratta sempre di accordi economici dell'Austria con la Germania che le dichiarazioni di Schober avevano escluso espliticamente. Tanto più necessario quindi è che Schober dia a V.S. spiegazioni in proposito affinchè il Governo Italiano possa riprendere in esame il proprio contegno in una questione che come è ovvio involge un importante interesse economico per il nostro Paese.

(l) -Cfr. n. 142. (2) -Il promemoria non si pubblica. Fu consegnato da Egger nel corso di un colloquio con Grandi. Dal verbale di Grandi del colloquio: « Non posso fare a meno di fargli rilevare una certa sorpresa da parte mia derivante dal fatto che il Cancelliere Schober nel colloquio avuto col Ministro Auriti dopo la visita del Ministro Curtius a Vienna,... non gli ha fatto il più lontano accenno della questione di cui è oggetto la sua comunicazione odierna». Per il colloquio Auriti-Schober cfr. n. 125.
150

APPUNTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, SUL COLLOQUIO CON L'AMBASCIATORE DI GERMANIA A ROMA, SCHUBERT

Roma, 21 marzo 1931.

Von Schubert che aveva in precedenza domandato di fissare l'appuntamento dopo quello richiesto dal Ministro austriaco (1), entra a parlare, come primo argomento, della convenzione doganale di cui è stato oggetto la comunicazione del Ministro austriaco pochi minuti prima. Von Schubert dichiara di avere istruzioni di illustrare al Governo italiano la comunicazione fatta da quello austriaco, così come gli Ambasciatori di Germania a Parigi e a Londra hanno avuto istruzioni di fare presso i Governi francese e britannico nella stessa giornata di oggi. Secondo il Governo tedesco la convenzione doganale austro-tedesca non sarebbe in contraddizione nè col Trattato di Versailles nè con quello di Saint-Germain, nè col particolare Protocollo del 1922 firmato dall'Italia, Francia, Inghilterra e Cecoslovacchia. Questa convenzione doganale non dovrebbe essere altro per ora che un • Pactum de contrahendo •. Niente, sempre secondo il Governo tedesco, ~che assomigli all'anUco Zollverein fra gli Stati germanici o all'Unione doganale che esisteva prima della guerra col Lussemburgo. La Convenzione austro-tedesca è aperta all'adesione di quegli Stati 'che poSisono avere ad essa un interesse. Il Governo tedesco è di opinione che tale convenzione sia destinata a giovare, invece che a nuocerf' agli scambi italo-tedeschi. Il Governo tedesco comunica che sarebbe vivamente desiderabile una particolare collaborazione con l'Italia, su questo terreno, nei rapporti con gli Stati danubiani e balcanici. Von Schubert ricorda che qualche mese fa il Governo del Reich avanzò una precisa proposta al Governo italiano in tal senso, e che il Governo italiano declinò l'offerta.

Rispondo all'Ambasciatore di Germania manifestando una certa sorpresa per la comunicazione e riservando al Governo italiano un definitivo giudizio sulla questione (2).

Von Schubert si dice incaricato dal Cancelliere Brtining e dal Ministro Curtius di comunicare il pensiero del Governo tedesco sui rapporti con l'Italia e sui caratteri generali della politica internazionale del Reich.

Von Schubert riconosce che una serie di equivoci incresciosi verificatisi durante il periodo in cui Stresemann era Ministro degli Esteri, e qualche errore di valutazione commesso in quel tempo, non hanno 'contribuito a determinare quell'atmosfera di collaborazione con l'Italia che risponde in primo luogo agli interessi della Germania. Anche il fatto della mancata presenza a Ginevra,

il • campo di battaglia " scelto dalla Germania per la sua azione, del Ministro degli Esteri d'Italia contribuiva disgraziatamente a sottovalutare in Germania la collaborazione con l'Italia. Von Schubert continua dichiarando che tanto il Cancelliere BrUning quanto il Ministro Curtius intendono dare da oggi in avanti la dovuta importanza ai rapporti con l'Italia. Essi hanno la speranza che il Governo italiano non eviterà tale collaborazione e sarà disposto a continuare quell'azione comune iniziata a Ginevra negli ultimi tempi. H Governo del Reich ha molto apprezzato il fatto che l'Italia, nel concludere l'accordo navale, non ha preso impegni sulla questione del disarmo terrestre ed aereo. Il Governo tedesco spera che specie nella grande questione del disarmo e durante la Conferenza generale del disarmo (la quale sarà destinata a rivedere molti dei problemi che parvero definiti a Versailles) Italia e Germania potranno trovarsi a fianco l'una dell'altra.

• Mi si è chiesto insistentemente a Berlino, con qualche preoccupazione non ve lo nego, sugli ulteriori sviluppi delle relazioni itala-francesi, e sulle manifestazioni di amicizia che si stanno organizzando fra i due Paesi. Io ho creduto di dovere rassicurare tanto BrUning quanto Curtius. Mi sono sbagliato? •.

Rispondo a Von Schubert prendendo atto volentieri di quanto egli mi comunica a nome del suo Governo. È perfettamente vero che la politica tedesca non ha avuto occhi e sensibilità se non per un orizzonte, quello francese. Tanto meglio se essa è decisa effettivamente a mutare strada. Circa la questione del disarmo mi sento in dovere di precisare le nostre posizioni e di chiarire fin d'ora (il che appare evidente dalla nostra azione svolta sinora) che su qm$ta materia VIi sono coincidenze non identità di vedute tra la tesi tedesca e la tesi italiana. Lavoreremo insieme come abbiamo fatto finora fin dove, beninteso, gli interessi dei nostri due Paesi si troveranno d'accordo. In verità Italia, Germania e Russia cercano di raggiungere camminando presso a poco lungo la stessa strada obiettivi diversi. Circa lo sviluppo delle relazioni italafrancesi von Schubert non ha che a prendere il discorso del Capo del Governo dell'8 giugno 1928 dove sono fissati gli elementi del negoziato itala-francese, che sta per essere ripreso dopo la lunga interruzione dovuta al negoziato navale. Gli eventuali accordi che il Governo italiano potrà raggiungere con quello francese trovano il loro limite nella posizione di garanzia che l'Italia ha assunto col Trattato di Locarno.

Von Schubert continua parlandomi delle relazioni franco-tedesche. « L'inadempienza ci ha portato all'occupazione della Ruhr. La resistenza passiva non ha dato frutti migliori. La politica di Stresemann ci ha dato invece il primo risultato favorevole, e cioè l'evacuazione renana. Però non intendiamo lasciarci sopraffare dalla Francia nè politicamente nè finanziariamente. Tutti i progetti d'Ormesson e Rechberg (1) sono fantasie. La schiavitù finanziaria non sarebbe meno dannosa di quella politica. È certo tuttavia che finchè la Germania non sarà pajrona delle sue proprie risorse e non avrà risolto la sua crisi interna, continua sempre Schubert, la sua politica estera soffrirà di questa

condizione disgraziata e anormale. Il Cancelliere Bruning è uomo forte, giovane, gode di autorità ed ha la speranza di superare il momento difficile portando i vari partiti ad un piano di collaborazione possibile. Bruning non perde di vista neppure i nazional-socialisti coi quali ha del resto frequenti contatti"·

Von Schubert mi dice infine di essere stato incaricato dal Cancelliere Bruning di pregare il Capo del Governo di concedergli un colloquio per fargli a nome del Cancelliere e per parte sua comunicazioni ampie sulla politica generale cui il Cancelliere Briining inspira la sua azione interna ed intP.!"nazionale.

(l) -Cfr. p. 233, nota 2. (2) -Cfr. una relazione d~! 14 apriie dal titolo «Atteggiamento dei vari governi di fronte all'accordo doganale austro-tedesco"· In Germania, nel paese e nella stampa, l'accordo è generalmente ben visto. « Fanno eccezione alcuni circoli industriali, preoccupati della concorrenza austriaca, e la stampa di sinistra favorevole ad una intesa con la Francia •. Dal rapporto 2452/1374, Vienna 24 giugno, risulta che l'accordo era stato voluto dalla Germania, anche per controbattere i progettati accordi economici dell'Italia ccn l'Austria e l'Ungheria.

(l) Cfr. nn. 117 e 132.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, ALL'AMBASCIATORE A MOSCA, ATTOLICO

TELESPR. 210075/127. Roma, 21 marzo 1931.

Il Suo rapporto del 12 febbraio n. 688/260 (l) si è incrociato col mio telespresso n. 206131/78 del 23 stesso mese.

Mi sembra superfluo dirLe che le Sue impressioni e considerazioni circa la politica polacca e il Suo parallelismo con la politica francese nei riguardi dell'auspicata costituzione di un blocco baltico in funzione anti-soviettica sono perfettamente fondate. Come è giusto d'altra parte che gli Stati Baltici siano riluttanti a tale tendenza, stanti le primordiali ragioni di sicurezza che determinano il loro atteggiamento verso la Russia Soviettica.

Non posso quindi non convenire con V.E. che potrebbe presentare per noi qualche vantaggio lo sviluppare in certo modo la nostra politica baltica facendone un pm attivo strumento dl chiarificazione dei rapporti fra i Soviet e gli Stati Baltici. Ma occorre d'altra rparte tener presente:

• Stando a Mosca, io ho la sensazione, netta, che la Polonia conduce in questa partedell'Europa, una politica assolutamente parallela a quella della Francia e con risultati, dal punto di vista. sia gen.,rale, sia nostro in particolare, altrettanto discutibili. Anche la Polonia, come la Francia, dominata fino alla ossessione dalla preoccupazione della insufficienza della propria sicurezza, lavora per una politica di alleanze e di blocchi che, se è di dubbia utilità persino per chi la conduce, non risponde certamente né agli interessi della pace, né a quelli della nostra politica generale.

Il famoso 'blocco baltico', che è nelle aspirazioni della Polonia, non potrebbe costituirsi che sotto l'egida francese, il che a noi non può convenire. Alla formazione di

questo blocco. specie in funzione antisovietica, io non credo...

La mira ai blocchi baltici è... contraria agli interessi degli stessi Stati baltici come lo è, indirettamente, a quelli dell'Italia, cui non può convenire che, attraverso la Polonia, e sotto l'egida della Francia, si formi un sistema di alleanze e di coesioni che, per essere più lontano, non sarebbe per questo meno nocivo, in quanto rafforzante il binomio Francia-Piccola Intesa.

Orbene. la nostra amicizia così per gli Stati baltici (verso qualcuno dei quali abbiamo speciali titoli di merito) come per l'U.R.S.S., senza per questo compromettere in nulla quella per la Polonia, in una col nostro interesse alla pace, può dare alla nostra politica baltica uno scopo di chiarimento e di riavvicinamento reciproco che mentre sarebbe utile agli Stati immediatamente interessati, la renderebbe strumento più diretto della nostra politica generale...

Questo compito potrebbe essere integrato da quello, reciproco, di chiarire ai singoli Stati baltici i sentimenti sovietici, anch'essi assai meno ostili di quanto si crede. Questa azione che non sarebbe diretta contro nessuno e consisterebbe in una amichevole mediazione, intesa soltanto alla diminuzione degli attriti e al mantenimento della pace, potrebbe, a mio rimesso avviso, con sicuro aumento del nostro prestigio, controbilanciare l'azione della Francia nel!li Stati baltici, che, appoggiata ai blocchi non meno che ai dissensi, tende, attraverso la Polonia, ad estendere sin qui le proprie propaggini e le proprie radici.

Non assumendola noi, questa azione di amichevole mediazione sarebbe presto o tardi

assunta dalla Germania ».

l) Che la nostra politica pur dovendo essere diretta a mantenere buoni rapporti con la Russia dei Soviet non deve però spingersi fino a favorire oltre misura il consolidamento del Governo Soviettico, facilitandogli il modo di superare quelle difficoltà ed incertezze della sua politica estera, dalla cui persistenza appunto noi possiamo sperare di trarre qualche utilità.

2) Che conviene evitare che lo stesso Governo dei Soviet possa, ai propri fini, far credere ad una vera e propria completa collaborazione con l'Italia, ciò che accadrebbe ove noi accentuassimo anche nel Baltico una politica favorevole alla Russia.

La Germania, che giustamente V.E. ritiene presto o tardi assumerà questa amichevole mediazione, si trova nella politica generale europea in condizioni ben diverse dalle nostre.

In conclusione, se si potesse essere sicuri che sia da parte dei Rappresentanti Soviettici negli Stati Baltici che da parte anche dei nostri Rappresentanti, si mantenessero i contatti con quella discrezione e quella misura che a noi soprattutto necessita di rispettare, non avrei difficoltà di impartire istruzioni nel senso prospettato da V.E. ì\'1a poichè vi sono forti ragioni per ritenere il contrario, dato anche l'evidente interesse soviettico di accentuare il tono dei contatti stessi, ritengo prefcribile che questi ultimi continuino a mantenersi nei limiti delle buone relazioni 1personali che ,potranno inter.cedere fra i nostri rappresentanti e quelli sovicttici.

(l) Di questo documento si pubblican" i passi seguenti:

152

IL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA LEVANTE ED AFRICA, GUARIGLIA, [AL CAPO DELL'UFFICIO PERSONALE, TUOZZI] (l)

L.P. [Napoli, 21 marzo 1931].

Ti sarò grato se vorrai dare a Guarnaschelli l'acclusa lettera diretta a Ghigi, pregandolo di prenderne prima copia per l'incartamento, poi chiudere la busta e poi consegnarla allo stesso Ghigi.

Io sto un po' meglio ma ancora assai debole.

Grazie mille.

ALLEGATO.

GUARIGLIA A GHIGI

(Copia)

Napoli, 21 marzo 1931.

Spero che Ella non attribuirà all'attuale stato di prostrazione delle mie forze fisiche se Le scrivo per pregarLa ancora una volta di rappresentare a S. E. il Ministro la necessità di non aderire alle richieste francesi (che a me sembrano incoscientemente insolenti) di inviare a Nizza un Principe Reale o quanto meno

A margine una annotazione di Guarnaschelli: • Consegnata il 21 sera a De Ciutiis •.

delle Navi da guerra a rendere omaggio al Presidente della Repubblica (1). Cre(

pure, caro amico, che questo non è un coltello a doppio taglio e che non vi

sarebbero arzigogoli di abilità sufficienti a giustificare dinanzi agli o;:chi del

l'opinione pubblica italiana ed anche di quella mondiale un simile atto che

nessuna persona di buon senso potrebbe interpretare nel momento attuale che

come un atto di vassallaggio. E dico nel momento attuale perché i precedenti

del 1909 e del 1919 si riferiscono ad epoche tanto diverse! Nel 1909 c'erano le

necessità dei giri di waltzer, nel 1919 c'era la piaggeria di un Governo italiano

debole ed incerto che voleva non inimicarsi la Francia per salvare quanto ancora

era salvabile della Conferenza della Pace. Ma nel 1931 ci dovrebbe essere un

Governo Fascista geloso custode della dignità nazionale, che appunto dopo aver

saggiamente concluso un accordo col Governo Francese su di una materia così

importante e delicata come quella navale ed aver fatto e provocato saggi sacrifici

alla normalità dei nostri rapporti colla vicina Nazione, deve rifiutarsi ad ogni

tentativo che possa minimamente intaccare il suo prestigio.

Il selo fatto di averci rivolto una così straordinaria richiesta dimostra che

i francesi non hanno capito nulla dell'Italia di oggi e che sono incapaci di com

prenderci, incapaci di ammettere che i rapporti italo-francesi debbono essere fi

nalmente posti su di un piede di parità morale, se pure ci è giuocoforza per qualche

tempo ancora fare qualche transazione sulla parità materiale.

In questo caso non possono, non debbono prevalere sedicenti considerazioni politiche, ma bisogna soltanto guardare all'imprescindibile necessità di salvaguardare la dignità nazionale. Ed io non Le parlo da funzionario né da mestierante di politica estera quale ormai sono da parecchi anni, ma da cittadino, né credo di esagerare dicendoLe che il viaggio di un nostro Principe a Nizza mi farebbe arrossire di vergogna!

L'incontro delle Navi sarebbe un'altra faccenda che potrebbe avere significato politico, ed io vi sono contrario per le complesse ragioni politiche di cui abbiamo a lungo discorso in questi ultimi giorni con S. E. il Ministro e con Lei. Ma non vi vedrei nulla di contrario al prestigio italiano, e soltanto un errore politico. Un Principe Italiano a Nizza che debba salire le scalette della Nave ammiraglia su cui viaggia il cittadino Doumergue per portargli il saluto del nostro Re? Ma son scherzi questi, mio caro Ghigi. Io voglio sperare che nessun membro della Casa di Savoia si acconcerebbe a questa umiliazione se non con lo spirito di sacrificio che inspirò i martiri cristiani. Ma quelli avevano uno scopo supremo per cui davano la vita. Quale sarebbe mai lo scopo per cui ad un Principe Italiano dovrebbe farsi bere questo amaro calice? Io non ne vedo alcuno, poiché se il Rappresentante degli antichi signori di Nizza deve andare a rendere omaggio al nuovo Padrone con ciò non riafferma alcun diritto di antico dominio ma consacra sempre più l'avvenuta e definitiva perdita del dominio stesso.

Faccia quanto può per persuadere i titubanti se ve ne fossero. Pensi che quand'anche ora il nostro Paese,. che si abbandona con tanta fiducia alla guida del Governo, non comprendesse la gravità di questo deprecabile avvenimento, non mancherebbero certamente in avvenire coloro che giustamente ne farebbero rimprovero e colpa ai responsabili della politica estera italiana. Lei ed io non abbiamo, è vero, che delle responsabilità indirette verso il Paese, ma ne abbiamo una assai diretta ed immediata verso la nostra coscienza.

E poiché siamo a parlare di cose francesi, profitto dell'occasione per intrattenerLa dell'ultima conversazione fra S. E. Grandi e Beaumarchais, affinché Ella possa esporre le mie considerazioni al nostro Ministro.

Questi, l'ultima volta che lo vidi, mi disse di essere perplesso circa la via da seguire nella presente ripresa di trattative. Ora io persisto a credere che occorra ancora ed anzitutto inviare a Beaumarchais la lettera a firma di S. E.

il Capo del Governo di cui preparai il noto progetto (l) che deve essere credo presso di Lei. Eseguita questa preliminare ed indispensabile presa di posizioni, si potrebbe

o dire all'Ambasciatore francese che precisi un po' meglio le offerte del Signor Briand (giacché parlare di una linea da Est ad Ovest trinciando l'aria per definire il confine meridionale libico non è un discorso serio, e nemmeno lo è un accenno ad un • Coin lointain dans le monde •) per paterne cominciare a discutere con cognizione di causa, ovvero si potrebbe anche completare questa richiesta di precisazioni con un'affermazione della nostra tesi suìla separazione delle due questioni libica e tunisina in modo che non si possa fare dell'una oggçtto dl mercanteggiamento per l'altra. Il primo sistema sarebbe forse più abile, il secondo più chiaro e meno produttivo di nuovi malintesi per l'avvenire, malintesi che dati gli equivoci già accaduti nella questione, non sarebbe poi così desiderabile di provocare. Per me poi gli eccessi di abilità non giovano mai e finiscono nella vita per ritorcersi sempre contro coloro che ne abusano. Ad ogni modo una chiarificazione è necessaria sia nelle offerte francesi che nelle nostre richieste.

Ma se, come è prevedibile, questi scambi di idee non facessero avanzare granché le conversazioni, allora in definitiva potremmo proporre che dei nostri esperti si abboccassero con quelli francesi ma a condizione che fossero studiate in due separate commissioni la questione libica e la questione tunisina. Ed in ognuna delle due commissioni gli esperti nostri dovrebbero ricominciare ab ovo la storia delle questioni stesse e l'esposizione delle nostre argomentazioni giuridiche, pratiche ecc., se non altro allo scopo di fissare nettamente i nostri punti di vista.

Anche se un giorno (che mi auguro non debba trovar posto nel calendario) si dovesse transigere, rimarrebbe per lo meno fissato il nostro sacrificio, e non si baratterebbe tutto in... delle conversazioni generiche senza seri elementi di discussione.

Per me, io non sarei affatto preoccupato di questi Danai dona fe1·entes se sapessi che da parte nostra si fosse ben decisi a non accettare altra soluzione della questione tunisina che il rinnovo puro e semplice delle convenzioni del 96 per un periodo di dieci od anche cinque anni od anche meno, purché tale rinnovo non implichi alcuna compromissione da parte nostra per l'avvenire. Basta tener fermo su questo punto perché cadano come un castello di carte tutte le bue-ne disposizioni di Briand, come basterà chiedere che ci venga precisato il nome del " Coin lointain dans le monde • perché si manifesti chiaro che la conversazione ultima di Beaumarchais è cucita di filo bianco.

Ma a parte tutto ciò restano pur sempre le questioni adriatiche di cui Le parlai ultimamente giacché sarebbe assurdo che dopo esserci assunti la parte di garanti delle frontiere francesi (e dcpo che la Francia non contenta di ciò ed atteggiandosi sempre ad agnellino perseguitato ci avesse per dannata ipotesi indotti oltre che all'accordo navale ed alla liquidazione delle questioni mediterranee e coloniali, perfino ad un accordo di arbitrato) noi ci trovassimo legati mani e piedi alla sicurezza francese, trascurando la nostra che è principalmente sicurezza adriatica.

O vorremmo davvero pretendere di fondare quest'ultima soltanto sulla nostra pericolosa politica albanese? È inutile che io continui perché le conseguenze di queste premesse logiche sono facili a tirarsi. Io sto un po' meglio perché il riposo è la principale mia medicina, ma mi sento ancora assai debole e non arrivo a comprendere perché (2).

(l) La lettera è diretta a « Caro Alberto •, certamente Tuozzi.

(l) Cfr. n. 136.

(l) -Cfr. n. 137. (2) -Cfr. un appunto di Guariglia p?r il gabinetto di Grandi, del 13 aprile, del quale si pubblica il passo seguente:
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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRAKDL AL MINISTRO A BUDAPEST, ARLOTTA

T. 295/37. Roma, 22 marzo 1!:131, ore 18.

Prego V.S. prendere urgenti contatti Bethlen onde appurare quantò costì risulti circa reale portata accordo austro-germanico nonchè conoscere pensiero codesto Governo circa conseguenze che detto accordo può produrre nei riguardi nostro piano intese a catena.

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L'INCARICATO D'AFFARI A VIENNA, GEISSER CELESIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. 724;88. Vienna, 23 marzo 1931, oTe 0,45 (peT. ore 4,30).

Mio telegramma n. 87.

Schober mi ha telefonato personalmente alle 5 di rE:carmi da lui quando avessi voluto, il che ho fatto subih. Egli mi ha detto che desiderava non lasciare sussistere alcun malinteso a proposito dichiarazioni fatte al Ministro Auriti (l) e mi ha dato lettura in tedesco di alcuni chiarimenti di cui Peter poco dopo mi fece pervenire la traduzione francese; trasmetto testo con telegramma 89. Agg,iunse che aveva detto stamane a Schiiller al momento partenza di affidarsi a lui per informare veridicamente Capo del Governo e V.E. di ogni cosa aggiungendo che come or fa un anno aveva francamente espresso al Duce le sue idee personali e non divulgabili sull'Anschluss, così oggi annette importanza al desiderio che si consideri un amico anche in questa occasione. Pertanto mi comunicava che sin dal gennaio, non vi è dubbio da Berlino, gli fu fatta proposta unione doganale; egli la rifiutò motivandola col pericolo di colpire i suoi migliori amici coi quali stava negoziando i patti regionali. Non ebbe tuttavia nulla in contrario a ciò che della reciproca intenzione ài corcludere in futuro una unione doganale ~i parlasse cogli altri Stati in occasione della prossima riunione paneuropea a Ginevra e si ripromise di fare ~ettere al corrente Roma di questa intenzione per mezzo ct; Schiiller. Curtius nella

• Mi onoro sottoporre a V. E. che, per quanto concerne la competenza del mio ufficio, riterrei necessario che l'adesione dell'Italia all'atto generale per il regolamentopacifico dei conflitti internazionali fosse accompagnata da opportune riserve che permettessero sottrarre all'applicazione del suddetto atto:

a) le questioni pendenti fra noi e la Francia relativamente alla nazionalità degli

italiani in Tunisia e in Marocco; b) le questioni di carattere coloniale pendenti anche fra noi e la Francia e che per noi hanno anche carattere di compensi derivanti dall'interpretazione più o meno lata da darsi al Patto di Londra del 1915; c) le questioni pendenti fra noi e l'Inghilterra circa la convenzione anglo-francese

del 1919 per la delimitazione delle frontiere anglo-francesi nell'Africa centrale;

d) le event.ual.i questioni relative ai nostri interessi in Etiopia;

e) le quesbom che potrebbero sorgere con terzi Stati dalla situazione co!lvenzionale

dei nostri rapporti coll'Albania».

sua visita a Vienna insistè chiedendo accordarsi e di fare senz'altro comunicare costì ed altrove notizia per mezzo dei rispettivi Rappresentanti Diplomatici, ciò che egli rifiutò consigliando di parlarne a Ginevra, ma acconsentendo poi a ciò che Curtius ne avvisasse i vari Ministri degli Esteri il 24 corrente a Parigi. Tornati i tedeschi a Berlino cominciarono a diffondere colà informazioni indiscrete e di fronte alla [im] possibi1Hà per un Governo austriaco di non accedere ad una proposta tedesca di agguagliamento, dovette rassegnarsi alla decisione che ne fosse comunicata notizia il 21 ai vari Governi. Egli però desidera riconfermare con ogni riservatezza come egli non abbia fiducia che Austria e Germania riescano accordarsi e come sia [da] cercarsi unanime a,ccordo prima [che] si ultimeranno noti negoziati dalla cui conclusione quelli con la Germania riuscirebbero avvantaggiati. Il colloquio nel quale Schober ostentò la più premurosa cordialità terminò con la reiterata espressione dei suoi sentimenti di amicizia verso S.E. Capo del Governo e Italia e nell'affermazione che egli non è persona da tenere due linguaggi.

Ho chiesto a Schober autorizzarmi prendere alcuni appunti della conversazione che gli ho riletti ad ogni buon fine.

(l) Cfr. n. 125.

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IL MINISTRO A ADDIS ABEBA, PATERNO', AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T.s. 777/117. Addis Abeba, 23 .narzo 1931, ore 18,30 ,per. o1·e 2,30 del 24).

Colloquio con Corni. lVIlo telegramma senza numero del 21 corrente.

Ho anzitutto trattato questione frontiere rappresentando al Governatore della Somalia necessità che nessun atto sia compiuto che possa destare sospetti negli abissini e turbare lavoro chiarificazione in corso.

Governatore della Somalia mi ha detto che effettivamente elementi fidati appartenenti a cabile viventi al confine (Etiopia) si sono inoltrati per centinaia di chilometri in territorio abissino ma che ness:.~n soldato o comunque militare somalo si trova fra tali elementi.

Ho detto a S.E. che notizia mi sarà utile se discussione dovesse sorgere, ma che dovevo pregarlo di agire con estrema prudenza parendomi utile evitare di compromettere nostra espansione nell'Etiopia occidentale (Laghi, Sidamo e Caffa) mentre qualche chilometro dello estremo Ogaden povero e desertico era infinitamente meno interessante.

Governatore della Somalia ha completamente consentito nel mio punto di vista e così pure consente che R. Ministro Addis Abeba " debba ignorare tutto ciò che accade nella zona ed essere eventualmente ufficialmente contrario al Governo della Colonia ».

Abbiamo poscia esaminato il problema di espansione economica da irradiare a mezzo carovane e " posti sanitari » in senso ovest e sud-ovest per finire a Lugh dove verranno creati magazzini generali di deposito ed. anticipazione sulle merci ivi avviate. Si è ora rimasti d'accordo di tentare una carovaniera commerciale da Harrar a Mogadiscio sempre e quando nei riguardi degli abissini ciò fosse consentito.

Circa eventuale spostamento sedi Missionari della Consolata S.E. Corni ha espresso parere analogo al mio.

Per svolgere azione nell'assoluto segreto richiederei da V.E. di... (l) a Mogadiscio un cifrar!o da servire esclusivamente per la corrispondenza fra quel Governo e me per evitare che intercettazione di altre radio possa dare in pasto ad altri ambienti ciò che dovrà rimanere circoscritto al minore numero possibile di uffici.

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APPUNTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, SUL COLLOQUIO CON L'AMBASCIATORE D'INGHILTERRA A ROMA, GRAHAM

Roma, 23 mc;Tzo 1931.

Grandi -Vi ho pregato di passare a Palazzo Chigi dovendo farvi una comunicazione importante ed urgente. Trovandosi l'Ambasciatore Bordonaro nell'impossibilità di conferire col signor Henderson in viaggio per Parigi, vi sarò grato se Voi. farete arrivare direttamente al signor Henderson da parte mia e del R. Governo l'impressione penosa in noi provocata dalle notizie che i nostri Delegati al Comitato incaricato di redigere il testo dell'accordo navale ci hanno inviato stamane da Londra.

Do lettura a Graham dell'ultima parte del telegramma 152 da Londra a firma Rosso (2).

Come Voi vedete non si tratta di difficoltà di redazione si tratta invece

di una modifica richiesta dai francesi tendente a spostare modificando intera

mente la portata e i termini dell'accordo concluso a Roma, ed in contraddi

zione palese con la clausola generale contenuta nell'accordo medesimo. Io non

ho parole per qualificare questa condotta della Delegazione francese. Voglio

ancora pensare debba trattarsi di una iniziativa della Delegazione non cono

sciuta dal signor Briand. Ecco perché sarei grato a Voi se metterete il signor

Henderson subito al corrente della cosa onde egli possa, se lo ritiene oppor

tuno, conferirne personalmente col signor Briand. È superfluo io vi dichiari

nel modo più formale che la richiesta avanzata da parte francese sarebbe desti

nata, se mantenuta, a buttare completamente all'aria l'accordo concluso. Il

Governo italiano non accetta ricatti del genere.

Graham -Manifesta la sua sorpresa e la sua incredulità. Mi fa rilevare

come il Ministro Rosso nel suo telegramma accenni alla circostanza che l'aromi

Rosso si trovava a Londra, insieme a Ruspoli e Pilotti, per partecipare, insieme agli esperti francesi ed inglesi, alla redazione del testo definitivo dell'accordo navale. Gli esperti si erano riuniti la prima volta il 19 marzo.

ragliato britannico ha condiviso la protesta italiana e che potrebbe darsi che nella riunione fissata per oggi all'Ammiragliato (riunione cui lo stesso Rosso si riferisce nel citato telegramma) tutto possa felicemente risolversi. Graham sarebbe pertanto di avviso di attendere ventiquattro ore a mettere al corrente Henderson allo scopo di conoscere prima l'esito della riunione di oggi.

Grandi -Sta bene. Se voi avete la compiacenza di aSipettare un momento a Palazzo Chigi, cercherò di mettermi in comunicazione col Ministro Rosso a Londra per sapere se vi sono novità.

Incarico il Capo di Gabinetto di mettersi in comunicazione telefonica con Rosso. Rosso risponde da Londra informando che la seduta ha avuto luogo, che la situazione non è mutata anzi peggiorata poiché gli inglesi si sono fatti iniziatori di un compromesso che a prima vista non pare accettabile. Il Ministro Rosso ha fatto partire l'esperto navale Ruspoli il quale sarà a Roma la sera di mercoledì per dare tutti i ragguagli necessari. Faccio sapere a Graham quanto Rosso ha telefonato pregandolo di fare stasera stessa la comunicazione ad Henderson.

(l) -Gruppo indecifrato: spedire? (2) -T. 721/152 del 22 marzo, ore 2,10, per. ore 11,35, che non si pubblica. L'accordo navale itala-francese si ruppe perché la Francia lo interpretò come riferentesi al solo naviglio terminato di costruire prima del 31 dicembre 1931, ed escludente il naviglio in costruzione a quella data. Sull'intera questione cfr. Survey for 1931, pp. 264-278.
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APPUNTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, SUL COLLOQUIO CON L'AMBASCIATORE DI GERMANIA A ROMA, SCHUBERT

Roma, 23 marzo 1931.

Von Schubert -Mi rimette da parte del suo Governo il testo del Protocollo austro-tedesco. Analogo documento è stato rimesso nella mattinata dal Ministro Schuller arrivato a Roma da Vienna con l'incarico di continuare le trattative iniziate dal Comm. Brocchi col Governo austriaco a Vienna per l'accordo economico itala-austro-ungarico.

Von Schubert mi domanda qual'è l'impressione del Governo itaUano sull'accordo.

Gli rispondo che l'impressione è stata cattiva, e che il Governo italiano aveva il diritto di aspettarsi da parte del Governo di Berlino e di Vienna un trattamento diverso da quello che il Governo di Berlino e di Vienna hanno usato col Governo di Parigi e di Praga. Le diplomazie del Governo tedesco e del Governo austriaco hanno peccato nei nostri riguardi di mancanza di abilità ed anche di lealtà.

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APPUNTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, PER IL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI

Roma, 23 marzo 1931.

V.E. si è compiaciuta comunicarmi che S.E. il Senatore Gasparini, nel colloquio ultimamente avuto con l'E.V. ebbe ad esprimere l'opinione che il riconoscimento da parte nostra di Ibn Saud quale Re dell'Hegiaz, Neged e dipen

denze sia stata una delle cause del peggioramento dei nostri rapporti con l'YITiam dello Yemen.

Credo doveroso riferire a V.E. l'esatto stato delle cose ed i motivi della linea di condotta tenuta da questo Ministero nella questione del riconoscimento di Ibn Saud.

Premetto, quale dato di fatto, che Ibn Saud non è stato ancora da noi riconosciuto: le trattative per detto riconoscimento iniziate nel 1929 durano tuttora, e sono ora giunte a tal punto che si ritiene prossima la loro definizione, che implica anche la conclusione di un trattato di amicizia e di stabilimento e di un trattato di commercio fra l'Italia e l'Hegiaz.

S.E. Gasparini, nei colloqui numerosi e frequenti avuti a Palazzo Chigi circa la nostra politica in Arabia, ha sempre espresso avviso favorevole al riconoscimento di Ibn Saud, riconoscimento che egli sa del resto non essere peraltro ancora avvenuto. Scartando quindi l'ipotesi che egli abbia riferito a V.E. cosa inesatta, non resta che l'altra ipotesi che egli abbia recentissimamente cambiato avviso sull'opportunità di procedere a tale riconoscimento.

Sta in fatto che fin dal momento in cui si pose la questione del riconoscimento di Ibn Saud, il Ministero degli Esteri ebbe a preoccuparsi dell'effetto che tale riconoscimento avrebbe avuto sull'animo dell'Ymam dello Yemen, al quale eravamo legati dal Trattato di amicizia di Sanaa, ed i cui rapporti con Ibn Saud, se pure apparentemente corretti, erano in sostanza dominati dal contrasto di interessi fra i due Stati soprattutto nella questione dell'Assir, Stato cuscinetto fra i due p_otentati arabi, ma da essi occupato e fra essi spartito.

E perciò, prima di procedere all'inizio delle trattative con Ibn Saud, si ebbe cura di far sondare, per mezzo del Governatore dell'Eritrea l'animo dell'Ymam, il quale ripetutamente e chiaramente ebbe a farci conoscere non annettere importanza al riconoscimento da parte nostra di Ibn Saud.

Tale disinteressamento dell'Ymam nascondeva in realtà non la preoccupazione che noi avessimo a procedere a tale riconoscimento, ma la preoccupazione opposta che noi avessimo cioè ad astenercene; in altri termini all'Ymam giovava il nostro riconoscimento di Ibn Saud quale Re dell'Hegiaz, Neged e dipendenze in quanto cadeva con ciò ogni possibilità (e tale sospetto era stato nutrito nel suo animo dai nostri concorrenti nello Yemen) che l'Italia avesse ad occupare l'Assir, regione prospiciente all'Eritrea, e da poco divisa fra Hegiaz ed Yemen, ma nella maggior parte a quest'ultimo Stato attribuita.

Fu perciò da parte nostra, che tendevamo a distruggere nell'animo dell'Ymam sospetti del genere, dato corso all'inizio delle trattative per il riconoscimento di Ibn Saud, atto al quale del resto ci consigliava a!l.che la convenienza di rendere normali i nostri rapporti con l'Hegiaz, col quale abbiamo da mantenere e da sviluppare fra l'altro non indifferenti relazioni economiche, e di non tardare oltre a metterei sullo stesso piede di tutti gli altri Stati (escluso l'Egitto, per ragioni particolari che non possono a noi applicarsi) che hanno interessi nell'Hegiaz, e che hanno già proceduto a riconoscere lo stato di fatto creato nel 1924 dalla vittoria di Ibn Saud sul Sovrano hascemita e dalla riunione dell'Hegiaz al Neged.

Le trattative fra il R. Console e Gedda e quel Governo sono procedute lentamente sia per la complessità della materia, dovendosi, come è sopra accennato, concludere nel contempo un trattato di amicizia e stabilimento e uno di commercio, sia per le abituali lungaggini derivate dalla mentalità orientale, sia infine per un certo spirito di intransigenza dimostrato d~l Governo hegiazeno ad accedere ad alcune nostre pur giustificate richieste, quale quella della collaborazione nella repressione del traffico degli schiavi, collaborazione consentita dallo stesso Governo di Gedda nel trattato concluso con la Gran Bretagna nel 1927.

Dalle ultime comunicazioni del Comm. Sollazzo sembra tuttavia che esse

possano considerarsi ormai prossime alla conclusione.

Non vedendo quindi nessuna convenienza a cambiare ora linea di con

dotta, ho diretto al R. Console a Gedda il dispaccio di cui unisco copia (l),

richiamando l'attenzione di V.E. sull'ultima parte di esso ove si accenna alle

ragioni che consigliano di non tardare a porre termine al negoziato con Ibn Saud.

Unisco altresì copia di altro mio dispaccio diretto contemporaneamente al

Ministero delle Colonie sulla nostra azione politica nello Yemen (2).

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO DELLE COLONIE, DE BONO

TELESPR. R. 210236/296. Roma, 23 marzo 1931.

Mi riferisco al rapporto riservato 82/A. I. in data 11 febbraio del R. Consolato in Gedda (3), trasmesso direttamente anche a codesto Ministero, concernente la situazione politica in Arabia con riguardo specialmente al nuovo ordine di cose venuta colà a crearsi in seguito alla annessione dello Assir all'Hegiaz ed alle ripercussioni che tale annessione ha avuto e può ulteriormente avere sull'insieme della situazione politica nel Mar Rosso.

(l} È il telespr. 210263/11 del 24 marzo. di cui si pubblica l'ultima parte: Opportunità di non rimandare troppo oltre il riconoscimento di Ibn Saud, sia per non essere preceduti dall'Egitto, « sia anche perché potendo tale nostro riconoscimento avere qualcheripercussione sull'animo dell'Imam dello Yemen verso di noi, meglio appare di procedervinell'attuale periodo in cui le nostre relazioni col Sovrano yemenita non accennano ancora ad un sostanziale miglioramento e mentre può anzi giovare, a migliorare le nostra posizione diplomatica presso l'Ymam Yahia, il dargli la sensazione del valore che l'altro Sovrano arabo del Mar Rosso annette alla nostra amicizia».

« Le ultime vicende sono per noi un avvertimento: la politica wahhabita in Arabia e forse in tutto il mondo arabo, affiancata da quella britannica, non dormirà lungamente sugli allori della facile conquista deli'Asir. Essa avrà certamente nuovi ed inopinati sviluppi. Già si riparla di 'Unità politica degli Stati Arabi', e la voce, partita da Bagdad, trova un'eco ad Amman. Vi sono fatti che possiamo registrare quali presupposto logico dell'idea di una federazione araba ispirata, controllata e diretta dalla Gran Bretagna. Il trattato di Gedda del 24 settembre 1927 provvedeva a legare d'amicizia il sovrano wahhabita col Koweit, con Bahrein. col Katar e con l'Oman; nel '29 è la Conferenza del Golfo Persico a bordo della nave britannica « Lupin • che mette per la prima volta di fronte re Faisal e Ibn Saud, e poco dopo si firma a Bagdad un patto di amicizia fra i loro paesi; nel '30 ecco la Gran Bretagna chiedere ed ottenere la funzione di arbitra nelle controversie fra il Neged e la Transgiordania. È un seguito di avvenimenti, a considerare solo i più importanti, apparentemente slegati, che solo in parte si giustificano col

Nel precitato rapporto il R. Console in Gedda pone fra l'altro chiaramente in rilievo l'abile lavorio che gli agenti inglesi da tempo compiono in Arabia -e di cui la annessione dello Assir allo Hegiaz non sarebbe che un episodio lavorio inteso forse a favorire la costituzione di una vasta federazione panaraba (vedansi al riguardo le recenti informazioni pervenute da Bagdad circa le manifestate intenzioni di Nuri Pascià di promuovere un'intesa fra tutti gli Stati arabi) (1), federazione che darebbe all'Inghilterra, sua pronuba e tutrice, il modo di rafforzare sempre più con l'esclusione di ogni altra Potenza, il suo più o meno diretto dominio politico ed economico in tutta la zona compresa tra il Mediterraneo Orientale, il Mar Rosso ed il Golfo Persico, ma che, anche senza volergli attribuire tale obbiettivo massimo, è certo inquadrato nelle linee della politica britannica diretta a rassodare la propria influenza ed a migliorare la sua posizione sulle coste del Mar Rosso, in modo di giungere a perfezionare il controllo che esercita su q_uella via di comunicazione imperiale, ed a far sostanzialmente del Mar Rosso un mare britannico, con conseguente rottura dell'attuale equilibrio politico tra gli Stati arabi, equilibrio che è nostro interesse permanga inalterato, ed il cui mantenimento costituiva appunto lo spirito delle conversazioni itala-britanniche di Roma del 1927.

Definiti gli scopi, del resto già evidenti, noti a questo come a codesto Ministero, della politica inglese in Arabia, scopi favoriti anche dalle ambizioni del Re dell'Hegiaz Ibn Saud, il Comm. Sollazzo sembra porre il quesito, nella conclusione del suo rapporto, se le conversazioni di Roma, le q_uali impegnandoci in sostanza al non intervento in Arabia potrebbero costringerci ad assistere inerti al verificarsi di avvenimenti contrari ai nostri interessi e favorevoli invece, e non soltanto per mero caso, agli interessi britannici, rispondano ancora alle esigenze della nostra politica nel M:>r Rosso, o se non sia più vantaggioso per noi il riprendere la nostra libertà d'azione.

serafico desiderio inglese di creare un sistema di equilibrio e di cementare la pace fra

i suoi irrequieti pupilli. Potrebbero, invece, spiegarsi come atti preparatori ad un accordo fra l'Iraq, la Transgiordania e l'Higiaz-Neged per la costituzione di un primo abbozzo di federazione (a cui aderirebbe in seguito il futuro regno di Siria), nella quale questi paesi troverebbero il punto di incontro dei loro interessi e il terreno per un componimento pacifico delle loro vertenze. Fin qui nulla di male. Ma la Gran Bretagna da una simile combinazione ricaverebbe, secondo ogni probabilità e secondo quanto è stato scritto. il rafforzamento del vincolo costituzionale degli Stati Arabi con lei e la esclusione di terzi Stati da ogni intervento e da ogni altra più innocente forma di partecipazione negli affari arabi. Anche questa volta la pace britannica dovrebbe coprire la supremazia britannica.

Per quel che in modo più immediato e diretto può riguardarci, qualunque cosa riserverà a questa parte del mondo l'avvenire, certa cosa è che noi non possiamo assistere impassibili ad una lenta e progressiva nostra esclusione dall'Arabia, alla trasformazione del Mare Rosso in un... lago esclusivamente britannico. Il giorno che ciò accadesse, alla nostra Colonia Eritrea sarebbe mozzato il respiro e rapida e fatale sarebbe la sua atrofizzazione economica e politica. Nel Mar Rosso non desideriamo se non che la nostra Colonia primogenita, respirando liberamente sul mare, possa assolvere la sua missiane di pacifico sviluppo dei nostri traffici col suo retroterra e con la costa antistante. L'occupazione wahhabita dell'Asir, cancellando l'indipendenza di un paese avente vincoli di simpatia e d'interessi con l'Eritrea, ha creato una situazione nuova, tutta a nostro svantaggio. e ha compromesso quell'equilibrio ch'era la migliore garanzia di pace sulla costa occidentale dell'Arabia. Le intese itala-britanniche, quella prima volta in cui potevano mettersi in valore, fallirono al loro scopo, perché mancò la coordinazione di sforzi necessaria ad impedire il turbamento dello statu quo. Per la contraddizione insita nei principi di pacificazione e di non intervento (quest'affermazione, da me del resto condivisa per il semplice fatto che siamo in Arabia ove le formule sottili non sono applicabili, non è mia, ma del sig. Ryan e forse da lui presa in prestito a Londra), quelle intese con ogni probabilità non gioveranno neppure ad impedire che, fra due mesi come fra due anni, maturi il frutto velenoso di una guerra, causa di nuove sorprese e di nuovi rimaneggiamenti. E allora tanto varrebbe riprendere libertà d'azione, sapendola adeguare, nella difesa dei nostri interessi, alle circostanze e alle necessità del momento , .

Questo Ministero si rende perfettamente conto della delicata situazione venuta a crearsi sulle coste occidentali della penisola araba in seguito alla annessione dello Assir all'Hegiaz, annessione che, sopprimendo l'indipendenza di uno Stato la cui funzione era essenzialmente una funzione di equilibrio politico, ha posto a diretto contatto i due Potentati rivali, creando così fra essi uno stato di tensione non facilmente sopprimibile, né superabile (1). Ma giova .a questo proposito ricordare che se l'accennata annessione dello Assir è stata solo recentemente portata a pratico compimento dalle truppe del Re dello Hegiaz, gli accordi intervenuti a tal fine fra Ibn Saud e l'Emiro idrissita, sono .antecedenti alle conversazioni di Roma, e che quindi tale avvenimento era già previsto e scontato all'epoca delle conversazioni stesse ed era fatale che avesse, un giorno o l'altro il suo pratico svolgimento.

Sta invece di fatto che le accennate conversazioni di Roma, a parte che ·con esse per la prima volta la Gran Bretagna venne a discutere con noi circa i rispettivi interessi sulle coste orientali del Mar Rosso e quindi in sostanza .a riconoscere l'esistenza di tali nostri interessi, ciò che costituì per noi un innegabile successo politico, conservano tuttora la loro efficacia se, come informa lo stesso Comm. Sollazzo nel suo rapporto, il Governo inglese, in seguito :alle vive insistenze della R. Ambasciata in Londra, sembra siasi pur deciso a dare al proprio rappresentante in Gedda istruzioni di mantenersi in più stretto -contatto con quel nostro R. Consolato nello spirito delle conversazioni di Roma.

Né d'altra parte, allo stato attuale delle cose, vedo con quale altra garanzia _per la tutela dei nostri interessi nel Mar Rosso, potremmo sostituire quella apprezzabile se non perfetta, che ci deriva dagli accordi di Roma né vedo quale immediata utilità potremmo attenderci da una ripresa della nostra libertà d'azione, libertà dalla quale l'Inghilterra, per la più favorevole sua posizione in Arabia, sarebbe più e meglio di noi in grado di trarre profitto.

Concludendo, io ritengo che, data l'attuale situazione politica in Arabia e mentre le nostre relazioni con l'Ymam Yahia ancora non accennano a migliorare, convenga a noi di persistere, inducendo a persistervi anche l'Inghilterra, in una linea di condotta politica rispondente allo spirito delle conversazioni italo-britanniche del 1927 ciò che, dato l'interesse nostro ad evitare che lo Yemen venga sopraffatto dal suo potente vicino, non deve impedirci tuttavia di riprendere, o quanto meno di intensificare quell'azione che, nell'attesa di

Ancora una volta gli inglesi, autori del progetto di federazione araba, avranno conferma che non si può parlare di pacifica e definitiva sistemazione degli stati arabi se non saranno previamente eliminate le ragioni di contrasto fra l'Imam e Bin Saud in causa dell'annessione dell'Asir ai territori wahabiti. E si può aggiungere che tale annessione, indubbiamente consentita dall'Inghilterra per quanto deprecata dalla più lungimirante politica italiana nella penisola, costituisce tuttora oltre un pericolo per la pace in Arabia, il principale ostacolo alla realizzazione degli stessi progetti imperiali , .

Per controbattere i perduranti progetti inglesi di federazione araba, nel maggio 1933 furono impartite a De Peppo, ministro destinato a Gedda, istruzioni di sostenere Ibn Saud e ostacolare la sua sostituzione, forse caldeggiata dall'Inghilterra, con un sovrano hascemita, perché ciò avrebbe potuto facilitare la costituzione della federazione araba, hascemiti essendo i sovrani dell'Irak e della Transgiordania.

Oltre che dall'Italia, il progetto inglese di federazione era mal visto dai nazionalisti arabi.

lO -Documenti diplomatici-Serie VII ·Vol. X

poter migliorare i nostri rapporti con l'Ymam, deve tendere almeno a mettere quest'ultimo in grado di difendersi da eventuali attacchi del suo rivale.

È questo infatti il punto centrale della questione: le conversazioni di Roma furono provocate dai rapporti di amicizia che a mezzo del Trattato di Sanaa noi eravamo riusciti a 1stringere con l'Ymam; esse avranno più o meno valore a seconda della maggiore o minore influenza che sull'Ymam riuscirem() a mantenere. Nel corso di questi ultimi anni si è rallentata la cordialità dei nostri rapporti 'con l'Ymam; se tale .situazione avesse a perdurare, è inevitabile che le conversazioni di Roma vadano sostanzialmente svuotandosi di ogni pratico contenuto, perché nessun interesse avrà più la Gran Bretagna a procedere d'intesa con noi, che nessuna carta potremo più far valere nel giuoco delle influenze sugli Stati arabi del Mar Rosso.

Ed è perciò che, come questo Ministero ha ripetutamente affermato, occorre far del tutto per ripristinare coH'Ymam rapporti di intimità secondo lo spirito del Trattato di Sanaa. Occorre dare a Londra la sensazione, non soltanto che siamo vigili ed attenti (e non inutili sono certo stati a questo riguard() i passi che su istruzioni di questo Ministero il R. Ambasciatore ha svolto presso il Foreign Office, in seguito alla recente annessione deU'Assir) a tutto quanto possa turbare i raPtporti tra Ibn Saud ed Ymam e modificare l'attuale situazione territoriale tra i due Stati, ma anche che quella stessa azione di appoggio, per quanto abilmente velata, che essa esercita su lbn Saud, noi siamo intenzionati a svolgere verìso ,l'Ymam, perché non potremmo ammettere che l'equilibrio del Mar Rosso sia ancora modificato a nostro detrimento.

Non mi nascondo le difficoltà, d'ordine politico e pratico, di riprendere con l'Ymam un'efficace azione politica.

A V.E. sono noti gli sforzi fatti da questo Ministero per la costituzione di un ente commerciale che dovrebbe continuare lo svolgimento del programma della Società .italo-araba (l); questo Ministero ha pure per conto suo offerto parte degli scarsi mezzi che ha a sua disposizione per mettere il Governo dell'Eritrea in grado di procedere a forniture di armi che fossero richieste dall'Yimam.

In questi giorni poi nuovi tentativi verranno eseguiti presso la Finanza

per indurla a consentire alla Società Kosseir di farsi promotrice e di dare i

mezzi per la costituzione dell'ente commerciale di cui sopra. Dell'esito di tali

tentativi terrò informato V.E.

Inoltre, considerata la necessità di essere con maggiore autorevolezza e precisione informati delle reali intenzioni dell'Ymam (la cui attitudine in occasione dell'annessione dell'Assir è stata tutt'altro che chiara) e del suo pensiero nei nostri riguardi, questo Ministero ha ritenuto opportuno di interessare telegraficamente S.E. Gasparini a voler riconsiderare, insieme con S.E. Astuto, la possibilità e la convenienza di fare qualche tentativo presso l'Ymam per indurlo a consentire che un nostro R. Agente risieda ad Hodeida a titolo ufficioso. Tale Agente potrebbe essere di grande utilità non solo per noi ma per lo stesso Ymam il quale avrebbe modo, per suo tramite, di intrattenere col R. Governo

e col Governo dell'Eritrea rapporti più frequenti e continui nello spirito del Trattato di Sanaa. D'altra parte l'invio, nel momento attuale, di nostro Agente nello Yemen potrebbe risultare di profitto sia all'Ymam che a noi, in quanto darebbe ai terzi la sensazione che lo Yemen non resterebbe isolato nella lotta che si delinea tra i due Stati arabi.

All'azione direttiva che ha svolto e va svolgendo in proposito questo Ministero converrà che corrisponda l'azione pratica che può svolgere S.E. il Governatore dell'Eritrea, al quale localmente possono presentarsi occasioni per cercare di ripristinare rapporti di maggiore intimità coll'Ymam.

Ad ogni modo questo Ministero gradirà di conoscere il pensiero di S.E. Astuto, e le di lui eventuali proposte, circa il modo migliore di ravvivare la nostra azione politica nello Yemen: egli, in base alla esperienza locale che si sarà formata può fornire certo utili suggerimenti e consigli, ad anche adottare iniziative che si inquadrino nelle linee della nostra politica verso lo Yemen, linee che sono a lui ben note.

(2) -Cfr. n. 159. (3) -Se ne pubblica qui di seguito l'ultima parte:

(l) Allude al telespr. 119/33, Bagdad 14 febbraio 1931, che non si pubblica.

(l) Cfr_ anche quanto comunicava Cantalupo con telespr. 1860/583 del 5 giugno: ~ Quanto alle proposte di federazione araba mi viene assicurato che l'Imam avrebbe netta· 1nente dichiarato di non poter parlare di alleanza con Bin Saud se non dopo che siano stati riconosciuti i diritti e soddisfatte le aspirazioni iemenite sul territorio dell'Asir.

(l) Cfr. nn. 71 e 80.

160

IL MAGG!ORE RENZETTI [AL CAPO DELL'UFFICIO STAMPA DEL CAPO DEL GOVERNO, FERRETTI] (l)

L. P. Berlino, 23 marzo 1931.

L'articolo che mi hai segnalato e che a me era sfuggito (purtroppo per la mancanza di tempo e di mezzi non posso tenere dietro a tutto quanto qui avviene), è dovuto al Conte Reventlow, deputato nazionalsocialista che p€rò non possiede alcun seguito e le cui idee, .in politica estera differiscono completamente da quelle di Hittler [sic] e degli altri. Esso ha corso il rischio di essere cacciato due volte dal Partito, è vecchio e rammoLlito.

Ho oggi stesso parlato a lungo con Goring dell'articolo ed ho espresso la mia meraviglia al riguardo. Le frasi contenutevi, viste però dal punto di vista linguistico tedesco, non sono così gravi, come ti sono apparse. Ad ogni modo H Goring scriverà sullo stesso notiziario un articolo-confutazione-spiegazione, di cui io ho fornito le linee e le notizie.

Credo opportuno aggiungere che quell'articolo non ha avuto alcuna ripercussione: gli stessi giornali hittleriani non lo hanno riportato e si sono espressi invece in altri te11mini. Gli Elmetti di acdaio -contro cui il Reventlow ha una spiccata antipatia -hanno spiegato l'accordo italo-francese in modo sobrio ma simpatico. Il giudizio dei tedesco-nazionali, lo avrai letto nella intervista che io ho fatto concedere da Hugenberg al • Popolo d'Italia • : quello dei moderati l'hai potuto osservare nella intervista che anch'io ho fatto dare da Seeckt al

• Lavoro Fascista •. Inoltre i commenti della • Berliner Borsen Zeitung •, compreso l'ultimo di ieri e che in un certo modo fanno testo per vari gruppi, dai

moderati agli estremisti di destra, sono simpatici. Io non ho qui perso il mio

tempo ed ho spiegato il patto navale in maniera tale da renderlo il meno possi

bile ostico ai vari circoli politici tedeschi.

Debbo anche dirti che nelle passate settimane sono stato sempre a contatto con uomini politici e ho potuto constatare come essi abbiano ancora piena fiducia nell'Italia: io ho anzi preparato un articolo sulla pace operante appunto per spiegare le linee della politica italiana. Certo se tu potessi inviarmi un articolo sulla politica italiana, io potrei pubblicarlo come mio (1). Ciò sarebbe opportuno per chiarire dubbi ed incertezze naturali che tu comprendi e che la propaganda francese da un lato e la arroganza ingenua tedesca pongono con

tinuamente in primo piano.

Io avrei molto da dirti per spiegarti la situazione di questo paese, contrasti personali esistenti (pensare che si dice che gli italiani sono degli individualisti!) che rendono oltremodo difficile e delicato il mio lavoro: spero di poterlo fare presto costà. Oggi voglio solo assicurarti che io ho fatto tutto il possibile, e credo di esserci riuscito, per far ingoiare qui il patto itala-francese, per combattere la propaganda avversaria basantesi sul doppio giuoco, sul sacro egoismo ecc. ecc. dell'Italia. Così è che qui, sia pure con una certa riservatezza, si spera nell'Italia e nel suo appoggio. La agenzia • Telegraph Unio n •, ha diramato un mio articolo in cui ricordavo l'opera dei nostri soldati in Alta Slesia posta in relazione con l'ideale di giustizia pe11seguito dal Duce. Ieri nei

discorsi tenuti in occasione del decimo anniversario del plebiscito in Alta Slesia da oratori e da giornali tedeschi sono stati ricordati simpaticamente i nostri caduti e ricordati alcuni episodi per noi simpaHci. Il deputato Goring e il Duca di Coburgo Gotha, hanno inviato due telegrammi a S.E. Balbo per la perdita di Maddalena, fatto che i giornali qui hanno riportato con vive espressioni di simpatia. Dei viaggi poi che gruppi di personalità tedesche faranno costà, tu sarai stato già informato. Ti raccomando in maniera speciale il Dott. Jtigler direttore della • Borsen Zeitung • che verrà costà nella prima quindicina del prossimo mese: è un prezioso elemento qui molto ascoltato e buon amico.

(l) La lettera è rivolta a • Caro Onorevole •, con ogni probabilità Ferretti. Come a margine ha annotato lo stesso Renzetti, risponde al n. 147.

161

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ORSINI BARONI

T. GAB. 299/93. Roma, 24 maTzo 1931, oTe 24.

Suo telegramma 183/38.

Non posso che trovare sorprendenti le comunicazioni ;fatteLe, da alta personalità codesto Ministero Affari Esteri. È bensì vero che non è la prima volta che le rinifermate dichiarazioni germaniche di volontà di aprire una nuova era nei rapporti con l'Italia improntandola a leale e cordiale amic"zia si manifestano costì in un modo per lo meno strano. L'amicizia ccr: l'It::tiin

si manifesta a Berlino col chiedere a pm riprese il nostro aiuto spesso decisivo senza dare alcun corrispettivo o manifestare sulla stampa e in Parlamento alcuna gratitudine; con l'ottenere l'iniziativa del R. Governo perchè la Conferenza degli Ambasciatori receda da una deliberazione che avrebbe pesato sulla Germania durante tutta la Conferenza del Disarmo paralizzandone l'azione e facendo il giuoco dei suoi avversari (l); col chiedere insistentemente ed ottenere che R. Governo rinunci nell'interesse tedesco 8d una operazione finanziaria consentita e deliberata salvo poi sentirsi dichiarare a Berlino che una simile richiesta non è stata fatta (2); con l'ottenere il nostro appoggio durante tutte le fasi delle trattative per il disarmo e per la costituzione dell'Unione Europea salvo poi passare sotto silenzio la nostra azione nelle dichiarazioni del Ministro degli Esteri al Parlamento germanico (3).

Oggi questo modo di intendere i rapporti di cordiale e leale amicizia con l'Italia assume una nuova forma assai più grave.

All'insaputa Governo italiano si stabilisce un accordo di tanta risonanza politica e di tanta importanza anche per i nostri interessi diretti come quello recente austro-tedesco e mentre ci si comunica a cose fatte l'avvenimento nè più nè meno come a tutte le altre Potenze, si afferma che sul nostro atteggiamento in questo momento decisivo si misura la possibilità di una politica di fiducia e di amicizia.

A questo Ambasciatore di Germania, che mi ha comunicato il testo del protocollo austro-tedesco, domandandomi l'impressione del Governo italiano in proposito, ho risposto che il R. Governo si riservava di precisare il suo punto di vista dopo avere studiato il documento, ma che la sua impressione sul modo di procedere era ,stata francamente cattiva. Le diplomazie tedesca ed austriaca hanno peccato nei nostri riguardi di mancanza di abilità ed anche di lealtà (4).

Prego V.E. d'esprimersi con sig. Curtius in questo senso aggiungendo esplicitamente che per realizzare una politica di cordiale amicizia con l'Italia, è necessario che costì si comprenda finalmente che l'azione a ciò diretta deve essere pienamente reciproca, e ·che il solo mezzo ·per ottenere l'amicizia leale dell'Italia fascista è quello di agire nei suoi riguardi con perfetta lealtà.

(l) Annotazione a margine: " N or; è il momento>.

162

APPUNTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, SUL COLLOQUIO CON L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, BEAUMARCHAIS

Roma, 24 marzo 1931.

Beaumarchais -Mi legge il dispaccio con cui Briand informa l'Ambasciatore francese a Berlino e a Rorna della conversazione avuta sabato con l'Am

{l) Cfr. p. 85.

basciatore tedesco a Parigi Von Hoesch. Con quest'ultimo, incaricato di portare a conoscenza del Governo francese l'accordo doganale austro-tedesco, Briand si sarebbe espresso in termini molto duri. Secondo Briand l'accordo austrotedesco costituisce un fatto di gravità eccezionale lesivo degli accordi in vigore e suscettibile di portare a serie conseguenze per i due Paesi che lo hanno contratto. L'Ambasciatore de Margerie è incaricato di comunicare a Curtius queste parole di Briand.

Beaumarchais mi domanda qual è l'avviso del Governo italiano sull'avvenimento.

Grandi -Rispondo a Beaumarchais che gli uffici economici stanno studiando il contenuto del Protocollo. In base ai risultati di questi studi il Governo italiano preciserà il suo atteggiamento.

Beaumarchais -c Vi sarò grato se mi farete chiamare non appena sarete in grado di dirmi qualche cosa al riguardo • (1).

Grandi -• Sarà fatto. Ora desidero parlarvi di un'altra cosa che mi preoccupa assai più del Protocollo austro-tedesco il cui esame ho devoluto volentieri al mio collega Bottai. Si tratta dei rapporti italo-francesi. Sono certo che il signor Briand non è a conoscenza di quanto sta accadendo a Londra in seno al Comitato incaricato di redigere il testo dell'accordo navale. La Delegazione francese si sarebbe presentata con richieste che se accettate muterebbero interamente la portata e i termini dell'accordo (2). Io voglio sperare ancora che si tratti di un malinteso e di un equivoco destinato ad essere chiarito. Non posso non pensare senza emozione all'ipotesi che l'accordo navale italo-francese raggiunto dopo tanti sforzi possa mutarsi in una delusione le cui conseguenze sarebbero certamente gravi. Vi prego di portare a conoscenza del signor Briand questo stato d'animo del Governo italiano •.

Beaumarchais-c Lo farò subito. Ritengo tuttavia non verosimile quanto Voi mi dite. Il Comitato di Londra è incaricato di dare la forma a un accordo già concluso. Niente più. Come mai potrebbero nascere dei malintesi sul suo contenuto •?

Grandi -c È appunto quanto io ho pensato fino a ieri •.

Prima di !asciarmi, sulla soglia, Beaumarchais mi domanda: • Ebbene, potete dirmi nulla a proposito di quelle che saranno le decisioni di S.M. il Re per l'eventuale incontro a Nizza di un Principe della Real Casa col Presidente della Repubblica, o comunque di qualche altra manifestazione da parte dell'Italia in detta occasione? • (3).

Ha aggiunto anche che uno degli argomenti di cui avrebbe voluto intrattenere V. E. a Parigi si riferiva appunto alla Germania e alla necessità per la pace europea di consolidare e sostenere attuale Gabinetto germanico contro tendenze estreme. Avrebbe voluto in pari tempo informare V. E. che in vista di allarmi suscitati a Berlino dalla sua visita a Roma interpretata come minaccia formazione blocco anti-germanico dopo avere a Roma stessa rassicurato Von Schubert in proposito aveva al suo ritorno fatto sapere a Briining ed a Curtius che per dissipare ogni malinteso sarebbe stato desiderio di Mac Donald e suo invitarli per un 'week-end' a Londra. Stamane appunto Neurath era venuto a dirgli che tanto Briining quanto Curtius sarebbero stati molto lieti di ricevere ed accettare invito. Visita

avrebbe luogo dopo Pasqua •.

Gli rispondo: • Non posso dirvi nulla in proposito. Non si tratta ad ogni

modo di una visita del Presidente della Repubblica a Nizza, bensì di un viaggio

del Capo dello Stato francese in Tunisia, con un casuale imbarco a Nizza. Ora

esiste tuttora insoluta fra la Francia e l'Italia una grande questione, proprio

relativa alla Tunisia... Credete voi possibile risolverla prima del 5 aprile p.v.

ossia prima che il Presidente della Repubblica si imbarchi per Tunisi? •.

Il Sig. Beaumarchais fa un sorriso imbarazzato, e se ne va.

(2) -Grandi allude probabilmente alla questione accennata all'inizio del n. 19. (3) -Cfr. n. 132, pp. 206-207. (4) -Cfr. 10. 15';.

(l) Sull'atteggiamento dell'Inghilterra cfr. quanto comunicava Chiaramonte Bordonaro con t. 472/177 del 23 marzo: Henderson • si è mostrato molto riservato ma non allarmato del fatto nuovo e non mi ha fatto cenno della protesta che secondo i giornali di stamane Italia, Francia e Cecoslovacchia avrebbero già fatto a Vienna.

(2) -Cfr. n. 156. (3) -Cfr. nn. 136, 152.
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IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. PER CORRIERE 830/188/94. Belgrado, 25 marzo 1931 (per. il 30).

Mio telegramma filo N. 184/91 in data odierna.

Notizia progettata unione doganale austro-tedesca ha qui prodotto vivo interesse, ma giudizio è riservato in attesa conoscere dettagli progetto e vedere atteggiamento altrui. Commenti giornali sono ispirati a queste direttive. Niuno qui si cela che unione doganale è passo verso Anschluss, e pericoli che essa includerebbe costituendo una unità politica germanica dalle Karavanche al Baltico che premerebbe gravemente verso l'Adriatico, e risolleverebbe tutto il sentimento filo-tedesco che ancora risiede nelle vecchie provincie austriache alimentato dalla minoranza di mezzo milione di tedeschi che hanno forte sentimento nazionale germanico. La vecchia pressione germanica del Drang nach Osten, della quale la vec,chia Serbia ebbe duramente a soffrire, ha ancora qui vivo ricordo, ed il timore della volontà germanica di arrivare all'Adriatico è uno dei motivi che i pochi elementi italofili adducono per una ragionevole politica di accordo con noi.

Ma sia per un senso di ineluttabilità dell'Anschluss (si produca essa domani od in un avvenire imprecisato), o sia perchè, fuori degli ostacoli diplomatici che essa trova nel trattato di Versailles e nella convenzione del '22, essendo abolizione di una frontiera ed accordo regionale è movimento parallelo a quello cui la Jugoslavia partecipa con maggiore o minore convinzione e probabilità di successo tanto nel quadro della Piccola Intesa come in quello della unità balcanica, o sia per un calcolo di temporanea opportunità dato l'attuale momento dei rapporti italo-germanici (l) avviati ad una maggiore cordialità

attraverso gli accordati privilegi alla minoranza tedesca, la Jugoslavia non prenderà verosimilmente alcuna iniziativa che sembri porla in prima linea fra gli oppositori decisi dell'Anschluss (2).

• di farsi apparire a Berlino al rimorchio degli altri Alleati, dato che la propria economia si avvantaggerebbe con tutta probabilità dell'accordo. La sua attitudine in complesso, se

Marinkovich mi ha detto ieri, dichiarandomi che non vi ·era in Jugoslavia nessuna emozione per il temuto avvenimento, ed in attesa definitivo giudizio, sembrargli intanto che la Germania avesse commesso un errore psicologico affrettando i tempi, ed uno diplomatico non avendo tenuto presente gli ostacoli che i trattati in vigore oppongono ancora al vagheggiato progetto. V.E. rammenterà certo che nel colloquio confidenzialissimo, avuto con me a Bled nell'agosto scorso e poi con V.E. a Ginevra nel settembre (1), egli non si dichiarò aprioristicamente e decisamente ostile all'Anschluss (così come lo era ad una restaurazione absburgica) (2), ma riservava la sua attitudine definitiva all'esame delle circostanze che accompagnassero la decisione, non essendo in via di ipotesi, impossibile che la Jugoslavia, se d'accordo con noi, potesse trovarvi vantaggio.

Perciò l'attitudine di questo Governo pur essendo corretta verso Francia e Piccola Intesa nel senso che si associerà a qualsiasi decisione verrà presa a Parigi ed in accordo con Rumenia e Cecoslovacchia (ed a tal fine secondo quanto mi risulta, la Rumenia ha preso la iniziativa di una comune consultazione); nei rispetti di Berlino esso cercherà apparire a malincuore rimorchiato, forse facendo intravvedere la possibilità di un diverso atteggiamento in contraccambio di qualche effettivo vantaggio che potrebbe essere quello di garanzia per le minoranze slovene della Carinzia, o dei tedeschi della Lusazia dei quali Cecoslovacchia e Jugoslavia rivendicano in pari tempo la origine e reclamano la protezione. Ciò mi è confermato anche da riservata buona fonte in contatto con questo Ministero degli Affari Esteri.

(l) -Sic. Ma deve verosimilmente leggersi : jugo-germanici. (2) -Circa l'atteggiamento della Jugoslavia nei confronti dell'accordo doganale austrotedesco cfr. la relazione cit. del 14 aprile: come la Romania, anche la Jugoslavia cerca
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IL MINISTRO A TIRANA, SORAGNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

TELESPR. 685/287. Tirana, 25 marzo 1931.

Recatomi lunedì dal Re, questi mise tosto il discorso sulla questione dell'apporto finanziario italiano. Debbo dire che vi è almeno qualcosa che non muta in Sua Maestà: i suoi sistemi per trattare gli affari. Cominciò a parlarmi delle !somme, delle loro attribuzioni, del loro stanziamento nel budget ecc.; nel che, preso il destro, gli ricordai che si trattava anzitutto di avere il suo beneplacito ai preliminari, alle condizioni e alla forma diplomatica dell'ap

pur corretta verso la Francia e la Piccola Intesa, lascerà intravvedere a Berlino la possibilità di un atteggiamento non sfavorevole in contraccambio di qualche effettivo vantaggio. Avrebbe anzi deciso di far sapere al Governo tedesco che nessuna iniziativa sarebbe da essa partita per impedire l'unione, e che la sua azione si sarebbe limitata a quella cui fosse costretta dalla Francia e dalla Piccola Intesa ».

porto. Di colpo la cosa fu riportata allo stadio di due mesi e mezzo fa. Scambio di lettere? Quali lettere? E che bisogno v'era di lettere? -Interruppi subito il fastidio incipiente del dibattito sterile, dicendo al Re che non era possibile che io riprendessi' a parlare seco lui e per lunga pezza, di tanti particolari, mentre gli era necessaria la quiete fisica e morale (1). Mi mandasse Medhi Bey Frasheri, avrei trattato con questi. Il Re ne convenne subito; e passai a discorrere del Patto d'Amicizia, dopo di che mi licenziai.

Medhi Frasheri venne tosto ,chiamato dal Re e, addottrinato, scol'sa un'ora era in Legazione. Ci separammo dopo un'oretta di discussione; al mattino di martedì si ripresentò per esprimermi le ultime vedute del Sovrano e, a quanto mi disse, del Consiglio dei Ministri.

Esse si concretano in questi principii:

l) Accettazione dello scambio di lettere pubbliche.

2) Sul contenuto delle lettere riservate, si dichiarano in definitiva d'accordo e s'impegnano a darvi il possibile corso. Ma non vogliono le lettere. Dobbiamo accontentarci delle garanzie che ci vengono dal loro consenso sul programma, e dal fatto che, se non siamo contenti, potremmo sempre sopprimere l'apporto.

3) L'apporto non deve aver la veste di un contributo al budget albanese, ma quello di un prestito, e potrebbe essere definito prestito annuo gratuito.

Ho risposto a Frasheri che, in coscienza, e con tutta la mia buona volontà, non mi sentivo di poter raccomandare al mio Governo quanto richiesto nel numero 2). Per ciò che concerne il numero 3), dato anche che si acconsentisse a discuterne, era chiaro che tutte le basi e la sostanza e lo spirito dell'aiuto richiestoci ne veniva trasformato, e che non era neppure il caso di pensare che, in quattro e quattr'otto, si potesse combinare un simile cambiamento.

Mi chiese, tuttavia, d'interrogare V.E. in proposito. Gli dissi che, per fargli piacere, avrei posto V.E. al corrente delle conversazioni. Aggiunse allora che, dalla mia maniera di riferire, sarebbe dipesa la risposta. Lo dissuasi dal credere, le mie eventuali facoltà di difensore delle cattive cause essendo limitatissime. Sul che ci separammo.

Il mio parere è che dobbiamo stare assolutamente fermi sulle posizioni che abbiamo fissate. L'attesa non dovrebbe essere troppo lunga. È probabile che il Re rimetterà in campo le sue minacce di riduzione del budget, di riduzione dell'esercito ecc.: bisogna saperle affrontare. Impegnarci a dare i dieci milioni senza le garanzie scritte convenute, equivale a prestare una nuova vita fittizia all'organismo finanziario albanese, per alimentarne le forze di resistenza contro di noi; e sarebbe un segno tale di debolezza, che accertando gli uomini del presente Governo che noi siamo legati e costretti a tutto accondiscendere, darebbe un colpo al nostro prestigio.

Intanto, il tempo stringe, e il budget preventivo deve essere presentato da un giorno all'altro al Parlamento. Ho saputo iersera che verrà presentato con un deficit di 3 milioni di franchi, in vista dell'apporto finanziario riparatore. Tanto più mi convinco che non conviene recedere dal nostro punto.

Salvo ordine contrario, mi manterrò quindi sulla negativa (1).

stesso giorno con re Zog. Questi gh disse che approvava· le proposte fatte da Pariani in

materia militare • e che desiderava dare all'organismo militare un nuovo forte impulso, rite

n~ndo sempre più evidente che un bel giorno bisognerà farla finita con gli jugoslavi...•.

DI fronte allo stato precario della salute del re • sembra indispensabile che tutto il pro

blema albanese venga ripreso in esame, essenzialmente per definire la linea di azione da

seguire da parte nostra.

Le questioni relative ai contatti con i principali esponenti locali, l'accaparramento

di persone, la propaganda e l'assistenza, hanno indubbiamente il loro valore ma non pos

sono essere che mezzi per raggiungere determinati scopi.

È perciò necessario precisare questi scopi e concretare il programma per poterli

raggiungere, tenendo presente che questa precisazione è necessaria, se non vogliamo

esporci a trovarci indecisi in eventuali situazioni critiche.

In sostanza: in Albania si è dato concreto sviluppo solo al programma militare

(organizzazione delle Forze Armate e degli organismi giovanili) ed a quello politico (alleanza

e convenzione militare) mentre, sopratutto nel campo economico, la nostra azione si è

limitata a qualche caposaldo di partenza (Banca Nazionale e Società SVEA).

Abbiamo qui oggi parecchi organizzatori civili ma, per ragioni e motivi di varia

natura, la loro azione si spinge poco al di là di quella di consiglieri (sia pure ottimi) con

risultati pratici di assai limitata entità, anche dove (come nell'istruzione) sono stati vera

mente buoni.

Cause di questo limitato rendimento furono essenziahnente:

l) mancanza di mezzi finanziari che consentissero un razionale sviluppo delle idee

di organizzazione e, nello stesso tempo, dessero agli organizzatori la forza per determinare

ed appoggiare il loro intervento;

2) mancanza di un concreto programma da seguire e svolgere, cosi che nessuno affrontò

problemi con l'animo deciso ad approfondirli ed a risolverli praticamente.

Per quanto riguarda i mezzi, il R. Governo è entrato in pieno nella questione concedendo

un apporto finanziario annuo, per il quale sono in corso di conclusione le relative pratiche.

Per quanto riguarda il programma è necessario addivenire ad una stretta unione delle

due correnti sulle quali si volge la nostra azione in Albania; alleanza da una parte, pene

trazione dall'altra.

È un connubio di natura non facile ad ottenere, ma che si potrebbe realizzare se alla parola penetrazione si volesse dare essenziahnente il significato di creazione di un vincolo economico che leghi fortemente i due Paesi.

In tale campo il nostro programma dovrebbe avere lo scopo di sviluppare (con azione diretta o appoggiando iniziative private) tutte quelle attività che dovrebbero trovare il loro sfogo in Italia e, possibihnente, solo. in Italia.

Si verrebbe cosi a dar vita ad un complesso di interessi personali che favorirebbero le relazioni scambievoli e costituirebbero ragione di forte ed intimo allacciamento fra i due Paesi.

Questi interessi si potrebbero creare, essenzialmente, nel campo agricolo, (nel senso più lato: allevamento del bestiame, commercio delle pelli, industria del legname, ecc.) poiché dovrebbe essere possibile, con appositi trattati di commercio e con opportuna azione da svolgere presso i Ministeri albanesi, determinare con l'Italia una corrente commerciale di notevole entità e consistenza.

Inoltre si dovrebbe tendere in ogni campo all'associazione dei capitali, costituendo società e consorzi italo-albanesi. Si verrebbe così gradatamente a costituire in Albania un vero partito, che sarebbe con noi anche qualora dovesse venire a mancare il Re.

Un'Albania il cui Esercito si mantiene in vita per il nostro aiuto, da noi dipendente per l'apporto finanziario annuo concessole dal R. Governo ed a noi vincolata dalla necessità di sfogo dei suoi prodotti, finirebbe con l'essere a noi legata anche nel suo orientamento politico, tanto più se sapremo coltivare l'ambiente culturale che già si sta volgendo a noi.

Ciò premesso, nelle condizioni attuali, si dovrebbe chiaramente fissare la soluzione da noi desiderata circa il problema della eventuale successione del Re.

II dire che ci potremmo regolare in base alla situazione del momento o delle circostanze che si verificheranno, significa !asciarci portare a rimorchio dagli avvenimenti anziché prepararli e guidarli.

Questo non esclude che, qualora così si desideri, ci si possa accontentare di rimanere in veste e funzione di consiglieri: solo è necessario precisare fin d'ora che cosa vogliamo. Concludendo: oltre a metterei in condizioni (con contatti opportuni e cauti) di non essere sorpresi dagli avvenimenti, sarebbe necessario:

l) concretare le predisposizioni relative al problema della successione del Re;

2) concretare ed attuare, progressivamente ma con ritmo celere, il nostro programma di allacciamento economico con l'Albania. Oltre a ciò, naturalmente, occorre essere pronti ad un intervento armato, qualora gli avvenimenti costringano, come 'ultima ratio', ad usare la forza».

(l) -Cfr. serie VII, vol. IX, nn. 189, 241. (2) -Cfr. quanto comunicava re Alessandro a Spalaikovié il 6 aprile 1931 (cit. in J. B. HoPrNER, Yugoslavia in Crisis 1934-1941, New York London, 1962, p. 46. nota 47.': una eventuale restaurazione asburgica distruggerebbe la Piccola Intesa, aumenterebbe la forza dell'Italia e spingerebbe la Germania a unirsi alla Russia.

(l) Soragna riteneva • periclitante • la salute di re Zog. (Telespr. 812/336, Tirana 8 aprile).

(l)_ Con rapporto r. p. 129 _del. 21. marzo, Pariani riferiva su un colloquio avuto lo

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IL PREFETTO DI FOLA, LEONE, AL MINISTERO DELL'INTERNO (l)

(ACS, Vescovi, Trieste e Capodistria)

N. 720 GAB. Pala, 25 marzo 1931.

Risposta a N. 665 dell'8 marzo 1931.

A riscontro del telegramma controdistinto mi pregio di inviare a cotesto On.le Ministero l'unito elenco (2) dei sacerdoti allogeni di questa provincia che svolgono attività in senso antitaliano, indicando per ognuno di essi succintamente le caratteristiche personali e dell'opera che svolge per impedire l'assimilazione delle popolazioni alloglotte e la penetrazione della nostra lingua e civiltà.

Premetto subito che numerosi altri sacerdoti allogeni-alloglotti hanno aderito • toto corde • al nuovo stato di cose e riconosciuto i vantaggi che l'Italia apporta e le benemerenze che essa ha acquisito nei confronti di queste popolazioni.

Gli allogeni-alloglotti istriani sono di razza croata nell'Istria interna centrale e meridionale e di razza slovena nell'Istria settentrionale. L'Istria litoranea è popolata da gente di razza italiana.

La zona polesana sino a parte del pisine1se appartiene alle diocesi di Pa

renzo, l'altra a quella di Trieste.

Il Vescovo di Parenzo, monsignor Pederzolli, è trentina austriacante, il

vescovo di Trieste, monsignor Fogar, è di razza slovena.

La curia del primo è composta, in massima, di sacerdoti di origine croata, intransigenti sognanti le glorie della defunta monarchia a.u., non apprezzanti l'Italia ed il Regime. A quella di Trieste sono addetti, in massima parte, sacerdoti di razza slovena e croata di tinta accesa.

Entrambe le Curie, con eccessivo zelo, proteggono lo statu qua e si oppongono ad ogni innovazione in senso italiano nelle chiese, funzioni e personale ecclesiastico; ma, mentre quella di PaTenzo agisce in tal senso per errate ed esagerate ragioni di principio e per quieto vivere, il che r..on è meno dannoso perchè consente ed ammette l'azione dei preti politicanti ed irredentisti; quella di Trieste favorisce addirittura e protegge l'opera dei sacerdoti diretta alla affermazione delle razze e delle lingue straniere e ad opporre l'irredentismo alla lenta penetrazione ed assimilazione italiana.

Mentre la Curia di Parenzo si limita a fare opera di resistenza passiva,

quella di Trieste lavora attivamente per mantenere ed allogare nelle varie

zone alloglotte preti di razza e sicura fede slovena. È di poco più d'un anno

fa il tentativo, per menzionare fra i tanti un caso, di far rimpatriare e destinare

a Villa Treviso (Pisino) un sacerdote istriano rinnegato (don Simone Sironich),

insegnante nella scuola magistrale di Castua (Jugoslavia) dove esplicava ed

esplica tuttora propaganda attiva d'odio contro l'Italia; è di tutti i giorni

l'assegnazione alle zone grigie dei preti più accesi dalle località ove l'opera

loro riesce meno efficace e l'avversione aperta ai sacerdoti delle vecchie pro

vincie venuti o che chiedono di venire in queste terre; è di questi giorni l'assun

zione di giovani sacerdoti allogeni scelti fra i più intelligenti ed attivi in quel

focolaio di antiitalianità che è il Seminario di Gorizia.

È poichè non è consentito nominare i parroci senza il preventivo nulla osta politico si ricorre allo espediente della nomina ad amministratore parrocchiale per la quale questo nulla osta non occorre; e, violando le norme che prescrivono che le funzioni di amministratore parrocchiale possono darsi solo in caso d'urgenza e in via transitoria per pochi mesi o un anno al più, gli amministratori parrocchiali, a dispetto di ogni opposizione di ordine politico, durano in carica per anni ed anni. È possibile in tal modo l'incongruenza di avere amministratori parrocchiali in carica dalla Redenzione ed anche da prima, amministratori stipendiati dallo Stato italiano che non sono cittadini italiani e si vantano pubblicamente di non eSiserlo (don Curavich, don Halat).

Protetti, incoraggiati a perseverare dal Vescovo stesso (don Antonio Cerar, di Monte di Capodistria), sollecitati da amici, colleghi e superiori, cd anche, da stranieri, mossi dai loro istinti di razza e spesso anche dal desiderio di ingraziarsi 1 parrocchiani ed attenerne maggiori contributi, parecchi sacerdoti allogeni mettono tutta la loro cura e premura nell'avversare tutto ciò che è

e sa di italiano.

Questa attività antinazionale si svolge in tutti i modi possibili e con i mezzi più svariati dai più semplici ed apparentemente innocenti ai più gravi e pericolosi.

In generale di fronte alle autorità è tenuto contegno deferente, strisciante; ma si evita quanto più possibile ogni incontro o rapporto.

In chiesa si usa esclusivamente la lingua croata o la slovena, giungendo a rifiutare come padrini in battesimo persone che ignorando tali lingue non potevano rispondere in sloveno o croato alle .preghiere della funzione (Don Bradizza, Cherso), così nella rpredica, come nei canti liturgici, ai quali prende parte in coro la popolazione, nelle iscrizioni dei quadri (via Crucis), negli annunzi delle funzioni ecc. e persino negli atti di matrimonio (don Planinsek).

Si relegano in soffitta due belle statue di Santi, per sostituirle con altre due brutte dei santi jugoslav'i Cirillo e Metodio (Parroco di Villa Decani don Slamich).

Feste, messe e funzioni religiose solenni non se ne tengono per evitare la presenza delle Autorità e di dovere, conseguentemente, pronunziare qualche parola italiana, come obbliga il Concordato, e non si interviene a cerimonie nè si celebrano ricorrenze civili e politiche nè alla benedizione delle scuole, per rion benedire in latino o se non si parla e risponde in slavo o croato.

Preti vecchi o ammalati preferiscono lasciare per lungo tempo e talvolta per anni i parrocchiani lontani pur di non consentire che nelle chiese delle frazioni della parrocchia preti e frati di località vicine vi funzionino per tema che vi usino la lingua latina e l'italiana.

Poichè si è compreso che le nuove generazioni sono particolarmente curate

dal Regime e ne costituiscono la speranza e riserva avvenire, verso di esse si

sono rivolte le maggiori premure dei preti antiitaliani.

Si riuniscono, infatti, e convocano i piccoli in sacristia nelle ore oppor

tune per impedir loro di frequentare le organizzazioni giovanili; si insegna ad .essi la dottrina in lingua croata o slovena, e, spesso, persino a leggere e scrivere in tali lingue e grafie (vedansi allegati quaderni scolastici n. l e n. 2 delle

ragazze Maver Aurora di Giuseppe e Vajentich Carolina); si raccomanda e si esalta l'amore alla lingua mad1·e, alla patria croata o jugoslava, al « nostro Re Alessandro ». Si rilasciano certificati di comunione in sloveno o croato si insegnano inni e canti anche non religiosi in tale lingua (alleg. 3 e 4); si fanno stampare cartoline illustrate con diciture slave (alleg. 5). Si vieta ad essi di salutare romanamente, di inscriversi alle organizzazioni del P.N.F., di cantare canzoni italiane; si avversa in tutti i modi la costituzione di cori italiani, ed il canto di essi spede nelle chiese. Si commiserano i piccoli, in presenza delle mamme, perchè debbono frequentare scuole ove non si apprende la lingua mate1·na; si cerca di ostacolare l'apertura di nuove scuole negando o facendo negare l'affitto dei locali occorrenti.

Si sollevano pregiudizi morali per non far frequentare neanche dagli adulti le scuole serali.

Si provvedono ai parrocchiani abbonamenti a calendari e riviste, si ritirano da Zagabria, Lubiana, Gorizia, e si smerciano sillabari, catechismi, opuscoli, libretti, pubblicazioni, concernenti l'agricoltura, l'allevamento del bestiame, ecc. fiabe, canzoni ed inni, racconti storici, ecc. sempre e tutti in lingua slovena o croata nascondenti sotto l'apparenza più innocua qualche puntata irredentista e per neutralizzare gli effetti dell'insegnamento della nostra lingua nelle scuole.

Ben raramente qualcuno di questi opuscoli, che si raccomanda ai detentori di tenere gelosamente nascosti, può pervenire in possesso delle Autorità. Eccone qui appresso elencato qualcuno, forse dei meno nocivi:

a) Bogoljub (K Iesusu .po Marji) -Devoto a Dio;

b) Hrvatske Istarske Narodne Pjesme (Prvi dio) -Canzoni popolari istriane croate;

c) Ciba-Biba -Nome di bambino;

d) Za Kravicu -Per la mucca.

e) Bozji Spevi -Canzoni sacre (con musica);

f) Jaselce -Giaciglio di Gesù.

g) Glasnik Presvetog Srca Isusova -Sacro cuore di Gesù.

Si collabora a riviste straniere esagerando o svisando ogni più piccolo avvenimento per denigrare l'Italia ed il Regime e si fa di tutto per fare abbonare ad esse i parrocchiani, vedasi alìeg. n. 6 elenco degli istriani associati alla Compagnia di S. Ermacora.

Si commentano in modo sarcastico ed irritante gli avvenimenti, le leggi e disposizioni specie in materia tributaria, facendo confronti per magnificare sempre altre nazioni e loro situazioni e per svalutare e screditare in tutti i casi la nostra; si descrivono le vecchie provincie italiane, specie le meridionali,

come popolate da briganti, da accoltellatori, si predica che i terremoti sono punizioni meritate per la vita antireligiosa e immorale condotta nelle regioni colpite.

Si costituiscono associazioni apparentemente religiose, ma in effetti a scopo di rafforzare sentimenti di razza e irredentistici, e fra le associazioni una di sole donne che ha propaggini in tutta l'Istria alta (in due località dovette essere sciolta d'autorità) perchè le donne esercitano nelle famiglie, ed allevando i piccoli, azione più conclusiva ed efficace antiitaliana.

Si favorisce l'espatrio clandestino specie dei giovani soggetti a leva militare, si esercita -mancano, naturalmente, le prove, ma si hanno sospetti fondati -lo spionaggio militare ai nostri danni.

Questa attività criminosa viene esercitata sempre con la maggiore prudenza e riservatezza per non inc111ppare nei Codici, e validamente sostenuti dall'omertà delle popolazioni allogene; ma di tanto in tanto, qualche caso grave di responsabilità affiora ed allora i Vescovi, a malincuore, arrendendosi all'evidenza dei fatti, provvedono all'allontanamento dei colpevoli, destinandoli, tuttavia, ad altre località della Diocesi, ove possono per altro lungo tempo continuare la loro dannosa azione.

Qualche altra volta interviene l'autorità giudiziaria come per le condanne inflitte recentemente a tre sacerdoti dal Pretore di Pisino, per vendita abusiva, senza licenza, di libri e periodici, e la denunzia del don Luca Halat, cittadino jugoslavo, per favoreggiamento all'espatrio clandestino.

Un sacerdote, don Essich, fu anche destinato al confino per un anno, ma venne graziato.

Sulla popolazione istriana gli effetti di questa attività (accentuatasi in questi ultimi mesi per l'opera di giovani sacerdoti messi in campo dal Vescovo di Trieste, i quali con moto-leggere scorazzano per l'Istria e !stanno riallacciando i contatti fra i vecchi preti un po' stanchi, e suscitano gli spiriti combattivi dei peggiori elementi slavocroatofili della provinica), si manifestano nell'aumento degli espatri clandestini, nella rinascita dell'orgoglio di razza (molti piccoli si vantano di essere croati o sloveni), nella maggiore avversione all'Italia ed alle istituzioni del Regime, nei canti irredentisti che risuonano spesso nelle campagne e talvolta nelle osterie (ai quali sacerdoti come don Curelich il 15 marzo 1931 non disdegnano di partecipare facendosi acclamare « Viva il nostro parroco jugoslavo , ) e nella lentezza eccessiva della diffusione della nostra lingua e civiltà nelle masse allogene-alloglotte.

Nè è mancata qualche manifestazione criminosa di ordine politico. Così nella zona di Maresego sul finire del 1929, per la quale vari giovani furono deferiti al Tribunale speciale e condannati (l).

'· Queste proibizioni sono -lo dimostrerò -: l) ingiuste, 2) dannose alla chiesa ed alla religiosità della popolazione, 3) dannose allo Stato ed alla assimilazione degli alloglotti perché impediscono: a) la formazione di cittadini leali; b) l'amore della linguaitaliana e; c) disprezzando le tradizioni radicate, eccitano all'odio contro l'Italia...

La proibizione non di legge ma di fatto delle associazioni giovanili maschili ha avuto per conseguenza che il Clero non può esercitare la necessaria influenza religiosa e morale sulla gioventù slava della Regione; così si spiega che questa si è data in piccola parte al vizio e segretamente al comunismo e simpatizza anche con l'Oriuna. Se la Chiesa

(l) -Inviato per conoscenza al ministero della Giustizia e al procuratore generale di Trieste. (2) -Gli allegati non si pubblicano.

(l) Il 26 marzo mons. Fogar inviò un memoriale al procuratore generale di Trieste per protestare contro la richiesta di provvedimenti a carico di undici sacerdoti slavi della provincia di Pola, ai quali si volevano proibire le manifestazioni di culto in slavo.

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO A TIRANA, SORAGNA

T. PER CORRIERE 308. Roma, 26 marzo 1931, ore 10.

Il ritorno in sede del Re Zog pone sul tappeto in maniera immediata alcuni dei problemi che si sono venuti delineando durante l'assenza di lui. È mio intendimento di affrontarli senza precipitazione con accurato vaglio di tutti gli elementi in modo da cercare di mettere quanto più è possibile di dati

o di previsioni fondate al nostro attivo; tutto ciò senza indurci però a lasciar trascorrere in queste decisioni un giorno più del necessario per non dare agli avvenimenti la possibilità di sorprenderei impreparati.

cedesse ancora, noi assisteremmo ad un vero disastro religioso e morale della popolazione slava. Mi permetto per il bene dello Stato di avvertire le supreme autorità che fra i fedeli alloglotti si fa ognor più strada la diceria seguita in parte dalla convinzione che è il Governo che comanda alla Chiesa giuliana e non il Papa e che questi si sia venduto al fascismo... .

Se si avesse lasciato almeno in questi ultimi anni in pace il sacerdote e la lingua slava in chiesa e si fossero evitati gli inconvenienti esposti qui, noi attendendo pochi anni ancora si avrebbe avuto la richiesta spontanea da parte della nuova generazione, educata nella scuola italiana e non sobillata dai genitori oggi offesi per avere le prediche italiane; perché unicamente così si possono introdurre le prediche italiane. Ma dati i metodi infelici usati, resi noti in parte dalla stampa dicendo che si voleva fare scomparire quella lingua 'barbara', attaccando i Vescovi stessi con calunnie la reazione generale della Regione è tale da dovere constatare con tutta "sicurezza che più grande propaganda è stata fatta in queste -Io ripeto -terre proprio da alcune autorità passionatamente informate da certi istrioni, i quali, non potendo dimenticare i torti patiti nel passato, si sono dimenticati che 1a Patria non è l'Istria, ma l'Italia e che per amore dell'Italia si doveva portare qualche sacrificio pazientando per qualche anno nella propria provincia dalla quale è partita noto

riamente già anni fa la campagna contro gli alloglotti in tutta la Regione.

La Chiesa per quanto potente sia, si basa, prescindendo dalla esistenza divina unicamente sulla fiducia reciproca dell'Episcopato verso il Pontefice, del Clero verso il Vescovo e dei fedeli verso il Clero ed il pastore diocesano. La Chiesa non dispone né di Carabinieri né di carceri e non può agire che con la persuasione e non con la costrizione. Distrutta questa fiducia, la Chiesa crolla su se stessa.

Se nel nostro caso il Vescovo comandasse al popolo e al Clero quanto oggi si esige

da codesta autorità e allontanasse 11 sacerdoti, pastori di 31.000 anime, egli si troverebbe

insieme al suo Clero di faccia ad una vera rivoluzione interna nella sua Chiesa perché

i fedeli conoscono bene i diritti che vi hanno. In quei pochi luoghi di confine linguistico,

dove il popolo era d'accordo con l'abolizione dello slavo e con l'introduzione della predica

italiana la cosa è stata già fatta.

Considerato tutto ciò, è chiaro che io non potrò né ottemperare alle 7 proibizioni elencate all'inizio di questo mio elaborato, né allontanare gli 11 sacerdoti, contro i quali n1olto si sa dire e nulla si può e si sa dimostrare se non l'influenza grande sul popolo

(che si accentua in ogni singola lettera della E. V.) e l'odio contro di essi perché il popolo è molto affezionato a loro. F,acendo quanto si esige da me, sarebbe il migliore mezzo per istigare un'altra volta la popolazione alloglotta della Regione Giulia contro l'Italia. 34.000 [sic] anime rimarrebbero per lunghi anni senza pastore; rimpiazzarli con chi? Non dispongo né di Sacerdoti slavi né di italiani che conoscono lo slavo, far venire dei Sacerdoti dall'interno? Lo so per esperienza e garantisco che nessun Sacerdote ragionevole accetterà uno di queiposti in simili condizioni. E, dato non concesso che essi accettassero, quale fiducia avrebbe quella popolazione verso di chi non parla la sua lingua natia? Con quali vantaggi per lo Stato? Insomma nessuno potrà obbligarmi a fare un danno enorme alla Chiesa, alla Religione e alla Patria!

Mi considererei un debole e traditore dell'Italia, se per le minacce di alcuni notoria

mente antireligiosi e di altri che non comprendono affatto la mentalità di questa gente,

cedessi in questo riguardo.

Conscio della mia dignità di Vescovo Cattolico e di cittadino d'Italia mi assumo

tutta la responsabilità di quanto ho scritto e per il bene che voglio alla mia Patria, scon

giuro il R. Governo a volere correre ai ripari, prima che i ciechi abbiano condotto altri

ciechi nella fossa per seppellirvi irreparabilmente la speranza di potere rimediare ad uno

stato di cose più dannoso per l'Italia che per la Chiesa.

Quando l'attuale Governo ha dato il Suo consenso alla nomina Pontificia della mia

persona a Vescovo della più grande e più italiana delle Città Redente e della diocesi più

difficile d'Italia supponeva di mandarvi un uomo che pensasse decidesse colla propria testa,

che dicesse la verità, che amasse l'Italia e che al caso, avesse avuto il coraggio di opporsi a

tutti e a tutto, piuttosto che danneggiare la Patria.

Lo faccio oggi contro pochi per dovere di coscienza e ne assumo d'innanzi a Dio, alla

Patria, al Sommo Pontefice e al Governo tutta quanta la responsabilità».

La prevengo perciò che nella seconda decade di Aprile Ella dovrà trovarsi. a Roma per riferire di persona sulla situazione, per quanto egregiamente illustrata finora nei Suoi rapporti, e per partecipare alle decisioni da prendere. È opportuno che da qui ad allora Ella proceda ad alcune fasi di osservazioni e di scandaglio: le prime per cercare di approssimare alla realtà la nostra conoscenza dello stato di salute del Re, della cura a cui si sottopone, degli effetti di essa, ed infine delle speranze che si possono fondare sulla continuità dell'azione di lui; le seconde per avere una precisa idea dell'esito a cui si avviano le trattative più importanti che abbiamo pendenti, e cioè quella per il rinnovo del patto politico e quella finanziaria, l'una e l'altra oramai connesse -dopo le istruzioni che io Le ho fatto pervenire -ad una medesima sorte.

Quando Ella avrà raccolto sufficienti elementi su questi punti, può farmi conoscere di essere pronto a riferire ed io La convocherò a Roma (1).

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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, ALL'AMBASCIATORE A MOSCA, ATTOLICO

T. PER CORRIERE 310. Roma, 26 marzo 1931, ore 10.

Suo 1070/53.

In mio colloquio con Ambasciatore Turchia questi mi ha effettivamente accennato ad una mia visita ad Angora. Gli ho risposto che sarei stato lieto di potermi recare nella capitale turca se i miei impegni per prossimi mesi non mi impedissero per ora di potere neanche approssimativamente indicare se e in che data visita potrà avere luogo.

168

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AGLI AMBASCIATORI A BERLINO, ORSINI BARONI, A LONDRA, CHIARAMONTE BORDONARO, A MOSCA, ATTOLICO, A PARIGI, MANZONI, AI MINISTRI A BELGRADO, GALLI, A BERNA, MARCHI, A BUCAREST, PREZIOSI, A BUDAPEST, ARLOTTA, A PRAGA, PEDRAZZI, A VIENNA, AURITI, E AL SOTTOSEGRETARIO GENERALE DELLA SOCIETA DELLE NAZIONI, PAULUCCI DE' CALBOLI BARONE

T. 311. Roma, 26 marzo 1931, ore 18.

(Per tutti): Stimo opportuno -in attesa che V. E. (V. S.) riceva maggiori dettagli inviatile per corriere -riassumere come segue per Sua personale conoscenza situazione creatasi in seguito accordo doganale austro-germanico:

(Tutti meno Vienna): 17 corrente (l) Ambasciatore Francia mi comunicò risultargli prossima conclusione accordo in questione chiedendomi che rappresentanti Potenze firmatarie protocollo n. l del 4 ottobre 1922 rammentino Governo austriaco impegni da esso presi e interesse politico osservarli per tranquillità europea ed Austria stessa. Telegrafai Auriti {2) eseguire con collega francese passo sopraindicato con istruzioni di spiegare confidenzialmente Governo austriaco origine passo stesso rammentando che Governo italiano aveva piena fiducia dichiarazioni recentemente fatte da Schober ad .Auriti relativamente al rifiuto che Austria avrebbe precedentemente opposto a Germania che le proponeva unione doganale.

Giorno seguente Ambasciatore germanico e Ministro Austria mi rimisero promemoria (3) riassumente linee generali patto in questione. Nel !Promemoria dichiaravasi trattarsi agguagliamento condizioni generali doganali ed economiche e specificavasi che patto inspirato progetto paneuropa preludeva nuova organizzazione economica basata su intese regionali cui ogni altro paese avrebbe potuto accedere.

Non nascosi mia viva sorpresa per non essere stato R. Governo precedentemente informato conversazioni preliminari e mi riservai esaminare questione.

Successivamente Direttore Generale commercio austriaco Schtiller qui giunto ha consegnato testo protocollo che viene attualmente esaminato organi tecnici e dal QUale è risultato trattarsi di un patto de contrahendo per formazione stato cose avvicinantesi grandemente unione doganale.

Spiegazioni contemporaneamente fornite dal Governo austriaco ad Auriti (4) confermano che patto non ostacolerebbe eventuale conclusione nostri progettati accordi con Austria e precisano trattarsi di un'intesa preliminare cui stipulazione e pratica attuazione richiederanno tempo non indifferente.

(Per tutti): Per il momento R. Governo riservasi precisare ulteriormente suo punto vista in attesa vengano studiati elementi sinora forniti nonchè maggiori precisazioni richieste.

Intanto riassumo attitudine Governi europei: Francia considera assai grave principalmente dal punto di vista politico tale intesa ed appare decisa ostacolarla. Cecoslovacchia disorientata anche per ragioni economiche prevedesi seguirà attitudine francese. Ungheria dichiaratasi all'oscuro delle conversazioni che hanno preceduto l'intesa è grandemente preoccupata per possibile isolamento.

Mosca domandasi se non sia ballon d'essai e ritiene comunque che tedeschi abbiano commesso una gaffe capace di grande importanza nell'orientamento correnti politiche europee.

Bucarest non ha nascosto sua preoccupazione e mentre sembra stia con

certando atteggiamento da assumere con Governo di Praga, ha manifestato

desiderio conoscere pensiero R. Governo onde concretare eventuale azione comune. A Berna infine si ritiene intesa preludio fusione completa due Paesi ravvisando preoccupante rafforzamento Germania frontiera orientale svizzera (1).

(l) Allegato a questo documento c'è un appunto di Grandi: • In visione a S. E. il Capodel Governo; prima di spedirlo >. A margine annotazione di Mussolini: • Sta bene •.

(l) -In realtà il 20 (cfr. n. 142). (2) -Cfr. n. 142. In realtà il tel. era diretto a Geisser Celesia. (3) -Cfr. nn. 149 e 150. Veramente risulta che solo Egger consegnò un promemoria. (4) -Cfr. n. 154.
169

APPUNTO DEL COMM. BROCCHI PER IL CAPO DELL'UFFICIO DI POLITICA ECONOMICA, CIANCARELLI, PER IL CAPO GABINETTO DEL MINISTRO DELLE FINANZE, CONTI ROSSINI, PER IL DIRETTORE GENERALE DELLA PRODUZIONE E DEGLI SCAMBI PRESSO IL MINISTERO DELLE CORPORAZIONI, ANZILOTTI, PER IL DIRETTORE GENERALE DELL'AGRICOLTURA PRESSO IL MINISTERO DELL'AGRICOLTURA E DELLE FORESTE, MARIANI, E PER IL DIRETTORE GENERALE PER LA SOCIETA DELLE NAZIONI, ROSSO

Roma, 26 marzo 1931 (2).

Nella riunione che ha avuto luogo ieri presso S.E. il Ministro degli Affari Esteri con l'intervento delle LL.EE. i Ministri delle Finanze, delle Corporazioni e dell'Agrkoltura (3) è stato concluso quanto segue:

« -S.E. Grandi -Riassume le ragioni per cui la Conferenza Internazionale del granoha per noi singolare importanza a causa della sede e del momento in cui si svolge ed osserva come l'Italia debba avere una attitudine benevola nella forma verso Paesi esportatori evitando allo stesso tempo che in sede della Conferenza si giunga a risoluzioni concrete contrarie ai nostri interessi. Chiarificata così la importanza e portata della Conferenza egli rileva come occorra inquadrarla negli altri recenti avvenimenti economici internazionali, e particolarmente nell'Accordo austro-germanico. Premesso che la importanza politica di questo ultimo è grandissima, pur non potendosi per il momento farsi esatta idea circa le sue conseguenze è peraltro necessario di penetrare nei dettagli dell'Accordo onde esaminarne la portata economica e studiare i riflessi di esso sulla situazione generale europea e in particolare sulla nostra. S. E. il Capo del Governo ha desiderato che si cercasse conoscere quale importanza l'intesa austro-tedesca avrà sullo svolgimento dei nostri traffici e specie sui nostri scambi con la Germania, nonché quale ripercussione recherà sui noti nostri progetti di intese a catena con gli Stati danubiani. Si domanda ora se e come queste intese possano venire armonizzate con l'Accordo austro-tedesco; ed a tal proposito dice che l'Ambasciatore di Germania gli ha affermato di avere già nello scorso novembre richiesto la nostra collaborazione per un piano di azione economica comune nei Balcani... s. -E. Bottai -Circa il lato politico dell'intesa egli non può pronunciarsi; circa il lato economico gli sembra che qualsiasi giudizio sia prematuro prima che l'intesa in questione si traduca in atto; ma ciò non toglie che essa non ci preoccupi e vivamente, in quanto, ad esempio, sarebbe da supporre che un eventuale nostro accordo con l'Austria, potrebbe, 10 dovrebbe venir ad include're automaticamente la Germania. Ciò in quanto essendo riconosciuto che dovremmo passare per l'Austria per giungere alla Jugoslavia, potrebbe derivare dalla recente intesa che per giungere a questa ultima si venisse costretti a passare anche per la Germania...

Guarneri -Premeso che l'accordo austro-germanico non gli sembra sarebbe stato evitabile osserva che nelle conseguenze economiche è da distinguere quale influenza esso abbia circa l'esportazione italiana in Austria e Germania, da quella che esso avrebbe se -nella inotesi accennata da S. E. Grandi -esso venisse ad includere una intima collaborazione-italo germanica. Ai primi due quesiti la risposta è facile; vi sarà una contrazione delle esportazioni italiane, ma non grande, specie per i prodotti agricoli (60 o 80 milioni della esportazione italiana verranno colpiti, precisa il Comm. Anzilotti); circa iì secondo quesito -collaborazione italo germanica -non può non far rilevare come

l) È necessario affrettare quanto più possibile la stipulazione di un accordo economico, sulle note basi, con l'Austria, con particolare riguardo alla opportunità di creare un blocco economico indipendente dalle influenze sia della Germania che della Francia.

2) Negli accordi da stipularsi con l'Austria sarà da stabilire quanto è stato già convenuto negli Accordi preliminari con l'Ungheria, e cioè che durante il periodo in cui l'accordo da concludersi sarebbe rimasto in vigore, nessun accordo dello stesso carattere o con analoghi scopi, potrebbe essere concluso con altri Stati senza l'adesione delle due Parti contraenti.

3) È naturale che l'accordo con l'Austria, come quello con l'Ungheria dovranno servire per giungere ad una conclusione di un accordo anche con la Jugoslavia.

4) L'industria italiana è pronta a qualsiasi soluzione quando si tratti di concludere un accordo al quale prende parte la Jugoslavia.

5) Un accordo con l'Austria che dovesse avere valore anche nei riguardi della Germania non è possibile con riguardo all'industria italiana. Non sono però escluse eventuali intese con la Germania e queste anzi saranno indispensabili per evitare che la Germania chiuda i propri mercati alla nostra esportazione agricola.

i tre quarti della industria italiana (specie la metallurgica e la chimica) verrebbero irrimediabilmente rovinate. Eguale conseguenza invece non si produrrebbe nel caso sempre ipotetico di una analoga collaborazione itala-francese. La collaborazione poi itala-germanica per settori (divisione dei mercati) non potrebbe essere che teoretica trattandosi di dividersi mercati primitivi come i Balcanici che abbisognano di merci semplici. Quindi nell'esame del patto austro-germanico una battuta di aspetto si impone perché lo studio di inserirvi una partecipazione italiana sarebbe per lo meno prematuro.

Anzilotti -Si dichiara in massima d'accordo col Prof. Guarneri e dà lettura di

varie statistiche a conferma di quanto è sopra esposto, specie nei riguardi della difficoltà

di un accordo economico itala-tedesco al fine dello sfruttamento dei Paesi danubiani.

S. E. Bottai -Nell'osservare che da una eventuale collaborazione itala-germanica qualeè stata in ipotesi prospettata l'Agricoltura italiana non subirebbe probabilmente nè danni nè vantaggi, rammenta le varie richieste che talune industrie italiane continuamente glirivolgono per una maggiore protezione nei rispetti della Germania: e ricorda altresì la minaccia di denuncia del trattato commerciale itala-tedesco prospettata dal partitoagrario. Ciò per far risaltare quanto delicata sia la situazione reciproca dei due Paesi.

S. E. Grandi -Si domanda se, astraendo per un momento dalle conseguenze che una eventuale collaborazione con la Germania potrebbe avere, non convenga allora di attivare al massimo le nostre trattative con gli Stati danubiani allo scopo, oltre che di assicurarci vantaggiosi sbocchi, di rendere possibile la formazione di un blocco economico che controbilanci a quello ideato dalla Germania. Ciò gli sembra possibile non essendo ancora realizzata l'intesa austro-tedesca ed essendosi dichiarati disposti gli austriaci a terminare

anzitutto le trattative iniziate con noi...

Ciancarelli -Dichiara che i tecnici sono pronti a trattare con l'Austria, occorrerebbe però che il Ministero delle Corporazioni e la Confederazione Nazionale dell'Industria confermassero la loro volontà di giungere a pratici risultati.

S. E. Bottai -Anche a nome della Confederazione afferma che tale volontà vi è sempre stata purché attraverso l'Austria e l'Ungheria si possa giungere a concludere con la Jugoslavia.

S. E. Grandi -A tal proposito e nel rilevare quanto opportuna sia giunta la recente campagna di stampa chiede se e quali pressioni concrete si possano esercitare sugli jugoslavi per decidere quella Nazione ad un differente atteggiamento verso di noi.

Mariani e Guarneri -Osservano che non è agevole deviare i nostri acquirenti dai mercati jugoslavi a causa dell'attuale convenienza dei prezzi dei prodoti specie animali.. Segue tra i tecnici uno scambio di idee circa la materia dei possibili intercambi fra Italia, Jugoslavia, Austria ed Ungheria; ne scaturisce secondo quanto fa rilevare

s. E. Bottai la necessità assoluta per l'industria italiana di trovare la Jugoslavia pronta a partecipare alle nostre intese. Qualora però le trattative con detto Paese potessero fallire converrebbe seriamente considerare la possibilità di modificare i nostri patti commerciali

con esso...

De Michelis -Condivide l'avviso sulla opportunità di giungere se possibile ad una

conclusione rapida sia con Austria che con Ungheria e ritiene che sia il caso di porre la

Jugoslavia di fronte ad un fatto compiuto che le farebbe sentire quanto pericoloso sia

l'isolamento economico.

Su invito di S. E. Grandi anche gli altri tecnici, compreso Guarneri, si dichiarano

d'accordo sulla convenienza di attivare le trattative già predisposte alle quali il Ministero

delle Corporazioni e la Confederazione Generale dell'Industria -conferma S. E. Bot

tai -daranno tutta la loro attiva e fattiva collaborazione >.

6) Per quanto concerne gli accordi con la Jugoslavia è stata riconosciuta l'inopportunità di adottare per ora dei provvedimenti che possano provare che l'Italia è in grado di arrecare danno economico alla Jugoslavia, tenendo però presente che tali misure potrebbero essere adottate in seguito. Non è da farsi illusioni sulla possibilità di indurre il ceto commerciale a non fare acquisti nella Jugoslavia quando ne avesse la convenienza. È però possibile immaginare dei provvedimenti a simiglianza di misure già adottate in passato, come sarebbe per es. la deviazione della corrente del traffico di transito che passa ora pel territorio jugoslavo, istradandola invece attraverso il territorio austriaco sulla linea di Tarvisio.

7) È stato pure accennato alla possibilità, ove la Jugoslavia non accedesse all'ordine di idee di accordi atti a mettere in equilibrio le reciproche esportazioni, di esercitare un severo controllo amministrativo dal punto di vista sanitario e fitopatologico.

8) È stato accennato a qualche preoccupazione nei riguardi degli effetti che facilitazioni alla Jugoslavia per l'importazione del bestiame, potrebbero avere sul prezzo di mercato del bestiame nazionale. Per ovviare a tale inconveniente è stata prospettata la possibilità di istituire un organo centrale comune di vendita del bestiame importato dall'estero, in modo da livellare i prezzi. ed evitare la concorrenza fra produttori ed importatori e fra questi stessi, senza perciò imporre alcuna restrizione al libero acquisto all'estero da parte dei singoli ed alla libera importazione.

9) È stata pure riconosciuta la convenienza di non attendere la conclusione di accordi con l'Austria e con l'Ungheria, per prendere contatti con la Jugoslavia, ma di iniziare senz'altro trattative con la stessa.

10) Da parte dei presenti (compresa la Confederazione Generale dell'Industria) è stata assicurata un'efficace collaborazione per giungere quanto prima possibile ad un'intesa con i tre Stati Austria, Ungheria e Jugoslavia.

(l) -Con tel. 298 del 25 marzo, ore l, Grandi aveva comunicato a Parigi, Praga e Budapest: « Informola per Sua opportuna norma che R. Governo si riserva di precisare ulteriormente suo punto di vista quando avrà studiato la documentazione richiesta dai Governi austriaco e germanico •. (2) -A Anzilotti il documento fu consegnato il 28 marzo, a Rosso il 9 aprile. (3) -A questa riunione parteciparono anche, fra gli altri, il segretario generale della confederazione dell'industria, Guarneri, il direttore generale dell'agricoltura, Mariani, e il presidente dell'istituto internazionale dell'agricoltura, De Michelis. La riunione fu promossa per discutere le questioni della conferenza internazionale del grano, del patto doganale austro-tedesco, e delle intese economiche itala-danubiane in relazione specialmente al patto suddetto. Del verbale relativo si pubblicano i passi seguenti:
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IL MINISTRO A BUDAPEST, ARLOTTA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. PER CORRIERE RR. 808/67-68-69. Budapest, 26 mar.zo 1931 (pe1·. il 7 aprile).

Mio telegramma n. 65.

Riassumo qui appresso le precise interessanti dichiarazioni fattemi dal Conte Bethlen nel preannunciato colloquio odierno che è 'stato come sempre cordialissimo.

l) Annuncio dell'accordo doganale austro-tedesco gli è giunto del tutto inaspettato causandogli viva sorpresa specialmente dopo le esplicite dichiarazioni negative recentemente fatte ad Ambrozy.

2) Conte Karolyi lo ha informato da Roma che dichiarazioni nello stesso senso erano state fatte a Vienna ad Auriti.

3) Prima impressione qui riportata è stata di aspro risentimento contro

Schober per sua mancanza sincerità; ma dopo più ponderata considerazione

di tutta la complessa situazione Bethlen non (ripeto non) ha accolto punto

di vista prospettatogli da Khuen-Hedervary il quale proponeva rompere ogni

relazione personale col Ministro degli Affari Esteri Austriaco, stimando più

opportuno mantenere atteggiamento di aspettativa che non pregiudichi libertà

di scelta della via più conveniente da seguire a seconda ulteriore svolgimento

degli avvenimenti (1).

4) Pur non approvando modo di ag1re personale di Schober, Bethlen

ritiene quasi certo a sua scusante che gli sia stata forzata la mano all'ultimo

momento dalla Germania anticipando un accordo già da tempo vagheggiato

ma che avrebbe dovuto realizzarsi soltanto in avvenire.

5) Gli risulterebbe da informazioni pervenutegli sia da Berlino che pel

tramite di questo Ministro di Germania, essersi il Governo del Reich indotto

a tale precipitazione (che egli Bethlen disapprova) per creare ad ogni costo un

diversivo al senso di malessere e di preoccupazione suscitato presso opinione

pubblica tedesca dal recente accordo navale temendone essa una graduale più

intima intesa italo-francese. Con ciò risponde anche, mi ha detto, al quesito

che io gli avevo posto in conformità della pagina quattro della lettera riserva

tissima personale direttami dall'E.V. in data 9 c.m. col numero 1011 (2).

6) Questo Ministro di Francia ha fatto ieri passo presso Bethlen per chiedergli in nome del proprio Governo (dopo aver invocato disposizioni del noto protocollo del 1922 ed averlo informato considerare Briand del tutto inaccettabili argomentazioni addottegli da von Hoesch, trattarsi cioè di una prima applicazione del piano per la Paneuropa) punto di vista ungherese nonchè atteggiamento dell'Ungheria qualora venisse richiesta dalla Germania aderire a sua volta ad un'unione doganale che sempre secondo il Quai d'Orsay significherebbe perdita dell'indipendenza economica per l'Ungheria.

7) Conte Bethlen mi ha informato di aver risposto a Ministro di Francia assicurandolo che l'accordo austro-germanico si era elaborato a sua totale insaputa e senza che il Governo ungherese lo avesse nemmeno semplicemente auspicato; ma che data la ineluttabile necessità sentita da tutta q_uesta opinione pubblica di ricercare in un aiuto este1·no un rimedio contro la 'Profonda crisi economica che travaglia il Paese, egli non potrebbe in alcun modo assumere aprioristicamente impegno di rifiutare senza discussione una eventuale adesione ad un valido mezzo di risanamento quale sarebbe indubbiamente quello della libertà d'importazione dei prodotti agricoli ungheresi in Germania che deriverebbe da una simile unione, e ciò anche a costo di un parziale sacrifizio della propria indipendenza economica.

8) Posto ciò nella risposta ufficiale data al Ministro di Francia per non vincolare la propria libertà d'azione, questo Presidente del Consiglio ml ha pregato di riferire confi.denzialmente in suo nome all'E.V. e per di Lei

.l'lelìe mani della Francia}}.

cortese tramite a S.E. il Capo del Governo che egli, pur ritenendo che il progetto austro-tedesco, cosi come è ora formulato urterà a grandi difficoltà per gli ostacoli che gli verranno opposti specialmente dalla Francia sia direttamente e sia dinanzi alla S.d.N., vedrebbe nella eventuale realizzazione di una forma di unione doganale che comprendesse Italia, Austria e Germania, un mezzo di assai alto valore politico per infrangere la Piccola Intesa, giacchè gli interessi agricoli vitali della Romania e della Jugoslavia non potrebbero mancare secondo lui dal provocare l'adesione di queste ultime al nuovo blocco, separandole definitivamente dalla Czecoslovacchia, la cui preoccupazione già

traspare viviss1ma (1).

9) Il sistema di procedura peraltro non conviene sia, sempre secondo

Bethlen, quello di un'adesione successiva dei singoli Stati al binomio Ger

mania-Austria nel quale il Reich ha parte tanto preponderante da far risultare

gli altri (specie per quelli più piccoli) come praticamente assorbiti economi

camente dal primo.

10) Conviene invece presentarsi a negoziare colla Germania come un

gruppo già organicamente costituito in una qualche forma sia pure soltanto

parziale.

11) Ottima sotto ogni aspetto gli sembrerebbe a tale scopo quella esco

gitata dal nostro progetto Brocchi, e desidererebbe pertanto che gli imminenti

nuovi negoziati di Roma cui partecipano Nickl per l'Ungheria e lo stesso

Schi.iller per l'Austria, vengano conclusi al più presto almeno per la durata

di un anno, rinnovabile.

12) Conte Bethlen ritiene che dalle attuali circostanze potrebbe sorgere

facilmente occasione per un chiarimento di tutta la nostra situazione colla

Germania senza alcun obbligo gravoso per noi, ed ha la convinzione che in

tal caso • Berlino sarebbe disposto a pagare • (2).

13) Nei riguardi delle speranze di restaurazione absburgica che i legit

timisti prendono occasione di porre oggi nuovamente sul tappeto quale più

• Dopo le prime 24 ore di non nascosta perplessità, Bethlen seppe sfruttare, indipendentemente dall'opportunità generale di temporeggiare per l'Ungheria (una cui adesione pura e semplice all'accordo austro-germanico avrebbe pctuto impegnarla, pel caso d'insuccesso del medesimo, senza nessun profitto) la situazione anche a proprio vantaggio politicointerno, cogliendo utilmente le manifestazioni di così evidente disappunto da parte cecoslovacca, per dimostrare a tutta questa opinione pubblica che l'occasione sarebbe stata in ogni modo propizia, per determinare quello scompaginamento della Piccola Intesa cui l'Ungheria d'olmi ceto mira quale supremo interesse per la realizzazione delle sue aspi

razioni nazion~li

Cfr. infine quanto scriveva Arlotta nel rapporto 29 marzo cit.:

• Finalmente il Conte Bethlen, riferendosi all'accenno alle relazioni italo-tedesche di cui al punto 12° del medesimo mio telegramma, mi ha spontaneamente oggi detto, confidenzialmente, che la considerazione ivi esposta relativamente alle eventuali disposizioni Germaniche a nostro riguardo, gli sarebbe stata suggerita da parole di significato non dubbio rivoltegli da questo Ministro di Germania. Il Barone von Schon infatti, nel corso di due visite fattegli per intrattenerlo in nome del propr;o Governo sulla auestione dell'atteggiamento ungherese nei riguardi dell'accordo (atteggiamento che il Conte Bethlen mi ha dichiarato di volere, in definitiva, decidere con tutta la ponderazione del caso e sempre previo l'opportuno scambio d'idee col nostro Governo) mentre non gli avrebbe nascosto non essere assolutamente nell'intenzione del Reich che l'offerta di eventuale estensione agli altri stati contenuta nel noto protocollo di Vienna possa essere intesa come rivolta anche alla Polonia o alla Cecoslovachia, né gli avrebbe, del pari, nascosto

efficace antidoto ad un possibile Anschluss, Bethlen dichiara esplidtamcn'.c

di esservi tuttora contrar!issimo (1).

14) Dice che l'unione doganale austro-tedesca specie se fosse destinata

a rimanere così unicamente circoscritta alla Germania ed all'Austria dovreb

besi effettivamente ritenere una prima forma di larvato Anschluss: dichiara di

essere bensì a questo contrario, considerandolo certo poco desiderabile da

parte ungherese, ma che ciò non pertanto se tale eventualità si presentasse

in avvenire, non giungerebbe a muovere in guerra per impedirla.

15) Il Conte Bethlen dichiara nel modo più esplicito e formale di voler

perseverare nella precisa politica di perfetta e continuativa intesa con l'Italia

che ha sempre seguita e mi ha incaricato di pregare S.E. il Capo del Governo

e l'E.V. di volergli far conoscere, non appena ciò risulti possibile, il proprio

punto di vista su tutto quanto precede, essendo egli deciso, mi ha sponta

neamente e testualmente dichiarato, a non muovere alcun passo senza essersi

previamente concertato con noi.

16) A titolo informativo mi ha finalmente aggiunto confidenzialmente

essergli mancata finora l'opportunità di mettere al corrente il Conte Karolyi

su questo suo particolareggiato modo di vedere essendo il Ministro degli Affari

Esteri partito da Budapest prima che si conoscesse l'accordo austro-tedesco (2).

l'interesse politico (sic) che il Reich annette al nuovo aggruppamento che dovrebbe fon

darsi di pari passo al nucleo economico embrionalmente costituito tra Austria e Germania;

gli avrebbe fatto comprendere senza sottintesi quanto terrebbe il Reich ad un appoggio, o

quanto meno ad un atteggiamento di benevola condiscendenza da parte dell'Italia.

Col Conte Bethlen, il quale pur delucidandomi con un certo calore le considerazioni

svoltegli da Schon, non mi ha fatto, peraltro nessuna pressione speciale in tal senso ed

ha anzi approfittato dell'occasione per confermare ancora il proprio consenso all'atteggia

mento italiano, non mi sono, naturalmente, per nulla sbilanciato in un qualsiasi senso

pregiudizievole alla nostra libertà di decisione.

Con riferimento all'attuale visita a Roma dell'ex Ministro Walko ... mi ha detto ancora il

Conte Bethlen che avrebbe assai caro se S. E. il Capo del Governo e l'E. V. giudicassero poter

gli accordare un'udienza confidenziale per un qualche scambio di idee sulla situazione creata

dal recente accordo austro-tedesco, e sulle possibilità che abbiano a derivarne, essendo egli

particolareggiatamente al corrente del suo punto di vista generale al riguardo •.

• Io non sono di questo parere, e credo che ad ogni modo la tesi della decadenza della

convenzione sembra molto bene sostenibile •. Un'altra mano, non identificata, ha annotato: « Quello che, invece, rimane indubbiamente in piedi, secondo il parere dell'Ufficio,

in materia antiasburgica e con efficacia maggiore, è quanto è stato deciso alla Conferenza degli Ambasciatori (dichiarazioni 20 e 21) che non ha limiti di tempo».

« Nel far seguito al mio telegramma posta N. 2635/275 rr. in data 29 marzo u.s., mi riferisco d'altra parte a tutto il materiale documentativo sui sempre attivissimi, per quanto più sereni commenti stampa, concernenti l'accordo doganale austro-tedesco, che ho continuato regolarmente a trasmettere per conoscenza di codesto superiore Dicastero, sia per posta ordinaria e sia a mezzo valigia diplomatica.

Mentre l'azione svolta dai rappresentanti dei due Paesi principali nei due campi contrastanti in cui tende a dividersi l'Europa sulla questione della ' Zollunion ', continua molto attiva nella propria orbita, si può considerare parmi, consolidata la direttiva media in atteggiamento d'attesa e osservazione, con non dubbia preferenza peraltro, a vedere un sopravvento, pel caso non dovesse raggiungersi un terreno conciliativo di intesa, della tendenza germanica. Ciò si spiega, secondo le dichiarazioni chiare che ho già riferito avermi ripetutamente fatte il Conte Bethlen, soprattutto in riguardo all'interesse politico di scompaginamento che l'Ungheria giudica di poter ravvisare nel vario modo con cui qui si è convinti che i tre Stati della Piccola Intesa debbano considerare la questione.

Tale punto di vista mi è stato sostanzialmente confermato da questo Ministro degli Affari Esteri, nei colloqui che ho avuto nel frattempo con lui subito dopo il suo recente ritorno da Roma.

Ciò non esclude, però. che l'azione dell'Inghilterra tendente a deferire l'esame della controversia alla Società delle Nazioni sia stata accolta con soddisfazione, come con compiacimento si è, giusta quanto ho già segnalato a oarte, commentata la notizia riportata

<ialla nostra Stefani degli accenni che S. E. il Capo del Governo ha fatto alle eventuali favorevoli ripercussioni dell'accordo, all'Assemblea dell'Associazione tra le Società per Azioni».

(l) Cfr. quanto comunicò Arlotta con rapporto u.rr. 2635/275 del 29 marzo: « Senonché il Conte Bethlen. da !JOliticn accorto che è, si rese subito conto che il seguire senz"altro l'avviso di atteggiamento risentito che Khuen Hedervary suggeriva (me lo ha confidato lo stesso Bethlen) come !)er rappresagli:t, ad altro non sarebbe valso che a vincolarsi

(2) Cfr. n. 121. p. 185, penultimo capoverso.

(l) Nel rapporto 29 marzo cit. a p. 267, nota l Arlotta cosi scriveva :

(2) Anche secondo la versione ungherese del colloquio fra Bethlen e Arlotta, il primodisse che bisognava cogliere l'occasione per migliorare i rapporti italo-tedeschi e annientare la Piccola Intesa. Cfr. ORMOS, L'opinione, p. 309. Cfr. anche, ibid., la citazione di un rapporto Hory dell'Il aprile, secondo il quale Grandi, !llir contrario all'unione doganale austro-tedesca, si diceva favorevole al riavvicinamento itala-tedesco.

(l) Cfr. una lettera di Pilotti a Ghigi del 10 gennaio nella quale esprimeva l'opinione che la convenzione antiasburgica di Rapallo dovesse considerarsi tuttora in vigore. In margine a questa lettera Guariglia ha annotato:

(2) Cfr. quanto comunicò Arlotta nel rapporto rr. 2816/314 del 4 aprile :

171

IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. 814/102. Vienna, 27 marzo 1931, o1·e 19,30 (per. ore 23,30).

Sono stato ora ricevuto da Schober che si è fatto operare al naso. Gli ho detto innanzitutto dover io affermare senza temere smentite che quello che egli mi aveva comunicato dopo la visita Curtius era quello che io avevo a suo tempo riferito a V.E. (l) e di cui Geisser Celesia gli aveva dato testualmente notizia e non quello che egli aveva posteriormente dichiarato al R. Incaricato d'Affari (2). Questi infatti non essendo stato presente alla mia conversazione non poteva che chieder spiegazioni e prudentemente le volle, ma io ho buone orecchie e buona memoria e non ho ripetuto mai al R. Governo più

-o meno altro che quello che mi si comunicava. Schober non ha detto parola -o fatto gesto per contraddirmi. Ho aggiunto che per questo e per il ripiego di dirci verità formale invece della sostanza S.E. il Capo del Governo non era rimasto punto soddisfatto del suo contegno e mi aveva incaricato di fargliene rimostranza.

Schober con una mano sul naso e con voce lamentevole ha cominciato a giustificarsi gettando tutta la colpa sui tedeschi. Quando Curtius era stato qui il perito tecnico tedesco Ritter aveva discusso con Schiiller circa unione doganale e aveva redatto a scanso di re»ponsabilità noto testo che del resto non era stato firmato. Schiiller aveva assicurato Schober che le difficoltà tecniche per la stipulazione del Trattato sarebbero state numerose e le questioni da regolare gravi. La lunga durata dei negoziati tra austriaci e tedeschi per la conclusione Trattato vigente commercio faceva prevedere che anche più lunghe sarebbero state quelle future per l'unione doganale e che .se anche vi si fosse giunti ciò avrebbe richiesto un paio di anni. Schober rimase inteso con Curtius che per ora non si sarebbe fatto nulla e nemmeno si sarebbe detto checche.ssia, e che se ne sarebbe discusso di nuovo alla fine aprile in vista della riunione Paneuropea di maggio nella quale questione sarebbe stata portata.

Ancora il giorno della mia partenza le cose stavano in tale stato. Se non che il giorno seguente Accordo era inaspettatamente presentato da Briining al Consiglio dei Ministri germanico, ciò che obbligava anche lui di fare lo stesso se non voleva lo si accusasse di avere causato la caduta del Gabinetto tedesco.

Io mi sono limitato a ribattere che, mentre egli mi aveva parlato con:c se nulla fosse stato concluso con i tedeschi, molto invece era stato fatto e di tale importanza da agitare, appena conosciuto, tutta l'Europa. Esprimevo quindi in nome del R. Governo i sensi del suo malcontento ,per tale modo di [comportarsi]. Malgrado dò il Duce mi aveva incarkato comunicargli che noi avremmo esaminato situazione senza eccessiva agitazione e che speravamo ci sarebbe

stato possibile collaborare anche in futuro con l'Austria per prova di amicizia ragioni di carattere politico ed economico.

Schober si è mostrato tanto più riconoscente di queste dichiarazioni amichevoli in quanto seguivano quelle poco gradevoli udite prima e mi ha pregato far pervenire a S.E. il Capo del Governo le espressioni della sua profonda riconoscenza. Come aveva assicurato Henderson che gli aveva telegrafato perché agisse sulla Germania, egli era pronto andare a Ginevra e non voleva affatto mettere l'Europa dinanzi a un fatto compiuto. Se non si riuscirà ad accomodare le cose egli si rivolgerà all'Italia e chiederà di venire con me a tale scopo a Roma.

Ho risposto che ne prendevo atto, ma che sarebbe stato preferibile che all'Italia avesse pensato a tempo debito.

Prima di congedarmi da Schober mi sono fatto dare assicurazione che del contenuto del nostro colloquio non sarebbe stata fatta comunicazione alla stampa. Infatti giornali di ieri avevano previa autorizzazione di questo Ministro inglese riassunto il suo colloquio con Schober.

(l) -Cfr. n. 125. (2) -Cfr. n. 154.
172

PROMEMORIA DEL CAPO DELL'UFFICIO I EUROPA LEVANTE ED AFRICA, PITTALIS, PER IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI (l)

Roma, 27 marzo 1931 (2).

Richiamando il proprio promemoria diretto all'E. V. in data 12 Novembre 1930 con il quale, in attesa venissero adottate definitive decisioni circa le note richieste di assegnazioni annue di fondi per l'azione politica nell'Etiopia e nello Yemen, si pregava V.E. di considerare la possibilità di destinare per quest'anno, sui fondi a Sua disposizione, la somma di L. 500.000 per l'azione politica in Etiopia, la Direzione Generale Europa Levante Africa (Ufficio IV) ha l'onore di segnalare all'attenzione di V.E. le due recenti note, qui unite in copia (3), del R. Ministero delle Colonie.

Con esse S.E. De Bono insiste perché vengano forniti al Governo dell'Eritrea i mezzi per svolgere quell'azione politica periferica, la cui necessità venne riconosciuta nelle note riunioni interministeriali sull'argomento.

La Direzione Generale Europa Levante Africa (Ufficio IV) non può per parte sua che confermare a V.E. il proprio avviso favorevole a concedere i mezzi necessari per lo svolgimento di tale azione periferica nell'Etiopia Settentrionale.

Quivi i nostri Uffici di Gondar, Adua, Debra Marcos, Dessié, relativamente lontani da Addis Abeba ed aventi giurisdizione su territori nei quali

mentre non è ancora determinante l'influenza che può esercitarvi il Governo eentrale, è tuttora notevole il prestigio di cui godiamo, rappresentano a'ltrettanti centri di diffusione della nostra penetrazione nel nord-etiopico, ma tale penetrazione è in funzione diretta dei mezzi di cui essi possono disporre, non solo per elargizioni, doni, prestiti ai Capi, ma anche e soprattutto per migliorare le nostre infermerie, le nostre scuole, i nostr·i ambulatori, per impiantarne di nuovi dove ancora non ne esistono e dove potremmo, se tardiamo, venire, con grave danno politico, preceduti da altri.

A questo proposito la Direzione Generale scrivente deve far presente all'E.V. come l'azione periferica affidata al Governatore dell'Eritrea, oltre ad avere uno scopo che potremmo chiamare offensivo, ossia di penetrazione, ha anche uno scopo difensivo, ossia di consolidamento delle posizioni che noi già occupiamo nel nord-etiopico e che potrebbero anche venire a trovarsi, in epoca più o meno prossima, seriamente minacciate.

Non dobbiamo nasconderei che se negli ultimi decenni noi fummo i soli europei ad essere presenti coi nostri Consoli, coi nostri medici, coi nostri commercianti, nelle regioni del Uollo-Galla, del Goggiam, del Begemeder, del Wolkait, del Tigré, ecc., esercitando ovunque indisturbati la nostra incontrastata influenza, tale situazione di privilegio potrebbe in seguito venire modificata a nostro svantaggio. Non vi è dubbio infatti che la tendenza del Negus Neghesti da un lato ad equilibrare quanto più possibile nel suo Impero le influenze che vi esercitano le val'lie Potenze ed a neutralizzare soprattutto quella che vi esercita l'Italia, e dall'altro l'aumentato interesse che da qualche tempo si mostra un poco ovunque nel mondo alla valorizzazione economica della Abissinia, ·condurranno purtroppo inevitabilmente, a più o meno lunga scadenza, da parte di altri paesi, a tentativi di creare anche nel nord-etiopico, attività e per conseguenza interessi non italiani. Di quanto si è affermato possiamo sin da ora rilevare chiari, se pure ancora sporadici sintomi negli avviati studi per le opere di sbarramento alla sorgente del Nilo Azzurro, nelle progettate costruzioni di strade che da Addis Abeba debbono spingersi sin verso il Uollo-Galla ed il Goggiam per meglio far sentire in quelle lontane regioni l'autorità del Governo centrale, nel recente stabilimento di m~ssionari americani a Dessié, e per contro nell'ostinato atteggiamento del Governo Imperiale contrario alla apertura di vie di comunicazione fra le nostre colonie ed i suoi territori periferici; tutta quella vasta zona che sino ad ora, volente o nolente si è appoggiata economicamente e talvolta anche politicamente all'Eritrea, quel vasto campo insomma che è stato sino ad ora aperto alla sola nostra penetrazione ed alla sola nostra influenza, sembra dover venire seriamente investito dal sud, di dove verranno importati interessi ed idee anti-italiane.

Ciò sta già avvenendo per Dessié, il più meridionale fra i centri del nordetiopico, dove un tempo la nostra influenza, più ancora che prevalente era esclusiva, e dove oggi essa è seriamente minacciata: vi avevamo un ambulatorio, che fu chiuso alcuni anni or sono e al quale è senz'altro subentrato un ospedale delle Missioni americane; i Missionari francesi vi hanno pure aperto una scuola alla quale abbiamo recentemente contrapposto una nostra; come si vede, Dessié può considerarsi ormai completamente • investita , ; essa è dive

nuta un centro di interessi internazionali e di propaganda anti-italiana. Ciò che sta accadendo oggi a Dessié potrebbe in non lontano avvenire ripetersi per Debra Marcos, per Gondar, per Adua.

In tali condizioni noi non possiamo più sperare di mantenere a lungo nel nord-etiopico l'influenza ed il prestigio che vi abbiamo sinora goduto, accontentandoci di « segnare il passo »; i punti di appoggio che dal '96 in poi siamo venuti creandoci oltre confine (Consolati, Agenzie, Ambulatori, Scuole), hanno egregiamente servito allo scopo cui erano destinati sinché essi poterono svolgere indisturbati l'opera loro, ma è dubbio che essi possano permetterei di mantenere inalterati il prestigio e l'influenza nostra ove non si adeguassero alle mutate circostanze, migliorandosi, perfezionandosi, diffondendosi in modo da porci in grado di prevenire, o quanto meno di neutralizzare l'azione, sia essa filantropica, culturale, industriale, commerciale, che altri avesse in animo di svolgere nelle stesse zone, e che sarebbe in ogni caso e sotto ogni forma di grave nocumento per noi.

L'auspicato rafforzamento della nostra azione periferica, che mentre servirà a consolidare le posizioni che già occupiamo, costituirà altresì un più sicuro punto d'appoggio per una ulteriore nostra penetrazione nel nord-etiopico, come giustamente ha già osservato S.E. Astuto nella lettera unita, non è di difficile attuazione per noi che già disponiamo delle basi necessarie a tale compito: organi locali, relazioni coi Capi, esperienza dell'ambiente; essa sarà anche facilitata ove venisse concretato un progetto ora allo studio, per l'impiego di adatti connazionali che si sono volontariamente offerti a mantenere, in forma non ufficiale, utili contatti coi Capi e con le popolazioni d'oltre confine; ma tutto questo non potrà farsi senza mezzi adeguati ed è perciò che la Direzione Generale Europa Levante Africa crede di dover attirare nuovamente l'attenzione dell'E.V. sul delicato argomento e di raccomandare l'assegnazione, per quest'anno, al Governo dell'Eritrea, della somma già stabilita, di mezzo milione di lire, da prelevarsi sui fondi a disposizione di V. E. (1).

(l) -Pittalis firma per l'Ufficio IV. (2) -Sul documento l'anno è, per evidente errore, 1930. (3) -Mancano.
173

L'INCARICATO D'AFFARI AD ANGORA, KOCH, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. PER CORRIERE 868/798/107. Angora, 27 marzo 1931 (per. il 2 aprile).

Nella udienza che il Capo dello Stato accordò a questo Ambasciatore sovietico il 16 corrente in occasione del decimo anniversario del patto di amicizia turco-russo (mio telespresso n. 708/291 del 20 corrente) egli domandò al signor Suritz che cosa si pensasse a Mosca dell'accordo navale testé compiuto dal Governo italiano. L'Ambasciatore avrebbe risposto, in conformità alle comuni

cazioni avute a suo tempo dal suo Governo (telegramma di questa R. Ambasciata n. 76 del 6 corrente), che quell'accordo non ha creato nessuna preoccupazione a Mosca, data la necessità in cui si è tenuto il Governo italiano in tale frangente.

Il Gazi si sarebbe dichiarato con lui soddisfatto di questo punto di vista del Governo sovietico tanto più che era lo stesso che gli aveva espresso Tefik Ruscdi bey.

Il Signor Suritz, nel mettermi confidenzialmente al corrente di questo suo colloquio, non mi ha nascosto la sua impressione che il Presidente della Repubblica fosse animato da una certa preoccupazione per le conseguenze che tale accordo potrebbe avere sulla orientazione politica del nostro Paese, in ciò certamente influenzato da quelle correnti, tuttora qui esistenti anche vicino a lui, che non si sono completamente liberate di un certo spirito di diffidenza nei nostri riguardi e non vedrebbero mal volentieri un riavvicinamento più intimo con Parigi. L'Ambasciatore sovietico, che consacra la sua attività politica in questo paese soprattutto ad impedire questa eventualità ed è pertanto particolarmente sensibile a quanto ad essa possa riferirsi, ritiene che per far cessare certe speculazioni che egli pensa si vanno qui facendo sul recente accordo navale e che riescono tuttavia a scuotere in certa maniera la nostra posizione in questo Paese, sarebbe conveniente che il R. Governo trovasse modo di procedere ad una speciale manifestazione che servisse a confermare la sua orientazione di politica estera e a conferire così un sentimento di maggiore fiducia ai dubbiosi e diffidenti, manifestazione che potrebbe essere data dalla firma di un patto fra i due paesi (egli alludeva certo al protocollo navale: telegramma di S.E. Aloisi n. 419 del 31 dicembre u.s.) (l) o da una visita ufficiale.

Nell'esprimersi egli in tal senso con quella confidenza nata dagli assidui contatti che ho con lui da tre anni, mi è sembrato in definitiva che egli stesso avesse qualche dubbio che a Mosca si potessero nutrire timori dello stesso genere.

Mi ha detto in questa occasione che il signor Litvinoff ha deciso di venire a far visita ufficiale a questo Governo il 29 ottobre prossimo per assistere alla festa nazionale turca. lVIi ha domandato se nulla mi risulta circa una visita qui di V.E., ciò che mi ha dato subito la sensazione che l'invito formulato da Tefik Ruscdi bey di vedere V.E. qui possibilmente immediatamente prima o dopo, o preferibilmente contemporaneamente alla visita di Litvinoff (mio telegramma per corriere N. 101 del 25 corr.) (2) sia dovuto anche a suggestione di Suritz.

ìl) Cfr. serie VII, vol. IX, n. 487.

Cfr. anche quanto comunicò Koch con te!. per corriere 869/801/108 del 29 marzo: « Amba~ciatore sovietivo riferendosi alla conversazione che io ebbi con lui. sulla

questione dell'accordo navale (mio telegramma per corriere N. 107 del 27 corrente), mi ha detto di m·er avuto occasione di intrattenersi sullo stesso argomento con Tefil< Ruscdi bey che si recò ieri da lui.

Il Ministro degli Affari Esteri avrebbe dconosciuto con Suritz che nei circoli politici del paese non tvtt: sono sinceramente convinti delia opportunità di una. politica d'amicizia con l'Italia e che, conclusa la recente inte~n navale corl 1a Francia che rePde maggior1nente perpl2ssi i dubbio~i di tale politica, sarebbe co:::l.vc::n~cnte che il Govern.o italiano procedesse a qualche nuovo accordo con la Turchia che servisse a togliere U!1 1notivo di specul~zjo:ne da. !)art'-; di cc1oro che sor..o rin1asti anche oggi, r:.ei riguardi dell'Italia, con la me~1·

(l) Annotazione a margine del 22 aprile 1931: • Concesso da S. E. Grandi il mezzo milione •·

(2) È il te!. 865/760/101 che non si pubblica.

174

IL CAPO DI STATO MAGGIORE GENERALE, BADOGLIO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

(Copia; Archivio Grandi)

L. P. Tripoli, 28 marzo 1931.

Mi sono deciso a scrivere a V. E. nella mia qualità di Capo di Stato Maggiore Generale. Ma la lettera è indirizzata non solo al Ministro, ma !specialmente all'Amico, e per uso solo dell'amico, e da considerarsi perciò riservatissima.

Quali sono le nostre condizioni militari"? Glie le espongo freddamente, giacché in tale questione vi-è l'abitudine di abbandonarsi ad una stolta retorica.

Esercito -Fra quattro anni potremo con sicurezza mobilitare quaranta divisioni -cifra certamente rispettabile.

Ma vi sono parecchi elementi di debolezza.

l. -Abbiamo una sproporzione di quadri, e cioè troppi ufficiali superiori e pochi inferiori ed un notevole stok di ufficiali promossi durante la guerra che non sono all'altezza del compito loro affidato.

2. --Abbiamo un armamento che è in gran 'Parte costituito da residuati di guerra. 3. --Abbiamo una mobilitazione per forza di cose (configurazione territoriale -sistema ferroviario -densità diversa di popolazione) piuttosto lenta.

Bisogna perciò non avere illusioni che l'e:sercito possa sferrare offensive sin dai primi giorni-che anzi dovrà faticosamente far fronte ad attacchi altrui.

Marina -Con il rinnovamento del materiale la Marina viene a trovarsi in

ottime condizioni -ma difetta di basi.

Ha poi da evolvere nel senso aggressivo giacché la guerra non ha dato ai nostri ufficiali di Marina l'impulso che diede a quelli di terra. È un lavoro al quale dedico ogni mia cura.

Aviazione -È ottimamente preparata come piloti. È invece in condizioni gravi come deficienza di materiale.

Conclusione -Le nostre forze militari sono e saranno sempre più in grado di ri.>olvere una controversia con la Jugoslavia -non lo sono e non lo saranno per una controversia con la Francia. Non cito il caso di Francia e Jugoslavia unite contro di noi -giacché questo sarebbe il vero caso di un nostro suicidio.

Così stando le cose, ho appreso con vero giubilo ~a notizia dell'accordo navale testé concluso. Confesso che incomincio a respirare liberamente.

talità degli anni che precedettero il patto di amiCIZia e che trovano ancora un certo seguito nell'opinione pubblica. Vi son'J !)endenze che regolate ora potrebbero essere opportunamente v3lorizzl:'..te; lasciate in sospeso, sono causa di sospetti da parte di chi nc;condivide c:Jl!l~)~et:li.Tlentè il programn1a di politica italofila di Tefik Ruscdi bey.

Il Signor Suritz mi ;~a detto cl1c nel pensiero del Ministro tali questioni sono pnrt:colarnlente quella della convenzione comn1erciale e quella della spartizion~ degli isG: ')t: i dell"Egeo ».

Tutti i minori Stati europei che attualmente fanno corona alla politica italiana, militarmente valgono meno di un cesto di fave.

Confesso poi che non crederò mai che i Tedeschi si muovano per i nostri begli occhi. Sarebbero ben lieti che qualcuno ci rompesse le costole -come buon premio al tradimento.

Io ritengo che si possa fare una politica forte di dignità nazionale, pur andando di accordo con la Francia. Ciò servirebbe a togliere quella ,pressione angosciosa che sino a ,poco tempo fa gravava anche sulla nostra vita economica.

Io sono molto amico del Maresciallo Pétain, e so che egli condivide le mie idee. Anch'egli si augura il pronto ristabilimento di buone relazioni con noi. Ogni Nazione ha i suoi cicli storici che gravano con fatalità ineluttabile sulle popolazioni. Or bene il ciclo storico nostro è r1parare ai danni della guerra.

Riparazione materiale -ma anche e specialmente morale -giacché molte ma molte coscienze non hanno ritrovato l'equilibrio e la netta distinzione tra l'onesto ed il disonesto.

Plaudo perciò di tutto cuore ai suoi costanti sforzi per togliere tutte le superfici d'attrito. Non ,che questa mia vecchia carcassa sia diventata pavida ed ansiosa soltanto di un comodo riposo.

V. E. mi conosce e sa che anche in questo modesto campo coloniale ho

sovente ridotto alla cinghia i giovani. Ma ripeto l'ora è di consolidare e non già di correre ad altre avventure. Voglia V. E. perdonarmi la lunga chiacchierata. E dopo avere letta questa

mia, abbia la bontà di distruggerla -giacché essa non è conforme alle ,prescrizioni gerarchiche. Ma è però un onesto e leale grido del cuore. Quando Le rimarrà il tempo di venire a riposare un po' da me?

175

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO A BUDAPEST, ARLOTTA

T. 329/44. Roma, 29 marzo 1931, ore 3.

Suoi telegrammi 67, 68, 69 (1).

Prego V.S. ringraziare conte Bethlen per sue comunicazioni facendogli

presente che R. Governo mantiene tuttora atteggiamento riservato e che prima

di prendere ulteriore decisione ritiene necessario, data complessità questione,

studiare attentamente situazione creatasi.

R. Governo è peraltro convinto opportunità attivare nostre negoziazioni profittando presenza Roma Sigg. Nickl e Ferenczy.

(l) Cfr. n. 170.

176

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ORSINI BARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. PER CORRIERE 851/204. Berlino, 29 marzo 1931.

Faccio seguito al mio telegramma N. 202 del 28 corrente (l) per ampliarlo con quelle maggiori informazioni datemi da S.E. von Biilow e che, per ragioni di economia e di chiarezza, ho preferito affidare al corriere di Gabinetto.

S.E. von Biilow ha cominciato col manifestare la sua meraviglia per la sorpresa prodotta nell'opinione pubblica generale dall'iniziativa tedesca. Dell'unione doganale austro-germanica il Governo del Reich ha parlato due anni orsono a Benes, invitandolo a parteciparvi -invito da lui rifiutato adducendo per ragioni che la Germania avrebbe dovuto accordarsi con la Francia e non con l'Austria. L'idea ha cominciato a consolidarsi durante la visita dell'altro anno di Schober a Berlino. A Vienna poi durante la visita di Curtius se ne è parlato anche troppo chiaramente. Basta rileggere le parole pronunziate dal Cancelliere Ender alla partenza del Ministro degli Esteri germani,co per rendersi conto come proprio di sorpresa non possa parlarsi.

Avendogli io accennato alle assicurazioni date da Schober al Comm. Auriti

(v. telegramma di V.E. n. 283 R.) (2) che cioè • vi era stata da parte di Curtius una proposta di unione doganale ma che non era stata da lui accettata, poiché riponeva le sue speranze nei noti accordi regionali •, Biilow mi ha detto che evidentemente vi deve essere un equivoco: perché al momento di separarsi Curtius e Schober erano rimasti d'accordo di non fare mistero dell'idea e degli studi in corso per un assimilamento doganale -soltanto di mantenere il segreto sulla data e sulla forma della prossima iniziativa. A ciò risponde quanto Biilow ebbe a dirmi a suo tempo (v. mio telegramma n. 155 del 12 corrente).

• Se ne parla da tanti anni di questa unione che i diplomatici, osservava Biilow, hanno finito per crederla irrealizzabile e quindi a non portarvi attenzione ».

Nelle conversazioni a Vienna Curtius e Schober avevano combinato di rendere di pubblica ragione l'accordo de contrahendo, a Ginevra, in occasione

« Ho avuto con il Segretario di Stato Bi.ilow. che in questi ultimi tempi si è sempre più affermato come vero manipolatore in lavori diretti Cancelliere germanico politica estera tedesca, colloquio nel corso del quale ho eseguito istruzioni di V. E. Segretario di Stato ha riconosciuto che un rincrescevole accavallarsi circostanze impreviste, necessità non perdere un'ora di tempo nel prendere iniziative, ha impedito Governo tedesco fare in precedenza sugli altri due Gabinetti a quello di Roma divisate comunicazioni in proposito, mentre ha permesso a quello francese di fare a Roma un primo passo che avrebbe potuto avere conseguenze pregiudizievoli. Sono stati inviati Schubert due telegrammi perché convinca V. E. che Governo tedesco non solo non ha voluto adombrare desiderata amicizia cordiale con l'Italia con un procedimento meno che leale, ma che rammarica accaduto. Segretario di Stato aggiungeva Governo tedesco non merita rimprovero fatto da V. E. a Schubert di minore abilità di quello francese. Ogni Governo deve intonare sua azione qualità proprio popolo: popolo tedesco è molto più difficile guidare (di quello) francese. Condizioni attuali Governo tedesco, necessità procedere d'accordo con quello austriaco dove anche si è temuto improvviso ritorno Seipel -non hanno concesso Cancelliere germanico, Ministro degli Affari Esteri quella rapida decisione che ha avuto Briand.... Bi.ilow ha terminato manifestando soddisfazione r>er contegno stampa italiana».

della riunione del maggio prossimo. Il sentore che si aveva avuto qui d' • indiscrezioni • e il timore di • passi contrari • da qualche parte, avevano indotto i due Governi a cambiare idea -fu convenuto di ,pubblicarlo subito dopo Pasqua -e fra Curtius e Biilow era stato parlato di darne a V.E. conoscenza otto giorni prima che a Briand e a Henderson, quando tanto a Berlino che a Vienna, sopravvenne la preoccupazione di una pressione di Briand su Henderson in occasione del loro incontro a Parigi. È stata questa preoccupazione -dagli avvenimenti dimostrata giustificata -che ha fatto precipitare la cosa in modo che non fu possibile realizzare la divisata preferenza a favore del Gabinetto di Roma. Si aggiunga che Curtius non rpotette nemmeno incaricare von Schubert di fare a V.E. una comunicazione preliminare, perché quando von Schubert partì di qui domenica 15 marzo, non si era a Berlino più sicuri del consenso di Schober, dato il repentino ritorno a Vienna di Monsignor Seipel. La sicurezza dell'accordo si è avuta qui dopo il Consiglio dei Ministri a Vienna (giovedì 19 marzo) e la lettera di Schober è arrivata a Berlino sabato 21 marzo, giorno dell'avvenuta comunicazione ai tre Gabinetti.

Questa, Biilow mi diceva, è la vera cronistoria. • Ben lontano era dalla mente del Governo germanico, di compiere una trascuranza che adombrasse la cordialità dei rapporti che noi intendiamo mantenere con S.E. Grandi e il Gabinetto di Roma -tanto meno quando il Governo germanico ha maggior bisogno di quella amicizia '. Il signor von Biilow esprimeva la speranza che questa delucidazione e le parole di von Schubert varranno a togliere dall'animo del Governo italiano la " cattiva , impressione riportata nel primo momento.

Egli poi dicevami che Curtius ieri aveva ricevuto ril Ministro di Ungheria, che aveva lungamente con lui parlato per tranquillizzarlo e togliergli dall'animo la penosa impressione prodotta anche a Budapest dalla « sorpresa ". Lo aveva assicurato che il Governo germanico non intendeva affatto " isolare , , nel terreno degli accordi doganali, l'Ungheria, tutt'altro! a tal fine aveva dato ordine di attivare quelle trattative commerciali tra i due Stati che da tempo si trascinano, senza arrivare ad una conclusione.

Il Signor von Bi.ilow, passando a parlare della Cecoslovacchia, osservava che l'iniziativa austro-germanica ha dato un nuovo colpo alla Piccola Intesa, oramai affetta da esaurimento ;;enile. Se il signor Benes non vuole isolare il proprio paese dovrà finire, forse, per seguire il consiglio dei tedeschi dei Sudeti e cercare un accordo con il nuovo futuro aggruppamento dell'Europa Centrale.

L'unione doganale austro-germanica, concludeva il signor von Bi.iluw, sarà in un tempo più o meno corto una realtà. Le arti del signor Briand non arriveranno ad arrestare una realizzazione, che sarà vantaggiosa all'economia continentale e alla pace.

La fiducia del signor von Billow, cui corrisponde nell'opinione pubblica una ripresa dei sentimenti di ra:~za e di fierezza nazionale, non è da tutti qui divisa, come già ho riferito a V. E. Le difficoltà nasceranno al momento della discussione per la realizzazione dell'idea. E queste difficoltà sono per molta gente cosl evidenti ehe essa si domanda se per caso l'iniziativa austrogermanica non sia per essere un nuovo strumento di pressione su Parigi ed in generale sulle Potenze creditriei.

(l) È il tel. 825/202 con cui Orsini Baroni rispondeva al n. 168. Se ne pubblicano passi seguenti :

(2) È la comunicazione a Berlino del contenuto del n. 125.

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APPUNTO DELL'AMBASCIATORE D'INGHILTERRA A ROMA, GRAHAM (l)

Roma, 31 marzo 1931.

I fully share concern of Signor Grandi at situation which has developed

and at interpretation of bases of agreement now put forward by French Govern

ment. You should make it clear to Signor Grandi that formula drawn up in

Paris was devised to take account of Italian position, as well as of our own,

and that there can of course be no question of proceeding with it if it is

unacceptable to Italy. An unfortunate misunderstanding has arisen, Itilian

Government and His Majesty's Government interpreting bases of agreement

dealing with construction for completion after 1936 .in one sense and French

Government in another sense. In view of deplorable politica! effects of a

breakdown of negotiations at this stage, we must clearly do everything in our

power to avert it and I appeal to Signor Grandi to examine whether there

is not some solution which Italian Government would favour in preference

to a rupture of negotiations. We have all of us examined the problem entirely

f:·ankly and in our negotiations with our Italian and French colleagues we

have been at pains to secure from the French in the course of our long discus

sions concessions desired by Italy, and I trust I may count on Signor Grandi's

continuous cooperation in the present difficult situation.

I am pained to think that action of mine may have caused such embarrassment to Signor Grandi as to have caused him to place his resignation in Signor :viussolini's hands (2).

« Ho ricevuto la lettera del Comandante Maroni, con la quale egli mi prospetta il tuo pensiero, che riassumo :

l -Convenienza di continuare, per ragioni di tattica, le conversazioni con i francesi.

2 -Idea americana -che sembra appoggiata dagli inglesi -di fare netta distinzione tra navi effettivamente impostate, e navi che sono ancora da impostare, anche se autorizzate.

3 -Necessità di impostare tutte le navi del nostro programma 1930-31.

4 -Impostazione delle navi comprese nel programma 1931-32, da enunziarsi eventualmente nel caso che la proposta di tregua degli armamenti da Te avanzata, non possa avere pratica attuazione. Rispondo ai vari quesiti, osservando subito che non ho nulla da obiettare a quanto si riferisce al paragrafo 1o.

Ho già dato disposizioni perché tutte le navi del programma 1930-31 siano impostate. Ciò premesso, ritengo farti presente le mie obiezioni al concetto della netta distinzione tra navi effettivamente impostate e navi autorizzate. Non è possibile infatti accettare tale concetto, che non risponde a nessuna realtà costruttiva, e che non ha, né può avere una portata pratica. Uno Stato, che avesse ottenuto dal suo Parlamento l'approvazione di un programma navale, potrebbe senza nessuna difficoltà mettere sugli scali una lamiera di chiglia, e cosi affermare di aver impostate le sue navi...

Ho visto ieri il Capo, che mi è sembrato molto soddisfatto dei lavori di Ginevra. Egli è pensoso del problema economico mondiale e si domanda se l'attuale situazione sia da definirsi un problema economico o un problema di organizzazione.

Ti seguiamo con vivissimo interesse e con molta soddisfazione. Il tuo discorso che non aveva il consueto tono ambientale, è stato apprezzato in ogni ambiente, anche perché sviluppa tesi comprensibili , .

11 -Documenti diplomatici-Serie VII-Vol. X

(l) -Annotazione a margine: «Rimesso dall'Ambasciatore di Gran Bretagna a S. E. il Mmistro il 31-3-1931 ». L'appunto riproduce una comunicazione di Henderson. (2) -Sull'atteggiamento dell'Inghilterra in questa fase del negoziato navale italo-francese cfr. DB, II, nn. 326, 327, 328, 330, 332, 333, 334, che recano anche notizie sulle reazioni dell'Italia e, tra l'altro, sulla offerta delle proprie dimissioni da parte di Grandi. Si pubblicano q m di seguito due passi di una lettera di Sirianni a Grandi del 15 settembre (USM, Cart. 3291/6):
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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO A BELGRADO, GALLI

D. 1541. Roma, l aprile 1931.

Ho ricevuto il Suo rapporto del 20 corrente (1).

Sono-e non da ora-perfettamente d'accordo ·con V. S. che spetti, oramai, al Governo jugoslavo di parlare e pronunciarsi concretamente, perché si possano proseguire utilmente conversazioni su argomenti fondamentali, politid ed economici.

Due volte ho avuto occasione, a Ginevra, di precisare a Marinkovich, nel settembre (2) e nel gennaio scor:si (3), i punti fermi della politica itailiana soprattutto nei riguardi dell'Albania. In ambedue i colloqui eravamo rimasti d'accordo di continuare, e mettere a punto l'esame delle rispettive vedute in colloqui successivi ·che avrebbero dovuto aver ·luogo qui o a Belgrado.

Ella 1sa che, mentre dopo il colloquio del settembre, da Belgrado si è tentato di rap~presentarmi a Londra ed a.Itrove come poco sinceramente disposto ad un esame amichevole della .situazione itala-jugoslava, tanto da evitare di ricevere Rakic, d'altra parte lo stesso Rakic non ha mai avuto alcunché di importante da comunicarmi, che potesse, anche lontanamente, essere ·Considerato una dsposta jugoslava alle premesse da me esposte a Marinkovich a Ginevra.

La stessa cosa si è ripetuta dopo l'ultimo coHoquio del gennaio. Ho, anzi, creduto, recentemente, di far richiamare la seria attenzione del signor Rakic, al momento in cui egli stava per parti<re per Davos a visita,re Marinkovich, sulla gravità dell'argomento che agitavano, ed agitano sempre di più, i circoli economici i·taliani, e cioè quello dello sbilancio nei traffici dei due paesi. Dopo di aver conferito col suo Ministro a Davos e dopo di aver fatto una permanenza di vari giorni a Belgrado, Rakic si è limitato, in questi giorni, a far sapere che il suo Governo era dilsposto a trattare con noi deUe questioni economiche, ma che, peraltro, egli riteneva che tali questioni non avrebbero mai potuto ottenere un pratico asse.tto ·che in una migliorata condizione delle relazioni politiche itala-jugoslave. A questa constatazione lapalis:siana -fatta p!rorpl!'io nel momento in ·cui 1si intensificano in .Jugos,lavia manifestazioni di ostil:ità all'Ita.Iia -il signor Raroic non ha creduto, almeno per ora, aggiungere altro né ha chiesto di essere da me ricevuto.

Non è, forse, fuori luogo il pensare che J'atteggiamento progressivamente sfuggente, dal settembre ad oggi, del Governo .Jugoslavo, nei riguardi nostri, sia, almeno in parte, da attribuirsi ad influenze francesi, desiderose, forse, che la via da Belgrado a Roma ·passi per Parigi. Mi ·confermerebbe in questa supposizione il fatto che, nel corso di una recentissima conversazione ·che ho avuto con questo Ambasciatore di Francia (4), questi mi ha fatto cenno alla convenienza

di un accordo franco-italo-jugoslavo, destinato a garantirci da una aggressione

sulla frontiera Giulia.

Comunque, dato che :la nostra posizione è attualmente que9ta -e mi riferisco all'attesa di istruzioni di cui Ella ha :flatto •cenno a Madnkovich in fine della sua ·conversazione -non si presenta per noi alcuna opportun~tà di farci ulteriormente parte diligente e ci conviene aspetta.re che la Jugoslavia cessi di • marcare il passo •.

Ritengo, ad ogni modo, utHe chiarire H mio pensiero circa H secondo punto di cui la S. V. ha fatto •cenno a Marinkovich: una adeSiione della Jugoslavia alla Dichiarazione del 21.

La D1ch~arazione del 21, ·che .riconosce i nostri interessi strateg~ci. in Albania, non è un • patto • né, per la Jugoslavia una • res inter alios •. È uno svilu~po della contemporanea e fondamentale Di>chiarazione de:!Jla Conferenza degli Ambas.ciatori, organo esecutivo di tutti gli Stati fixmatal1i dei Trattati di pace per l'applicazione degli ,stessi, colla quale si rioonierma la costituzione dello Stato sovrano ed indipendente dell'Albania nei ·confini del 1913, di cui L9i. dispone iJ. perfezionamento. La Conferenza neLl'altra Dichia:MZione che ci concerne, si è preoccupata di garantire la •sicurezza dello Stato, cui si veniva a da·re un nuovo atto di nascita, •collo stabilire la possibilità e J.e modalità dii un suo rtcor.so, in caso di pericolo, a1la Società deHe Nazioni. Nella Dkhiarazione stessa, poi, le principali Potenze, di Jìronte alla nostra rinuncia a valerci de1le concessioni a noi fatte in Albania, dalle 1stesse Potenze, col Patto di Londra, rinuncia dettata dal desiderio ·di permettere la •costituzione tntegrale ed indipendente dello Stato albanese, ed evidentemente subordinata aHa pratica realizzazione deltla sicurezza di tale costituzione, hanno assunto il noto impegno.

La speciale situazione delle principali Potenze di fronte all'Italia, per rriguardo aWAlbania, aill'infuori deHa Società deile Nazioni, viene, del ;resto, riconfermata dall'all"ticolo IV deHa Dichiarazione:

• Au cas où le Conseil de la S.d.N. décideralit, à la majorité qu'une intervention de sa part n'est pas utile, les Gouvernements susdits examineront ila question à nouveau s'inspirant du principe ·contenu dans 1le préambuil.e de cette Déclaration, à savoir, que toutes modifications des frontières de l'Albanie constituent un danger pour la sécurité stratégique de l'Italie •.

Questo complesso di decisioni della Conferenza degLi AmbalsiCiatori registrate, e senza opposizione, alla Società delle Nazioni, di cui .la Jugoslavia fa parte, non possono né essere di'sconosciute, né essere oggetto di adesione da parte del Governo di Be•lgrado, firmatario dei Trattati di pace.

La Jugoslavia non potrebbe che .prendere, singolarmente, un impegno analogo a quello assunto dalle grandi Potenze nella Dichiarazione, e cioè di appoggiare nel Consiglio ove se ne presentasse il •Caso, un mandato all'Italia di ristabilire l'ordine in Albania. Evidentemente tale impegno, per il fatto stesso che la Jugoslavia non ha seggio permanente nel Consiglio della S.d.N. non potrebbe che assumere •la forma di un patto con noi. Ora ritengo ci potremmo contentare soltanto di questo, a conclusione di una intesa fra noi e la JugoiSilavia per la questione albanese. E del resto, dal momento che pur essendosi Marinkovich mostrato disposto con me a riconoscere 1la prem~nenza dei nostri intereslsi eco

nomici in Mbania, il Re Alessandro ha insistito •con Henderson sopra l'impossibilità di ammettere l'invio in A·lbania di truppe 'italiane neppure nell'evenienza ormai incontrovertibile consacrata nella Dichiarazione del 21, né la Jugoslavia sembra disposta a mettersi sulla via di una simile intesa, né a noi può convenire di porre nuovamente con essa in discussione un documento ormai perfetto e ·che fa parte degli statuti di fondazione dell'attuale Stato arlbanese.

Quanto a Henderson ed ai suoi progetti di un patto diretto jugoslavo-albanese, ritengo che, allo stato attuale delle cose, tali tentativi con Tirana sarebbero votati ad un insucces1s.o. Ad ogni modo credo assai utile che la S. V. continui a mantenere col Ministro britannico i più cordiali rapporti anche per questo a·rgomento. E non tanto perché Henderson debba essere interessato alla situazione itala-jugoslava giacché questa, da qua·lsiasi inframmettenza inglese

o francese, non potrebbe che essere resa più difficile. Ma perché è utile che Henderson nei suoi colloqui con Re Alessandro come nei rapporti al Foreign Office sull'Albania, possa tener conto di quegli elementi che la S. V. può fornirgli e che possano chiarire Je sue concezioni semplificate.

Un patto di.retto di neutralità jugoslavo-albanese o sarebbe irrilevante dati i legami di aHeanza che els,istono f,ra Albania e Italia, o dovrebbe, in qualche modo, infirmare questi legami e porsi in contrasto colla ,posizione italiana. Ora Henderson dovrebbe tener in conto ciò di cui si è dovuto tener conto ogni volta che sono state in giuoco situazioni adriatico-albanesi, a cominciare dall'Impero austro-ungarico, che nuHa di serio, di sicuro, di concreto può far·si nei riguardi dell'Albania, contro ed all'infuori dell'Italia. La chiave de'l pericolo, da cui Henderson vorrebbe garantire la frontiera jugoslavo-albane1se, col suo patto di neutralità, é nelle mani della stessa Jugoslavia. L'ItaHa ha un solo e precipuo interesse: di agire in Albania per organizzare, sotto ogni riguardo, lo Stato e renderlo capace di garantire la propria completa sicurezza ed indipendenza, dato che questa è un riconosciuto e fondamentale interesse della 1stessa sicurezza italiana, e dato che per questo scopo ha rinunciato a valersi dei vantaggi del Patto di Londra. Non ha, né ·potrebbe avere, altre finalità ed altre mire. E di questo ci siamo già dichiarati disposti a garantire la Jugoslavia. La soluzione della situazione va quindi ricercata, se Hende·rson crede di dedicarcisi, nel chiarimento delle mire e delle finalità jugoslave.

(l) -Cfr. n. 148. (2) -Cfr. serie VII, vol. IX, n. 241. (3) -Cfr. n. 30. (4) -Cfr. n. 136.
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IL PRESIDENTE DELLA CONFEDERAZIONE GENERALE FASCISTA DELL'INDUSTRIA, BENNI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

L. 3756/Co/R. Roma, l aprile 1931.

Ho [etto col più vivo interesse la relazione presentata a S. E. il Capo del Governo daU'On. Baragio,la sui risultati della esplorazione commerciale da lui eseguita nell'Africa Centrale.

Per parte mia sono perfettamente convinto deWoppoirtunità di tentare la penetrazione di quei mercati a cui sembra riservato un brillante avvenire. Le difficoltà da superare sono tuttavia molte e ,gravi, a ,cominciare da queHa di trovare il capitale disposto a correre H rischio dell'impre'Sia e ad aspettare tutto il tempo necessario perché il commercio si !sviluppi al punto da diventare ~rimunerativo.

Comunque, non mancherò, come ti ho detto nella mia del 24 dicembre u.s., di esaminare il problema con tutto l'interessamento che merita, non appena il Dott. Bordoni avrà fatto ritorno dal suo viaggio di ricognizione.

180

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, CHIARAMONTE BORDONARO

T. 339/91. Roma, 2 apTile 1931, ore 24.

Telegramma di V. E. n. 168. Non ,riesco a rendermi conto di ciò che abbia potuto motivare irritazione di Henderson per pretese nostre impressioni circa suo modo di agire nelle recenti trattative navali. Lettera del Ministro della Marina francerse a Sirianni (l) contiene unicamente notifica delle intenzioni francesi drca ,costruzione di una nave di linea e di un porta-aeroplani nonché espressioni generiche di compiacimento per accordo raggiunto.

Ricevetti a suo tempo pel tramite di quest'Ambasciata britannica comunicazione di Henderson della formula da lui concordata a Parigi con Briand (2) e risposi col mio telegramma n. 82 diretto a V. E. Contemporaneamente Rosso mi informava da Londra pe:-espressa richiesta di Craigie che formula stessa non era stata accettata da Foreign Office né da Ammiragliato Britannico.

Al messaggio rimessomi martedì scorso da Graham ho creduto aver risposto per lo !stesso tramite assicurando questo Ambasciatore di InghiUer,ra che apprezzavo attitudine amichevole di Henderson e sforzi da lui fatti per superare difficoltà. Naturalmente non gH ho potuto che confermare mia penosa impressione per persistenza con la quale francesi hanno cercato ancora recentemente nei loro colloqui di Parigi con Henderson stesso di far prevalere (neUa questione del naviglio da impolstare prima del 1936 per essere completato nel 1937, 1938 e 1939) intel'pretazione che dobbiamo giudicare contraria aHo spirito ed alla lettera delle basi d'accmdo e contro la quale sono insorti stessi esperti britannici durante lavori del Comitato di redazione (3). Signor Henderson deve rendersi conto che ,si tratta di una questione pe,r noi fondamentale, e che accettazione della tesi francese significherebbe 'sostanziale modifica dell'accordo quale è stato da noi concepito ed accettato e qua,le è stato da me esposto davanti al

Gran Consiglio Fascista e davanti aHa Camera dei Deputati. Nessuno più di me depreca fallimento dell'accordo e sono sempre pronto esaminare qualsiasi formula purché non si voglia con essa forzarmi a riconoscere pretesa francese che -ripeto -giudico contraria alla lettera ed allo spirito delle basi d'accordo (1).

(l) -Per questa lettera, e per altre notizie, cfr. DB, II, nn. 337, 338, 340. (2) -Cfr. n. 177. (3) -Sul comitato di redazione cf.r. p. 242, nota 2.
181

APPUNTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, SUL COLLOQUIO CON L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, BEAUMARCHAIS

Roma, 2 aprile 1931.

Grandi -Nell'ultimo nostro colloquio (2) mi avete pregato di mettervi in grado prima della vostra pa,rtenza per Parigi in occasione delle feste Pasquali di riferire qua1l,cosa di concreto al signor Briand in merito agli argomenti e alle questioni da voi esposte e sulle quali mi sono rriservato una risposta. Voi vi rendete perfettamente conto che dopo gli avvenimenti di questi ultimi giorni che mettono in pericolo, e in serio pericolo, la conclusione dell'accordo navale, è assai difficile che io possa esprimervi un giudizio qualsiasi sulle questioni che voi avete sottoposto, d'ordine del vostro Governo, aU'attenzione del Governo italiano. Esse sono d'altra parte le solite antiche questioni.

Beaumarchais -Voi sapete che io sono completamente all'oscuro di tutto quanto si riferisce all'accordo navale. Data la situazione che si è determinata non ritengo opportuno allontanarmi da Roma. Stélllllane mi è ,pervenuto un dispaccio da Parigi nel qua1le mi si incal'ica di rimettervi personalmente questa lettera del signor Briand (3).

Grandi (dopo aver letto la lettera) -Potete dire al signor Briand che anch'io mi rifiuto di credere ,che tutto il lavoro di tredi,ci mesi ed i risultati faticosamente raggiunti possano venire comrp,romessi all'ultima ora. Ditegli che ho ,fiducia nel ,suo senso di equità e di lealtà. Ritengo infatti che egli non sia esattamente al corrente di quanto gli esperti navali francesi hanno fatto e detto a Londra recentemente.

L'accordo navale è il risultato di una volontà politica, che ha lasciato insoddisfatte le due Marine. Ciò è comprensibile. La Marina italiana ha accettato con disdplina la volontà del Capo del Governo. La Marina francese non s,embra avere parimenti accettato la volontà del Governo francese, quale appariva nel telegramma che il signor Briand ha spedito a Roma H l o di marzo. Confido che H signor Briand potrà e vorrà usare del suo prestigio e della sua autorità in questo momento che è indubbiamente delicato. È superfluo che io insista sul carattere di gravità che potrebbe avere una disillusione, nei rapporti fra i due Paesi. Questa disillusione sarebbe tanto più grande in quanto che il Governo italiano ha 'Considerato e 'considera tuttora ['accordo navale come il primo im

portante passo per un chiarimento definitivo e generale ne1la politica dei due Paesi. Il Governo italiano era ed è since,ramente su questa strada.

Beaumarchais -Riferirò testualmente al ,signor Briand. Potete dirmi qualcosa sull'attitudine de'l Governo itaUano in merito all'accordo doganale austrotedesco?

Grandi -Nulla di nuovo. Attendo i risultati degli studi che gli organi tecnici !stanno tuttora facendo. Dopo di che il Capo del Governo prende,rà 'le sue decisioni. Abbiamo tempo sino alla ,riunione del Consiglio e cioè un mese e mezzo.

Beaumarchais -Allora il Governo italiano ha appoggiato la proposta Henderson?

Grandi -Accettato, non appoggiato. Dal 'PUnto di vista della procedura la cosa è perfettamente normale. Del resto lo stesso Governo di Berlino e queJ,lo di Vienna non hanno fatto diflkoltà.

Beaumarchais -Avete fatto comunicazioni in tal senso al Governo francese, al Governo tedesco ed austriaco?

Grandi -No. Non è assolutamente il caso. Il Governo britannico nella sua qualità di membro del Consiglio e firmatario del ProtocoUo del 1922, ci ha informato che avrebbe domandato al Seg,retario Gene,rale dehla Lega delle Nazioni di porre la questione dell'accordo doganale austro-tedesco all'ordine del giorno del prossimo Consiglio, e ci ha domandato se avevamo nulla in contrario. Evidentemente il Governo italiano non poteva avere nulla da eccepire (1).

(l) -II 5 aprile Grandi inviò un messaggio a Henderson (DB, II, n. 342). (2) -Grandi allude al colloquio del 17 marzo (cfr. n. 136). (3) -Cfr. p. 288; nota 3.
182

APPUNTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, SUL COLLOQUIO CON L'AMBASCIATORE DI GERMANIA A ROMA, SCHUBERT

(ACS, Carte Grandi, fase. 5)

Roma, 2 aprile 1931.

Von Schubert (che domandava insistentemente di vedermi da varì giorni e che io ho voluto fare un po' aspettare) -Ha 'cominciato con l'esprimere la gratitudine sua e del isuo Governo per ,le a,c,coglienze cordiali fatte al Ministro delle Comunicazioni tedesco von Guérard da parte del Ministero dell'Aria e del Governo Italiano. È quindi entrato a parla,re dell'accordo doganale austro-tedesco. • Il Gov,erno di Berlino è grato anzHutto per l'attitudine benevola... •·

Grandi -• Benevola? Non direi. Anzi il contrario. Il Governo italiano riserva le sue deeisioni e prenderà un'attitudine precisa nella prossima riunione de'l Cons:iglio della Società delle Nazioni, che sarà chiamato ad esaminare la questione. Per ora non vi posso ,s'e non confermare quello che vi ho già detto

c Non ora~.

e quello che l'Ambasdatore d'Italia a Berlino ha avuto l'incarico di dichiarare al Governo del Reich. La conclusione dell'accordo austro-tedesco, le circostanze che lo hanno preparato, il modo con cui esso è stato portato alla conoscenza del Governo italiano, ha prodotto in noi una sgradevole impressione. Il Governo del Reich, in questa questione c:jsì importante e delicata ha considerato il Governo italiano alla stessa stregua del Governo francese e cecoslova:oco. Sarebbe quindi perfettamente naturale che il Governo italiano si pronunciasse in definitiva nella stessa guisa del Governo di Parigi e di Praga ".

Von Schubert -Mostra un evidente imbarazzo. Mi ripete presso a poco, abbondando in particolari, le dichiarazioni fatte da von Biilow all'Ambasciatore Orsini Baroni e contenute nei due recenti telegrammi pervenuti da Be11lino (1).

• Era nel desiderio del Governo tedesco preavvisare l'Italia ma una serie di circostanze impreviste ce lo ha impedito •.

Grandi -• Dovete ammettere che in queste circostanze il problema della collaborazione itala-tedesca nel ·campo della politica .generale si presenta difficile. A parte U giudizio di merito sull'accordo, è fuori dubbio che eSiso, come atto internazionale, è stato intempestivo. Non vor,rei finisse per essere, in definitiva, un servizio reso alla politica degli ex-alleati, ossia alla Francia ".

Von Schubert-«.Anch'io mi son domandato se il momento è ,stato ben scelto, ma debbo onestamente concludere in senso affermativo. Mi rendo conto del vostro stato d'animo e lo giusti·fico pienamente. Ma il Governo del Reich non poteva ·aspettare. L'accordo austro-tedesco non è I'Anschluss, .l'Anschluss è un fantasma... •.

Grandi-• Non bisogna evocare i fantasmi... "·

Von Schubert-• È vero, ma io penso che l'Anschluss, o è una cosa fatale ed essa si realizzerà malgrado tutto, oppure essa non sarà fatale ed allora non è l'unione doganale ·che potrà determinarla. Ma poi, a Berlino mi hanno assicurato che dail costituirsi di una :f\rontiera doganale comune austro-tedesca l'Italia potrà ricavare dei concreti benefici. Inoltre l'accordo austro-tedes:co colpisce in pieno la politica frances.e nell'Europa orientale, indebolii.s:ce la Piccola Intesa, crea un fatto nuovo nella politica danubiana. Non è questo un diretto vantaggio per il'Italia?

Mi rendo perfettamente conto che il Governo italiano consideri l'accordo austro-tedesco ·Come suscettibHe di influenzare in senso sfavorevole le trattative in corso tra Italia, Austria, Ungheria e Jugoslavia. A questo proposito sono autorizzato a dichiararvi che il Governo di Berlino desidera fare di tutto per non o1stacolare anzi favorire queste trattative riservandosi in seguito di accedere eventualmente agli accordi che fossero conclusi dall'Italia coi suddetti Paesi. Il Governo di Berlino gradirà di conoscere a ta•l riguardo l'avviso degli organi competenti del Governo italiano onde armonizzare possibHmente su tutta l'intera materia le direttive di Berlino con quelle di Roma ".

Grandi -• Metterò al corrente i miei colleghi dell'Economia e dell'Agricoltura di questa offerta tedesca. A tal rigua·rdo desidero rettificare una cir

costanza di fatto. È bensì vero che qualche mese or sono il Governo di Berlino, per volstro tramite, offerse di prendere dei contatti coi tecnici italiani per studiare una eventuale ·collaborazione economica nei mercati danubiani. Dopo di ciò la nostra Delegazione alla Conferenza economica di Ginevm .prese nel novembre scorso necessari contatti con quella germanica, ma non ne ebbe che risposte generiche e inconcludenti •.

Von Schubert -• Ho anche l'incarico da parte del Governo di Berlino di rassicurare nel modo più ampio gli ambienti commerciali italiani per alcune apprensioni sorte recentemente circa l'eventualità che il Governo del Reich, valendosi di una legge votata poco tempo fa, inaspris,ca il regime doganale ~n vigore fra i nostri due Paesi. Posso escludere che n Governo tedes,co abbia, almeno per ora, questa intenzione. Le voci ·che i,l Governo tedesco prenderà in esame non riguardano l'Italia e partico·larmente l'agricoltura italiana.

Ma ritornando all'accordo dogana.le debbo prevedere che la ri·serva italiana si manterrà per lungo tempo? •.

Grandi -• Non posso dirvi nulla. Lo studio da parte dei Ministeri tecnici non è ancora ,finito. D'altra parte abbiamo tutto H tempo necessario per una decisione ponderata. Il Consigilio della Società delle Nazioni sa,rà chiamato a metà del mese prossimo ad esaminare 'la questione. Ho visto del resto che anche il signor Curtius ha accettato la ,prop01sta di Henderson, che in un primo momento ,i,l cancelliere Bruning aveva dichiarato di rifiutare •.

Von Schubert-• È vero. Noi non ci possiamo opporre naturalmente a che uno Stato membro del Consiglio e firmatario degli accordi del 1922 come Ja Gran Bretagna porti la questione al Consiglio. Ciò che non possiamo ac,cetta·re è la forma con cui Henderson ha sottoposto la sua intenzione al Governo del Reich. Né potremo mai accettare che la questione lsria sottoposta alla Corte dell'Aja. Ciò sign~ficherebbe praticamente trascinare l'accordo doganale all'infinito e forse comprometterne la realizzazione. Ora Germania ed Austria sono due Stati sovrani cui non può essere contestato i1 diritto di stipulare accordi nel quadro dei Trattati •.

Grandi -" Il problema è appunto di vedere se questi accordi sono nel quadro dei Trattati. Si può sapere a che punto sono le vostre trattative con la Romania? •.

Von Schubert -" Non potrei dirvelo ·perché non sono al corrente. Pass<:mdo ad altro, il Ministro Curtius m'incarica di riferirvi es,sergli pervenute da Ginevra notizie secondo le quali non sarebbe improbab1le una candidatura Henderson come Presidente della Conferenza del Disarmo. Il dott. Curtius prima di pronunciarsi desidera sapere il vostro parere ».

Grandi -• Sono favorevole •. Von Schubert -• Si parlerebbe anche di un Comitato di organizzazione incarkato di fiancheggiare 11 Presidente, composto del !signor Quifiones de Leon, Benès, ed eventualmente un tedesco. Che ne dite? •.

Grandi -• Sono contrario alla costituzione di questo Comitato •.

Von Schubert -• Riferirò a Berlino. Ed ora un favore tutto personale. Posso domandarvi quando potrò aver -l'onore di esser ricevuto dal Capo del Governo? Non vi na.scondo che sono estremamente imbarazzato. Il Cancelliere Biii.ning ci tiene in modo particolare che io porti al Capo del Governo italiano un suo messaggio pensona:le. Egli è ansioso di conoscere l'esito deHa mia missione. Potrei sperare di essere ricevuto nella settimana dopo Pasqua? »

Grandi -• N e riferirò al Capo del Governo ».

(l) Il 20 aprile Coselschi, presidente della Associazione nazionale volontari di guerra, scrisse a Mussolini, chiedendogli il nulla osta per la progettata visita in Italia di una delegazione di volontari di guerra francesi. La lettera di Coselschi è stata annotata da Mussolini:

(l) Cfr. n. 176.

183

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO A BELGRADO, GALLI

T. (P. R.) R. 2996/56. Roma, 3 aprile 1931, ore 3.

Per opportuna e riservata norma di V. S. e Consolati competenti informo•la che da Direzione Generale Pubblica Sicurezza sono state date istruzioni alle nostre Autorità di frontiera di rifiutare ing·resso nel Regno agli Avcivels,covi di Lubiana e Zagabria.

184

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, MANZONI (l)

T. 342. Roma, 3 aprile 1931.

Ripeto qui appresso la .comunicazione trasmessa oggi a V. E. per mezzo di fonogramma (2) :

·Questo Ambasciatore di Francia mi ha comunicato :ieri per iscritto un messaggio del signor Briand rrelativo •all'Ac·cordo Navale (3). Con esso ffignor Briand mi ha Tivolto ·Caldo appello peTché uniJs,ca ai suoi i miei sforzi per cercare soluzione delle difficoltà sorte in seno al Comitato di redazione e scongiurare così •conseguenze funeste che potrebbe avere un fallimento dei negoziati. Signor Briand aggiunge che si propone di comunicarci quanto pTima delle nuove proposte al riguardo e conc1lude suggerendo che si profitti dell'intern1zione dei lavoo-i del Comitato .per esaminare questione ed arrivare a favorevole conclusione.

Prego recarsi dal signor Briand e ringraziarlo a mio nome del suo messaggio. V. E. vorrà dirgli che nessuno più di me sente la gravità deHa situazione che potrebbe essere creata dalla mancata firma dell'Accordo Navale e da una

dichiarata impossibilità di raggiunge-re un'intesa che l'opinione pubblica del nostro Paese ha considerato come acquisita ,fin dal giorno in cui ebbi l'onore di ricevere dal signor Henderson il telegramma di Parigi annunciante l'accettazione del.J.e baJsli di ac·cordo conc-retate a Roma. Facendo astrazione dalla portata tecnica dell'accordo che ancora ignorava, Nazione italiana unanime salutò allora notizia dell'adesione :fu-ancese come segnale deU'auspicata ripresa di più ·cordiaH e più intime relazioni fra i due Paesi. Avendo entrambi lavorato con ragionata convinzione e tenace costanza per rag,giungimento di tale risultato signor Briand deve sentire con quale animo io abbia appreso malaugurato equivoco che minaccia di distruggere risultato dei nostri sforzli e con quanta forza io deprechi tale eventualità.

Io prego perciò il signor Briand di rendersi conto che la richiesta avanzata dagli Esperti francesi al Comita•to di redaz:i:one di Londra è in contrasto, oltreché coi termini deU'Accordo quali ci sono stati •chiaramente esposti dai Ministri britannici nelila loro vtsita a Roma, anche con lo spirito dei negoziati svoltisi fin dallo scorso mese di agosto.

Detti negoziati hanno sempre mirato a trovare un accordo sul terreno pratico mediante la fissazione delle rispettive costruzioni navali nei prossimi sei anni. Essi miravano inoltre a stabilire una tregua nella competizione degli armamenti sul mare. Essi miravano dnfine a sospendere per sei anni la discussione delle questioni di principio che si e·rano •affrontate •con sterili risultati neil corso della Conferenza di Londra; e ciò ·con la speranza che il tempo avrebbe attenuato il contrasto fra ,le tesi dei due Paesi e reso meno difficihle nell'avvenire un .regolamento completo e definttivo del problema.

Le basi di accordo quali sono state accettate dall'Italia rispondevano appunto agli scopi predetti, fissando su basi eque l'ammontare maslsimo dehle costruzioni •che i due Paesi sa.rebbero autorizzati ad intraprender•e dal 1931 alla fine del 1936. L'esatta ·conoscenza che si aveva cosi in Italia delle possibi>l,i costruzioni francesi nei prossimi sei anni aveva pe.rmesso al Governo italiano di accettare l'impegno relativo alle navi di linea (•che il:a R. Marina giudica ancora oggi molto gravoso) nonché di consentire alla Francia i non indifferenti vantaggi rappresentati dalla ·Conservazione dei "Jean Bart" e dalla facoltà, all'atto del ·cornvletamento della costruzione di nuovi piccoli incrociatori e cacciatorpediniere, di radiare dei vecchi incrociatori corazzati anziché del naviglio leggero relativamente molto più giovane. Inoltre Governo ,italiano aveva consentito II.'Ìduzione delle proprie costruzioni accettando di elevare i limiti di età dei cacciatorpediniere da 12 a 16 anni. Aveva infine consentito a radiare, al momento del completamento delle navi di linea i suoi incrociatori corazzati che non avrebbe avuto nessun obbligo di radiare. Tutti questi sono dei vantaggi per la Francia che non hanno contropartita a favore dell'Italia, Governo italiano aveva però creduto di consentirli per dare prova del suo spir.ito di ·conciliazione e nella fiducia che Accordo navale avrebbe prodotto benefici effetti nelle ·relazioni fra i due Paesi.

Senonché richiesta avanzata oggi dalla Francia nel senso di riservarsi la

facoltà di reclamare già durante la vita dell'Accordo nna quota supplementare

di nuove ,costruzioni ,in aggiunta a quelle contemplate dall'Accordo stesso, distrugge per noi tutte le finalità ~che si v01levano raggiungere. Con essa infatti si introduce un elemento di incertezza che contrasta con l'idea di tregua nelle competizioni navali. Con essa inoltre la Francia viene a sollevare rp~recisamente queJJa questione ~che aveva fino ad oggi impedito i'l raggiungimento dell'Accordo e che necessariamente deve essere ,rinviata se ad un accordo si vuole giungere.

Io ho troppa fiducia nello spirito di equità e di comprensione del signor Briand per dubitare che egli non si renda un ,giusto conto del buon fondamento di queste ragioni. Confido quindi che egli vorrà far 1sì che gli esperti francesi non insistano in una 11ichiesta il cui accoglimento significherebbe per noi un mutamento sostanziale delle basi di accordo quali sono state accettate dal Governo e quali io ho esposto pubblicamente nel mio discorso aila Camera dei Deputati».

(l) -II tel. fu inviato per conoscenza anche a Londra, Washington e al ministero della marina. (2) -Il fonogramma era delle ore 4,45. (3) -II messaggio di Briand, che non si pubblica, fu comunicato a Grandi da Beaumachais con lettera del 2 aprile consegnata nel corso del colloquio pari data (cfr. n. 181). Parimente non si pubblica una successiva Lp. di Beaumarchis a Grandi del 5 aprile.
185

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AGLI AMBASCIATORI A BERLINO, ORSINI BARONI, A LONDRA, CHIARAMONTE BORDONARO, A MOSCA, ATTOLICO, A PARIGI, MANZONI, A WASHINGTON, DE MARTINO, AI MINISTRI A BUDAPEST, ARLOTTA, A VIENNA, AURITI, E AL SOTTOSEGRETARIO GENERALE DELLA SOCIETA DELLE NAZIONI, PAULUCCI DE' CALBOLI BARONE

T. 343. Roma, 3 aprile 1931, ore 24.

Ambasciatore britannico ha ,personalmente presentato in data 31 marzo un appunto in cui sono riportate dichiarazioni fatte dal signor Henderson aila Came,ra dei Comuni il 30 u.s. nella ,parte relativa alla intenzione del Segretario di Stato di comunicare al Segretario Generale deUa Società deHe Nazioni il proprio desiderio di discutere nel prossimo Consiglio ~a conciliabilità o meno dei proposti accordi austro-tedeschi particolarmente col Protocollo di Ginevra del 1922.

Ambasciatore mi ha ,chiesto quale fosse nostro punto di vista in proposito. Sono poi sopraggiunte le dichiarazioni di Curtiuls che hanno precisato il punto di vista germanico. Ho ieri comunicato a questa Ambasciata Britannica che il Governo italiano non vede in massima difficoltà a che la questione sia portata a Ginevra. (Per tutti -meno Budapest) -Quanto precede ;per conoscenza ed eventuale norma di linguaggio dell'E. V. (S. V.).

(Solo per Londra) -Allo stato delle cose sarebbe però utile che V. E. cercasse di sondare a fondo le intenzioni di ~codesto Governo principalmente per sapere qua1e rilsultato esso si attende da'l deferimento della questione al Consiglio della Società delle Nazioni.

(Solo per Budapest) -V. S. potrà informare di quanto precede codesto Governo.

186

IL CONSOLE GENERALE A INNSBRUCK, RICCIARDI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. POSTA 1572/168. Innsbruck, 3 aprile 1931 (per. il 10).

Teleposta 988/79 del 21 febbraio u.s. e pvecedenti.

Avantieri ha avuto luogo, p<resente il Capitano provinciale Dr. Stumpf, una riunione del Direttorio di questa Heimatwehr, nel,la quale è stato reso conto del lavoro di riorganizzazione amministrativa di quella organizzazione, consi·stente soprattutto nel mutamento di alcune pensone nella direzione e special-· mente nella nomina a <Capi dei distretti della Wiptal e dell'Osttirol, rispettivamente dei singori Hans Oettl e Gottfried Hassler, notoriamente creature del Bauernbund. La parte più interessante di quella riunione consistette nell'annunzio che ogni dissidio ira H Bauernbund e J'Heimatwehr era stato feHcemente appianato e ,che quest'ultima ritornava al suo scopo originario e ai suoi patriottici fini. Il Dr. Steidle conserva ila direzione di: quella organizzazione, dopo che <sono state vinte, per influenza di compiacenti amici, le ripugnanze del Bauernbund nei di lui riguardi e specialmente del Ministro Thaler e del Deputato Kolb.

In 'realtà il Bauernbund è ,riuscito ad imporre la propria volontà e a ridurre in ,sua schiavitù questa Heimatwehr: la dichiarazione del ritorno di essa • ai suoi primordiali .fini ,patriottici •, al • Tirolertum » è anch'essa di ispirazione del Bauernbund e contiene una punta nei nostd riguardi, l'associazione dei contadini essendolsi sempre mostrata a'ssai suscettibile nella questione del • Suedtirol • e non avendo mancato di prendere posizione di riprovazione in oc,casione dei noti incidenti al ritorno dall'Itailia del maggiore Pabst.

In ogni modo, la Heimatwehr, ridotta entro ,i confini del Tirolo, scissa anche qui e abbandonata anche da molti, che han seguito il Principe Starhemberg, priva di mezzi finanziari (lo stesso Sta,rhemberg ha fatto in questi ultimi tempi un vano viaggio in Germania i:n cerca di aiuti rfinanz,iari per la sua frazione, ottenendo soltanto la promeslsa di appoggi morali e il sostegno della stampa di destra), ha per ,lungo tempo a,lmeno cessato di essere un fattore di una qua;J.che importanza nella vita pubblica austriaca.

187

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ORSINI BARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

TELESPR. 1108/551. BerLino, 3 aprile 1931.

Il primo aprile resterà per il partito nazionalsoeiaUsta una data storica. A Weimar il partìto del popo1lo unendo i proprì voti nel Landtag a quelli del partito socialista, ha provocato la caduta del Ministro dell'Interno Frick, il

primo Mini:stro nazionalsocialista, in ordine di tempo, in Germania. In una

riunione dei nazionalsocialisti tenuta nella serata a Weimar, Hitler affermava

che la caduta di Frick aumentava d'un mHione almeno ile file del partito, poiché

d'ora ,in avanti egli avrebbe portato la massima cura acciocché nel .partito

rientrino 'la disciplina e l'obbedienza. Infatti Frick è caduto, più che altro, per

l'indisciplina dei suoi gregari. Il colpo per il partito è certamente forte anche

perché Frick era membro del Reichsrat e prels:idente della ~commissione parla

mentare per gli Affari Esteri, posizioni di grande importanza in momenti come

questi nei quali H Reichstag ha cessato di funzionare per un ~lungo periodo di

tempo, mentre tanto il Re,ichsrat quanto la Commissione per gli Affari Esteri

continuano ad essere convocati. Forse però la .perdita di quelle poslizioni potrà

esser sanata dal partito con la riuscita del plebiscito popolare nella Turingia

fissato il 14 aprile per la dissoluzione del Landtag.

Contemporaneamente aUa notizia della caduta, prevista da giorni, del Signor Frick ,gi spargeva quella della ribellione, contro la volontà di Hitler, degli squadristi di Berlino con alla testa il loro comandante Stennes. In realtà non si tratta di dbellione ma di un processo di epurazione del partito, cui Hitler si è deci:so .per rimettervi ordine e disciplina. In questo, la tatHca temporeggiatrice, la condotta ragionevole, dettate dalle circostanze del momento e dane convenienze dei gruppi che lo sovvenzionano, hanno prodotto un rilassamento dei vincoli disciplinari ed una differenziazione fra la parte estrema ,che vuol agire contro lo Stato, e la massa devota a Hitler. Questi ,si è incontrato ultimamente a Norimberga ~con Hugenberg, capo dei tedeschi nazionali. Dal ,colloquio, si dice che siano uscite direttive in comune, le quali pur mantenendo distinti i due partiti, dovranno in un certo momento presenta~re a Hindenburg, ~contro l'attuale governo, un gruppo forte e ,compatto di destra, capace d'irnpol'ISi. Ciò corrisponde anche ai desideri dell'alta industria, capitanata da Thyssen, Cuno, Vogler, la quale oggi è la colonna vertebrale del movimento hitleriano. Senonché .contro questa tattica ragionevole che ordina il dspetto delle ordinanze presidenziali, si rivoltano i • puri • del movimento ,che non approvano le tendenze borghesi-liberal,i oggi prevalenti, secondo loro, neHa direzione politica del partito a Monaco. Un gruppo di questi, in gran parte ex militari, si è formato a Berlino intorno al Capitano Stennes, il quale tende ad accostarsi a Otto Strasser e a

formare un gruppo • socialista rivoluzionario •. In CaSisel tre gruppi si sono addirittura messi in conflitto ~con la direzione di Monaco e come protesta sono passati con armi e bagagli nel campo comunista.

Hitler si è deciso ad agire. Ha tolto il comando al Capitano Stennes, nominando altri al suo posto. Ha dato al deputato Goebbels mandato generale per allontanare dal movimento nazionaàsocialista tutti gli elementi capaci di portarlo alla dissoluzione.

La stampa democratica sociaUsta gioisce per tutto ciò, e sparge fantastiche accessorie notizie pl'eannunziando l'imminente scisl3ione del partito.

Certo questo si presenta oggi in condizioni assai difficili. Nei drcoli governativi in generale se ne prevede il progressivo scomparire. Forse è il desiderio, il padre di questa previsione. Finché in Ge!'mania regnerà lo !~contento, Io sconforto da una parte e dall'altra, si avrà una rLpresa dei sentimenti nazionali e il movimento nazionale sociaUsta continuerà nonostante i grandissimi errori di tattica ·commessi dai dirigenti. Come furono tratti in inganno dal successo coloro che videro neilla seconda metà del settembre 1930 il partito nazionale !Socialista abbattere il Governo del Signor Bri.ining e prendere in mano i,l governo della cosa pubblica, ,così errano oggi coloro 'Che considerano quel movimento come sorpassato dalle circostanze e dagU avvenimenti, come un galleggiante ormai vuoto di sostanza e ·portato dalla corrente alla deriva.

188

L'AMBASCIATORE A PARIGI, MANZONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. PER CORRIERE 898/107. Parigi, 4 apTile 1931 (per. iL 6).

Mio telegramma n. 106.

Stamane ho ~lasciato a Lord Tyrrell una copia della traduzione del telegramma telefonico di V. E. (l) che iersera ho rimesso al Signor Briand. Così quelst'Ambasdatore Britannico è a:l •cor.rente della nostra azione e del nostro punto di vista.

Poi ho rkhiamato la sua attenzione 'su1l'artkolo di stamane del Signor Barde sull'Oeuvre (2). L'articolo indica o quale entratura quel Signore può avere al Quai d'Orsay, o qua.le indipendenza si può permette,re malgrado i •legami che gli si conoscono ·col Quai d'Orsay. L'articolo indka pure ·fino a quale grado di disonestà manovra l'antifascismo francese per gettare zizzania tra i due paesi: non rispetta nemmeno la per•s.ona del Signor Briand, per quanto ne sia sostenitore cieco in altri ·campi politici e cioè in quello delle relazioni F:ranco-Germaniche e della Paneuropa.

Oggi mi sono vivamente llagnato ·coll'ufficio Stampa del Quai d'Orsay per l'articolo Barde.

Ho •poi telefonato al Gabinetto di V. E. per spiegare che avevo reagito contro queste mano'vre e che speravo che esse sarebbero comprese dai nostri giornali e che questi non sarebbero caduti nel laccio loro teso :per ottenere repliche che fa•cendo rivivere la polemica di ~stampa tra i due paesi comprometterebbero ;il lavoro, che si :sta facendo (ho la convinzione che lo si fa e sinceramente da parte di tutti) per soluzionare soddisfacentemente le difficoltà sorte. Occorre il silenzio completo della stampa per permettere agli uomini responsabili di trovare questa soluzione: in Italia, in Inghilter,ra questo avviene; ,in Francia non si riesce ad attenerlo, probabilmente .perché vi •sono in moto degli interessi o politici o finanziari che rieS'cono a predominare sull'azione stessa dei poteri responsabili.

(l) -Cfr. n. 184. (2) -All'Ufficio Cifra non è pervenuto a tutto il 6 aprile alcun telegramma stampa da Parigi, riproducente il citato articolo dell'c Oeuvre ». [Nota del documento].
189

L'AMBASCIATORE A PARIGI, MANZONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. PER CORRIERE 899/108. Parigi, 4 ap1·ile 1931 (per. il 6).

Scrive il Temps di stasera che nel mio colloquio di iersera col Signor

Briand (l) fu questione anche dell'accordo doganale austro-tedesco.

Non è vero. La conversazione toccò invece la desiderabHità che anche in

riflesso alla situazione creata in Europa dalla mossa austro-tede/E!Ca si risolvesse

soddisfacentemente la divergenza sorta nella questione navale in modo da man

tenere il cambiamento di atmosfera tra Italia e Francia che l'annuncio del

l'intesa navale aveva provocato. Il signor Briand ebbe allora, oltre alle frasi

già riferite a V. E., anche la seguente: mi si dice partigiano dell'esclusiva intesa

Franco-GeDmanica; non è vero; io ho sempre sostenuto la desiderabilità del

l'intesa tra Londra e Parigi Roma e Berlino per dare la pace all'Europa: quanto

ai rapporti tra Italia e Francia io ho sempre sostenuto che vi sia la possibilità

di sapere conciliare i loro interessi mediterranei in modo da ls:tabilire salda ami

cizia e saldo accordo tra i due Paesi.

Della situazione creata dalla mo!Ssa austro-tedesca ho invece parlato stamane ,con Lord Tyrrell. Mi ha detto che non è che al suo soggiornare in Parigi per lavori del Comitato Europeo che il Signor Henderson si è reso conto della impres!S!ione prodotta nei francesi da quell'evento. Egli allora ha preso ~a posizione che ora è nota, di dcorso alla S.d.N. ed eventualmente al Tribunale arbitrale. Quando l'annunciò il 25 marzo mattina. al Signor Briand, questi l'accolse col più vivo compiacimento (2).

Quanto alla mossa in se stessa, Lord Tyrrell mi ha confidato che il signor Blum, il quale trovavasi in quei giorni a Berlino, pel funemle dell'ex Cancelliere Muller, si era inteso rispondere da un alto funzionario tedesco, al quale egli rilevava ,l'errore insito nella mois'sa stessa, ,che indeboUva la situazione del Briand, la tesi dei francesi germanofili e portava la Francia a rafforzare le AUeanze con Cekoslovacchia Jugoslavia Polonia, si era inteso rispondere, dico, che non si era preveduto. Lord Tyrrell mi ha pure comunicato (ma prego tenere

« Francia -Ha assunto fin dal!'inizio un atteggiamento di netta opposizione. basato su considerazioni di ordine specialmente politico in relazione anche al!e ripercussioni che l'accordo può avere sulla situazione personale di Briand e sulle condizioni degli a!legti orientali della Francia. La sua azione in proposito può considerarsi svolta in tre tempi: 1°) azione diplomatica a Vienna non appena conosciuto l'accordo; 2°) pressioni su Inghilterra, che determinano il passo inglese a Berlino per il deferimento delia questione alia Società delle Nazioni; 3°) intervento delle Commissioni parlamentari che chiedono la denunzia dci vigenti trattati commerciali tra Francia da una parte e Germania ed Austria dall'altra.

Inghilterra -Si riserva in un primo tempo ogni libertà di azione e non partecipa al passo a Vienna. Dopo il convegno con Briand a Parigi, Henderson, avendo constatato l'allarme suscitato in Francia dall'accordo, prende l'iniziativa di suggerire a Berlino e a Vienna che la questione venga sottoposta alla Società delle Nazioni. L'Inghilterra si preoccupa sopra tutto che il turbamento prodotto dall'accordo possa influire sfavorevolmente sulla prossima Conferenza del disarmo >.

la cosa assolutamente segreta) che nel ,parere di un privato che ben conosce la Germania, ,e vi è :stato di recente :fino a pochi giorni fa, occorre fare molta attenzione al S. Segretario di Stato Signor Btilow. Malg,rado le apparenze egli sembra avere i difetti di presunzione e di non oneistà 'Che le memorie del Principe di Btilow rivelano come difetti di famiglia. Il signor Btilow avrebbe affermato nel :corso di una ,conversazione, ,che il signor Stresemann • aveva vissuto nelle nuvole» e che • era venuto il momento di cambiare sistemi ». D'altra parte, mi diceva Lord Tyrrell, personalità tedesca bene al corrente deHe cose, gli aveva affermato che al signor Bri.i.ning non eran state poste in chiaro, e quindi non aveva intraveduto, le conseguenze internazionali della moi:>sa. Quanto all'atteggiamento della Francia Lord TyrreH ha affermato che ,la Francia non permetterà che la Germania predomini da Amburgo a Trieste.

(l) -Evidentemente il colloquio durante il quale Manzoni fece la comunicazione di cui al n. 184. (2) -Sull'atteggiamento francese e su quello inglese in merito all'accordo austro-tedesco, cfr. quanto diceva la relazione ministeriale del 14 aprile cit.:
190

L'AMBASCIATORE A LONDRA, CHIARAMONTE BORDONARO, AL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA LEVANTE ED AFRICA, GUARIGLIA

(Copia)

L. P. Londra, 6 aprile 1931.

Ho letto ,con molto interesse la tua lettera del 13 marzo u.s., numero 208916/171 (1), relativa alla determinazione delle frontiere fra :la Ckenaica e il Sudan ed alle intenzioni francesi circa :l'abolizione, più o meno prossima, del p:rotettorato francese in Tunisia.

Dopo un attento esame della questione, ed aUa luce delle idee e dei sistemi che qui prevalgono, non es,ito a dichiararmi in favore di un opportuno sondaggio da parte mia deUe disposizioni di questi ambienti politici e governativi.

Una favorevole occasione per iniziare conversazioni di carattere personale sull'argomento, potrebbe essermi offerta -per analogia -neHa pros,sima settimana dalla riunione a Londra della Commissione di delimitazione dei confini fra la Soma:lia e H Somaliland. Ti sarò quindi molto g,rato se vorrai tempestivamente farmi autorizzare a quel.~ti approcci, che ritengo, come te, di capitale importanza anche per i nostri futuri negoziati con Jca Francia.

Dipenderà, naturalmente, dall'esito deHe presenti e poco promettenti trattative per l'accordo navale e dalla più o meno probabile ripresa di negoziat,i per una favorevole definizione delle altre nostre questioni ~pendenti con la Francia, la possib1lità e l'opportunità di fare allusione in questi approcci, anche all'eventualità di un'abolizione del protetto,rato francese in Tunisia.

Augurandomi di saperti già tornato al lavoro perfettamente rimesso.....

P. S. -Riòponderò quanto prima anche al<l'altra tua lettera sull'Irak (2).

(l) -Cfr. n. 130. (2) -Cfr. n. 122,
191

IL MINISTRO A SOFIA, CORA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. PER CORRIERE 951/1125/334. Sofia, 8 aprile 1931 (per. il 13).

Ieri essendomi recato al Palazzo Reale per accompagnare a richiesta di S. M. il Re gruppo dei nost11i studenti universitari che doveva essere ii."Ìcevuto in udienza dalle Loro Maestà, S. M. il Re Bori<s mi ha trattenuto dopo l'udienza in conversazione privata durata circa due ore. Mentre rifedsco per rapporto sulle molteplici dichiarazioni fattemi da Sua Maestà su questioni di politica interna ed estera, ritengo di dover comunicare senza ritardo a V. E. quel,la che mi è ·&embrata preoccupare maggiormente Sua Maestà.

Recenti mutamenti ministeriali avvenuti ,in Jugoslavia che Ja,sciano sempre più arbitra dittatura militare e info11mazioni .particolari suhla situazione interna preoccupano vivamente il Re, faoendogli temere ·che continuando un sistema ormai antico si voglia 'cercare un diversivo ai danni della Bulgaria. Si nota in questi ultimi ~tempi una ripresa wssassini contadini bulgari che passano frontiera per necessità lavoro. Sua Maestà teme che tutto ciò possa condurre a una ripresa di attentati macedoni come rappresaglia che farebbe il gioco Jugoslavia.

Sua Maestà ha insistito poi 1sul benefico effetto prodotto dal recente accordo navale franco-italiano aggiungendo che ogni ulteriore sviluppo politico tra Francia e Italia in quel senso avrebbe la massima efficacia per stroncare qualsiasi velleità jugoslava.

192

IL MINISTRO A BUCAREST, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. PER CORRIERE 954. Bucarest, 8 aprile 1931 (per. il 13).

Mio rapporto n. 288 del 31 marzo u.s. Le due diverse tendenze parlesatesi nel Gabinetto Mironesco, nei rispetti dell'accordo economico austro-tedesco (1), persistono tuttora, ed anzi vanno sempre

più accentuand~si.

Si pubblica qui di seguito anche il passo della relazione che si riferisce alle reazioni della Cecoslovacchia:

« È il Paese dove l'accordo ha prodotto una maggior reazione. Passato il primo momento di sor:presa esso ha suscitato una vera costernazione; la Cecoslovacchia prende parte al passo a Vicnna poi prende contatto con Bucarest e Belgrado per cercare di con

Quella intesa a far assolutamente prevalere H punto di v.ista strettamente economico su qualsiasi altra considerazione di convenienza politica è difatti iin piena auge. Ad essa hanno aderito i Ministri Madgearu, Manoilescu e Raducanu, i quali sono persino giunti a lasciar pubblicare 1su di una rivista finanziata dal Governo -e da questo g•ratuitamente distribuita al Corpo Diplomatico -un artic01lo di questo Incaricato d'Affari di Germania, il quale annovera 'la Romania fra gli Stati incamminatisi di fatto verso l'Unione austro-tedesca (mio rapporto

n. 306, in data odierna).

D'altra parte la tendenza disposta a tenere invece in ogni conto le necessità politiche del Paese, foslse pure a detrimento del tornaconto economico, cerca adesso piuttosto di voler « salvare le app,arenze •, nei riguardi della Pic,cola Intesa e deLla Francia, per quanto concerne un eventuale fronte unico verso la Germania, che farsi parte attiva e prestar loro un effettivo e chiaro suo contributo.

Così, se sembra ormai dedSrO ·che 1la Piccola Intesa debba riunir'si in Romania ai primi di maggio, e cioè 'Prima della Convocazione del Consiglio della Società delle Nazioni, che dovrà discutere l'accordo austro-tedesco, pure nessun programma è stato finora concretato al 'riguardo.

Così il Gabinetto Mironesco, pur essendosi dichiarato preoccupato della decisione austro-tedesca, non ha creduto però sospendere i negoziati commerciali romeno-tedeschi, in corso a Vienna, affrettandosi anzi a precisare colà le sue ,richielste circa le quote di .preferenza desiderate daHa Romania (mio telegramma per corriere n. 763).

E così infine il Gabinetto Mironesco cerca adesso eludere ogni indagine circa le sue reali intenzioni, affermando essere la questione austro-tedesca ormai passata nelle mani delle Grandi Potenze e del Consiglio della Società delle Nazioni.

Senonché è adesso da esaminarsi se il nuovo Gabinetto romeno, che Titulescu ha avuto (J'inca·rico di formare, ·sarà per seguire anch'esso il suindicato anfibio atteggiamento romeno nei rispetti dell'accordo austro-tedesco.

A tale riguardo questo Ministro del,l'Industria e del Commercio, Signor Manoilescu, mi ha confidato che questa Legazione di Francia lsi dimostra contraria alla fo'fmazione di siffatto Ministero, reputando il Titulesco uomo as:sai meno sicuro e Ugio del Mi'fonesco. Pe'f parte mia ritengo che la probabile presenza nell'eventuale Gabinetto Titulescu di personaUtà indubbiamente favorevoli alla ripresa di strette relazioni con la Germania, quali i Signori Mano.ilescu, Garoflid ed Argetoiano, sarà per produrre ben scarsa modificazione nell'atteggiamento finora seguito dalla Romania nella questione di cui è parola (1).

certare una azione comune. La portata politica dell'accordo prende qui il sopravvento su ogni considerazione economica, ma Benes deve constatare l'impossibilità di reagire con mezzi propri o della Piccola Intesa e deve attendere i risultati dell'azione intrapresa da Parigi. Egli cerca allora di attenuare il suo primitivo contegno, assicurando anche che vari circoli economici del Paese (e tra essi naturalmente tutti i partiti tedeschi) si sono dichiarati favorevoli; è costretto però a riaffermare la sua intransigenza, dato anche che il suo primo atteggiamento non gli lascia possibilità di ritirata ».

«Per opportuna ed esclusivamente personale conoscenza della S. V. pregiomi comunicarie che il Conte Bethlen ha testé informato il R. Ministro in Budapest di aver ricevuto

(l) Sull'atteggiamento della Romania nei confronti dell'accordo austro-tedesco cfr. quantoscritto nella più volte cit. relazione ministeriale del 14 aprile: • Per quanto considerazioni economiche non le facciano vedere con troppo sfavore l'accordo, pure sembra disposta a procedere ad una azione comune con la Francia e la Piccola Intesa per considerazioni di ordine politico. Prende contatto in proposito con Belgrado e Praga, pur tenendosi un po' in disparte. S'industria insomma a salvare le apparenze nei riguardi della Francia e della Piccola Intesa, pur facendo sapere a Berlino che non prenderà spontaneamente alcuna iniziativa e pur continuando nelle trattative commerciali iniziate con la Germania •.

(l) Cfr. anche quanto il ministero comunicava a Preziosi con teL per corriere r. 354 dell'll aprile:

193

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI

(ACS, Segreteria particolare del Duce, fase. Grandi)

......... (1).

Questi briganti sanno perfettamente che ne,ssuna cosa può ferire più profondamente il mio spirito, di questa ma,landrinata (2). Preferirei mi !.Stampassero, a caratteri di scatola, che sono un ladro.

Rilevo nella redazione di questo articolo alcune ·coincidenze che mi fanno riflettere, e mi inducono a pensare a chi può essere stato l'autore o l'ispiratore. Gente di casa, beninteso.

Sto seguendo il filo, e mi rLse' '-r di parl:>rlpne, spero con qualcosa di concreto in mano.

194

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, DE VECCHI, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI

(Fondo Ambasciata presso la Santa Sede, busta 7)

L. P. Roma, 10 aprile 1931.

A conferma dei mutati atteggiamenti della Santa Sede che ti segnalavo ieri, ti segnalo ora (Osservatore Romano di ieri e di oggi) l'assoluta sconfessione

della Circolare 19 marzo (3) della Federazione di Roma in materia sindacale e le ·conseguenti dimissioni del responsabile. Ho inoltre l'onore di confermarti che oggi ho avuto un colloquio di due ore col Comm. Ciriaci, al quale ho parlato molto esplicitamente. Abbiamo con-

giorni or sono, pel tramite di un suo parente che abita in Transilvania e che ha frequenti contatti con la famiglia Reale Romena, un personale invito di Re Carlo affinché si recasse a trovarlo in Romania, per avere sotto il pretesto di visita privata per una partita di caccia, uno scambio di idee con lui. Il Conte Bethlen avrebbe fatto rispondere esprimendo la sua viva riconoscenza per l'invito ma prospettando l'opportunità di rinviare la visita ad epoca ulteriore, di modo che possa prima intervenire pel tramite dei rispettivi rappresentanti diplomatici o di altri intermediari, un chiarimento preliminare sulle relazioni tra i due Paesi e sui possibili sviluppi delle stesse •.

venuto d'accordo che egli ritornerà nella .prossima settimana per un esame [>articolare deHe questioni che possono criguardare l'Azione Cattolica.

Anche dal mio colloquio di stamane col Cardinale Pacel!li ho avuta -l'impressione che, continuando in un fermo atteggiam·ento, lsli possano chiarire molte cose, liberandoci per un po' di tempo dai maggiori disturbi.

Dopo che nella prossima 'settimana avrò nuovamente veduto anche Monsignore Borgongini verrò a riferirti (1).

(l) -Si inserisce sotto il 9 aprile, poiché l'articolo cui Grandi fa riferimento nel testo uscì in tale giorno. (2) -Grandi allude a La Libertà del 9 aprile, articolo « L'Italia diffamata all'estero. La diplomazia fascista » sul riordinamento degli uffici del ministero degli esteri. L'articolo conteneva un passo del seguente tenore: • Benché il ministro Grandi cerchi di frenare le follie impulsive di Mussolini (il comm. Pagliano e il comm. Ottaviani ripetono in segreto a tutti i diplomatici che solo Grandi impedisce i maggiori disastri che il " duce " minaccia), si sono adottati ordinamenti che sono per se stessi un pericolo». L'articolo proseguiva sottolineando il fatto che alla piccola Albania era stato dedicato al ministero un intero ufficio.

(3) È la circolare della Federazione di Roma della Gioventù Cattolica (testo in G. DALLA ToRRE, Azione cattolica e fascismo, nuova ed., Roma, 1964, p. 51). Per la sconfessione dell'Osservatore Romano cfr. ibid., p. 52.

195

IL MINISTRO A TIRANA, SORAGNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. u. 942/107. Tirana, 11 aprile 1931, ore 18,35 (per. ore 4 del 12).

Seguendo istruzioni di V. E., ogni qual volta ho parlato col Re Zog del noto apporto finanziario gli ho anche parlato de1l rinnovamento del,patto d'amicizia, senza subordinare formalmente la seconda questione alla prima, ed abbinandole sempre più chiaramente nel tenore stesso del discorso.

Oggi, di fronte aH'urg·enza improvvisa fattami perché venisse rapidamente conclusa la questione dell'apporto finanziario, dovetti di·chiarare al Re che consideravo •le due cose assolutamente interdipendenti e che io non potevo dsolvermi a dar •corso all'apporto senza il rinnovo del patto. Avendo il Re ricominciato per la ventesima volta ad espormi perché egli riteneva il rinnovo dannoso per ·lui e per noi di fronte aU'opinione pubblica, troncai la discussione e gli dichiarai che avrei telegrafato tosto a Roma che egli si rifiutava a rinnovare il patto d'amicizia.

Come mi asp~ettavo mi pregò di non telegrafare ciò che era ben lontano dai suoi pensieri, ma di esporre ancora una volta la 1sua contrarrietà e di chiedere a V. E. istruzioni.

Sono ben persuaso che il Re da tempo ha previsto che il nodo sarebbe venuto al pettine e che 11 'suo è un estremo tentativo, se non per sottrarsi al rinnovo almeno per concederlo a malincuore come un segnalato favore.

Ho tuttavia telegrafato quanto precede a V. E. per sua oppmtuna informazione ed anche per pregar'la di telegrafa•rm.i se, ove ottencslsi finalmente l'impegno preciso di un pronto rinnovo del patto, 'POSso procedere per la parte che concerne gli accordi finanziari.

Nel consiglio dei ministri del 18 marzo Mussolini aveva detto che « la riforma Gentile fu un errore dovuto ai tempi e alla forma mentis dell'allora lVI:inistro. Osserva che la scuola non deve essere più privata » e si propone di fare questo aggiornamento in occasione del Decennale del fascismo. Il ministro Balbino Giuliano « vorrebbe non sostituire del tutto la riforma Gentile ma correggerla dove appare manchevole» (ACS, Verbali del consiglio dei ministri).

(l) L'8 aprile De. Vecchi aveva avuto un colloquio con Borgongini Duca. Cfr. in proposito n. 207, allegato dell'annesso, p. 323; e A. MARTINI, Studi su!!a questione romana e La conciliazione, Roma, 1963, pp. 136-138. .

196

VERBALE DI UNA RIUNIONE INTERMINISTERIALE (l)

Roma, 11 aprile 1931.

Grandi -Esprime a S. E. De Michelis la sua soddisfazione per la riuscita

della Conferenza del Grano rilevando che eslsa ha servito a porre le iniziative

italiane sullo stesso piede di quelle francesi. Si augura che questo risultato si

prolunghi a Ginevra. Riferendosi poi alla progettata unione doganale austro

tedesca dice che essa segna una svolta neHa politica europea. L'Italia si trova

inJs:i.eme nella condizione più fortunata, per essere ancora libera delle sue deci

sioni e più difficile per il momento in cui J.'avvenimento si è prodotto. Mentre

dal punto di vista politico non può ancora dil'si quale potrà essere il definitivo

nostro atteggiamento, dal punto di vista economico ritiene ~che dalla riunione

risulteranno elementi sufficienti per giudicaTe quale via ci converrebbe seguire.

Del resto non è, al momento attuale, neppure posslibile prevedere quaJ.e seguito

potrà avere la proposta britannica; dobbiamo però attenderci che a Ginevra ci

troveremo di fronte ad una nuova iniziativa francese che probabilmente 1si sta

ora studiando.

De Michelis -È convinto che la Francia abbia tutte le intenzioni di creare

un nuovo p-rogetto da opporre a quello austro-tedesco ma egualmente sicuro che,

fino ad oggi, tale progetto non sia stato ancora concretato. Pensa comunque che

la Francia svolgerà a Ginevra un'azione principalmente politica.

Bottai -Avverte che il 1suo Dicastero ha preparato uno studio circa le conseguenze del patto austro-tedesco, studio dal quale sarà forse possibile avere un'idea, almeno appros,simativa, della linea di ~condotta che, dal punto di vista economico converrebbe seguire. Ritiene, comunque, che debbasi senz'altro evitare un troppo lungo prolunga,rsi di una posizione di aspettativa.

Anzilotti -Legge lo studio sopra accennato (vedi allegato) (2), col quale si esaminano quaU conlseguenze potrebbe avere per l'Italia la realizzazione dell'unione doganale austro-tedesca nelle tre ipotesi:

l) che la detta unione rimanesse limitata all'Austria ed alla Germania;

2) che all'unione adel'issero altri Paesi (del Nord o danubiani);

3) che all'unione aderisse l'Italia.

Nelle tre ipotesi si avrebbero danni per l'economia italiana i quali sarebbero poi .gravissimi nella :s'econda e tali da compromettere anche l'efficienza delle nostre industl'ie di guerra nella terza.

D'altra parte l'unione in questione con i corollari che fatalmente ne deriverebbero comprometterebbe anche gravissimamente gli interessi dei nostri porti adriatici.

Acerbo -Dichiara che l'agricoltura italiana, pur vedendo di poter ottenere qualche momentaneo vantaggio dall'unione austro-tedesca si rende conto dei danni incalcolabili che essa rpérodwrebbe alle nostre industrie [Specialmente nelle du~ seconde ipotesi prospettate dal Comm. Anzilotti. Pertanto l'agr.ico:ltura è ~a prima a rinunciare all'eventuale nostra inserzione nel patto germanico. Non può per altro nascondersi ,che i danni per 1l'agricolt1IDa diverrebbero gravissimi ove alla progettata unione aderissero anche dei paesi balcanici: perciò egli crede che -economicamente -d converrebbe di far il possibile perché H progetto austro-germanico venisse silurato. Se però, per altre considerazioni, si dovesse adottare una differente nostra attitudine, conve:rrebbe tempestivamente negoziarla.

Jung -Dal punto di vista tecnico non può che approvare la relaz:ione letta dal Comm. Anzilotti, temendo 1le gravi conseguenze che l'unione austrotedesca potrà avere per le nostre industrie e per i nolsltri traffici. Non è però certo della reale effettiva portata [pratica del patto, 'Che, per ora, gli sembra piuttosto avere spiccato valore politico. Se veramente si trattasse di unione doganale completa gli sembra ,che se da un lato le ,conseguenze economiche sarebbero per noi ancora più gravi, dall'altro potrebbe essere relativamente più facile il fada arena:re, per quanto il momento psicologico internazionale scelto dagli aUistro-tedeschi ~sia stato il più favorevole. Conferma ~che il llato più grave del pericolo :sarebbe l'entrata nel patto dei paesi ba:lcanici, :sembrando che persino in Jugoslavia vi siano delle ,correnti favorevoli ad una intesa del genere. In questo ,caso solo -adesione dei paesi balcanici -egli ,considererebbe la nostra entrata al patto come una necessatà, purché tale entrata avvenisse sotto determinate salvaguardie a favore delle nostre industrie.

Ghigi -Si domanda, anzitutto, quali potrebbero essere tali salvaguardie e in secondo luogo si chiede quanto tempo esse potrebbero durare e come sailveremmo le nostre industrie una volta entrati nell'unione.

Mosconi -Da quanto si è detto appare che il problema si presenti essenzialmente come politico. Sotto l'aspetto economi,co, certo, la via migliore sarebbe quella dell'opposizione. Resta a vedere se ci conviene politicamente entrare in una :strada parallela a quella francese. Se questa convenienza dovesse essere scartata, altra via non ci rimarrebbe che negoziare la nostra neutralità.

Brocchi -Ha previsto ciò che è ora avvenuto ed ha perciò sempre consigliato di promuovere nolsrtre dirette intese cnn l'Austria ed alcuni Stati balcanici. Approfittando del fatto che gli industriali austriaci sarebbero lieti -a quanto crede -di evitare l'intesa con la Germania per concluderne una con noi, egli consiglia di allargare il campo delle attuali negoziazioni con l'Austria per offrirc:i ad essa come suoi ,salvatori in luogo della Germania. Ciò, in quanto è anche egli convinto, non es,sere possibile la nostra adesione al protocollo di Vienna.

Bottai -Domanda di ·quanto dovrebbe essere allargato il terreno dei nego

ziati con l'Austria, quali siano i sacrifici che dovremmo fare e comunque se si

ritiene che questi !potrebbero servire a far cadere il progetto di unione austro

tedesca.

De Michelis -Tenendo presente la situazione quale risulta dalla relazione

Anzilotti e da dò che ha detto l'an. Jung, considera possibile che la claUisola

della Nazione più favorita possa ancora giuocare -per qualche tempo -a

nostro favore, ma è certo da temere che la Francia possa, in definitiva, raccogliere

con condotta più attiva della nostra, tutti i vantaggi e ciò sia ostacolando decisa

mente il patto austro-tedesco, sia conseguendo una estens.ione di esso. Gli sem

bra -poiché risulta dimostrato il danno dell'eventuale adesione nostra nonché

il danno del patto in se stesso nei confronti delle nostre esportazioni -che

altro non ci rimanga che schierarci subito contro di esso, :salvo a vedere quali

modificazioni di linea di condotta potrà suggedrci ~'ulteriore svolgersi degli

avvenimenti.

Ciancarelli -N o n crede che di fronte ad un programma come quello

austro-tedesco si possa fare molto affidamento sul giuoco della clausola deHa

nazione più favorita, pensa invece che se, come è :presumibile, risulterà che ci

convenga schierarci contro, :sia utile farlo subito e cioè prima che il det>to pro

gramma trovi adesioni e si consolidi.

Ricciardi -È d'avviso che l'unione doganale sia stata progettata dalla Ger

mania per ragioni di politica interna, e che essa abbia contrari molti ceti indu

striali germanici. Egli considera il patto piuttosto come un « baHon d'essai , che

come un aecordo economico vero e proprio.

Buti -Crede che tutto confermi la necessità di fare una opposizione negativa (dal punto di vilsta giuridico) insieme ad una opposizione positiva (cercando di costruire un contro~progetto od una contro-intesa, magari con l'Austria). Ciò perché a Ginevra non dovremmo trovarci impreparati di fronte alla possibilità esistenza di un contro-piano francese.

Anzilotti -Tiene a porre in rilievo taluni •punti dubbi del protocollo di Vienna e particolarmente il danno che esso ci produrrebbe se, appoggiato, come sembra, da partiti politici austriaci, esso sbocca~s·e in una unione doganale e ferroviaria completa.

Pittalis -Dice di ritenere che Quasi certamente ci troveremo a Ginevra di fronte ad un nuovo piano francese.

Anzilotti -Fa una rapida rassegna dello stato attuale delle nostre trattative con i Paesi danubiani. Con l'Ungheria le cose sono giunte ad un punto conclusivo; con l'Austria, sono invece incerte in quanto lo stesso Schiiller si è ultimamente mostrato non bene preparato; con ·la Jugoslavia tutto si è limitato ad una generica entrata in materia con i.l rappre·sentante del detto Paese alla Conferenza del Grano. La sola conclusione alla quale si è venuti con questi è che la questione avrebbe potuto essere discussa con un esperto jugoslavo a Milano, in occasione della prossima Fiera.

Ciancarelli -Ritiene convenga decidere se debbano oppur no continuare le trattative per la conclusione dei noti accordi con i Paesi danubiani, AUistria compresa. Nel caso affermativo converrebbe non solamente fare li.l possibile per giungere al più presto ad una conclusione, ma anche decidere se le nuove cir,costanze non consiglino di aLlargare la base dei negoziati in modo da renderli ancora più interessanti per i Paesi danubiani e particolarmente per l'Austria.

Grandi -È possibile giungere a concludere i nostri Accordi danubiani condizionatamente ad una non esecuzione del protocollo di Vienna? Ciancarelli -Il Signor Schuller si è ultimamente dichiarato disposto ad accettare la seguente clausola:

• Si par un accord, à conclure par une des Haultes Parties Contractantes avec un tiers Etat, l'équilibre découlant du rapport entre les ex[portations réciproques, fixé par le présent Accord, pouvait et11e préjugé, l'adhésion de l'autre Haute Partie Contractante sera nécessaire pour la stipulation de l'Accord en cause».

È difficile dire se tale clausola ci dia garanzia sufficiente nei riguardi della progettata unione doganale austro-tedesca, sembra tuttavia che abbia un qualche valore. In ogni ,modo si potrà prima di concludere parlare chiaramente aH'Austria in quel preciso senso che il R. Governo delsidererà.

Bottai --Bisognerebbe allora cambiare tutta la impostatura delle nostre trattative per poter dire all'Austria che noi tratteremo con tutta larghezza le sue domande solo se essa rinuncerà ane sue intese 'con la Germania. Il suo Dicastero in ogni modo è pienamente dispoo:,to a cercare di ,realizza,re, d'accordo ,con quello degli Esteri, quella più larga collaborazione economica con i Paesi danubiani che venisse ritenuta utile. Conclude dicendo che, a suo avviso, converrebbe uscire al più presto dalla presente situazione di attesa.

Mosconi-Riconosce che i nostri interessi ci spingono a porci contro l'unione austro-tedesca e ad allargare le basi e gli scopi dei nostri Accordi con i Paesi Danubiani. Ciò ci permetterebbe di avere una direttiva ed una linea di azione distinta da quelle francesi.

Ghigi -Ritiene meglio sia, per non indebolire la nostra situazione, di non subordinare più oltre la conclusione dei nostri Accordi con i Paesi danubiani alla adesione della Jugoslavia. A tal riguardo, è d'avviso che, caduti oramai o quasi, i primi approcci con la Jugoslavia convenga, anche per non svalutare la nostra recente campagna di stampa, non insistere oltre e fare invece ,comprendere a Belgrado che la nostra attitudine a suo riguardo potrebbe mutare e che, svanito il piano di collaborazione, l'Italia potrebbe pas1sare ad attuare una politica economica ostile.

Grandi --Riassume ampiamente la discussione, 1ponendo in rilievo come, per considerazioni varie tutti gli intervenuti siano giunti ad una stessa conclusione: che cioè l'unione doganale austro-tedesca è contraria ai no1stri interessi economici e, in ogni caso, è da escludere la nostra adesione aHa Unione stessa. Che perciò ci converrebbe, se possibile, di impedirne la attuazione. A sua volta indica, per grandi linee i punti politici salienti della questione. Premesso che l'accordo non poteva avvenire in un momento peggiore per noi, egli ,rammenta come ,l'idea dai nostri Accordi danubiani fosse sorta allo scopo di controbattere l'influenza della Francia nei Paesi danubiani e particolarmente l'attività da es,sa spiegata in

questi ultimi tempi con i viaggi di Flandin e di Loucheur. Oggi la situaz.ione è cambiata e gli accordi da noi progettati dovranno principalmente serrvire a controbatterre il programma di espansione germanico che deve anche preoccuparci pel fatto che esso non è se non il prodromo di un piano più grande che si concluderà -se non contrastato -con l'Anschluss vero e proprio. Può, è vero, apparire da un primo esame, che un indebolimento della influenza e del prestigio francesi nei Balcani possa costituire un fatto vantaggioso per la nostra politica: ma se si guarda all'avvenire appare chiaro che la creazione di uno stato di ,cose capace di creare possibilità di pressione dei popoli tedeschi verso l'Adriatico può essere anche più pericoloso per noi della influenza francese nell'Oriente europeo e dell'attuale Piccola intesa. Orede quindi sia ormai giunto il momento di usc.Lre da una posizione di semplice aspettativa che va ogni giorno perdendo parte della sua forza. Non è da dimenticare inoltre che il piano austrotedesco se, da un lato, può sembrare di aver colpito la Francia togliendole ,l'iniziativa della organizzazione europea ha dall'aUro minacciato in pieno le n~stre faticose trattative per la conclusione di patti regionali. Non è sembrata, fino ad ora, conveniente, per varie ragioni, l'associazione dell'Italia all'azione deUa Francia; è sembrato invece preferibile un avvicinamento alla proposta britannica diretta a rimandare il patto austro-tedesco all'esame di Ginevra. Ma ora necessita che a tale esame noi arriviamo preparati e sicuri deHa strada da seguire. Chiarite ormai quali ,conseguenze economiche avrebbe per noi la realizzazione del detto patto ritiene che, in attesa delle definitive decisioni che giudicherà di prendere

S. E. il Capo del Governo convenga intanto, e per ogni evenienza, attivare i negoziati con i Paesi danubiani. E poiché al momento attuale non è consigliabile entrare in trattative con la Jugoslavia nei riguardi della quale dovremo invece assumere una attitudine di forza, conviene che, lasdato in disparte questa parte del programma, si agis,ca in modo che i nostri accordi con l'Austria e l'Ungheria arrivino prontamente ad una conclusione e ne venga anche allargata la portata, se ciò apparirà necessario.

Prega il camerata Bottai di volere sottoporre a S. E. il Capo del Governo la relazione preparata dal lsuo Dicastero e che i coNeghi qui presenti fanno propria, derivandone le conclusioni seguenti:

l) È esclus'a ~la convenienza economica dell'Italia di partecipare aU'Unione doganale austro-tedesca;

2) La detta Unione produrrebbe aH'Italia, a più o meno breve scadenza, gravi danni politici ed economici;

3) Si ritiene convenga affrettare la conclusione dei nostri accordi con ,l'Austria e l'Ungheria allargandone anche la portata, se del caso.

In ogni modo rimane stabilito che i,l cr-isultato di questa adunanza verrà

fatto presente a S. E. il Capo del Governo dal quale si attenderanno le direttive

da 1seguire in questa importante questione sia nel campo poiitico che economico.

La seduta è tolta alle ore 20,15.

(l) -Alla riunione, che si tenne a palazzo Ghigi alle ore 17, erano presenti: Grandi, Mosconi, Bottai, Acerbo, ed inoltre: De Michelis, Presidente Istituto Internazionale Agricoltura, Jung, Presidente Istituto Nazionale Esportazione, Ciancarelli, Pittalis, Buti, Ghigi, del Ministero Esteri, Brocchi, Consigliere di Stato, Anzilottl, del Ministero Corporazioni, Mariani, del Ministero Agricoltura, Ricciardi, Consigliere Commerciale a Berlino, Dall'Olio, Direttore dell'Istituto Nazionale Esportazione. (2) -Non si pubblica.
197

L'INCARICATO D'AFFARI A VARSAVIA, PETRUCCI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. 962/44. Varsavia, 13 aprile 1931, ore 18,23 (per. ore 22,10).

Sono stato chiamato da:l Colonnello Beck, Sottosegretario agli Esteri, il quale mi ha detto che, dopo aver fatto esaminare dalle Autorità •competenrti effetti economici ·Che potrà avere per la Polonia progettata Unione dogana1e austro-tedesca, ha riscontrato ·che essa potrà intrakiare seriamente traU~co esistente fra l'Itailia e la Polonia attualmente effettuato via Vienna. Mi ha quindi confidenzialmente pregato di interpellare V. E. per sapere se accetta che fra i due Governi avvenga uno scambio di vedute drca gli effetti economici della pl'ogettata Unione doganale affinché, nel calso probabile la necessità si presenti, si possa •coordinare un'azione ·comune. Mi ha rimesso a ta.le proposito un progetto di formula, che qui appresso trascrivo, e che dovrebbe, nel caso V. E. accettasse la proposta, essere mEossa in valore in uno scambio di note od aUro documento:

• Visto la situazione ereata dall'Accordo tedelsco-austr.iaco, il'articolo sette del quale contiene il pericolo di fare applicare dall'Austria ai trasporti in transito (bestiami, prodotti del suolo ecc.) gl,i stessi principi restrittivi di cui si serve la Germania, sarebbe utile che i Governi polacco ed italiano si as.sicurino mutuaimente l'appoggio necessario per ottenere 1la garanzia ehe gli scambi commerciali pòlacco-italiani non abbiano a subire alcun intralc·io di fronte alle condizioni attuali».

Gli ho promesso che avrei riferito a V. E. (1).

198

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ORSINI BARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. 960/230. Berlino, 13 aprile 1931, ore 20,05 (per. ore 23).

Nell'assenza Cancelliere germanico Ministro degli Affari Esteri che rientreranno Berlino nella prossima settimana per prendere parte riunione del Con

" Il Governo polacco ha... tenuto finora un contegno molto riservato di fronte all'avvenimento. Questo Sottosegretario di Stato agli Affari Esteri, Colonnello Beck, mi ha quasi ostentatamente parlato solamente delle ripercussioni di carattere economico della progettata unione doganale austro-tedesca senza farmi il minimo accenno alle ripercussioni politiche.

Aggiungo infine che alcune alte personalità militari e politiche mi hanno non senza un certo compiacimento dichiarato che l'eventualità dell' "Anschluss" aveva un lato buono. quello di realizzare e concretizzare sul terreno politico quella profonda amicizia itala-polacca che oggi si basa solamente sui vincoli culturali e sentimentali ».

Il 16 aprile il colonnello Beck dichiarò a Petrucci che • gli ultimi avvenimenti nell'Europa centrale hanno dimostrato che la Piccola Intesa deve essere ormai considerata

s•iglio dei Ministri importanti rag.ioni di politica interna, ho conferito col Segretario di Stato Ministero Affari Esteri su quanto formava oggetto del telegramma di V. E. 105. Egli mi ha risposto:

l o -Proposta Henderson Consiglio Società delle Nazioni è ormai stata presentata Ginevra.

2" -Curtius si prepara con calma sostenere tesi austro-tedesca. Schober ed eventua•lmente Curtius it'ibatteranno argomenti giuridici (fino ad ora da nessuna parte avanzati) dimostranti inconciliabilità iniziativa austro-tedesca protocollo di Ginevra anno 1922. Altra azione non è .possibi:le da parte Potenze che hanno approvato recente Accordo commerciale romeno-jugoslavo. Governo tedeisco ritiene che Consiglio Società Nazioni sarà convinto spiegazioni Schober e Curtius concilianti Accordo doganale austro-tedesco con protocollo del 1922. Se questa speranza si dimostrerà vana si verrà in seno Consiglio Società Nazioni a votazione su una mozione, votazione che dovendo essere all'unanimità andrà a vuoto.

3° -Trattative aUistro-tedesche per Accordo procedono, ma secondo lui è da escludere che Consiglio Società Nazioni possa trovarsi di fronte a qualche nuovo fatto compiuto fra i due Governi.

4o -Biilow mi ha detto essere volontà de'l Governo di Berlino e di Vienna ricercare con quello di Roma base comune intesa economica che presenti éreaU vantaggi per l'Italia. Ho osservato che il vantaggio politico da lui messo in rilievo dello sconquassamento Piccola Inte1sa (l) non varrebbe certo a sanare danni che azione austro-tedesca recherebbe sul campo industriale e agricolo alla produzione italiana sui mercati stranieri. Blilow ha replicato che i àue Governi non hanno né intenzione né interesse recare pregiudizio alla economia italiana, ma aspirano invece trovare soluzione vantaggiosa per i tre Paesi.

(l) Cfr. n. 211. Sull'atteggiamento della Polonia nei confronti del tentato accordo austro-tedesco cfr. quanto Petrucci aveva comunicato il 27 marzo:

199

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO DELLE COLONIE, DE BONO

TELESPR. R. 213328/343. Roma, 14 aprile 1931.

Telespresso di questo R. Ministero n. 208042 del 6 marzo 1931.

Facendo seguito alla comunicazione di cui al telespresso citato in r.iferimento, si ha iJ pregio di qui di seguito trasc•rivere quanto il R. Ministro in Addis Abeba, con successivi telegrammi in data 22 e 24 marzo, ha riferito circa H viaggio da lui compiuto ed i colloqui da lui avuti col Blatingheta Herui facente funzione di Ministro degli Affari Esteri d'Etiopia:

come uno strumento politico assolutamente inutile e sorpassato » (rapporto 723/403 del 17 aprile). Cfr. anche la relazione ministeriale del 14 aprile cit., sull'atteggiamento della Polonia:

• L'accordo sembra abbia suscitato impressione e inquietudine. Da notizie provenienti da Bucarest, sembra che essa abbia preso l'iniziativa di uno scambio di idee per una unione doganale, sotto l'egida della Francia, con la Romania, la Jugoslavia e la Cecoslovacchia, che dovrebbe poi attrarre anche la Ungheria e la Bulgaria».

• Viaggio col Ministro Affari Eisted è stato improntato a viva 'Cordialità e con sentimenti di amicizia insolita da parte Blat;-.gheta, uomo chiuso, ostinato e che non aveva dato mai prova di essere amico. Data la di ,lui profonda devozione per l'Imperatore atteggiamento assunto deve attribuirsi a personale intervento Sovrano. Nel campo politico Ministro mi ha più voUe dichiarato ,essere soddisfatto del nostro leale atteggiamento che è per l'Imperatore di grande conforto in questi momenti per lui difficili. Scendendo a questioni particolari ha espresso desiderio che tutte le questioni con la nostra Colonia si continuino o. trattare amichevolmente in via non ufficiale al fine di evitare incidenti di cui ' molti ' trarrebbero profitto.

Esemplificando ha detto Imperatore spera vedere ,S'istemate le frontiere ancora incerte e che mi ,pregava di provare il terreno per vedere come 1la pensasse al rjguardo Governo della Soma1ia. Si è astenuto dal rivelarmi ciò che avevo nei giorni precedenti appreso e cioè che in un rapporto inviato qui da Giggiga (dico Giggiga) era stato riferito al Governo abissino che nostri posti di frontiera si erano addentrati in territorio et1iopico per qualche centinaio di chilometri. Non convenendo portare discorso su tale argomento sonomi limitato a promettergli ,che mi ~sarei posto in relazione con Governo Mogadli1scio presso cui avrei svolto opera conforme agli ,amichevoli sentimenti che ci animano verso Abio'sinia. Ho a questo proposito dichiarato che noi non ,chiediamo nUilla ma che sarebbe assai utile per provare sincerità propositi ,che Governo etiopico cercasse una collaborazione con noi in quei campi economioi e culturali che avrE:!bbero rafforzato amicizia senza compromettere in alcun modo faticosiQ lavoro politica interna dell'Imperatore.

Ministro mi ha detto ~che Sua Maestà era in questo ordine di idee e ne era prova una proposta di cui riferisco nel successivo telegramma •.

« Seguito mio telegramma 115.

lVIin~stro Affari Esteri mi ha pregato, sempre a nome dell'Imperatore, di accompagnarlo ad ' Errer ' dove Sua Maestà ha una vasta proprietà di qualche migliaio di ettari alla cui messa in valore si è dedicato da 7 anni agronomo italiano Pastorelli. Visita è durata due giorni. Sua Maestà ha desiderato che io visitassi tutta la proprietà per esprimere il mio giudizio 1sul lavoro fatto e sui possibili futuri sviluppi. Risultati finora ottenuti su circa 100 ettari sono veramente belli e fanno onore industria agricola italiana; ora occorrerebbe mettere in valore il rimanente e organizzare vendita prodotti; su ciò farò una dettagliata relazione a Sua Maestà. Ministro mi ha però detto che sarebbe gradito al Sovrano che io proponessi la creazione di una compagnia italiana, la quale dovrebbe sfruttare la proprietà in società con Imperatore e dedicarsi eventualmente con uguale .scopo agli altri beni di Sua Maestà situati nella provincia di Harrar e al Caffa. Sistema sfruttamento dovrebbe basarsi su quello di Sicilia o della mezzadria e contemplare quindi impiego di nostre famiglie coloniche di Tripoli, dove clima è cattivo, e di Sicilia e Calabria, nei siti a clima buono.

Prego V. E. di onorarmi del suo incoraggiamento e telegrafarmi se persone adatte sarebbero disposte patrocinare iniziativa, la quale aprirebbe 1le porte alla nostra penetrazione portandoci Jn zona per noi anche politicamente interessante. Andrò dall'Imperatore sabato prossimo, per attendere che sia partito Politts, e se per quella data potessi parla,re, sia pure a tito[o personale, in modo da incoraggiare Sua Maestà in questo primo rserio proposito di collaborazione con noi, sarebbe utile cosa.

Aggiungo che nella proprietà visitata esristono sorgenti di acqua termale assai reputata per bagni e cura del ricambio tipo Montecatini che potrebbe pure presentare interesse per noi.

Ministro Affari Esteri mi ha detto Imperatore è rimasto molto soddisfatto viaggio compiuto assieme e desidera ora una mia rerlaz.ione.

Ministro ha eonfermato desiderio Negus che inizJiativa agricola a noi affidata debba estendersi un poco ovunque per cercare di educare gli abissini alla coltivazione raziona~e de1la terra. Ha insistito rsulla importanza data dal Sovrano ad una intesa 1sdmile ·con l'Italia ed ha detto essere questo il migliore mezzo ' per mostrare ai nemici che siamo amici ' •.

Dalla lettura di detti .teJegrammi è in primo luogo da rilevarsi con soddisfazione che l'opera di distensione nei rapporti italo-etiopic.i che il Marchese Paternò persegue ad Addis Abeba secondo Je note istruzioni impartitegli da questo Ministero, ha cominciato a dare qualche utile risrutato. Il tono delle spiegazioni che il R. MiniJSJtro ad Addirs Abeba ha avuto ,personalmente con l'Imperatore ed i più rintimi contatti che, dietro evidente ispirazione di quest'ultimo, il Ministro etiopico degli Affari Ersteri ha instaurati col Marchese Paternò ne sono un chiaro ·segno: pur facendo le debite riserve circa la sincerità dei sentimenti espressi e la serietà delle proposte formulate dal Blatingheta Herui.

Richiamalsi -l'attenzione di codesto Ministero su quanto il R. Mrinistro riferisce a proposito della richiesta abissina di rsistemazione delle frontiere ancora incerte. È chiaro rche H Governo di Addis Abeba è già sul chi vive per quanto concerne l'azione di penetraz,ione svolta d:arl Governo di Mogadiscio nell'Ogaden. II Marchese Paternò ha rrisposto evasivamente aLla richiesta etiopica, secondo le istruzioni già impartitegli in materia. Tali i.struzioni questo Minirstero si propone di confermargli nel rispondere ai telegrammi sop.ratrascritti.

Circa il desiderio imperiale espresso dal Blatingheta Herui, di costituire una compagnia agricola italiana con lo scopo di sfruttare, in società con !l'Imperatore, l'azienda agricola di Errer nonché gli altri beni terrieri di proprietà imperiale, siti nelle provincie di Harrar e del Caffa, questo Ministero concorda col Marchese Paternò nelrl'intere~se che potrebbe offrirre l'attuazione di tale piano, che d darebbe modo di svolgere una utilissima opera di penetrazione economica e politica.

Molti tuttavia e non lievi dubbi suscita la nuova proposta abissina. In ,primo luogo, non può non sorgere il ·Sospetto che tale proposta ci venga fatta per distogliere la nostra attenzione da altri campi in cui la auspicata collaborazione italo-etiopica, pur iniziatasi con le migliori dichiarazioni di buon volere da parte del Governo di Addris Abeba, è rimasta praticamente inefficiente per il sostanziale ostruzionismo del Governo etiopico; vogiio a1lrludere alla ·costruzione della eamionabile Assab-Dessrié.

Inoltre è da rilevare ·che l'iniziativa imperia.le tende ad attirare nuovi capitali nel paese, att11ezzando tecnicamente delle proprietà agricole; ma raggiunto tale risultato, è prevedibile che la progettata Compagnia .italiana s•arà costretta a mezzo delle solite vessazioni ad abbandona·re il campo, per non espo:risi a perdite indefinite: giacché è questo normalmente il risultato delle ::oncessioni date a stranieri in Abissinia.

In terzo luogo sembra pecr ora del tutto s•consigliabile di permettere il.'emigrazione di famiglie colonkhe ita>liane in Etiopia, ,specialmente in zone distanti dalle frontiere delle nostre Colonie, quali >sarebbero l'Hartrarino ed il Caffa.

A tutto ciò è da aggiungersi la difficoltà di trovare, almeno neWattuale periodo, in Italia persone o Società disposte a impiegare capitali in una imprelsa agricola in Etiopia, di esito estremamente incerto.

Questo Ministero tuttavia !ritiene che a•hle aperture del Blatingheta Herui non conveflga, per ragioni di opportunità politica, oppor11e senz'altro un netto e definitivo crifiuto; ma che si debba piuttosto cominciare col veni:r:e incontro alla proposta etiopica offrendo dei tecnici agrkoli litaliani, che dovrrebbero essere assunti dall'Imperatore, •come Jo è il Pastore1li per la tenuta di Errer, e che potrebbero, dopo essersi recati sui luoghi e dopo aver proceduto agli ac·certamenti ed agli studi necessari, .presenta•re dei più concreti progetti d.n base ai quali la cosa verrebbe ulteriormente esaminata.

Prima di rispondere in tal senso al Marchese Paternò, si gradirà tuttavia conoscere il pensiero di codesto Ministero in mer•ito.

(l) Lo stesso aveva detto a Grandi von Schubert (cfr. n. 182).

200

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO A TIRANA, SORAGNA

T. PRECEDENZA ASSOLUTA 360/88. Roma, 15 aprile 1931, ore 24.

Sull'argomento di cui ai Suoi telegrammi n. 106 e 107 (l) preferisco darLe istruzioni a voce. PregoLa quindi ventre al più presto a Roma, astenendosi intanto dal prendere alcun impegno (2).

In un primo tempo era stata minutata una risposta diversa ai tell. 106 e 107 di Soragna: « Sono· nella necessità di comunicarLe che non ritrovo nei precedenti sistemi di

negoziato di codesto Governo garanzie sufficienti per pensare che all'apporto finanziario possa essere dato il via sulla semplice base di una promessa di rinnovo del Patto politico.Tutto lascia credere che appena conclusa questione finanziaria il rinnovo del Patto cada in una rete di nuovi indugi esitazioni progetti di modifica ecc. che ne renderebbe aleatoTia la conclusione senza che possa più essere usata da parte nostra la pressione viva ed immediata che oggi è insita nella questione finanziaria.

Prego perciò V. S. di fare chiaramente intendere che la connessione e la contemporaneità delle due operazioni è nel pensiero preciso del Governo fascista unicamente preoccupato di non far venire meno al Popolo albanese quello strumento politico che in cinqueanni di applicazione si è dimostrato la fonte di ogni stabilità dello Stato albanese e del regime del Re, di fronte a tentativi interni ed esterni che non potrebbero che essere incoraggiati dalla cessazione del Patto e dalla continuazione dell'attuale fase di incertezze».

(l) -Cfr. n. 195. (2) -A Roma andò invece Quaroni.
201

APPUNTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, SUL COLLOQUIO CON L'AMBASCIATORE DI TURCHIA A ROMA, SUAD BEY

Roma, 15 aprile 1931.

Suad Bey mi informa di avere avuto istruzioni dal suo Governo di intrattenere il Governo italiano sulla nuova situazione determinatasi per 1la Turchia in seguito alla ,lettera ricevuta dal Segreta,rio della Lega deUe Nazdoni che da comunicazione al Governo di Angora delle deliberazioni prese dal Comitato dei Dodici a Parigi concernenti l'invito alla Turchia a partecipare ai lavori della Commissione di Ginevra nel maggio p.v. Suad Bey mi illustra gli stessi concetti già contenuti nei recenti telegrammi da Angora in cui il nostro Incaricato di Affari riferisce il punto di vista del Ministro degli Esteri turco Tewfik Rouschdy bey. Il Comitato dei dodici incaricato di redigere l'ordi!le del giorno ha modificato nello spirito l'ordine del giorno votato daHa Commissione europea nello scorso gennaio (1). La Turchia non può accettare, per un elementare senlw di dignità nazionale, un invito ,limitato al comma 3 dell'ordine del giorno. Prima tuttavia di rispondere aUa nota del Segretario Generale deMa Società delle Nazioni il Governo turco desidera conoscere l'avviso del Governo italiano sulla questione.

Rispondo a Suad Bey che effettivamente riconosco t,rovar:si oggi la Turchia in una posizione delicata. Se io mi trovassi nella posizione del Ministro degli Esteri turco non saprei consigliare al mio paese di seguire un'attitudiine diversa da quella che il Governo turco si è prospettato, doè rifiutare ,la partecipazione ai lavori della Commiss,ione nelle condizioni !stabilite dal Comitato di Parigi. A Parigi i delegati italiano e tedesco hanno fatto tutti gli sforzi per mantenere la questione nei ,limiti fissati dall'ordine del giorno del gennaio scorso. Sotto un certo aspetto, e precisamente in quello sostanziale l'azione del delegato italiano e tedesco ha portato a dare una interpretazione estensiva e quindi più favorevole all'ordine del giorno del gennaio, in quanto che es1si sono riusciti a far comprendere nell'esame delle questioni economiche le questioni tecniche proposte dai diversi Governi all'esame della Commissione europea e che figuravano estranee all'ordine del giorno del gennaio. Devesi tuttavia ammettere che sotto il punto di vista formale la Francia ha ottenuto, malgrado l'opposizione italiana e tedesca un succeslso, perché riuscendo di collocare al comma 3 la discussione sui problemi economici ha ottenuto parimenti di interpretare in senso ,restrittivo e limitato l'ordine del giorno del gennaio. La stessa Germania ha contribuito al successo francese quando ha inlo;istito di mettere al comma 2 la discussione della partedpazione della città libera di Danzica. Sotto tale aspetto l'azione del delegato germanico non è stata certamente un'azione amichevole e solidale nei confronti dei Governi di Mosca e di Angora. Questa circostanza ha il suo valore e su di essa i Governi di Angora e di Molsca debbono riflettere.

Il delegato italiano ha fatto le sue l'iserve e non ha accettato l'ordine del giorno che fissa il programma dei lavori per il prossimo maggio. Ciò significa che il Governo italiano si propone di riprendere la questione a Ginevra all'inizio della discussione. Il rifiuto del Governo russ,o e turco di pal'tecipa,re ai 'lavori della Commissione di maggio, rifiuto che verrà dopo l'accettazione da parte dei due medesimi Governi di partecipare ai lavori, accettazione ~comunicata dopo la discussione della ~riunione del gennaio, darà modo al delegato dtaliano di dimostrare come l'attitudine del Governo russo e turco 'sia stata inspirata a principì di collaborazione europea, e come d'altra parte la decisione del Comitato di Parigi abbia di fatto e in !sostanza reso impossibile questa collaborazione malgrado la buona volontà dimostrata dai Governi di Mosca e di Angora. I lavori della Commissione europea cominceranno quindi con un atto, in sostanza, anti-europeo e diretto contro determinati paesi europei. Que,sta sarà presso a poco la condotta del Governo italiano, indipendentemente da quella che potrà essere la condotta del Governo tedesco. È molto verosimile tuttavia che una dichiarazione di tal genere da parte del delegato italiano non sarà sus,cettibile di modificare la situazione di fatto. Né l'italia potrebbe fare di :più. Ove tuttavJa il Governo tedesco si impegnasse a spingersi più oltre, il Governo italiano sarebbe pronto a concordare un'azione comune in tal senso, fino a prospettarsi la possibilità dell'abbandono da parte della Germania e dell'Italia contemporaneamente della Commissione europea, giustificando tale abbandono pel fatto specifico di essere venute meno le condizioni cui l'Italia e la Germania subordinavano la loro partecipazione all'unione, e cioè l'integrità della comunità europea. Ove il Governo di Angora e soprattutto il Governo di Mosca riuscissero ad ottenere dal Governo di Berlino l'impegno per un'azione a fondo, l'Italia non solo non si sottrarrebbe a questa azione ma esaminerebbe questa eventualità favorevolmente. Occorre tuttavia su questo terreno una precisa intesa tra il Governo di Mosca e quello di Berlino; in tal senso il Ministro degli Esteri turco potrebbe consigliare a Litvinoff l'azione da svolgersi, informandolo nello stesso tempo di quelli che sono gli intendimenti dell'Italia.

L'Amba1s1ciatore turco mi ha rmgraziato riservandosi di comunicare quanto precede al suo Governo e di tenermi informato su tutto quanto possa i'iferirsi a tale argomento.

È evidente che H Governo tedesco cercherà di sottrarsi ad un'azione troppo spinta e solidale con la Russia e la Turchia. Il Governo tedesco ha scelto la Commissione europea come piattafo~rma politica per difende,re il Protocol!lo doganale austro-tedesco recentemente concluso. Non comprometterà i vantaggi che gli derivano da questa posizione per un gesto di soUdarietà verso la Russia. Con tutta probabilità il Governo tedesco si rifiuterà quindi di portare le cose in fondo, e il Governo russo avrà la prova elementare di quanto poco sia disposta a fare la Germania nei confronti della Russia. Tutto ,si riduiTà quindi, assai probabilmente, ad una dichiarazione da parte italiana e forse da parte tedesca, dichiarazioni che ,potranno mettere in luce la cattiva volontà francese e la contraddizione fra i principì che inspirana l'unione europea e gli atti che la Commissione europea ha compiuto e sta compiendo. Nel caso non prevedibile

12 -Documenti diplomatici-Serie VII-Vol. X

che la Germania accettasse di considerare il fatto della non partecipazione rusrsa e turca alla Commissione europea come sufficiente a giustificare !l'abbandono da parte della Germania e dell'Italia della stessa Commissione europea, tanto meglio. Il r<itiro della Ge!'mania e dell'Italia determinerebbe lo scioglimento automatico della Commissione europea, ma tutto ciò, ripeto, non è prevedibi•le. L'attivo per noi di queste • manovre d'autunno » conJsiste nel creare quakhe imbarazzo alla politica francese a Ginevra, e qualche imbarazzo alla politica tedesca a Ginevra, 1nasprire il contratto tra Parigi e Mosca, e peggiorare, se possibile, le relazioni tra Berlino e Mosca, spingendo quest'ultima ad agire più direttamente su Berlino. Premessa naturalmente di tutto ciò è che i Governi dti. Mosca

[e di Angora] rispondano alla nota del Segretario Generale della Società delle Nazioni con un rifiuto, in questo senso occorre agire ad Angora e Mosca.

(l) Cfr. n. 29.

202

L'AMBASCIATORE A PARIGI, MANZONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. PER CORRIERE 1027/132. Parigi, 16 aprile 1931 (per. il 18).

Mio tel. filo n. 130.

Ho avuto colloquio con Berthelot.

Gli ho detto che avrei voluto andare direttamente dal Signor Briand ma

che siccome qui v'è abitudine di immediatamente annunziare a.J pubblico i colloqui coll'ex Presidente, e •la stampa li commenta ·come ·conviene al giornale, io evitavo la visita diretta per evitare in pa~i tempo pubblicità e commenti non opportuni o errati. Ma il mio dire era diretto al Signor Briand al quale pregavo di ripeterlo.

Volevo informare il Signor Briand deUe :impress1ioni riportate nel mio recente viaggio a Roma. La notizia dell'intesa nava•le del l o marzo aveva provocato viva soddi,sfazione nel pubblico italiano e favorevole disposizione per un vero avvicinamento tra i due popoLi; l'accoglienza deLla Camera dei Deputati al prussaggio del discorso di V. E. relativo ai·l'intesa navale e aUa Francia era stata viva e 'larga come quella della Camera francese al discorso del Signor Briand. Insomma si era veramente fatta ,in Itai.ia una situaz•ione d'animi disposta all'avvicinamento, ·come, nella stessa occasione e per lo stesso evento, si era fatta in Francia. Così ·che era stato agevole all'Ambasciatore di Francia la sera stessa del 20 marzo, a tarda ora, ottenere l'immediato consenso italiano ad un passo diplomatico da farsi a Vienna dal nostro Ministro contemporaneamente ai suoi Colleghi di Francia e di Cecoslovacchia in relazione alla notizia di un progetto di unione doganale Austro-Tedesca (1).

Le divergenze sorte a Londra avevano avuto una comispondente ripercus

sione di raffreddamento e di disillusione. Occorreva provvedere a dileguarla

perché il suo eventuale consolidamento sarebbe stato di effetto serio e dura

turo: ma l'Italia era profondamente sicura di non avere alcuna responsabi.Jità

della situazione, sicura della solidità e della chiarezza delle sue basi; piena

mente conscia di avere ·fatto il mass1imo delle •concesl>:ioni per a~rivare all'intesa del l o marzo: perciò non vi era possibtlità di akuna sua mossa oltre J.e basi del lo marzo. Faceva parimenti senso in Italia il fatto che la divergenza sembrava .portare, dalle indiscrezioni di <stampa, su una questione di drca 80.000 tonnellate in lsei anni (1931, a tutto 1936). L'opinione pubblica italiana si manteneva calma, avrebbe fatto n .possibi.le per continuare a mantenersi calma anche neHe manifestazioni di sta•mpa: poteva comprendere ·che fosse necessario qualche tempo per vincere ·le difficoltà insorte; ma... tutto aveva un Umite: anche diplomaticamente pareva esservi un limite nel fatto ·che il 5 maggio il Parlamento francese riprende le sedute, il 18 maggio incominciano le r:iundoni di Ginevra, e nel frattempo ·si preparano posizioni diplomatiche di grande importanza per le questioni che 1s1ono già all'ordine del giorno di Ginewa.

L'Italia non poteva (ed era ben giustificata) muoversi dalle basi convenute e liberamente pubblicamente accettate da tutti gli interessati il 1° marzo.

Berthelot ha ammesso che la .posizione italiana del l o marzo era indiscutibile: ha detto che il Presidente del Consiglio ed il Signor Briand intendono riuscire ad appianare .la divergenza; che vi sono da superare le difficoltà dei marinari, fattesi vive in questi giorni di interinato Tardieu alla Marina e di molta attività da parte Ammiraglio Violette; che la quelstone è divenuta una questione tra flotta Italiana e flotta Francese perché gli Inglesi, ora ·che hanno saputo quali sono le due cifre italiana e francese, non hanno più queU'interesse nella questione che avevano prima; che ,si sta qui facendo il possibile per trovare una soluzione accettabile da<1l'ltalia; ·che si comprende <la portata della questione e vi è vivo desiderio di approfitta•r<e del movimento di avvkinamento creato tra i due popoli dalle notizie de1l 1° marzo per chiarire i il.oro rec.Lproci rapporti e ·stabilire delle basi di amichevoli durature relazioni ·che consentano di risolvere ·le questioni itala-francesi e di ag-ire in al'lffionia in tutte le questioni internazionali.

Berthelot ha accennato a una soluzione che dividesse a metà J.e difficoltà di cifre o di tempo. Ho fatto capire che non era soluzione possti.bile. Mi è parso, dalla sua risposta, che avesse gettato l'idea a sondaggio.

Berthe1ot ha ammesso che nostra stampa si porta bene, mentre non tutta la francese fa altrettanto. Ha ammesso pure che se occorre dare tempo per trovare una soluzione, vi sono •però i limiti cui io ho accennato, e che è preferibile risolvere bene la questione al più presto.

(l) Cfr. n. 142.

203

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ORSINI BARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. (P. R.) R. 2838/243. BerLino, 17 ap1·ile 1931, ore 15,15 (per. ore 17).

Maggiore Renzetti mi informa che domenica parte per incontrarsi con Hitler a Monaco di Baviera e prosegutre quindi per Roma per conferire ·con Capo del

Governo. Egli sta preparando udienza Capo del Governo Signor Goring uno dei capi 'berlinesi partito socialista nazionalista. V. E. sa quanto delicato ~;1ia momento attuale dissidio fra Cancelliere e nazionalisti socialisti e le condizioni crisi interna nelle quali partiti si trovano. Spero che V. E. appoggerà mio parer~ che se Capo del Governo concede udienza ciò avvenga massima segretezza senza che giornali ne facciano parola (1).

204

L'AMBASCIATORE A MADRID, DURINI DI MONZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. 1016/81. Mad1·id, 17 aprile 1931, ore 15 (per. ore 18,30).

Prescindendo da ogni considerazione di ordine circa Dinastia e salvo avvenimenti imprevisti, ritengo che p~er avvenire noske relazioni politiche commerciali con Spagna, sarebbe nostro interesse riconoscere questo nuovo regime di fatto non ~appena possibile. Ho già trovato modo fare interrogare da persona influente e di assoluta fiducia e senza naturalmente fare apparire ~che era da me incaricata, parecchie personalità Gov:erno e specialmente Mlinistri degU Affari Esteri e della Guerra. Ambedue dettero affidamento nei riguardi nostri anche circa loro intenzione non permettere giornali campagna antifascista. Farò avvicinare con ogni cautela da stessa persona anche Ministri con precedenti marcatamente antifascisti.

Stampa pubblica intervista accorda!a Ministro degli Affari Esteri che dichiarò:

• Nostra politica internazionale ~sta in armonia col credo dei partiti di sinistra. È quindi naturale che aspiriamo sinceramente alla pace con tutti i Paesi. Si 'COmprenderà tuttavi=t che desideriamo mantenere relazioni particolarmente amichevoli e strette con quei Paesi il cui regime politico e sociale si avvkina maggiormente a quello stabilito in Spagna. Si comprenderà egualmente che vogliamo ,stringere sempre più rapporti che ci uniscono alle Repubbliche Sudamericane sorelle di razza e cultura.

Ora vi parlerò esclusivamente relazioni con due Paesi che ci interessano: Portogallo e Italia. Portogallo per confinanza territoriale e per essere popolo portoghese il più affine allo spagnuolo ed Italia per la continuità della costa Mediterraneo. Ci astememo rigorosamente di immischiarci nel regime e nelle questioni interne di detti Paesi come non ammetteremo un intervento straniero nelle nostre, ed eviteremo persino di dare sensazione agli elementi affini che appoggiamo loro rivendicazioni anche se le riteniamo giuste.

A ba:se di rispetto mutuo manterremo relazioni corrette persino con Paesi il cui regime è opposto a quello della Repubblica spagnuola •. Trattò quindi delle relazioni con Stati Uniti e terminò riassumendo così criteri di politica estera cui intende ispkarsi il Governo:

• Pace con tutti e relazioni particolarmente strette con Paesi eSisenzialmente democratici • (1).

(l) Sul viaggio a Roma di Gtirlng alla fine di aprile cfr. J. PETERSE!J, Hitler e Mussolini, La difficile alleanza, Roma -Eari, 1975, p. 42.

205

IL NUNZIO APOSTOLICO PRESSO IL QUIRINALE, BORGONGlNI DUCA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

(ACS, Ministero dell'Interno, Direzione generale di P. S., divisione Affari generali e riservati; ed. in P. ScoPPOLA, La Chiesa e il fascismo, Bari, 1971)

N. 1602. Roma, 17 aprile 1931.

Per incarico dell'Ecc.mo Cardinale Segretario di Stato, mi pregio rivolgermi all'E. V. per quanto segue:

Risulta aUa Santa Sede che a Roma ed .in vari alt~i centri d'Italia viene svolta dalle Autorità di P.S. una •larga e minuziosa inchiesta presso i CircoU Giovanili Cattolici, ·che si dice essere necessaria per conoscere gli Statuti, i dirigenti, l'attività, il numero dei soci, gli emblemi, ecc.

Debbo segnalare a V. E. che il modo col quale le inchieste vengono condotte non può non destare preoccupaz,ioni e timori non solo presso i buoni giovani, i quali nel•la 1loro coscienza nulla hanno avuto ed hanno a rimproverarsi perché fanno parte di associazioni cattol.iche giovanili, che hanno esistenza legaie per l'art. 43 del Concordato, ma anche presso i rispettivi parenti che potrebbero vedere, nelle inchieste •steS!se, ingiUJsti.ficati sospetti e sintomi di intimidazione.

D'altra parte gli organi ·centrali dell'azione cattolica sono pronti a fornire essi stessi tutti i dati che il Governo des•idera •conoscere, nul.la avendo da occultare circa gli •scopi e 'le attività dei drcoli da loro dipendenti.

Nel richiamare pertanto l'attenzione di V. E. sopra questa penosa situazione, Le Sa.rò grato se Ella vorrrà adoperarsi acciocché le notizie che si desiderano vengano attinte agli organi centrali dell'azione cattolica, .piuttosto che ai singoli circoli per H tramite della pubblica sicurezza; il che gioverà non poco alla speditezza ed esattezza delle informazioni ed eliminerà la causa di incresciose impressioni.

In attesa di una rassicurante risposta...

(l) Lo stesso giorno Dudni inviò un rapporto cit. da C. MARONGIU BuoNAIU1'I. Spa,Jna 1831. La seconda repubblica e !a chiesa, Roma, 1976, pp. 56-58. Per considerazioni di Mussolini sulla situazione spagnoh cfr. DE FELICE, Musso!ini, pp. 824-825.

206

PROMEMORIA DEL GOVERNO UNGHERESE

(Copia)

Budapest, 17 aprile 1931.

Le Gouvernement Royal de Hongrie, en considérant l'ensemble des informations qui lui sont parvenues concernant le projet d'Union douaniè,re entre l'Allemagne et l'Autriche croit pouvoi:r prédser nettement la genèse de cette affaire. Ses informations porteront à croire que •les négociations d'ordre économique poursuivies entre Rome, Vienne et Budapel5t ont fait naitre des soupçons en AUemagne quant à :l'avenilr de la politique autrichienne. L'AHemagne fut prise de peur que l'aboutissement du plan Brocchi renfor.cerait les liens de l'Autriche avec :l'Italie et l'Hongrie de sorte que l'Anschlus's serait impossible à jamais.

Cette façon de voir du Gouvernement aHemand se trouve expreSis'is verbis renforcée par une communication que M. Peter a fait au Ministre de Hongrie à Vienne. U est dane évident que le projet d'Union douanière n'est qu'une formule qui do i t dissimuler :l'Ansch!lus's d es deux pays germanique,s. Le débouché peu ·considérable que l'Autriche pourrait offrir aux mar.chandises allemandes ne saurait nullement soulager la crise économique du Reich. D'autre part il tombe sous les sens commun que le projet serait aussi nuisible sous beaucoup de rapports aux intérets économiques de l'Autriche (1). Des informations puisées à Berlin ;sont tel,les qu'il ne semble pas absolument sur que l'assertion allemande qu'on souhaiterait la bienvenue à tout autre Etat qui voudra:it joindre ·l'Union projetée soit complètement sincère. Nous sommes en droit de supposer juste le contraire. La tactique allemande se dévoile donc nette: assoupir tles Etats intéressés pa·r dfJS déc1arations •réconfortantes et vagues jusqu'à ce que l'Union douanière soit un fait accompli irrévocable.

• Un finanziere degno di fede mi ha fornito i seguenti ragguagli circa la seduta segretadi ieri dell' "Industrie Verband" che si riuniva per la prima volta dopo l'accordo austro-tedesco.

Vi hanno partecipato due Ministri, cioè Winkler, Ministro dell'Interno e capo del

partito agrario (Landbund) e Dollfuss, Ministro dell'Agricoltura. Winkler ha parlato a fa

vore dell'accordo, senza alcuna riserva, trattando della necessità di sovvenire alla triste

condizione dei contadini austriaci i quali potrebbero altrimenti essere spinti al bolsce

vismo, e dell'utilità che ad essi deriverà dall'accordo con la Germania. Dollfuss, pur dichia

randosi in massima favorevole, ha formulato alcune riserve e accennato a qualche neces

sario temperamento; e nel corso della sua esposizione ha confidato ai presenti che poteva

ammettersi l'eventualità dell'appoggio dell'Italia e dell'Ungheria all'accordo stesso.

Nessuno degli industriali presenti si è dichiarato incondizionatamente favorevole, mal

grado i discorsi dei due Ministri. La maggioranza si è manifestata apertamente contraria,

la minoranza, avversa anch'essa a una vera "Zollunion ", si è palesata disposta all'accordo

sotto determinate condizioni che ne restringano e modifichino il contenuto. La riunione

si è sciolta senza aver preso alcuna decisione.

Il mio interlocutore mi confermava che nel partito cristiano-sociale molti sono gli

oppositori, a cominciare dallo stesso attuale Ministro del Commercio Heinl •.

Sulla ostilità del Credit Anstalt all'unione doganale cfr. t. posta 1411/780, Vienna 11 aprile. Sull'atteggiamento in genere dell'Austria cfr. la più volte cit. relazione ministeriale del 14 aprile:

• L'accordo è generalmente ben visto: si rileva però una certa opposizione tra i cristiano-sociali, i quali ritengono che il momento non sia opportuno e temono che l'Austria finisca col legarsi troppo alla Germania, tra i socialisti, i quali pensano che sarebbe stato meglio attuare il piano nell'orbita di una generale intesa franco-germanica, e tra gli industriali che producono manufatti e gli agrari in genere •·

Il apparaìt de ce qui précède qu'il serait dangereux de contempler les choses à bras croisés. Si les deux pays germaniques aboutissaient à créer le fait accompU qu'i1s projettent l'Italie et la Hongrie se pourr·a,ient aisément trouver en face d'une situation portant grave préjudice à tleurs intéréts. D'une part ·les intéréts économiques de la Hongrie pourraient étre ·Compromis. au 1plus haut degré et de l'autre l'Italie se verrait vis-à-vis de l'Anschluss, en outre la continuation d'une politique de collaboration étroite entre nos deux pays serait exposée à de graves écueils le moment où ils se verraient séparés non par l'Autriche de St. Germain, mais par une puissance incomparablement plus forte.

Le Gouvernement hongrois est d'avis que pour le moment ·la po.Utique à suivre est celle-ci: tirer au clair 1les desseins austro-germaniques et les vi.sées secrètes de leur projet et empécher qu'ils se réalisent dans des conditions qui ne tiennent pas ·compte de nos intéréts vitaux. A ce sujet nous avons d'intéressantes informations qui pourraient nous aider à réaliser nos buts communs.

l) M. SchiiHer a déclaré au Ministre Royal à V.ienne que d'après l'interprétation qu'il donnait à l'article l, a.Unéa 2, de ·l'Accord austro-aHemand, l'Autriche étaH libre à paralyser l'effet de ces conventions sur son propre territoire par des tari:fs intérieurs (Zwischenzoll). Gette façon de voir de M. Schiiller n'est pals encore reconnue par le Reich. A croire M. SchiiHer, son inter:prétation libérale facmterait et à l'ItaHe et à ·la Hongrie l'adaptation de Jeur politique au plan austro-allemand. Cette •interprétation augmenterait considérablement l'importance des tarifs intérieurs et donnerait naissance à un système de beaucoup diffét·ent du projet originai aHemand. Les communications de M. Schiiller dénotent une différence de vue entre les cabinets de Vienne et de Berlin.

2) M. de Vienne, Ministre de France à Budapest a déclaré au Comte Bethlen que son Gouvernement a .l'intention de demander des éclaircissements au Gouvernement allemand quant à ses vues relatives à l'adhésion d'autres puissances au projet austro-allemand. M. de Vienne est d'avis que ~e cabinet de Berlin éprouve lui aussi la nécessité d'éclakcir les questions dont il s'agit; c'est sans doute dans cet ordre d'idées que l'Allemagne a fait inserire à l'ordre du jour du Comité d'Etude de l'Union Européenne 1la question du système économique européen, en informant le Gouvernement français de son intention de faire examiner par ce Comité Ies relations futurels du Zollve•rein austro-allemand avec les Etats de l'Europe Centrale. Le Ministre de France a aussi informé le Comte Bethlen que M. Briand est en train de faire élaborer un projet général économique qui serait appelé à remplacer le projet austro-ai.lemand.

Le président du Conseil hongrois, en vue des circonstances d-deslsus énumérées, est d'avis qu'une action portant à éclaircir l'ensemble du problème est d'une actualité urgente. Vu que la Hongrie ne saurait aspirer à jouer un role de premier plan dans le concert des Puislsances Européennes, le Gouvernement Royal croit que le cabinet de Rome pourrait utilement entamer des pourparlers avec Vienne et Berlin afìn que la situation actuelle y soit nettement éclaircie et aussi pour qu'il soit en état d'influer ~sur le ·cour·s futur du projet austroallemand. En outre, le Gouvernement hongrois est •Convaincu qu'un échange de vue entre les cabinets de Rome et de Paris contribuerait considérablement à l'éclai["cissement du problème, notamment H pe["mettrait à entrevoir la tendence générale du projet étudié actuellement à Paris et ainsi à tàcher d'empécher qu'un projet n'en sorte qui porterait préjudice aux intéréts de nos deux pays. Il est évident que d'une part des pourparlers ita1o-français faciliteraient une action éventuelle à Bedin et d'autre part il n'est pas impoSisible que des pourparlers italo-français mettraient l'Italie en me:mre d'emmener la France, qui avant tout veut empécher l'Anschluss, de faire sien un pian qui tiendrait compte du projet Brocchi ou d'une autre conception semblable.

Etant donné que le Ministre de France a insisté énergiquement auprès du Comte Bethlen pour savoir quelles étaient les idées du Gouvernement italien ,sur le projet austro-allemand -il va sans dire que 'le Comte Bethlen a donné une réponse éva,sive -le Gouvernement Royal est d'avis que le cabinet de Paris accueillerait très favorablement une p~rise de contact de la part du Gouvernement italien en cette matière.

Le Gouvemement Royal, de sa part, tàchera d'éclaircir dans la mesure du possible la situation; mais son action, vu Ies circonstances, devra se porter surtout sur Vienne et Berlin (1).

(l) Sull'atteggiamento degli ambienti econom1c1 austriaci nei confronti dell'unione doganale colla Germania cfr. quanto aveva comunicato Auriti con t. posta 1410/779 dell'Il aprile:

207

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, DE VECCHI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

(Fondo Ambasciata presso la Santa Sede, busta 7)

Roma, 18 aprile 1931.

Ho l'onore di unire copia di una memoria e di una lettera personale accompagnativa da me indirizzata a S. E. il Capo del Governo in seguito agli ordini ed alle istruzioni direttamente avute per la condotta da tenere nella vertenza sorta colla Santa Sede in seguito alla nota circolare di Monsignor Bauer vescovo di Zagabria. Ora il Capo del Governo mi ha ordinato di creare una zona di riposo nei rapporti colla Santa Sede, almeno fino alla :fine di maggio; e ciò è spiegato doversi fare per ragioni interne (buoni novennali a scadenza) e per ragioni internazionali delle quali è inutile tener parola alla E. V.

Ritengo c01sa possibHe allentare la <pressione in piena dignità ed a bandiere

spiegate, lasciando sempre aperta la via per ulteviol"li riprese della nostra mano

vra che, togliendoci le illecite ingerenze del Papa nel!le cose del,lo Stato e spe

cialmente di Roma, mira a creare un clero veramente nazionale e legato ano

« Con riferimento al promemoria confidenziale in data del 17 corrente relativo accordo doganale austro-tedesco che il Ministro d'Ungheria De Hory è stato incaricato comunicare all'E. V., faccio presente ad ogni buon fine che lo stesso Khuen il quale ne è l'autore ha meco spontaneamente riconosciuto che la redazione piuttosto contorta e confusa specialmente dell'ultima parte di tale documento (ossia dove si parla di contatti itala-francesi) potrebbe facilmente prestarsi ad una erronea interpretazione del punto di vista e della reale portata delle suggestioni ungheresi.

In tali condizioni sottopongo all'E. V. riservatamente opportunità di attendere chiarimenti che mi riservo di comunicare col prossimo corriere in base a quanto mi è stato dichiarato dal Bethlen da Karoly e da Khuen, prima di dare una risposta definitivamente concreta al Ministro De Hory •.

stato fascista che costitui':::ca esso stesso il più sicuro baluardo contro la invadenza della Chiesa.

AI,l'uopo mi sembra subordinatamente necessario che S. E. il Capo del Governo e la E. V. continuino a tener verso Monsignore Borgongini quell'atteggiamento di diffidente ~riserva che ora tengono, specialmente ad evitare che per qualche sorriso o per qua,lche piccola concessione ottenuta come atto di cortesia, egli abbia a farsi credere in Vaticano e specialmente presso il Papa il possessore di ambe le chiavi del cuore del Capo del Governo e del Ministro degli Affari E,steri.

ALLEGATO.

DE VECCHI A MUSSOLINI

L. P. Roma, 18 aprile 1931.

In seguito agli ordini che mi hai dati nell'udienza di giovedì 16, unisco alla presente la memoria sul colloquio di giovedì 16 stesso con Borgongini Duca. Aggiungo che ieri, nella solita udienza del venerdì, ho riparlato di ogni cosa col Cardinale Pacelli, il quale mi ha ripetutamente raccomandato di fare ogni sforzo per avere una détente.

Non ho detto naturalmente che ti avevo già veduto il giorno prima ed ho osservato invece che la grave incontinenza verbale del Santo Padre non pareva la più adatta a creare questa desiderata • zona di riposo • e che non sapevo quale accoglienza tu avresti fatta al mio rapporto sulla memoria del Papa Iettami da Mons. Borgongini. Il Cardinale, come del resto già Mons. Borgongini, non si peritava di raccomandarmi insistentemente di smorzare le tinte e di mettere la sordina alla stridente parola del Papa.

Nel colloquio col Cardinale Pacelli ho tenute naturalmente presenti le tue istruzioni di giovedì 16, di ottenere cioè un po' di calma almeno fino alla fine di maggio allentando la pressione. Nascondendo pertanto di averti già riferito, ho fatte per mio conto le più ampie e rinnovate dichiarazioni di fede cattolica, aggiungendo che chiaramente ne conseguiva come dovesse venire da me accolta, in qualunque tono espressa, la parola del Papa; che, pure con ogni riserva sull'esito, con ogni reverenza l'avrei certamente riportata al Capo del Governo; e che per parte mia ogni sforzo non sarebbe mancato per portare [sic] tranquillamente nelle acque che però vedevo agitate. Che infine raccomandavo a mia volta al Cardinale di fare la stessa opera presso il Papa e di mettere la sordina all'« Osservatore • ed ai giornali cattolici che, se pure da oltre un mese erano più tranquilli, non cessavano di essere petulanti.

Il Cardinale mi ha promesso di intervenire con tutte le sue forze. Sono certo che, per quanto può, lo farà. Entro la prossima settimana andrò a vedere Mons. Borgongini e smorzerò un poco i toni pure tenendo sempre i fuochi accesi. Di ogni cosa, informo Grandi.

ANNESSO.

PROMEMORIA DI DE VECCHI PER MUSSOLINI (l)

RISERVATISSIMO. Roma, 16 aprile 1931.

Monsignor Borgongini Duca, per rispondere ai sette punti fissatimi dal Capo del Governo nell'udienza del 3 aprile corrente e da me riferitigli nel colloquio

dell'8 stesso aprile (vedi allegato), ha portato con sé un pro-memoria che gli è stato consegnato dal Cardinale Pacelli ma che egli mi ha dichiarato essere stato letteralmente dettato dal Papa. I sette punti fissati dal Capo del Governo (allegato) si riferiscono alla mia iniziativa per ottenere chiarimenti da ambe le parti dopo l'assai grave tensione verificatasi in seguito alla circolare del Vescovo di Zagabria Mons. Bauer ai Vescovi jugoslavi perché siano fatte preghiere per i -. fratelli oppressi • della nostra zona di confine.

Il pro-memoria deve servire al Nunzio Apostolico per rispondere a me in modo preciso e categorico, ed è evidentemente stilato nella intenzione di seguire lo stesso sistema adottato da noi colla lettura dei sette punti fatta da me a Mons. Nunzio, il quale ha avuto ordine di darmene semplicemente lettura senza che io ne potessi fare copia.

Ricordo per altro perfettamente il contenuto del memoriale stesso, che risponde punto per punto alle mie osservazioni dell'8 aprile, ed ho preso appunti durante la lettura sebbene Monsignor Borgongini facesse ogni cortese sforzo per evitarmi di trascriverne le frasi più dure e più gravi; mentre -tipica mentalità pretina -voleva sgravarsi la coscienza del dovere di darmi lettura integrale del documento secondo gli ordini ricevuti e poter riferire d'averlo fatto.

Il documento è redatto con lo stile aspro, duro, angolosissimo e miseramente polemico caratteristico di Pio XI. Il Papa, più ancora che rispondere alle questioni impostate nei sette punti da me esposti per ordine del Duce, polemizza con quelle, dice insolenze, si attacca alle parole, ed in realtà non conclude nulla di preciso, mascherando in ogni caso, colla singolare violenza verbale che gli è caratteristica, un principio di ritirata sui punti principali della nostra azione.

Di categorico non risulta altro che questo:

l) Sulla questione delle Diocesi di confine si può trattare ed in quelle, se andiamo d'accordo, manderà un Vescovo visitatore apostolico a vedere e provvedere. Per la Circolare Bauer si ha la dichiarazione di un intervento della Santa Sede, riservato sia pure ma realmente avvenuto.

2) L'affermazione recisa che l'Azione Cattolica non è partito né tende ad esserlo, affermazione accampata dal fatto che il Comm. Ciriaci, suo presidente ha cercato ovunque contatti presso il Governo e presso il Partito; come l'ho consigliato io stesso, e si accosta a me con il manifesto desiderio di provocare e dare le più esaurienti spiegazioni.

Quanto segue è tutto contenuto nella memoria di Pio XI Iettami da Mons. Borgongini. II sunto è estratto. Le parole sono assai spesso, con certezza lo sono le più gravi, le stesse del documento papale.

Dice il documento:

• Monsignor Borgongini deve innanzi tutto muovere al Conte de Vecchi il dubbio: siamo noi nel giusto binario? Ella mi porta la mente di S. E. Mussolini, ma io non sono la Santa Sede, quindi devo riferire e poi portare la risposta. Ma per far bene Ella deve dirmi in iscritto l'oggetto della conversazione, notando espressamente quale è il pensiero suo e quale quello dell'On. Mussolini •.

Nel merito dei sette punti:

l) • Domandare all'Ambasciatore il nome del giornale di Varese che avrebbe sollevate le donne dell'Opificio Cantoni di Legnano, nel fatto citato ad esempio.

La stampa cattolica è mirabilmente paziente in confronto delle vostre provocazioni. Esempio Galosi di Rovigo la notizia delle cui presunte e non provate turpitudini è pubblicata in prima pagina del Giornale d'Italia al centro fra le notizie di carattere internazionale.

Esempio ancora l'articolo Scorza 'Odiare i Nemici' nell'ultimo numero di

Gioventù Fascista -Il 420 Giornale e le sue provocazioni continue.

Consegnargli i giornali • (il Nunzio li ha portati con sé e non me li ha con

segnati perché ho dichiarato di già possederli).

2) • È giusto, sarà provveduto anche subito, se lo si desidera, per Lubiana. Però non dovrebbe tornare ingrato che una diocesi fuori Italia dipenda da una diocesi italiana, mentre sembra che potrebbe dar fastidio il contrario. Per le diocesi di confine, non appena la terra sia meno vulcanica e facciate politica meno artificiale si potrà, andando d'accordo, mandare un Vescovo sul posto •. Il Nunzio aggiunge di suo che sarà certamente mandato un galantuomo e che del nome avremo tempo a parlare più tardi.

3) • Respingiamo come indegna questa raccomandazione per l'Azione Cattolica che non è stata mai partito. L'azione del Regime piuttosto è tutta contro l'Azione Cattolica. È una condotta di persecuzione. Chi è nemico dell'Azione Cattolica è nemico del Papa •.

4) Rerum Novarum. Il memoriale dice in fondo quanto ha detto a me il comm. Ciriaci presidente della Giunta Centrale dell'Azione Cattolica. Non potrà, cioè il Comitato Generale ed internazionale dire quanto è richiesto, ma potranno opportunamente i delegati italiani òfre che essi non posseggono sindacati cattolici perché in Italia il Governo Fascista attua alcuni principii della Rerum Novarum.

5) L'Osservatore ed il suo contegno. Hanno irritato il Papa specialmente le parole del Capo del Governo • polemica più cristiana •.

• La stampa fascista sia meno pagana, meno immorale, meno censurabile sotto tutti i rapporti e tutti i punti di vista. Vedansi gli arti~oli di Mussolini con lezioni di educazione alla violenza, all'odio, alla irriverenza per la gioventù maschile alla vanità e peggio per la gioventù femminile (atletismo femminile e gare di Venezia e Firenze) •. Qui Mons. Borgongini tende a far confondere la persona del Capo del Governo con quella di Arnaldo Mussolini e ciò forse con non cattive intenzioni, ma con quella evidente di alterare in fondo il documento papale, il quale, è chiaro, non fa questa distinzione ed allude nettamente al Capo del Governo.

6) Qui il Papa dsponde innanzi tutto alle mie parole di commento alla richiesta del Capo del Governo, che cioè veniva domandato come atto di cortesia e non di rimprovero né di incomprensione l'allontanamento dei Capi popolari da Roma perché l'atto di imperio sempre che lo volesse potrebbe farlo in qualunque tempo il Capo del Governo. • L'allontanarli sarebbe per il Papa una vigliaccheria e non una cortesia •. Il memoriale soggiunge che • la richiesta dimostra che il Governo Fascista ne ha più preoccupazione che non voglia far vedere se chiede al Papa simili misure •. Ad ogni modo conchiude che i • popolari non dipendono dal Papa •. Quanto al De Gasperi il Papa non si pente

• di aver dato 11 pane ad un onesto padre di famiglia -del resto ha prese tutte ie garanzie •.

7) La cosiddetta morale -II riposto festivo -H concordato ecc. Avevo osservato al Nunzio Apostolico che quando in queste materie si aveva, da parte della Santa Sede, qualcosa da far presente al R. Governo ciò poteva essere fatto in via diplomatica evitando il più possibile ogni pubblico clamore.

Il Papa osserva: • Il Papa è il Vescovo di Roma, ecco perché fa per Roma quello che non fa per altri paesi. È assurdo domandargli che egli abbia da compiere il suo dovere pastorale per via diplomatica. L'azione stessa egli la compie anche negli altri Paesi, ma vi provvedono i Vescovi localmente. Si hanno inoltre i Nunzi ed i pellegrini ai quali parlare •.

Fuori dei sette punti del Capo del Governo mi ero fermato a discorrere con Mons. Borgongini, anche per aver prove specifiche di uno stato di animo a me già ben noto da parte del Papa, dei due ormai famosi discorsi del 1929 alla Camera ed al Senato sui patti Lateranensi e della mancata visita di S. E. il Capo del Governo al Papa. Avevo sempre affermato nei m1e1 rapporti verbali e scritti al Duce che Pio XI è ancora ostinatamente fermo a quei due discorsi ed è inquietissimo per la mancata visita del Duce.

A Mons. Borgongini circa i discorsi avevo detto quanto il Capo del Governo

va da tempo ripetendomi allorché gli riferisco lo stato d'animo di cui sopra

circa i discorsi del 1929, e che cioè egli li ritiene ora superati, e, per quel tempo

soltanto, opportuni anzi necessari.

Il Papa, nella memoria di cui si tratta, risponde a quei miei conversari con

Mons. Borgongini:

• I dfscorsi non sono affatto superati, superati non vuoi dire riparati, né vuoi dire che siano cose meno sleali e meno dannose. Perché nella storia del Fascismo rimangono ed anche nella storia della Chiesa •.

Circa l'argomento della visita del Capo del Governo in Vaticano, per la quale Mons. Borgongini mi aveva osservato che il Capo del Governo si era recato tre volte in territorio vaticano: una al Laterano per la firma dei patti, una dal Cardinale Segretario di Stato per lo scambio delle ratifiche ed una in San Pietro per il matrimonio della figlia con Galeazzo Ciano di Cortellazzo senza mai salire dal Papa, avevo dichiarato esplicitamente che fino a quando si sarebbe chiacchierato in Vaticano ed all'Estero che il Capo • andava a Canossa • o che il Papa si era rifiutato di riceverlo, o comunque fino a quando non fosse spirata altra aria, la vista non era evidentemente possibile.

Risponde nella memoria Pio XI:

• Non è generoso, né coraggioso, né serio attribuire l'irriguardoso fatto della mancata visita ad informatori vatìcani segreti che abbiano parlato di Canossa»,

Sulla questione della Circolare Bauer e sull'atteggiamento generale di decisa reazione preso dal Governo di fronte alla inazione od alla non sufficiente reazione della Santa Sede il Papa dichiara:

• L'attuale tensione è tutta opera del Governo, la circolare Bauer non è opera della Santa Sede. Su questo punto il fascismo ed i fascisti hanno voluto ripetere la favola del lupo e dell'agnello. La tempesta dipende dalla violenta politica di confine del Governo. Degli effetti se ne vuoi fare responsabile la Santa Sede, perchè non riesce a calmare la tempesta: mentre ha cercato d'i farlo nei limiti delle sue possibilità senza imitare i clamori altrui.

La questione è artificiale.

La Chiesa ha fatto più per il Fascismo di quanto abbia ricevuto. I fascisti h;;mno, noi siamo bene informati, già perduto moltissimo » (qui non ho potuto ben precisare per quanto lo desiderassi vivamente e mi sforzassi di ottenere i

necessari chiarimenti, se questa presunta perdita si riferisse soltanto agli effetti dei trattati Lateranensi come Mons. Borgongini Duca voleva !asciarmi credere o se non piuttosto il Papa si riferisse ad una perdita generica di terreno nella politica interna od internazionale o in ambedue i sensi) " e perdono in ogni giorno di più. Noi siamo bene informati. Accettino questo parere che diamo da amici •.

Avevo ancora osservato al Nunzio che il rumore scandalistico del quale il Papa si lagna con tanta insistente ed esacerbante durezza, proveniva invece dal pubblico clamore che la Santa Sede va facendo sui cosidetti scandali morali, specie per ciò che avviene a Roma; e per il suo continuo brontolio, e che qui il

R. Governo aveva molto da dire anche sul contegno del clero e di elementi della Azione Cattolica, sia per la loro condotta sia per la partecipazione molto attiva ai fatti ed agli spettacoli dalla Santa Sede ritenuti immorali. Avevo inoltre su questo punto fatto considerare che le pubbliche proteste e gli incessanti brontolii pontifici, venivano a mettere il Governo nella condizione di dover pubblicamente riaffermare l'imperio della sua completa sovranità ed indipendenza che non può subire simili violazioni neppure in via di lamentazione e che veniva pertanto ad essere costretto a pubblicamente reagire così che in ultima analisi, di uno scandalo, qualora vi fosse, osservavo io, venivano a farsene almeno due.

II Nunzio aveva riferito non so con quanta esattezza il mio discorso; e Pio XI gli ordinava di rispondermi perché a mio volta riferissi:

« Dire che per ogni scandalo se ne provocano due, cioè si fa peggio per dimostrare che non si sentono pressioni, è una mostruosità morale •.

Di suo od apparentemente suo Mons. Borgongini ha soggiunto che in questo momento di gravi difficoltà generali, in tutta l'Europa sia nella politica sia nella economia è nostro dovere di fare ogni sforzo per andare d'accordo.

Mi ha fatto considerare che dall'urto dell'Italia con la Chiesa nessuno dei

due può guadagnare.

'Non facciamo come i polli di Renzo! • ha esclamato.

Dalla circolare Bauer è nato tutto questo urto, mentre prima della circolare

Bauer anche l'Azione Cattolica non pareva preoccupare il Governo; invece da un .mese tutto sembra andare alla rovescia. E la Santa Sede, egli afferma, della circolare Bauer non è responsabile in nessun modo.

Il Nunzio se n'è andato alle 11,30 dopo un'ora e mezza di colloquio con aspetto desolato dicendomi che egli ormai è impossibilitato ad agire (la cosa non è nuova perché sempre in questi momenti difficili egli nasconde la testa sotto l'ala come i fagiani, salvo saltar fuori a fare la ruota a difficoltà risolte) e che ormai ogni speranza di salvezza è in me, cui rimane affidato il peso dei rapporti fra la Chiesa e lo Stato. Che del resto egli pensa... che tutto finirà bene.

Ho risposto che farò del mio meglio per ogni buon fine e che, a malgrado del poco chiaro preambolo del Papa, dopo tre volte consecutive che egli era venuto da me, sarei andato io non appena possibile a fargli una visita da amico alla Nunziatura. Che però sulle premesse del suo discorso rispondevo subito che mi pareva assai difficile che il mio governo avesse ad ordinarmi di lasciare per iscritto la materia dei nostri colloqui.

Che infine il giorno successivo (venerdì 17) nella consueta visita settimanale al Cardinale Segretario di Stato avrei con lo stesso Cardinale Pacelli riparlato di ogni cosa che era stata oggetto del nostro colloquio, pure escludendo di poter allora dare qualsiasi risposta.

ALLEGATO.

APPUNTO DI DE VECCHI

Punti fissati da S. E. il Capo del Governo per il mio colloquio con Monsignor .Borgongini Duca 1'8 aprile 1931 IX, allo scopo di fare alla Santa Sede le richieste opportune a chiarire la difficilissima situazione creatasi in seguito alla circolare Bauer Vescovo di Zagabria.

P -Stampa cattolica -Cessi di provocare. Segnalazioni varie già fatte p.e. un giornale di Varese ha sollevate le donne dell'Opificio Cantoni di Legnano. Residui comunisti e popolari.

2o -Situazione delle diocesi di confine.

p.e. Lubiana è sotto la diocesi di Gorizia.

3° -Azione Cattolica e sue formazioni sindacali e politiche.

4° -Se ci sarà manifestazione vaticana per la • Rerum Novarum • dire ·che per la parte attuabile essa è stata attuata dal Regime Fascista. 50 Polemica meno irritante e più cristiana da parte dell'Osservatore Romano.

6° -Allontanare da Roma i vari caporioni sempre popolari (Meda, Cappa, Tupini, Cingolani etc.). De Gasperi c'è già fisso -in Vaticano.

7o -Cessare di insistere fuori luogo e troppo sulla cosidetta morale. Sul riposo festivo (c'è anche troppo poco lavoro per i giorni feriali) o sulle esecuzioni <!el Concordato.

(l) Cfr. quanto comunicava Arlotta con tel. 1086/83 del 21 aprile, ore 24:

(l) Il promemoria si riferisce al colloquio fra Borgongini Duca e De Vecchi svoltosi all'ambasciata il 16 aprile dalle ore 10 alle 11,30. Sul colloquio cfr. anche MARTINI, op. cit., pp. 138-140.

208

APPUNTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, SUL COLLOQUIO COL SEGRETARIO GENERALE DELLA SOCIETA DELLE NAZIONI, DRUMMOND (l)

... , 19 aprile 1931.

Sir Erik -Comincia col dirmi che egli ha desiderato, in prossimità della sessione del Consiglio 'che avrà luogo nel prossimo maggio, di avere una conversazione col Governo italiano ,gu alcuni punti: sulla preparazione della Conferenza del Disarmo, ,sulla procedura per :la discussione del Protocollo doganale aUJstro-tedesco, ed infine sulla scadenza del contratto al Sottosegreta['iO italiano. Circa ila preparazione della Conferenza del Disarmo Sir Erik sostiene la necessità che i'l prossimo Consiglio addivenga alla nomina di un Presidente. Gli rispondo 'che irl Governo italiano non ha obiezioni. Si tratta di vedere chi sarà il Presidente. A tal riguarrdo il punto di vista itaHano è conosciuto. Non può essere nominato Presidente una perlsona che crappresenti ed appartenga a Paesi i quali hanno avuto occasione di manifestare rle proprie tendenze in materia di armamenti, e ,che hanno durante la Commissione preparatoria assunto degli atteggiamenti precisi.

Confermo a Drummond che scartata la possibilità di un Presidente americano, che il Governo di Washington non vuole accettare, non vedo altra candidatura possibile all'infuori di quella di Hende11son.

Drummond -Mi ringrazia anche a nome di Henderson per la lusinghiera designazione. Naturalmente Henderson non accetterà se non sarà sicuro dell'unanimità dei voti.

Grandi-Non vi possono essere che i francesi a fare delle obiezioni perciò ritengo utile per evitare sorprese che la candidatura Henderson /sia posta all'ultimo momento e cioè al tavolo stesso del ConsigHo. Sarà meno fadle che i francesi e i satelliti deHa Francia trovino modo di opporsi.

Drummond -Sono d'accordo. Ritengo parimenti utile la nomina di un Comitato di organizzazione. Che ne dite?

Grandi-Tutto dipenderà dalla scelta del Presidente. Non mettiamo troppa carne al fuoco. Se il prossimo Consiglio nomina il Presidente si potrebbe rimandare la que1stione del Comitato organizzatore al mese di settembre.

Drummond -Sta bene. Credo si possa fare così. Circa il Protocollo austrotedesco presumo che dopo la discussione che avrà luogo ,in seno alla Commissione europea e nel Consiglio, 'la questione rsarà demandata alla Corte dell'Aja. Così 1si guadagnerà del tempo. Ritengo che il Gov:erno di Berlino e quello di Vlienna siano .oggi meno entus.ia,sti del:l'accordo di quello che non lo fossero al primo momento. Ritengo altresì che le dichiarazioni ,che il Ministro Curtius farà aUa Commtssione europea saranno tranquillizzanti. Inoltre mi :risulta che B!riand presenterà un contro-progetto. La cosa migliore da farsi è quella di • anne

gare • l'accordo austro-tedesco in un accordo più vasto di carattere più generico e meno definito ma appunto :perciò meno preoccupante per tutti. Sarebbe d'altra parte difficile sostenere che il Protocollo austro-tedesco non è giuridicamente conforme agli impegni presi dall'Austria nel 1922.

Grandi -Ragione di :più per considerare con diffidenza il ricorso alla Corte dell'Aja, questa finirebbe ·col dare ragione, in ultima analisi, aUa Germania.

Drummond -Il ricorso alla Corte dell'Aja non dovrebbe significare altro che un modo per prendere tempo, nulla ·più. È probabile che dopo le dichiara.zioni che Curtius farà .in seno alla CommiSISione europea :si renderà superflua la discussione in seno al Consiglio. In questo ca·so sa:rebbe evitata la discussione nel campo giuridico. Quale sarà l'atteggiamento dell'Italia?

Grandi -L'Italia non ·può evidentemente vedere con soddisfazione il realizzarsi dell'accordo austro-tedesco. Ciò non vuol dire tuttavia che :l'Italia sarà inlsieme alla F:rancia e alla Cecos•lovacchia. H Governo italiano deciderà <la sua condotta a seconda degli avvenimenti di queste settimane e a seconda del modo .crune procederà la discussione a Ginevra.

Drummond -Ora desidero parlarvi della questione più delicata, e cioè de:lla scadenza del contratto del Sottosegretario italiano, Ministro Pau:lucci. Il contratto scade alla fine dell'anno in ·cor.so. V,i ho già dichiarato francamente neJ mese di settembre u.1s. che io non mi sento in grado di proporve al Consiglio il rinnovo del ·contratto per il Ministro Paulucoi. Vi ho dichiarato ·che dò mi è, in coscienza, impossibile, per ragioni soggettive ed oggettive. Egli non ha dato prova di possedere le doti necessarie per i!l ~avoro delicato a cui la Società delle Nazioni e il Governo italiano l'avevano preposto tre anni or sono. Egli ha suscitato attorno a sé un amb~ente di antipatia, di irritazione, per .cui il ·suo lavoro finisce con l'essere praticamente negativo, ed ha procurato al Segl'etariato numerosi imbarazzi. Nello ,stesso interesse del Governo italiano occocrre un cambiamento nella •persona del maggior funzionario italiano del Segretariato delila Lega delle Nazioni. Nel mese di maggio (l) quando io vi dissi dò mi .pregaste di riflettere e mi as\sicuraste che avreste dato delle ,i,struzioni p11ecise al Paulucci perché cambiasse metodo. Non ha ·cambiato affatto. D'altra parte non può cambiare perché si tratta di una mancanza intrinseca delle qualità necessarie nel suo ufficio così delicato. Sono quindi costretto ad informarvi, che ma•lgrado il m,io crammarico per fare una cosa che può essere :sgradita a voi e al Governo italiano, non sono più in grado di valermi della collaborazione del Ministro Paulucci.

Grandi -Voi mi mettete in un serio imbarazzo. Ho sinceramente sperato che dopo gli incidenti deUa s•corsa estate le cose avrebbero ,potuto trovare una sistemazione tra il Pauluc:ei e l'ambiente del Segretaviato. Vedo che non ci siamo riusciti. Non vi nascondo che :J.a sostituzione del Paulucd costituisce un notevole imbarazzo per il sottoscritto e non vonei ·poteslse dar luogo a commenti

sgradevoH. Soprattutto nell'imminenza della Conferenza del Disarmo. Voi vi rendete conto come sia penoso per il Governo italiano vedersi costretto alla sostituzione del proprio Rappresentante presso la Società delle Nazioni. Per quanto mediocre possa essere il servizio del Paulucci, è certo che la sostituzione con un elemento nuovo all'ambiente proprio all'apertura dei 'lavori della Conferenza priverebbe la nostra Delegazione di quel servizio che, se necessario in tempi normali, diverrà in quel particolare momento indispensabile. Vorrei pertanto pregarvi di protrarre la permanenza del Paulucci a Ginevra almeno per la durata dei lavori deHa Conferenza del Disarmo.

Drummond -Mi rendo conto di queste difficoltà. Ma d'altra parte la sostituzione del Rappresentante italiano a fine d'anno costituirebbe un innegabile vantaggio per l'Italia. Come voi sapete io Ja,s.cerò la Società deNe Nazioni alla fine del '32 e il Rappresentante francese 'lascerà ugualmente il suo ufficio a tale data. La .sostituzione del Rappresentante italiano alla fine di quest'anno darebbe automaticamente al Rappresentante dell'Italia una anzianità maggiore sugli altri. Inoltre non 1si può presumere la durata dei lavori della Conferenza. Molto probabilmente dopo qualche mese essa aggiornerà i suoi lavori.

Grandi -Si potrebbe rinnovare il contratto al Paulucci ad esempio per sei mesi e cioè fino a tutto giugno 1932.

Drummond -Poiché si tratta di togliervi da un imbarazzo, farò del mio meglio per studiare e giungere a una so1uzione di questo genere. Non mi nascondo tuttavia le difficoltà. Ad ogni modo, secondo il regolamento, io sono costretto alla prossima ses,sione del Consiglio di rescindere il contratto al Paulucci per .fine d'anno. Studieremo poi inlsieme 1la possibiHtà di risolvere la questione nel senso da voi indicato e cioè il rinnovo fino al mese di giugno 1932.

(l) La versione -non completa -di Drummond in DB, II, vol. III, n. 209.

(l) Paulucci era contrario al progetto inglese di riforma del Segretariato della Società delle Nazioni, nresentato nel 1930. Su questo problema e sulla avversione fra Paulucci e Drummond si rimanda a un documento e alle relative note che verrà p tbblicato nel prossimo volume di. questa serie sotto la data 20 luglio 1932.

209

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AI CONSOLI GENERALI AD ALGERI, SABETTA, A BOMBAY, SERPI, A CALCUTTA, SCARPA, A GERUSALEMME, GABRIELLI, A RABAT, MERIANO, A TANGERI, DE FACENDIS, A TUNISI, BOMBIERI, E AI CONSOLI AD ALEPPO, GIURIATI, A BAGDAD, SANMARTIN, A DAMASCO, BENZONI, E A GEDDA, SOLLAZZO (l)

T. 382. Roma, 20 aprile 1931, ore 24.

Intensa propaganda viene iniziata nel mondo mussulmano e particolarmente nei •centri islamici di Egitto e di Siria per provocare manifestazioni contro pretese atrocità ·commesse da autorità coloniali italiane in Cirenaica. Viene largamente distribuito un opuscolo redatto in varie lingue, il cui autore è il

noto agitatore:! Scekib Arslan (l) e nel quale dopo lungo racconto diffamatorio della nostra azione coloniale in Cirenaica si :suggeriscono metodi per creare vasto movimento antitaliano: appelli alla Lega Nazioni, boicottaggio merci e piroscafi italiani, etc..

Per eventuali smentite da pubblicarsi su cotesta stampa ove la S.V. lo ritenga opportuno, avverto che sono naturalmente inventate di sana pianta notizie circa atrocità verso cosiddetti ribelli Cirenaica, dove autorità coloniali svolgono azione di polizia per debellare brigantaggio. Tale azione ha reso necessario :spostamento sulla costa di alcune tribù dove peraltro sono assicurate loro condizioni vita notevolmente migliori di quelle cui erano abituate.

Pregola tenermi al corrente delle manifestazioni che agitazione antitaliana producesse costì.

(l) n documento fu .invia~o per conoscenza .il 23 aprile alle Colonie, a Parigi, Londra, a Paulucci de' Calboll a Gmevra e a Theodoll a Roma.

210

PROMEMORIA DEL CAPO DELL'UFFICIO IV EUROPA LEVANTE ED AFRICA, GUARNASCHELLI

Roma, 20 aprile 1931.

Dei tre opuscoli segreti a stampa, esistenti nella Cassetta Gab. Esteri n. 15 (Archivio Storico -Consulta), datimi in lettura dal Senatore Salata ed a lui restituiti:

il l o contLene la corrispondenza diplomatica fra il Min1ste:ro Esteri e la

R. Ambasciata a Parigi fra il 18 dicembre 1895 ed il 1° febbraio 1896, e concerne 'le trattative con 'la Francia per il trattato per Tunisi, la ,cessione a noi di tutta o parte della zona di Obok ed il riconoscimento francese del nostro protettorato sull'Etiopia in base al Trattato di U cciaHi. Tali trattative presero origine dalle cortesi espres.sioni rivolteci dalla F,rancia in seguito alla battaglia di Amba Alagi, e si chiudono, per H malvolere francelse a conc,ludere, poco prima deEa nostra disfatta di Adua.

Agli effetti del nostro non ancora avvenuto riconoscimento della situazione creata dalla Francia a Tunisi col trattato del Bardo, sono notevoli i documenti 6, 7, 11, 23 e 24 (qui uniti in copia) (2).

Il 2° è uno studio storico politico di Giacomo Gol'rini (dal titolo: Tunisi Leggenda e storia 1878-1881), nel quale sono esrposte dettagliatamente ~e circostanze diplomatiche dell'instaurazione del protettorato, la precedente rivalità economica fra Francia e Italia, il carattere degli uomini poEtici del tempo, un e::::atto diario degli avvenimenti.

• L'opuscolo eccitatore è stampato in diversi paesi dell'Oriente Mediterraneo ed in varie lingue. È redatto dal Direttore della rivista "Nation Arabe", edita a Losanna dove risiede il suo autore, il noto agitatore Emir Scekib Arslan, appartenente a principesca famiglia drusa, ex deputato turco e conosciuto negli ambienti di Versailles e della Lega delle Nazioni per l'azione anti-francese •·

Notevoli, nelle ultime pagine, le assicurazioni fornite dalla Francia alla Gran Bretagna, secondo le quali la prima assicura non avrebbe mai proceduto all'annessione deUa Tunisia né a fare di Biserta un porto militare.

Il 3o contiene tutta la corrispondenza diplomatica 1sugli affari di Tunisi dall'H aprile 1878 al 31 maggio 1881. Senza .poter giovare alla tesi che oggi noi sosteniamo circa il non riconoscimento italiano del protettorato fino al 1896, dalla corrispondenza appare ,la piena malafede franceJ9e, i,l modo indegno con cui siamo stati giuocati, noi e ·l'Inghilterra, con le più ~che reticenti menzognere informazioni di tutti .gli uomini politici francesi, la ·cecità dell'Ambasciatore Cialdini, la debolezza e pedino mancanza di dignità del Gabinetto Catroli; e, ciò che è più grave, non risulta dalla corrispondenza stessa (forse perché ~si ferma alla fine maggio 81) che noi abbiamo, a seguito del Trattato del Bardo, presentato proteste o riserve aHa Francia.

Il contenuto dei documenti è tale ·che una pubblicazione di es1"1i solleverebbe oggi un'indignazione generale degli italiani contro la Francia.

(l) Cfr. quanto aveva comunicato Cantalupo dal Cairo il 17 aprile:

(2) Gli allegati mancano.

211

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, ALL'INCARICATO D'AFFARI A VARSAVIA, PETRUCCI

T. 386/33. Roma, 22 aprile 1931, ore 14,15.

Rendomi conto preoccupazioni Colonnello Beck (l) e se avvenimenti lo renderanno necessario considererò con grande favore possibilità intenderei con codesto Governo per scongiurare ·comune perico·lo. Per ora sembra però prematura conclusione patto proposto.

Quanto precede S. V. può comunicare verbalmente Colonnello Beck, aggiun

gendo che questione transiti attraverso Austria ha per Italia particolare impor

tanza e perciò R. Governo non mancherà tenerla presente (2).

• Questo senso della dipendenza assoluta dalia Francia suscita alla superficie un grande sfoggio di simpatie, ma nel fondo un senso indefinibile di molestia che in alcuni, e non dei minori, diventa insofferenza e antipatia, e quindi correnti notevoli che vorrebbero rivolgersi altrove (e questo senso esiste indubbiamente nel Maresciallo che non dimentica e non perdona certe attitudini di protezione condiscendente dello Stato· maggiore francese, e probabilmente anche in Zaleski).

Di qui un rafforzarsi delle simpatie per l'Italia ed una certa impressione di solidarietà, derivante non tanto dal pensiero che l'Italia possa aiutare la Polonia (che la Polonia possa aiutare l'Italia naturalmente non pensa nessuno) quanto dal pensiero che l'Italia sarebbe la grande potenza europea che rimarrebbe maggiormente danneggiata se si dovesse realizzare quella intesa franco-germanica che per la Polonia è il massimo spauracchio.

Da questi sentimenti, diligentemente da me coltivati, non poteva logicamente sorgere

che una conseguenza: cercare di ottenere l'appoggio dell'Italia per quella politica di Za

leski (e certo anche del Maresciallo) che mira a giungere con la Germania ad uno

stato di vicinato, se non buono almeno sopportabile e che permetta di tirare avanti, di

minuisca l'importanza dell'alleanza francese, ma allontani anche la tendenza al riavvicina

mento franco-germanico, o almeno metta questo in una relazione equilibrata con un avvi

cinamento polacco-tedesco.

In fondo in questa politica l'Italia non dovrebbe essere che uno strumento e suo

compenso una simpatia teorica da parte dei direttamente interessati e la facilitazione della

pacificazione europea.

(l) -Cfr. n. 197. (2) -Sulle tendenze delia politica estera pola~ca cfr. quanto comunicava Martin-Franklin con rapporto 870/480 del 7 maggio:
212

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, ALL'AMBASCIATORE A MADRID, DURINI DI MONZA (l)

T. u. 390/47. Roma, 22 ap·rile 1931, ore 18,20.

V. E. è autorizzata a comunicare cor3tì che R. Governo (2) riconosce codesto Governo provvisorio (3).

213

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, CHIARAMONTE BORDONARO

D. 1637. Roma, 22 aprile 1931.

Mi hanno molto interessato le notizie che Ella mi ha fornito col Suo telegramma N. 290 del 20 corrente (4) circa il pensiero di codesto Governo a proposito del progettato accordo tedesco-austriaco. Sono anch'io persuaso che convenga di agire con calma, e che ogni atteggiamento precipitato non possa che riuscire di pregiudizio, e sono pronto ad accogli&e ogni suggerimento in tal senso. Il Governo italiano, ,secondo le direttive di S. E. il Capo del Governo, si è attenuto fin dall'inizio a questo criterio, e sono 11eto ·che il suo atteggiamento sia stato 'cvstì debitamente apprezzato. In questo ordine di id~e. e come Ella è stata informata, ho già accolto con favore l'iniziativa inglese di portare la questione dinanzi al Consiglio della Società deHe Nazioni.

Questo modo di ,considerare e trattare il ,P['oblema deHa progettata unione tedesco-austriaca, mi pare tanto più necelsrsa['io quanto più delicato ed importante è il problema stesso. È infatti parlese che, nell'annunciato progetto, sono insite delle possibilità, che, realizzandosi, potrebbero, invece che migliorare la situazione economica e politica generarle, pregiudicarla ,seriamente, e mi sembra che debb~ essere ,cura precipua queHa di ovviare tempestivamente a tale even-

A fronte di questo vi sono tante possibilità di ripercussioni e di complicazioni che continuo a ritenere ci convenga mostrarci in questo campo estremamente cauti e riservati ed attendere in ogni caso che l'iniziativa di conversazione anche platonica venga dall'altro lato.

Nel parlare delle simpatie polacche per l'Italia non si deve dimenticare la compren

sione del Fascismo da parte del partito di Pilsudski ed il fatto di avere un nemico

comune nella Seconda Internazionale con tutte le sue diverse ramificazioni....

Rispetto all'Austria vi è desiderio di intensificare relazioni commerciali e di cercare di ritardare l' "Anschluss", ottenendo garanzie per i traffici e specialmente per il transito. Generalmente si considera però l' "Anschluss" come destinato a realizzarsi fatalmente in un avvenire più o meno prossimo, ma non vi è per questo un allarme esagerato perché si ritiene che con l' "Anschluss" e con lo spostamento di una parte dell'influenza politica verso la Germania meridionale e verso l'Austria potrebbe la politica tedesca riprendere in parte l'orientamento della politica della monarchia duale verso i Balcani, diminuendo di tanto quella influenza prussiana che si orienta sopra tutto verso la Polonia •.

tualità. A questo fine tenderà la nostra azione, e, a quello che posso rilevare dal Suo telegiamma, e che mi pare conforme alla tradizione britannica, dovrebbe mirare pure l'azione di codesto Governo.

L'esame giuridico non esaurisce evidentemente la questione. Il Governo italiano è fermamente dell'opinione che gli impegni assunti a suo tempo dall'Austria per ragioni di interesse ·comune, oltreché particolare di quello Stato, debbano essere fedelmente rispettati. Ma vi sono anche altri aspetti della questione: politico, economico, finanziario; e non è .possibile di prescinderne. Oltre tutto essi sì imporrebbero più tardi da sé e importa -e sia pure nella debita maniera -di considerarli, finché lo si può fare in modo utile per tutti.

Pol.iticamente è evidente che, ove la progettata Unione fosse condotta a compimento nel modo e coi fini a ·cui mirano talune tendenze dell'opinione pubblica tedesca, essa porterebbe non ad un maggiore equilibrio in Europa, ma ad un concentramento di forze, da cui Ja situazione esistente sortirebbe gravemente pregiudicata. L'Italia ha un interes1se paiTticolare che questo non avvenga, in quanto che suo primo risultato sarebbe quello di far cessare o quanto meno ridurre a una mera parvenza, e la importanza deHa funzione dello Stato austriaco nell'Europa centrale, e la sua stessa esistenza.

Dal lato economico, e per quanto i·l ProtocoHo firmato fra i due Stati dica che all'Unione potrebbero accedere anche terzi Paesi, .sta in fatto che, così come è concepita, la progettata unione non è voluta con spirito • europeo » nell'intereSJse generale, ma in quello particolare austro-tedesco, e più di Berlino che di Vienna. Qui acclusi, Le invio, per Sua personale riservata conoscenza, i verbali di due riunioni dei rappresentanti delle amministrazioni competenti (1), nelle quali il lato economico più particolarmente italiano, è stato diffusamente esaminato e dai quali Ella potrà opportunamente ricavare utili elementi.

È giusto ed opportuno e d'interesse generale che agli Stati Danubiani sia

facilitato dagli Stati maggiori il modo di superare la crisi che attualmente attra

versano, ma non si può prescindere in ciò fare da un criterio di misura e di

rispondenza agU scopi voluti. Soprattutto occorre di evcitare che taii aiuti non

creino indebiti ,squilibri nel sistema politico ed economico oggi esistente.

Dal Jato finanziario ·si pone il problema se i ,proposti mutamenti del regime

doganale austriaco, non possano pregiudicare •la IE<ituazione finanz.iaria del

l'Austria, e in particola,re la condizione dei sottoscrittori al prestito internazio

nale del 1922. È que·sto un aspetto del problema molto interessante e che mi

pare vada attentamente considerato. Siamo qui in un campo ·che rientra più

specialmente nella competenza del Comitato di Controllo dell'Austria che all'uopo

.potrebbe essere utilmente consultato.

Come dicevo inizialmente e come lo dimo~tra l'atteggiamento da noi seguito

niente s·arebbe più p-ericoloso ed impolitico che portare nell'esame del problema

uno spiirito di precipitazione e di ir:ritazione, o ·seguire mire particolari deter

minate. Neppure mi sembra però che si debba tralasciare di agire, finché si è

in tempo, affine di arginare .le forze che la progettata Unione tenderebbe a met

tere in movimento ed indirizzarle invece ve.rso un fine di ricostruzione c cii

pacificazione.

L'Italia e l'Inghtlterra secondo il sistema creato a Locarno -che le istituisce Stati garanti e affida loro una funZiione di col!laborazione nell'interesse deUa pace -hanno naturaLmente questo compito, d'accordo beninteso con tutti gli alt11i Stati. Perciò, in questa, come in altre occasioni, il R. Governo accetta volentieri di cooperare con codesto Governo. Ritengo anzi [a collaborazione inglese la migliore garanzia di pace, e i'l fine a •CUi noi dobbiamo naturalmente tendere nell'interesse nostro particolare e in quello generale europeo. Io vedrei quindi con molto piacere che pflima della riunione di Ginevra si effettuasse uno scambio di idee fra noi e codesto Governo per consideil'are particolarmente l'azione da svolgere (1).

Ho voluto tracciarLe un quadro piuttosto Jargo deUa ·situazione quale mi appare in questo momento -indicarLe le considerazioni a cui esso dà luogo, i fini a cui tend,iamo e i mezzi dei quali vorremmo servirei -perché Ella possa rendersi esattamente conto del pensieil'o del R. Governo e .svolgere di conseguenza un'azione opportuna, affine di i!"endere effettiva ed efficace la collaborazione fra i due Governi. EHa potrà va,lersi costì nel modo ·che Le sembrerà più opportuno degli argomenti e delle conlstatazioni addottHe e mi vorrà rifer~re. ln particolare ed intanto mi interesserebbe di conoscel'e 1se codesto Governo sarebbe disposto ad esaminare con noi 'la convenienza di suggerire ·che il lato finanziario, oltre quello giuridico ed economko, venga posto all'esame.

Il R. Governo riterrebbe per parte sua opportuno che tale esame potesse essere iniziato al più ,pre1srto. Come V. E. sa H Comitato di Controllo dell'Austria (presieduto dal Cav. di Gran Croce Brocchi) può essere riunito su convocazione del Presidente.

Le trasmetto oltre i citati verbali, alcuni appunti sull'argomento.

P. S. -Nessuna notizia è stata ancora data dei progettati accordi economici .con l'Ungheria e l'Austria. V. E. vorrà pertanto per ora astenersi da qualsiasi particolam accenno in propo1'òito.

(l) -Risponde evidentemente al n. 204. (2) -A questo punto sulla minuta seguiva la frase, poi cancellata: • ispirandosi alle secolari tradizioni di amicizia fra il popolo italiano e quello spagnuolo •. (3) -A questo punto sulla minuta seguiva la frase, !)oi cancellata: « facendo voti per avvenire e prosperità della Spagna •. (4) -Non rinvenuto. Il n. prot. 290 è errato.

(l) Cfr. n. 196.

214

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ORSINI BARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. PER CORRIERE 1454/342. Berlino, 22 aprile 1931 (per. il 25).

Parlandomi della situazione interna deHa Spagna, il Direttore ministeriale Koepke mi ha detto che, tanto il CancelLiere quanto S. E. von Bi.ilow sono

molto preoccupati per ciò che 'segue e ciò che si prepara in quel paese. Ambedue pensano che la Repubblica ;spagnuola sta traversando quel periodo evolutivo che nella rivoluzione russa fu personificato da Kerenski.

(l) L'opportunità di questi contatti preliminari era stata suggerita da Chiaramonte Bordonaro con tel. per corriere 950/225 del 10 aprile. Grandi ne prese poi l'iniziativa e fu fissato un suo incontro con Henderson a Ginevra per il 14 maggio.

215

APPUNTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, SUL COLLOQUIO CON L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, BEAUMARCHAIS

[Roma], 23 aprile 1931.

II signocr:-de Beaumarchais si dice incaricato dal signor Briand di rimettermi funita lettera con allegate le proposte francesi circa le diffico>ltà sorte per la conclusione dell'accordo navale. Mi domanda se ho nulla da dirgli sull'argomento. Gli rispondo che il Governo ~S'aminerà il documento, ma che ad ogni modo le impressioni sgradevoli determinate dal sorgere dell'inaspettato incidente a Londra {1), esistono tuttora. Non vedo in verità in qual modo si possa uscire dane difficoltà.

L'Ambasciatore de Beaumarchais mi comunica quindi d'ordine del suo Governo che gli uffici del Quai d'Orsay lstanno esaminando un contro-progetto da opporsi al Protocollo doganale austro-tedesco e che non appena i ,}avori saranno finiti, tale contro-progetto sarà portato a conoscenza del Governo italiano. È desiderio del Governo france,se di coHaborare con quello italiano su questa importante questione. Mi domanda se ho nuiia di nuovo da dirgli sull'atteggiamento italiano. Gli rispondo che la condotta del Governo italiano è immutata. Essa prenderà forma e ,consistenza in occas•ione delle prossime discussioni di Ginevra. AHora soltanto il Governo italiano, di fronte agli elementi che verranno a determinarsi, preciserà la sua attitudine. L'economia italiana è divisa, una parte è contraria al protocollo doganale austro-tedesco, una parte è ad e3so favorevole. Facendo espressa riserva su quelle che saranno le decisioni definitive da parte del Governo titaliano esprimo a de Beaumarchais alcune mie idee personali: « Il Governo di Parigi e per un certo senso quello di Londra hanno esaminato la questione da un punto di vista politico, giuridico ed economico. Però hanno dimenticato l'a!spetto forse più importante perché più suscettibile di risultati concreti, quello finanziario. Nel 1922 quattro Paesi: Italia, Francia, Inghilterra, Cecoslovacchia, hanno garantito un forte prestito allo Stato austriaco, sotto l'auspicio della S.d.N. Il Protocollo del 1922 istituisce un Comitato di Controllo sotto la presidenza del membro italiano.

Nulla impedtsce, anzi ,sarebbe cosa oltremodo logica e naturale, che il Comitato di Controllo si riunisca per esaminare lse l'accordo doganale austro-tedesco non sia suscettibile di modificare la posizione degli Stati garanti rispetto all'Austria. La riunione del Comitato di Controllo da effettuarsi prima dei ilavori di Ginevra, anche se non pcr:-endesse nel frattempo decisioni definitive, avrebbe

indubbiamente un effetto lsalutare in Austria, e contribuirebbe senza dubbio o rinforzare quelle •covrenti austviache che •si sono già manifestate ·contrarie all'accordo doganale perché quest'ultimo potrebbe diminuire il credito dell'Austria rispetto alle grandi Potenze europee. La Germania non avrebbe nulla da dire, perché assolutamente estranea alla riunione del Comitato di Controllo, riunione che potrebbe essere indetta su invito del Presidente. Naturalmente il Presidente italiano non può riunire il Comitato lse non sollecitato a farlo almeno dai membri inglese e francese e cecoslovacco doè dai Ra,ppresentanti degli Stati garanti. È certo che l'azione del Comitato di Controllo, anche se non condotta a termine, soprattutto se non condotta a termine, potrebbe avere un'influenza notevole sullo svolgimento delle discussioni di Ginevra.

De Beaumavchais mi ha ascoltato attentamente, interrompendomi più volte per avere ulteriori precisazioni, che gU ho dato. Infine egli mi ha dichiarato di trovare l'idea estremamente interessante e di ·col1r,ere ·subito a suggerirla al suo Governo perché sia immediatamente studiata. Per conto suo egli l'adotterebbe senz'altro (1).

Abbiamo quindi parlato della situazione generale dei rapporti ita·lo-francesi. Gli ho •confermato ancora una volta 1le disposizioni del Governo italiano che erano e sono tuttora per un accordo generale e comp,leto con la vicina repubblica. Gli ricordo ·con quanta .rapidità e lealtà il Governo italiano ha accolto la preghiera del Governo francese di associarsi alla sua démarche preisso il Governo di Vienna.

Disgraziatamente il giorno seguente •la notizia impreveduta del1e difficoltà suscitate dagU esperti francesi a Londra :per l'accordo navale ha • agghiacciato • di nuovo il Governo italiano. È chiaro che dalla conclusione del1l'accordo nava.le dipende in gran parte se non interamente la possibHità di una chiarificazione definitiva tra i due Paesi.

De Beaumarchais mi dcorda che in uno dei suoi primi colloqui ·col Capo del Governo, questi ebbe a .propovgli un accordo italo-francese contro l'Anschluss (2). Il Governo francese non credette di accettare la proposta di S. E. Mussolini poiché gli parve che una intesa italo-francese su un punto particolare delle questioni regolate dai Trattati di •pace, potesse indebolire ,per così dire, le altre questioni regolate dai Trattati di pace e non ·comprese nel particolare accordo itala-francese.

• Non crediate che il Governo italiano farebbe oggi ila stes,sa proposta di allora. La politica francese verso l'Italia, in questi ultimi anni, ha modificato le nostre idee in proposito. Voi mi avete detto e ripetuto ·che •l'Anlschluss significa la guerra per la Francia. Per l'Italia non significa la guerra, bensì un male che potrà rendersi più o meno necessario o più o meno evitabi•le a seconda di quelle che saranno le attitudini della politica francese verso l'Italia. La politica francese è stata così " inabile " verso l'Italia da determinare ormai nella coscienza italiana, una sensazione che va configurandosi e precisandosi di giorno in giorno sempre

più, e che cioè l'Italia non potendo assolutamente contare sull'amicizia francese, vedesi costretta ormai a scegliere tra due nemici. Ancora tre anni fa, la eventualità della Germania a Klagenfurt, preoccupava molto gli italiani. Oggi Ii preoccupa assai meno e ciò è colpa soltanto della Francia.

ALLEGATO.

BEAUMARCHAIS A GRANDI

(Copia)

N. 137. Rome, le 23 Avril 1931.

J'ai l'honneur de faire parvenir ci-joint à V. E. une note (l) sur les difficultés qui ont surgi lors de la rédaction de l'accord naval, note que je suis chargé par M. Briand de remettre à V. E. comme réponse au message qu'Elle a bien voulu adresser au Ministre français des Affaires Etrangères, par l'entremise de S. E. le Comte Manzoni, le 3 Avril dernier (2).

Ce document, dont les termes ont été arrètés au Conseil des Ministres de la République le 20 de ce mais, s'efforce de mettre en pleine lumière les véritables causes du malentendu qui s'est élévé entre les experts, il tient le plus grand compte du point de vue italien et il contient une proposition qui permettrait au prix de concessions mutuelles, de dénouer la crise actuelle.

Dans son message du 3 avril, V. E. a insisté en particulier sur le fait que, si l'an entrait dans les vues françaises, l'économie des • bases d'accord • telles que elles ont été acceptées par le Gouvernement Royal et telles que V. E. les a exposées publiquement à la Chambre Italienne se trouverait modifiée. J'ai l'honneur d'attirer l'attention de V. E. sur le fait que le Gouvernement français n'est pas plus responsable que le Gouvernement Italien du malentendu qui a surgi et que, lorsqu'il a accepté le Ier Mars le texte amendé conformément à ses propries vues, il ne pouvait savoir que l'adhésion donnée aux « bases d'accord • par le Gouvernement Royal l'avait été dans des conditions qui excluaient cet amendement, que le Gouvernement britannique acceptait, de son còté, sans difficulté.

On ne peut donc sortir de la difficulté actuelle que par un effort de concilia

tion mutuelle, qui oblige les trois Gouvernements intéressés à renoncer dans une

certaine mesure à leurs points de vue primitifs.

M. Briand m'a prié de faire observer que si V. E. a pris publiquement position dans son discours au Parlement, de leur còté, les Ministres français des Affaires Etrangères et de la Marine en ont fait autant dans leurs déclarations dont la substance a eté ·<livulguée. Il y a dane lieu de part et d'autre, de rechercher dans un esprit de complète bonne volonté si une transaction n'est pas souhaitable et possible dans l'intérèt commun.

Les propositions contenues dans la note ci-jointe prouvent que le Gouvernement français a la volonté de faire cet effort. Il sait qu'il trouvera chez V. E. mème état d'esprit.

Je suis chargé d'ajouter que les experts français à Londres sont dès maintenant autorisés à discuter sur les bases définies dans le document que j'ai I'honneur de remettre à V. E. (3).

Oramai del resto tutti sentono che non c'è più nulla da fare e che bisogna rassegnarsi a mettere le Basi d'Accordo in un bel boccale pieno di spirito, con scrittovi sopra

• Aborto'. A meno che all'ultima ora non esca fuori qualcuno con una bella 'trovata·....

(l) Cfr. p. 242, nota 2.

(l) -Con lettera del 27 aprile Beaumarchais comunicò à Grandi il benestare del Governo francese alla progettata convocazione del comitato di controllo. (2) -Cfr. serie VII, vol. VI, n. 68. (l) -Del 20 aprile, inviata anche a Londra. Vedila in DB, Il, n. 345. (2) -Cfr. n. 184. (3) -Sulle p,recedenti discussioni londinesi cfr. una l.p. di Rosso a Ghigi, Londra 19 aprile: c È qua in questi giorni Tyrrell, il quale -da quel che ho potuto capire -ha cercato di fare presso Henderson la difesa dei francesi.
216

APPUNTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, SUL COLLOQUIO COL MINISTRO DI JUGOSLAVIA A ROMA, RAKIÉ

[Roma], 23 aprile 1931.

Non rivedevo il Ministro Rakic dal gennaio u.s. (l) e cioè dal mio ritorno da Ginevra. Allora il Ministro Rakic domandò di esser ·ricevuto per annunciarmi che egli si recava a Davos per conferire con Marinkov·~ch ed avere da lui ulteriori istruzioni per il proseguimento del:1e conve11sazioni fra il Governo italiano e quello jugoslavo. In seguito il Mintstro Rakk annunciò il suo viaggio a Belgrado (2). Ritornato da Belgrado egli ha preso contatti con gli uffici del Ministero (3) evHando tuttavia di incontrarsi con me e comunque di riprendere gli argomenti trattati nel mio incontro con Marinkovich a Ginevra nel gennaio scorso (4). Qualche giorno fa ha improvvisamente domandato di essere ricevuto.

Il Ministro Rakic ha ·cominciato col dirmi di aver ricevuto istruzioni dal suo Governo di -riprendere ·con me 'le conversazioni interrotte. Mi ha ripetuto le solite affermazioni di buona volontà, ecc. ecc.

Mi ha ·ricordato che nell'ultima •conversazione avuta con Marinkovich vi era stato un punto esaminato e che secondo ·l'avviso del Governo italiano costituiva e colstituisce il centro del problema dei rapporti itala-jugoslavi, doè a dire la questione albanese. Egli, Rakic, ha avuto precisamente istruzioni di proseguire le ·conversazioni .su questo punto delicato e particolare, onde esaminare se sia possibi•le trovare una formula d'accordo che •soddisfi ambo le parti. Riprendendo Je parole dette da Marinkovich, il Ministro Rakic insiste che nel problema albanese non vi è che un punto estremamente delicato il quale interessa la Serbia e cioè un eventuale intervento milita;re dell'Italia in A~bania. Tutta la questione è su questo punto. La Serbia non può accettare il fatto compiuto di un intervento deH'Italia in Albania.

Rispondo a Rakic di vedere anzitutto •con piacere come il Governo di Belgrado ha finalmente compreso che tutte •le altre questioni esistenti tra Italia e JugOSilav.ia sono subordinate ad un p;roblema centrale, quello albanese, e che nel •considerare l'eventualità di un accordo generale :lira Italia e Jugoslavia, occorre mettersi bene in testa che un accordo di ta•l genere non è possibile e non sarà possibile ·se non viene risolto il problema dell'Albania. Ripeto a Rakic presso a poco quello che cHs1si a Marinkovich nell'incontro del gennaio. L'Italia è sinceramente dispOista ad un accordo sostanziale con la Jugoslavia, un accordo che costituisca veramente un pegno di pace permanente fra la razza italiana e

È il grande timore di Ruspoli, ma io non vedo davvero come la cosa sia possibile. Lo

stesso Craigie sembra rassegnato, ciò che è tutto dire.

Io qui agisco naturalmente in modo da dare l'impressione che da parte italiana si

depreca il fallimento di tante belle fatiche e che se l'accordo non si fa, non è proprio

colpa nostra. Questa attitudine del resto è perfettamente sincera ".

la razza slava dall'altra parte dell'Adriatico. Mentre l'Italia è disposta ad un accordo di tal genere, effettivo e duraturo, si rifiuterebbe a considerare un accordo di carattere effimero, transitm:io, che non risolvesse i problemi fondamentali ancora sul tappeto e che fosse germe di nuovi equivoci e di futuri malintesi. La guerra ,si è risolta svantaggiosamente per l'Italia la quale non ha realizzato ,le sue giuste aspirazioni nel medio e basso Adriatico. L'Italia è disposta a dimenticare tutto ciò alla ,condizione che la situazione politica del basso Adriatico, situazione definita daHa Dichiarazione di Parigi del 1921 (che assicura i diritti potenziali al mandato dell'Italia in Albania) e integrata dal Patto di Tirana, dal Trattato di alleanza ita,lo-albanese, dalle realizzazioni della politica Italiana in Albania durante gli ultimi cinque anni, sia accettata una volta per seopre dalla Sel'bia. Ho già detto a Marinkovkh 'Che l'Italia è pronta a dare tutte ~e garanzie alla JugosJlavia per quanto riguarda territori al di là deUe frontiere albanesi. Per noi l'Albania è uno Stato adriatico, non è uno Stato balcanico. L'Italia vuole sinceramente l'indipendenza e il mantenimento dell'ordine in Albania. Questi cinque anni di politica italiana lo dimostrano chiaramente. Però è chiaro che ,se, malgrado 1i nostri sforzi e le nostre buone intenzioni, si rendesse necessario l'intervento italiano in Albania per ristabilirvi l'ordine e la continuità del l!fegime, ,J'!talia non esiterebbe a valersi dei diritti che le grandi Potenze -Gran Bretagna, Francia e Giappone -le hanno riconosciuto, e cioè intervenire in Albania. La Dichiarazione di Parigi del 1921 contiene un principio fondamentale: • le frontiere dell'Albania costituiscono un interesse strategico per l'Italia •. Qualsiasi accordo tra l'Italia e la Jugoslavia non può che avere una premessa, il riconoscimento da parte del Governo di Belgrado di questo principio. Non conosco base diversa sulla Quale noi potremmo even

tualmente proseguire e condurre le nostre conversazioni. Nell'incontro avuto col Ministro Marinkovich nel 1settembre u.s. (l) ebbi l'impressione che il Governo di Belgrado fosse disposto ad esaminare la situazione non escludendo questa base di discussione. Vedo con rammarico che il Governo di Belgrado ha modificato avviso. Il Governo Italiano non vede né l'urgenza né la necessità di un accordo con la Jugoslavia. Le cose possono benissimo continuare come si sono svolte finora.

Rakic -Mi domanda se non valesse la pena per l'Italia di considerare la possibilità di una rinuncia a questa situazione cui, secondo il Governo italriano, le darebbe diritto la Dichia,razione del '21, e ciò in vista dei vantaggi di un accordo ,con la Jugoslavia. Il popolo jugoslavo è stato duramente colpito dalla interruzione dei buoni rapporti con l'Italia. Come succede sovente, ora comincia ad abituarvisi malgrado i danni 'Che ad esso derivano da tale situazione. Se non Yi si giungesse oggi ad un accordo con l'Italia forse fra qualche tempo il raggiungimento di questo accordo sarebbe ancora più difficile.

Grandi -Ripeto a Rakic che l'Italia, pur desiderando sinceramente un

accordo con la Jugoslavia, non attribuisce ad esso che un interesse assai rela

tivo. Un accordo con ,la Serbia importerebbe probabilmente la nece6sità di un

mutamento graduale della nostra politica balcanica attuata ,in questi cinque anni. Non abbiamo alcun interesse a far ciò. È la Jugoslavia che ha manifestato il des:idedo di accostarsi all'Italia, non l'Italia aHa Jugoslavia. Le cose possono benissimo continuare come stanno.

Rakic -Mi ricorda l'offerta fatta da Marinkovich di un patto di neutralità fra l'Italia e Jugoslavia che garenti:rebbe l'Italia rtspetto alla Francia.

Grandi -Lo interrompo dicendo che questo problema ha una importanza molto ,secondaria, innanzi tutto perché nessuno in Italia crede seriamente ad un contrasto con Ta Francia in secondo ·luogo un impegno di neutralità non è la condizione di un accordo bensì una evidente e logica conseguenza di esso. È evidente ·che se ItaHa e Jugoslavia fanno un accordo il meno che possa domandarsi quale effetto dello !stesso è la reciproca neutralità. Non è quindi su questo terreno che possono essere condotte seriamente delle trattative.

Rakic non nasconde un certo imbarazzo. Egli finisce col dirmi che fra poche setHmane avrò tl'occasione di incontra·rmi con Marinkovich e la conversazione potrà essere 'Tipresa a Ginevra. Gli rispondo dicendogli che in vedtà non vedo in qual modo la conversazione potrà eSL<:JCre ripresa dato che tutto quello che vi era da dire è stato detto.

È mia impressione, e lo si desumeva chiaramente dal contegno del Ministro Rakic, che egli aveva avuto istruzioni di • tastare • H terreno per rendersi conto, a distanza di tre mesi, se vi era mutamento nell'atteggiamento italiano. Ho voluto essere esplicito, per non dare delle illusioni. Ritengo che nell'attuale momento sia nostro interesse mostrare a Belgrado un viso duro, il più duro possibile. Assai più che mediante campagne di stampa (le quali lasciano il tempo che trovano) sono d'avviso di addivenire -meglio tardi che mai -a qualche atto concreto che ferisca gli interessi economici jugoslavi. I tecnici mi assicurano che siamo in grado di farlo. Nessun momento potrebbe essere scelto più propizio per arrecare all'economia jugoslava, ed indirettamente alla politica qualche danno ·sensibile. Durante i prossimi lavod di Ginevra cercherò di evitare contatti con Mari~kovich.

(l) -Su questo incontro Grandi-Rakié non si è trovata documentazione. Rakié si incontrò con Guariglia (cfr. n. 62). (2) -Cfr. n. 81. (3) -Cfr. n. 146. (4) -Cfr. n. 30.

(l) Cfr. serie VII, vol. IX, n. 241.

217

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, ALL'AMBASCIATORE A MADRID, DURINI DI MONZA

T. 402/49. Roma, 24 aprile 1931, ore 20,50.

Giornale La Libertà di Parigi del 16 aprile riportava telegramma diretto da Ortega y Gasset, nuovo Prefetto repubblicano, alla Concentrazione antifascista porgendole il •saluto all'iniziare la sua nuova carica e l'offerta di ospitalità nella Spagna liberata.

Stesso giornale riportava una lettera del sig. Prieto alla predetta Concen

trazione colle frasi seguenti:

• Io spero nelle vicine ripercussioni nei paesi europei che soffrono sotto le dittature. La tirannia non è dei nostri tempi e coloro che chiamano la dittatura soccombono sotto la dittatura • (1).

È neceSisario che V. E. non indugi ad attirare la più seria attenzione di codesto Governo su quanto precede allo scopo di evitare che si formi costì una atmosfera la quale potrebbe essere molto nociva ai rapporti fra i nostri due Paesi.

EUa dovrà fa·r rrilevare ·che il contegno del Governo e dell'opinione pubblica italiana si sono inspirati ad una perfetta correttezza in questo momento così delicato per la Spagna, e ·che anzi può dirsi abbiano ;seguito le ultime vicende spagnuole con spirito di comprensione e di amicizia, desiderosi soltanto di veder ristabilite in !spagna quelle condizioni di ordine e di tranquillità che sole possono essere garanzia sicura per l'avvenire del Paese.

La politica realizzatrice del Governo fatscista non si è mai ~asciata influenzare nelle sue relazioni con gli Stati da differenze nel regime interno, come lo provano numerosi esempi e perfino i rapporti esistenti con l'Unione sovietica. Non intendiamo dare ai nuovi govet!'nanti spagnuoli alcun ·consiglio o suggerimento, perché siamo sicuri che la visione esatta degli interessi generali del loro Paese finirà per imporsi da ,sé. Ma siamo convinti che questi interessi hanno molti ed importanti 1legami con quelli italiani, e perciò auspichiamo sinceramente il consolidamento dello Stato srpagnuolo, quale che sia il suo regime interno, nella certezza che una Spagna forte e prospera sarà sempre maggiormente in grado di sottrarsi ad influenze che nulla hanno a che fare colla propria situazione politica.

Ad ogni modo quale che sia oggi l'opinione di codesti governanti circa i rapporti italo-spagnuoli ed anche se essi non si rendessero fin d'ora conto della convenienza reciproca di impostarli in un'atmosfera di cordialità e di amicizia, le manifestazioni ,suddette sono evidentemente contrarie alle elementari norme di correttezza internazionale e contrastano anche colle dichiarazioni fatte da codesto Ministro degli Esteri (2).

Quanto poi specialmente concerne 'l'ospitalità offerta alla concentrazione antifas·CJista essa assume particolarmente carattere di gravità, specie perché sembra comportare un vero e proprio invito ad organizzare in !spagna un'azione contraria ad uno Stato amico, ciò che è assolutamente inammissibHe da parte di un funzionario responsabile.

V. E. vorrà quindi pt!'ovocare immediatamente i necessari chiarimenti circa i fatti specifici sopra accennati, e telegrafarmi.

« È inutile descrivere Io stato d'animo della concentrazione in seguito agli eventi di Spagna. Speci::;lmente il movimento repubblicano sta imbastendo addirittura un nuovo programma per una azione energica di propaganda da svolgere in Italia... Negli ambienti della concent:•·azione si annunzia come imminente la ripresa delh lotta in Brande stik contro il Fascismo e sono presi in considerazione tutti i programmi anche i più sb2.llati >}.

Sulle reazioni agli avvenimenti spagnoli dei fuorusciti italiani e della stampa francese di sinistra e conservatrice cfr. quante comunicava Manzoni con te!. posta 2080;119!) del 16 aprile.

Attendo, d'altra parte, che V. E. agisca con quel tatto e quell'efficacia che sono insieme necessari in questo delicato momento perché l'impostazione dei rapporti fra il nostro Paese ed il nuovo regime spagnuolo sia tale non solo da evitare inutili equivoci e pericolose tensioni ma da permettere quegli ulteriori graduali sviluppi che sono certamente nell'interesse dei due Paes:i.

(l) Le due notizie erano state segnalate da Mussolini con un appunto autografo che non si pubblica. Sullo stato d'animo diffuso in seno alla Concentrazione antifascista cfr. b seguente informazione anonima, datata Parigi 17 aprile:

(2) Cfr. n. 204.

218

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ORSINI BARONI, E AI MINISTRI A BELGRADO, GALLI, A BUDAPEST, ARLOTTA, E A VIENNA, AURITI

T. PER CORRIERE 399. Roma, 24 aprile 1931.

Stampa francese e tedesca hanno accennato recentemente a tentativi di avvicinamento alla Germania da parte della Jugoslavia. In merito a tale delicato argomento gradirò che l'E. V. (S. V.) riassuma con un documentato rrappo·rto tale situazione, indicando quanto risulti in merito a tale iniziativa, da chi essa sia stata presa e quali siano i 1suoi prevedibHi sviluppi.

(Solo per Berlino) -Richiamo particolarmente l'attenzione dell'E.V. sull'articolo apparso nella Deutsche Tageszeitung di Berlino del 12 corrente mese, intitolato: " Tendenze germanofile in Jugoslavia " e dove si menziona ministro Balugic quale esponente tendenza germanofila in antagonismo francofilia Marincovic (1).

219

IL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA LEVANTE ED AFRICA, GUARIGLIA, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, CHIARAMONTE BORDONARO

L. P. 214549/257. Roma, 24 aprile 1931.

Grazie per la tua lettera personale del 6 corrente (2). Come avrai rilevato dal telespresso ufficiale di questo Ministero in data 26 marzo, l'Ambasciata britannica a Roma ha già fatto passi ufficiosi presso

« Solo nelle ultime settimane la opinione di Marinkovich contraria alla unione doganale austro-germanica anche sul terreno economico, è riuscita a prevalere, come ho riferito col mio rapporto n. 2289/748 del 28 corrente dove ho fatto cenno del progetto Marinkovich che se ancora non bene precisato e forse non studiato in tutte le sue conseguenze, risponde per certo ad una vasta visione, ed è diretto ad ovviare ai pericoli che una associazione .iugoslava alla progettata unione condurrebbe per la Jugoslavia stessa e forse anche per l'Europa. Poiché si è qui rafforzata la coscienza di essere la Jugoslavia un forte e deciso antemurale germanico, e manifestata convenienza di valersi di questo fatto per un migliore assetto dei propri interessi politici ed economici ".

Della risposta di Orsini Baroni (tcl. per corriere 1264/285 del 3 maggio) si pubblica il passo seguente:

« Forse l'attitudine di riserva sarà continuata, ma fino a quando sarà per i governanti di Bell'(rado politicamente possibile il farlo -cioè a dire fino al giorno in cui la Francia porrà il veto alle tresche fra Belgrado Berlino e Vienna. Ciò mi veniva in questi giorni ripetuto e da Btilow e da Kopke. Essi mi dicevano che la tenaglia finanziaria francese nelle carni jugoslave è cosi tenace, e che le simpatie, la fiducia di Re Alessandro versa h Francia seno così profonde da non permettere alcuna illusione su un sostanziale cambiamento di ,·otta da parte di quel Govei·no ».

questo Ministero circa le nostre occupazioni militari nel noto triangolo desertico in contestazione. È da ritenersi che tali pratiche inglesi non si arresteranno, salvoché gli inglesi non si adattino a lasciar consolidare uno stato di fatto, a noi del tutto favorevole: infatti, secondo una comunicazione 3 corrente del

R. Ministero delle Colonie, nostri reparti sahariani si sono spinti sino a Bir Bisciara (cinque giornate a sud di Kufra) nonché sino a El Auenat. Questo Ministero ha, rispondendo alle Colonie, ·confermato l'opportunità ·che le nostre truppe continuino a compiere atti di posseisso nella regione e particolarmente nella zona dei pozzi di Auenat. È quindi da su,pporsi che gli inglesi ritorneranno fra breve alla carica; ciò che potrà forse dare lo spunto al negoziato per la definizione delle frontiere cirenaico-sudanesi, scopo al Quale tendiamo.

Riterrei dunque, considerati tali fatti nuovi verificatisi posteriormente alla mia del 13 marzo (1), che sia per ora il caso di soprassedere all'inizio costì di conversazioni di caratte•re personale sull'argomento.

A ciò sono indotto anche dalla considerazione che la ripresa delle trattative con i francesi per i confini libici non si prevede prossima, dato l'attuale stadio del negoziato navale.

Sono poi d'accordo con te nel ritenere che si debba attendere J'esito dello stesso negoziato navale, e la eventuale ·conseguente rip·resa delle trattative per le altre questioni itala-francesi, per esaminare J'opportunità di fare costà qualche aUusione all'eventualità di un'abolizione del protettorato francese sulla Tunisia.

Per quanto sia probabile che tale sia lo scopo al quale mirano in definitiva i francesi, la loro azione diplomatica per consegui~lo non potrà infatti che essere graduale ed a •lunga scadenza; e non mancherà quindi H tempo di sondare eventualmente cotesti ambienti.

(l) Della risposta inviata da Belgrado (telespr. 2450!773 del 30 aprile) cfr. il passo seguente:

(2) Cfr. n. 190.

220

IL MINISTRO A PRAGA, PEDRAZZI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. PER CORRIERE 1154/38. Praga, 24 aprile 1931 (per. il 27).

Spedisco con telespresso a parte il testo ed un largo sunto del discorso che

il Ministro Benès ha pronunciato ieri davanti alla Camera dei Deputati intorno

all'accordo austro-tedesco. Il discorso, interminabHe, secondo l'uso del dottor

Benès, aveva tre scopi precisi: il primo, di tenersi alla ribalta europea in un

momento di molto interesse per tutto il ·continente, il secondo, di controbattere

le forti correnti tedesche ed industriali che in Cecoslovacchia si dichiarano favo

revoli al patto austro-tedesco approfondendo in tal modo il fatale ,solco tra la

politica e l'economia di questo !)aese, il terzo, di contrapporre al piano tedesco

un altro piano che d'accordo con quello di Briand possa appadre all'Europa la vera via della 'salvezza economica. Non starò a fare un [ungo commento al discorso, ma dirò subito che esso ha avuto il carattere ,comune a tutti i progetti del Dott. Benès, e cioè la vaga indeterminatezza, il gusto di proporve piani generali che comprendono tutto e tutti, in modo che finiscono per non essere mai ['ealizzabili. Davanti ad una mossa tagliente e prec>i:sa come quella germanica che è capace di suscitare avversioni ma anche entUJsia,smi, Benès parla di unione generale degli Stati industriali ed agricoli, di abbraccio universale dei paesi di Europa cantando ancora una volta l'inno alla fratellanza continentale. Ma se qualcuno, come io ho fatto, gli chiede in una conversazione privata come è possibile un accordo generale economico se [Jrima non si eliminano le frizioni politiche, egli non sa più che cosa ~rispondere ,se non • ma le questioni politiche finiranno per arrangiar:si tra popoli intelligenti • e qui si cade nella solita desolante banalità.

Dal discorso di Benès si può trarre quindi una sola ~constatazione, che la Cecoslovacchia (finché Benès esisterà e nonostante che tedeschi e industriali cechi siano fieramente ~contrari alla sua politica mai contrastata come ora) re1ster~ immutabilmente avversa al piano tedesco-austriaco e non mollerà su questo punto.

Quale strada intende seguire Benès? Ebbi con lui ieri l'altro una lunga conversazione nella quale egli volle mettermi al corrente delle sue idee. Benès dichiara che se a Ginevra la ~contrarietà all'accordo non fosse netta e precisa egli ricorrerà al Tribunale dell'Aja, come del resto pare che vi ricorreranno i tedeschi nel ~caso contrario; quindi l'Aja finirà per dire la parola definitiva sulla poSISibil.ità o meno che Germania ed Austria procedano verso la unione doganale. Nel caso ~che il responso sia favorevole ai tedeschi, Benès cercherà di formare subito un blocco economico della Piccola Intesa colla Polonia che farà alla Germania ed all'Austria la guerra economica. A questo punto gli ho opposto che né la Polonia né gli altri Stati della Piccola Intesa parevano molto disposti a mettel'isi in posizione così decisa contro ~la Germania, che d'altronde offriva col suo piano di Hberarli dalla crisi a~ricola acquistando essa sola la esuberanza dei ~loro prodotti. Ma Benès ha replicato che se correnti di opposizione esistevano in quei paesi, vi era una forza finanziaria e diplomatica che era sufficiente a ,indirizzarli per la via da lui voluta: la Francia. Senza la Francia dove prenderebbero quegli Stati gli aiuti finanziari e diplomatici? Ecco perché Benès si ritiene sicuro della costituzione di questo ipotetico blocco economico antitedesco. Debbo a questo punto aggiungere che il Ministro di Polonia in una conversazione che ebbi con lui lo stesso giorno mi ha smentito con disprezzo ogni accordo del genere, insistendo sul fatto che tra Polonia e Cecoslovacchia i rapporti erano più ~che freddi, astiosi.

Ma in ogni caso io ho detto al Dott. Benès che il suo piano di difesa conduceva ad una situazione di tensione e di guerra doganale, ma non risolveva la questione, lasdandola invece più invelenita che mai, a tutto beneficio di quel grosso can mastino che sta da oriente guardando con intereSise alle convulsioni di Europa: il bolscevismo. Ma egli mi ha detto che, nel caso gli accordi austro

tedeschi procedessero, non potrebbe fare che cosl. Dal canto suD egli insiste invece per l'altro piano, quello cioè della unione degli S.tati industriali (Francia, Germania, Italia, Svizzera, Belgio, Cecoslovacchia, Austria) che acquistino i prodotti agrari dell'altro gruppo di Stati (Ungheria, Bulgaria, Jugoslavia, Romania) e si mettano d'acco,rdo tra di loro anche per il mercato dei prodotti industriali. È stato allora che ho fatto osservare a Benès come mi sembri difficile che un tale accordo da « es,ercito della salute • sia possibile :se prima non muti l'atteggiamento di a1cuni Stati contro altri Stati e non sia rasserenata la atmosfera politica. Gli ho espresso il dubbio che una • détente " europea possa cominciare nel campo della produzione se la politica resti a!stiosa come oggi appare da parte di qualche blocco politico-militare.

In ogni modo le idee espresse da Benès sono idee francesi. Parlava su per giù nello stesl;;o modo giorni sono il Ministro di Francia Charles-Roux al Ministro di Ungheria Masirevich, annunciando il medesimo blocco economico antitedesco, al quale egli aggiungeva H Belgio, e • forse • anche la Svizzera. Dietro al paravento dei piani generali che sono esposti dal Ministro Cecoslovacco e che saranno esposti da Briand, appare quindi già la linea dell'azione francese nel caso che Ginevra non dia vittoria alle opposizioni antitedesche. Nel registrare queste mosse politiche, pur conoscendo quanto delicata sia in questo argomento la nostra posizione e come anche noi abbiamo ragione di dolerci per il contegno austro-tedesco, debbo però informare che gli annunciati accordi di Vienna hanno indebolita la politica francese di questo paese che incontra nel paese steslSo maggiori opposizioni, hanno mostrata la poca compattezza della Piccola Intesa ed hanno abbassato il prestigio della Francia nell'Europa centrale e danubiana. La stessa corte che Benès ci fa, le lusinghe che egli tende all'Ungheria sono manifestazioni di un profondo turbamento che pervade tutto il sistema francese in questa parte d'Europa. Nel parlarmi della Jugoslavia Benès ha tenuto

a dirmi come Marinkovic telegrafandogli più volte in questi giorni per un'azione

comune si sia sempre raccomandato di procedere in modo da essere d'accordo

coll'Italia (1).

(l) Cfr. n. 130.

221

L'AMBASCIATORE A MADRID, DURINI DI MONZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

R. 627/351. Madrid, 24 aprile 1931.

Come da mio telegramma in data di ieri, n. 96, non appena ricevuto il telegramma di V. E. n. 47 (2) mi affrettai a redigere una nota che presentai

personalmente a questo Ministro • de Estado •, nella quale gli annunciavo ufficialmente il riconoscimento del Governo Pirovvisorio Spagnuolo, da parte del

R. Governo.

La mia visita al Signor Lerroux, come quella successiva al Presidente Signor Alcalà-Zamora assunse un carattere veramente cordiale. Amendue mi espressero la loro viva soddisfazione per l'accordato riconoscimento e mi pregarono di ringraziarne l'E. V.

Approfittai dell'occasione ·per dichiarare che il Governo Fascista, com'è suo costume e ·colstante abitudine, fa una politica linearr-e aperta e leale con tutti, anche nei riguardi dei regimi che stanno ai suoi antipodi (e gli dtai a questo proposito le nostre relazioni più che corrette •con Mosca, ciò ·che è pure una riprova della larghezza delle sue vedute) e 'che non s'immi·s·chiava mai

• né direttamente né indirettamente • nelle questioni interne degli altri paesi e che quindi s'attendeva uguale attitudine da parte del nuovo Governo Spagnuolo. Tanto il Signor Lerroux che il Presidente mi riiSIIJOSero che potevamo contare in modo a1ssoluto ·che tale sarebbe stata pure 1la linea di ·condotta del loro Governo, condotta che cor11ispondeva non solo alle loro convinzioni ma pure al loro interesse, volendo mantenere, con tutte 'le nazioni, le relazioni più corrette pacifiche ed amichevoli. Il Signor Le·rroux .per dimostrare i ,suoi cordiali sentimenti verso l'Italia si rkhiamò a speeiali servigi da 1lui resi alla nostra Ambasdata durante la guerra quand'era Ministro del Fomento, sentimenti che tuttora conservava.

Nel corso delle due conversazioni non mancai di fare un primo aecenno alla necessità che fos,sero riprese, non appena possibHe, le trattative commerciali rimaste in sospeso, ·come richiamai 'l'attenzione dei miei inteiJlocutori sull'opportunità di indurre fin d'ora la stampa, 'loro amica, a mantenere almeno un'attitudine corretta nei nost1ri riguardi, se ,si voleva ·che non ne soffdssero le relazioni con l'Italia, tanto più che la stampa italiana aveva da paTte sua mantenuto un atteggiamento assolutamente esemplare ed imparziale nei recenti avvenimenti, a differenza di quella di alcuni altri paesi, dò •che riconobbero lealmente.

Nel pomeriggio d'oggi mi hanno restituito la visita il Ministro degli Affari Esteri e il Presidente del Governo Provvisorio. Entrambi mi hanno ripetuto le cordiali dichiaraZJioni già fattemi e con entrambi ho rip·arlato della questione della rstampa e di quella dei fuorus•citi italiani che ·cominciano ad arriva!l'e in !spagna, attirando la loro attenzione sugli inconvenienti che per i buoni rapporti fra i due paesi potrebbero ·derivare da atteggiamenti violenti dei giornali di sinistra, oggi diventati organi ufficiosi, e dalla biliosa propaganda dei fuorusciti italiani. Alcalà-Zamora mi ha promesso che sorveglierà l'una e l'altra questione per quanto è nelle sue possibilità. Egli intende tuttavia (per quanto mi ha dichiarato) rritkarsi dal Governo dopo la convocazione delle Cortes •che avverrà nel mese di Giugno.

13 -Documenti diplomatici-Serie VII-Vol. X

(l) -Per le reazioni di Benes all'accordo doganale austro-tedesco cfr. anche le sue dichiarazioni fatte 1'8 aprile al congresso del partito socialista nazionale (tel. 949/34 del 10 aprile di Sanseverino). (2) -Cfr. n. 212.
222

L'AMBASCIATORE A MADRID, DURINI DI MONZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. 1144/100. Madrid, 25 aprile 1931, ore 21,50 (per. ore 0,30 deL 26).

Mio telegramma odierno n. 99 (1).

Signor Lerroux come aveva promesso mi ha fatto rimettere 1stasera una sua lettera in cui deplora ancora • incidente che ha motivato mia visita •. In pari tempo mi invia due lettere autografe: una del signor Prieto, l'altra del Signor Ortega y Gasset. Nella prima, attuale Ministro delle Finanze assicura nel modo più assoluto che da quando è Mini;stro non ha mai inviato né lettera

o telegramma né ha fatto alcuna manifestazione neanche verbale del genere di quella che g:li è attribuita.

Nella seconda, attuale Governatore civile di Madrrid Ticonosce di averre manifestato sensi di gratitudine ad alcuni suoi • conreligionari • II'epubblicani italiani che condivisero con lui esHio e •che g:li telegrafarono felicitandolo e riconosce di avere loro offerto ospitalità della • Spagna Hberata •, ma dkhiara di non avere voluto attribuire alcu_n speciale significato politico a tale sua manifestazione, ·che deves.i considerare soltanto espressione di sentimenti personali e non ostili verso Reg:ime di Paesi amici.

Al mio prossimo arrivo a Roma consegnerò personalmente a V. E. originali delle lettere.

223

L'AMBASCIATORE A MADRID, DURINI DI MONZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. 1143/99. Madrid, 25 aprile 1931, ore 21 (per. ore 2 deL 26).

Già svolsi, nei prurn coUoqui, conside·raz,ioni contenute nel teleg:!I'amma odierno di V. E. n. 49 (2), tanto a Presidente che a Ministro degli Affari Esteri, come ri.Jsulta da mio rapporto in data di ieri n. 351 (3).

Questa isera ebbi nuovo colloquio con Sig. Lerroux a•l quale nuovamente illustrai ·concetto esposto nel telegramma di V. E. attirando sua particolare attenzione suJ. due casi specifici la cui gravità è palese, dato !il caratterre ufficiale dei pe'rsonaggi che pvesero le deplorevoli iniziative. Evidentemente preoccupato da quanto io gJi •Comunicavo, il Sig. Lerroux mi ha dkhiarato senza reticenze che le manifestazioni dei Signori Ortega Gasset e Prieto dovevano essere considerate di ·carattere privato alle quali Governo si considerava assolutamente

estraneo. Non ne disconosceva tuttavia gravità trattandosi di due personalità ufficiali. Me ne espresse tutto il suo rincrescimento e mi promise che mi avrebbe scritto o telefonato d:i nuovo in giornata dopo di avere ·conferito in proposito col Signor Prieto.

Il Signor Lerroux ha approfittato della ·circostanza per ripetere che ~onveniva pienamente con me ,sulla necessità e lsu1l':interesse dei due Paesi di mantenere le relazioni più cordiali e quindi di evitare ogni possibile causa di attrito.

Malgrado dichiarazioni del Signor Lerroux, ·che :ritengo sincere, dato che quasi tutti gli uomini attuale Governo spagnuolo hanno avuto durante dittatura frequenti ed intimi ·contatti con fuorusciti italiani, :in Francia, ·certamente è da attendersi una sensibile immigrazione in Spagna di tali elementi, che già si è iniziata e quindi ~relative immancabili difficoltà, dovute soprattutto al fatto che questo Governo provvisorio non ha ancora form per [mp:rimere una direttiva energica a1la lsua politica e controllo e freno stampa di sinistra.

Comunque seguirò situazione con ogni attenzione.

(l) -Cfr. n. seguente. (2) -Cfr. n. 217. (3) -Cfr. n. 221.
224

IL MINISTRO DELLE COLONIE, DE BONO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

TELESPR. R. U. 3936. Roma, 26 aprile 1931.

Anche oggi mi sono giunti da cotesto Min~stero 3 telespressi daJlla Dh-. Gen. E.L.A. IV, n. 214467-214468-214588 (1),. riferentisi alle manifestazioni e minacce islamiche ~contro ~la nostra politica in Ckenaica.

Noto, innanzi tutto, ~che si fa una confusione grossa in qualcuna di queste proteste, ,perché vi 1si pa,fla di atrocità commes,se in Tripolitania, dove tutto è idilliaco.

Ho avuto già occasione di far note a cotesto Mintstero le necessità assolute di carattere militare e politico che ci inducono a non transigere dai mezzi d'azione da noi adottati per porre un termine alla ribellione in Cirenaica e per ridurre alla ragione i pochi in mala fede che ancora non vogliono assoggettarsi al n01stro Governo.

Io ~ringrazio, quindi, sentitamente per ,}e comunicazioni ·che mi si fanno e che mi tengono al •corrente di quanto si tenta contro di noi; devo però rtpetere:

a) 'che non ritengo assolutamente possibile derogare menomamente dalla condotta tenuta fin qui; b) che .son fandonie, menzogne pure tutte le atrocità che ci sono incolpate; c) che le popolazioni sotto ogni punto d'aspetto :stanno meglio e sono più curate arra che quando erano lasciate al loro, per noi deleterio, nomadismo;

d) che sarebbe come ;rinunciare ad un atto di nostra sovranità se, impressionati da qualche •chiassata, o 1sia rpure da qualche parziale boicottaggio dei nostri commerci in paesi musulmani, noi doveslsimo cedere, anche minimamente, in qualche punto.

Io non sono certo in grado di misurare da Roma l'impressione che un nostro agente diplomatico possa ricevere .sul posto per quello •che si macchina ai nostri danni e perciò non mi pronuncio in merito. Condividendo in ,pieno il parere di cotesto Ministero riaffermo che trovo inopportuna qua1s,iasi intervista con giornalisti arabi per parte del Ministro, o del Sottosegretario delle Colonie.

Cotesto Ministero, .se lo c:rede, con que,sta mia lettera e con la concreta testimonianza del treale stato di cose, ha, io ritengo, gU elementi sufficienti per quelle smentite che nel nostro interesse credesse di fare.

(l) Sull'argomento cfr. n. 209.

225

IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

L. P. 1697/975. Vienna, 28 apTile 1931.

Il corriere precedente ha portato a V. E. con il mio telespresso N. 949 del 25 corrente un 1riaJssunto della mia conversazione con Seipel drca l'accordo doganale austro-tedesco. Seipel non sembra avermi detto mo!Jto. Senonché bisogna tener presente ·Che egli è per natura ·chiuso e gua·rdingo, e tanto più deve esser tale con un ~rappresentante estero, affinché in materia così delicata non possano poi muoverglisi rimproveri. Ma, da quello che mi ha detto e che in riassunto ho riferito e da quello che con sguardi e sfumature di voce e mezz,i sorrisi mi ha fatto intendere, mi pare possa desumemi quanto segue. Seip.el vuol salvato il principio della libertà di negoz.iare per l'Austria, e ciò si comprende dal suo punto di vista di austriaco, tanto più che il protocollo di Ginevra fu il risultato del suo lavoro, ed è da credere non gli :riuscirebbe gradito che proprio quel protocollo, H quale segnò l'inizio della •restaurazione economica di questo Stato, possa divenke tl vincolo della sua indipendenza politica. Ma Seipel, oltre a non approvare la procedura •seguita da Schober, aggiunge: riconosceteci questa libertà, se come e quando si farà !!.'unione doganale con la Germania, è una fac•cenda diversa e che esamineremo in seguito. Queste parole, come pure le odierne dichiarazioni di Vaugoin (mio telesprr-es,so N. 873), confermano che Seipel ed i cl'ilstiano sociali non sono entusiasti per l'unione doganale. A riprova di ciò mi riferisco anche al colloquio di Morreale con il direttore della « Reichispost •

(mio telespresso N. 948 in data 25 corrente), dal quale secondo colloquio si ha anche !!.a conferma che j_ cristiano sociali si considerano in grado di costringere Schober a lasciare il potere quando vogliano. Sintomatiche sono al !riguardo le parole di Seipel sulle gravi questioni che dovranno esls:ere portate in discussione al Parlamento austriaco e che prevedibilmente non tl'OVeTanno tutte l'approvazione della maggioranza; nel dire questo Seipel aggiungeva espressioni di lode

per il Cancelliere Ender, facendo comprendere come egli pensasse a un nuovo Gabinetto ,con .il medesimo cancelliere (~cristiano-sociale) ma con un altro Ministro degli Esteri. Infine Seipel mi ha detto, e questo mi membra più importante: aiutateci a farci riconoscere questa :libertà teorica (alla quale e~li non collega come necessaria l'effettuazione pratica), continuate nella vostra saggia politica di protezione dei piccoli Stati vinti, e poi cercate di prendere la direzione della cosa con quakhe vostra ,iniziativa che tolga il mestolo di mano alla Francia. Dal ~che sembra possa dedursi che ~a questione teorica interessi Seipel più di

quella praHca, che cioè il ,riconoscimento del principio gli importi più della sua appLicazione.

Premesso tutto ciò, osservo. Non so quale ~sarà il nostro contegno a Ginevra. Esso potrà essere favorevo,le aHa Francia o potrà essere favorevole alla Germania. Ma il ~colloquio di Seipel mi fa intravedere una terza possibilità: quella di essere, o quanto meno mostrarci qui, favorevoli all'Austria. lo mi domando se non si potrebbe tentare di negoziare ~con Setpel per vedere quali concrete offerte egli d farebbe in cambio del nostro eventuale consenso all'accoglimento della tesi astratta sulla libertà austriaca di trattare. A parte le garanzie che potrebbero chiedersi a iui proprio, e per il :suo tramite a Vaugoin capo attuale del partito ~cristiano-sociale, e magari allo 'stesso ,cancelliere Ender, mi sembra che una garanzia del rispetto dell'impegno si trovi già nel fatto che noi non chiederemmo a S.eipel qualcosa che contralsti con la ,sua volontà, bensì la ~conferma di quello che egli ed il suo partito mostrano di volere attuare indipendentemente da noi, doè la revisione dell'unione doganale così come è stata progettata da Schober, la quale tra l'altro contrasterebbe ~con l'intimo desiderio di parecchi tra loro per una eventuale, benché non attuale restaurazione.

Se questo progetto fosse accolto dal R. Governo e si potesse qui attuare,

vi vedrei altri vantaggi. Primo, quello di proseguire nella nostra politica iniziata

con il rpatto di amicizia, giacché è da prevedere che una nor;;tra opposizione a

Ginevra avrebbe poi eome conseguenza un ritorno qui alla situazione di ostilità

anteriore alla fine del '29. Secondo, quello di ricondurre palesemente Seipel a

noi, e fargli ~così implicitamente smentire il suo ~celebre discorso parlamentare

del febbraio del '28 (1), e la sua politica di debolezza verso i tirolesi, pur tenendo

presenti i suoi interessi di partito ad Innsbruck, ove egli ha alcuni fra i !suoi

più fedeli sostenitori e nostri ,più acerbi avver,sari. Terzo, cercare di risoUevare

la situazione delle • Heimwehren » ora tanto 'caduta, giacché Seipel ne è stato

fin dal principio il sostenitore, e giacché è da ,prevedere che, in un nuovo Gabi

netto senza Schober, Seipel riprenderebbe il suo progetto di includervi qualche

deputato del • Heimatblock », specie lse vi fosse 'Costretto dal distacco dei pau

germanisti e dalla conseguente riduzione della ~sua maggioranza.,

Nell'ignoranza delle intenzioni del R. Governo, ho ereduto utile attirare l'attenzione di V. E. su questa terza possibHità, in ~considerazione ~così dei nostri eventuali interessi economid ~in patria come di quelli politici tanto a Ginevra quanto a Vienna ed in genere in Europa.

Osservo infine, prima di terminare, che poiché la riunione di Ginevra è per la metà di maggio, si avrebbe sempre tempo di fare qui un tentativo prima di decidere definitivamente il nostro contegno colà. Anche se le dichiarazioni che Seipel ci facesse e le garanzie che ci offrisse non fossero sufficienti e soddisfacenti, e non si giungesse quindi a risultati tali da farci seguire nella Società delle Nazioni questa terza via, mostreremmo a Seipel ed al suo .partito la nostra buona volontà, nei limiti dei nostri interessi, di aiutare l'Austria. Ciò, in ogni caso, è prevedibile diminukebbe il risentimento che la nostra opposizione susciterebbe qui, se manifestata senza preventivi segni di spirito conciliativo: Seipel dovrebbe riconoscere che 1se non abbiamo sostenuto l'Austria ciò è derivato dal non avere egli potuto farci offerte sufficienti a tutelare i nostri interessi.

Ad evitare poi che ove, per indiscrezioni susseguenti, H mio passo fosse conosciuto e si muovesse al R. Governo accusa di aver mercanteggiato la sua convinzione, potrei salvare ·le apparenze parlandone a Seipel come di mia iniziativa, se tale fosse il parere di V. E.

(l) Cfr. serie VII, vol. VI, n. 127.

226

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

L. P. Belgrado, 28 aprile 1931.

Ho veduto Marinkovich ,soltanto ieri sera, dopo il mio arrivo, per le ragioni che ho già comunicate. Egli con visibile premura ed impazienza mi ha chiesto subito se avessi visto V. E., .se e quali comunicazioni avessi da fa:re in rapporto al progresso dei noti colloqui.

Ho risposto a Marinkovich che avevo visto V. E. una diecina di giorni addietro, prima di lasciare Roma, e, ·conforme 'le istruzioni avute, ho aggiunto che con mio rammarico (come già avevo detto a Rakich il 14 corrente a Roma) dovevo ~riferirgli che riportavo da Roma una impressione delle più disastrose c:irca Io stato d'animo regnante. nelle nostre sfere •commerciali decise a premere sul Governo per una pronta decisione relativamente ai rapporti commerciali che inquinati e viziati dalla propaganda politica a noi avversa non potevano più continuare nello stesso attuale andamento già così a noi tanto sfavorevole. Il Governo aveva troncato in ·sul nascere la campagna che era cominciata nei grandi nost:r~i quotidiani, e messo ,la sordina alle proteste delle grandi associazioni interelssate, per avere Hbertà di riflessione, studio e decisione. Quale decisione ne sarebbe scaturita, non sapevo né potevo sapere. Ma se si fosse arrivati alla estrema non potevo non ricordargli come già il 10 ottobre u.s. parlando con J.ui dell'insolente atteggiamento della stampa jugoslava, gli avevo detto che le crisi quali quella ~che attraversava ii suo Paelse non si risolvevano con i consigli del signor Flandin e con altri cataplasmi francesi, ma col trovare un acquirente pe:r i venditori. La Jugoslavia aveva un acquirente sicuro e buono che eravamo noi, non lo di,sgustasse. Infine in gennaio al ritorno da Roma ero stato autorizzato da V. E. a dirgli che se egli avesse avuto proposte da farci per il miglioramento dei rapporti commerciali ed economici le facesse. Ero autorizzato a trasmetterle a V. E. ·che le avrebbe fatte subito esaminare con proposito di pratica rapida attuazione. Nessuna proposta era venuta, e nel frattempo eransi verificati i fatti nuovi che avevano determinato la inlsurrezione dei nostri circoli commerciali.

Se poi passavo ad altro campo dovevo in tutta confidenza ma con ogni sincerità avvertirlo che V. E. era assai irritata della generale situazione, che nel prossimo incontro a Ginevra egli avrebbe sentito personalmente quanto diverso fosse l'animo di V. E. da quello che egli conosceva. V. E. si era disposta alle note conversazioni con ogni piena volontà di conclusione, riuscendo anche a persuadere e conduDre alla sua convinzione elementi poco disposti a considerare ·con fiducia 1la possibilità di ·instaUirare buoni rapporti fra l'Italia e la Jugoslavia. V. E. era ora smentito dai fatti (che egli ben conosceva) ed in più aveva l'im,p:-essione che le buone intenzioni manifestate da Marinkovcich nell'estate s•corsa non trovais:sero uguale premura negli ultimi tempi. Gli ho poi enumerato akuni dei fatti più importanti mettendo soprattutto in rilievo che la circolare Bauer (l) con le conseguenti preghiere, manifestazioni di stampa, ecc. avevano fatto una profonda impressione in ogni ceto della popolazione italiana suscitando .reazioni che era diffidle impedire, e forse anche non del tutto legittimo.

Il signor Marinkovich s.i è mostrato visibilmente impreSis,ionato da quanto gli dicevo. Per la parte commerciale ha risposto che non era colpa sua se non si erano avanzate proposte ed avviate ·Conversazioni. Ma era tutta la poHtica commerciale jugoslava ·che non aveva né idee né direttive. Così era stato per lunghi mesi nei rapporti ·con la Cecoslovacchia, ·cols:ì attualmente per le conversazioni commerciali con l'Austria iniziatesi proprio ieri. Egli non sapeva, né era riuscito a sapere •cosa la Jugoslavia avrebbe chiesto all'Austria e ·le conversazioni si svolgerebbero perciò sui piani e schemi austriaci, senza una idea originale jugoslava. Così era nei riguardi dell'ItaUa. Sapeva delle conversazioni di Franges con S. E. Acerbo, della p1romessa di inviare Pilja a continuar.le. Ma egli vi si era opposto perché Pilja non aveva alcuna direttiva ed idea precisa che potesse legittimamente rappresentare un pensiero ed una finalità jugolslava. I suoi incontri sarebbero perciò stati scambi di vane parole senza conclusione. Se egli avesse potuto prendere direttamente in mano la questione senza valersi delle amministrazioni cosidette competenti, in poche !settimane sarebbe arrivato ad una ·conclusione, non sa se buona o cattiva, ma vi sarebbe arrivato. Tuttavia non .considerava l'avvenire con pessimismo. Se .si fosse dovuti giungere anche ad una rottura dei rapporti commerciali, :la forza delle cose, la assoluta necessità dei due mercati di valersi l'uno dell'altro avrebbero condotto fuori dal peggio, ad una soluzione che soddisfacesse nel miglior modo pos:sibile gli enti commerciali ed anche i politici.

Quanto alla impressione di V. E. egli la deplorava vivamente, e non si rendeva conto come V. E. potesse ritenere esservi in [ui minore premura di conclu

sione che per il passato. Le sue intenzioni non erano 'CamDtate. Del resto egli era stato lieto del sistema proposto da V. E. che cioè le conversazioni si svolgessero parallelamente fra V. E. e Rakich a Roma, fra lui e me qui, appunto per evitare ogni possibile equivoco e perdita di tempo, dato il reciproco controllo che !si sarebbe facilmente avuto attraverso le duplici contemporanee comunicazioni.

In ogni ~caso per rompere gli indugi egli aveva scritto circa 20 giorni fa a Rakich di vedere S. E. Guariglia per chiedergli se ed in qual modo si continuerebbe. Al punto in cui erano le ,conversazioni non e~ra il caso di formalizzarsi ed irrigidirsi su un incontro di più o meno, su un ritardato invito dell'una o dell'altra parte, ,su una risposta pronta o no. Rakich doveva ,soUecitare S. E. Guariglia, vedere V. E. Sarebbe ancora tornato a sollecitare e spingere. Tali erano le sue ilstruzioni. Infatti egli sapeva che Rakich ,si era incontrato il 19 o 20 corrente con Guariglia ma questi non aveva potuto dirgli nulla, aveva poi visto

V. E. (l) ed il discorso erasi aggirato sulla questione albanese senza peraltro venire ancora ad una conclusione. Ma egli Marinkovich voleva una conclusione. Confidava del ,resto fermamente che a Ginevra incontrandosi con V. E. la conclusione tSi sarebbe ,certamente trovata, ISipecie in relazione alla necessità di avviare quel suo più vasto progetto di cui ho riferito in pari data (2) a proposito dell'unione doganale austro-germanica.

Risparmio a V. E. in questa mia esposizione tutti gli elementi accessori ed aneddotici consueti a Marinkovich. Del resto essi poco aggiungerebbero a quanto riferito. Certo è che mi è sembrato sentire in Marinkovich una premura e quasi una impazienza che non avevo più sentito da mesi. Le ragioni possono trovarsi nella complessa situazione attuale e che V. E. troverà riassunta nel rapporto odierno già ricordato. Timore di accordo italo-germanico, e timore di accordo italo-francese, hanno uguale ripercussione in Jugoslav,ia, e per il pericolo di pagare 'l'uno o l'altro si sente la impellente urgenza di chiarire Ja situazione con noi e condurla ad una ,soddisfacente normalità anzi ad una piena collaborazione.

Di questa impazienza V. E. potrà avere certo migliore prova costà da quanto avrà detto o dirà Rakich, meglio ancora fra una ventina di giorni a Ginevra dallo stesso Marinkovich.

Se essa sia vera, se ,si ritorni eioè a quella situazione che ebbi netta im

pressione esistesrse nell'estate-autunno ~scorso, e cioè certa volontà di conc:ludere,

è il caso di approfittarne. Direi: ora o non più mai.

Poiché è banale assiomatica verità che soltanto un pieno accordo italajugoslavo dà a noi libertà mediterranea, possibilità di più sicura discussione tanto a Parigi ~che a Berlino, che la linea Alpi Giulie-Caravanche coistituisce una unica difesa frontiera adriatica, che se vi sono due paesi fatti per l'unione doganale questi sono proprio Italia e Jugoslavia, pare a me subordinatamente che se questa premura di precise utHi conclusioni effettivamente si rinnovi, non

si debba rpiù lasciarla sfuggire, e sia il caso di pagarla anche con qualche adattamento in altri scacchieri della nostra politica estera ed anche fol'!se della interna.

Giudkherà V. E. se e quali comunicazioni farmi pervenire circa i colloqui con Rakkh, e quali istruzioni darmi per eventuali mie conversazioni con Marinkovich.

(l) Cfr. n. 94.

(l) -Cfr. n. 216. (2) -Evidentemente con tel. posta 2289/748, non rinvenuto. Un accenno al suo contenuto a p, 339, nota l e al n. 244.
227

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA LEVANTE ED AFRICA, GUARIGLIA

L. P. Belgrado, 28 ap1"ile 1931.

Ho 11ipreso di fatto solo ieri !l'ufficio perché finalmente rimesso da!l mio attacco di angina, ed ieri sono stato da Marinkovich dalle 6.30 alle 8.50. Nella lettera particolare a S. E. Grandi (l) e nei due teleiSIJliressi (2) relativi a1la lega doganale austro-germanica e situazione interna trovasi tutto quanto ho da diire in questo momento di utile. I tre rapporti si col,legano e vanno considerati nel loro insieme.

Ti 'Confermo che ho avuto netta impiressione di impaziente premura da pal'lte di Marinkovich. Dopo il ,settembre scorso anno non lo avevo più s~entito così. Meglio giudicherete da quanto dirà Ra~k 'costà. E sarà bene ne sia tenuto al corrente, più che non abbiate fatto negli ultimi tem,pi -affinché vi sia concordanza ~ed armonia di espressioni mie per quello che potrò avere occasione di dire qui.

Si entra nella nuova defini,tiva fase che dov1rebbe condurre ad utili conclusioni? Speriamo così.

Ed aHora attiro la tua attenzione ,suUa intenzione ~che sembra essere contenuta nelle istruzioni di mandare Solari a Zagabria per il nuovo processo croato che incomincerà colà il 4 p.v. (vedi telegramma a firma Ferretti n. 3718/16 del 27 aprile). Non sarà questo processo, come non fu quello Macek, che scalzerà la Jugoslavia, mentre agitandosi la opinione pubblica nostra su questo tema ci farà andare a sovvertimenti e convulsioni inesistenti. Se poi effettivamente si crede a quelle conclusioni, come è da sperar,e, la 1inop,portunità di far chiasso intorno a !simile processo appare evidente. Il che non deve impedire che la nostra stampa pos,sa esserne informata. Tutto è questione di limiti e misura.

Mi dirai tu se e quali istruzioni dare a Solari, il quale poi, a Zagabria, sfuggirà ad ogni mia sorveglianza. Non scrivo ad Indelli che penso in congedo.

(l) -Cfr. n. 226. (2) -Non identificati. Ma probabilmente uno dei due telespr. è quello cit. a p. 339, nota l. E per l'altro cfr. gli accenni ibid. e al n. 244.
228

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO AL CAIRO, CANTALUPO

T. 426/50. Roma, 29 aprile 1931, ore 15,30.

Suo telegramma 57 (l) e precedenti.

Questo Ministero, d'accordo con quello delle Colonie, non ritiene :sia il caso, almeno per il momento, di far pubblicare lsu codesti gioiiTlali intervista di

S. E. De Bono o di S. E. Lessona il che potrebbe dare es·ca a nuove polemiche che è opportuno evitare. V. S. è però autorizzata, come ha già del resto ben fatto e come può toiiTlare a fare ove Je circostanze lo consigliassero, ad emanare comunicato di recisa e secca smentita delle atrocità che ci sono bugiardamente attribuite.

R. Governo, pur valutando importanza manifestazioni islamiche antitaliane, intende proseguire con fermezza in Cirenaica azione di represlsione impostaci da assolute necessità di carattere militare e politico.

Agitazione è del resto evidentemente artificiosa e non è da escludersi suo esaurimento in breve volger di tempo; ciò che ·conferma opportunità astenel'si da dichiarazioni dettagliate che potrebbero avere per effetto di mantenere accesa agitazione.

229

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ORSINI BARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. (P.R.) U.R. 3102/273. Berlino, 29 aprile 1931, ore 14,40

(per. ore 16,45).

Stasera partono per Roma von Biilow ·cognato e non amico di ·codesto Ambasciatore Germania e von Morosowitz dirigente • Elmi d'Acciaio • Brandeburgo. Avrebbe dovuto partire chiamato da telegramma Renzetti anche von Medem Direttore del giornale Tag che è .stato impedito partire condizioni salute. Della cosa Ambasciata non è •stata informata. Suppongo chiamata abbia scopo colloqui con Capo del Governo. Sulle persone non ho nulla da eccepire (2).

• Mentre dirigo a questo Governo una nuova Nota facendo presente il pericolo che il prolungarsi delle agitazioni non mancherà di far nascere nei rapporti itala-egiziani, rappresento l'opportunità che indipendentemente dalla intervista De Bono, utilmente pubblicabile anche fra giorni, venga telegrafata a questa Legazione e diffusa da Agenzia Stefani una smentita ufficiale del Ministro delle Colonie a tutte le affermazioni contenute nella pubblicazione Arslam. Tale Comunicato riterrei utile per impedire che le masse fanatiche continuino a credere negli agitatori e serbino contro l'Italia un rancore che costituisce danno politico anche se questo Governo riesce ad evitare incidenti •.

(l) Tel. 1161/57 del 27 aprile, del quale si pubblica il passo seguente:

(2) Prima di lasciare Roma von BUlow, • capo degli Elmi d'Acciaio •, inviò la mattina dell'l! maggio un tel. di ringraziamento a Mussolini. ·

230

APPUNTO DEL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA LEVANTE ED AFRICA, GUARIGLIA, PER IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI (l)

Roma, 29 aprile 1931.

Iii. Ministro di Jugoslavia è venuto oggi a visitarmi. Il discorso è caduto subito sulla ·conv&sazione da lui avuta recentemente con V. E. (2).

Gli ho detto che intendevo padargli francamente e come amico di vecchia data. Non ,come funzionario poiché non ero autorizzato a fargli alcuna comunicazione ed esprimevo soltanto il mio penlsiero personale.

Ero i1imasto ,sorpreso nel constatare anzitutto ·che nei più recenti suoi colloqui ~con me egli cercava di non affrontare o ail.meno di passare in seconda Linea la questione albanese e poi ·che nell'ultimo incontro ·con V. E. egli aveva esplicitamente accennato aJ.l'impossibilità per il GoveTno jugoslavo di riconoscere la :situazione attuale deH'Italia 'in Albania e pffi'fino la Dichiarazione del '21.

Questo era un passo indietro sulle dichiarazioni fatte mesi or sono da Marinkovich a V. E. Non ·comp~rendevo che cosa avesse potuto determinare un siffatto cambiamento. Era evidente che trattare un .riavvicinamento politico fra i due Paesi, tacendo la questione albanese non poteva avere altro effetto che il pestare l'acqua nel mortaio. Le ba,si delle nostre ·conversazioni &ano state sem~e quelle di offrirei reciprocamente delile spiegazioni e perfino delle garanzie per tutte le eventualità che potevano sorgere nei rapporti politici italo-jugoslavi.

Quando il Governo italiano per boc·ca di V. E. aff,ermava di considerare l'Albania nei riguardi adriatici ·e non balcanici, mi sembra che a Belgrado ne dovessero essere pienamente sodd~sfatti.

Per par:lare con tutta franchezza, se il Governo jugoslavo riteneva di dover continuare la politica austriaca in Albania basata sulila lotta d'influenze italaaustriache, allora non c'era nulla da fare ed era inutile continuare a discorrere. Ognuno ·si sarebbe servito dei propri mezzi. Ma 'se, come nel settembre scorso

V. E. ed io ne ebbimo l'impressione, il Govemo Jugoslavo, separando le sue opinioni e le :sue tendenze dagli inconsuJ.ti sogni degli esponenti estremi del nazionalismo serbo, i quali pretendono perfino di fare deU'irredentilsmo jugoslavo a Trieste, voleva trattare la questione albanese come una questione di sicurezza, non mi pareva fosse così difficile di intendersi fra persone di buona fede, poiché appunto sotto questo aspetto di sicurezza ,la ·consideDavamo da parte nostra.

Rakich mi ha risposto che effettivamente il suo Governo era nelle migliori disposizioni verso l'Italia, e desideroso di giungere ad un accordo. Non escludeva che in passato vi fossero state velleità da parte di alcuni ambienti di

suscitare torbidi in Albania, ma ciò era completamente superato ed il Governo aveva in mano la situazione interna.

La sola questione grave pe·r riguardo all'Albania era la possib1lità dell'intervento italiano. Questa possibilità aveva determinato la clamorosa caduta di Nincich ed aveva perfinn indotto il vecchio e pacifico Pasic a delle categoriche ed energiche dichiarazioni politiche. Nemmeno H Governo attuale, dopo gli anni trascons:i, avrebbe avuto la forza di accettare la possibilità di un nostro intervento armato in Albania, poiché tutto il paese avrebbe reagito fino alle ultime conseguenze.

Ho detto a Rakich che una tale possibilità non poteva che essere determinata da una aggressione jugoslava contro l'Albania, e quindi era .proprio in potere di Belgrado di impedirla sia soltanto astenendosene praticamente e sia p;rendendo degli impegni precisi •con noi a tale riguardo.

Egli ha riconosciuto dò, ma ha repHcato che vi era anche un altro caso di nostro intervento il quale presentava per la Jugoslavia gli stessi inconvenienti e le stesse preoc·cupazioni: H caso doè di torbidi interni in Albania. Questo poteva essere un pretesto pe.r noi aUo scopo di insedìa·rci nel Paese senza che vi fosse modo di sapere nemmeno in quali limiti di tempo e di spazio la nostra occupazione si dovesse attuare.

Ho risposto a Rakich che, sempre beninteso ove si fosse agito in buona

fede, anche tale eventualità mi sembrava non dovesse far sorgere eccessive

preoecupazioni a Belgrado, poiché -a parte il fatto che essa era prevista dalia

Dichiarazione del '21 e si doveva svolger.e nell'ambito dell'azàone non soltantò

specifica ma generica della Società delle Nazioni -non avrebbe dovuto essere

difficile di studiare direttamente tra noi e la Jugoslavia delle formule di accordi

tali da dare a Belgrado ogn·i tranquillità e garanzia tanto drca le nostre inten

zioni quanto circa le nostre eventuali azioni in Albania.

Si trattava di mettervi un poco di buona volontà ed abbandonare le idee

preconcette del vecchio repertorio politico come le esagerazioni militaresche

secondo le quali per difendere ad esempio una posizione a Piazza Colonna

occorreva precostituire delle difese al Ponte Nomentano.

Il discorso si è svolto ancora sulla base di schermaglie verbali di questo

genere e Rakich ha insistito sempre sull'estrema su.s•cettibilità per non dire paura

della Jugoslavia in materia albanese, mentre io insistevo a mia volta sul fatto

che la reciproca buona fede può facilmente condurci su di un terreno di intesa.

Ho terminato col ripetergli a titolo personale le idee circa la forma di un

eventuale accordo e cioè rinnovazione di un patto puro e semplice di amicizia

e di non aggressione, da intendersi in senso diretto per le frontiere comuni ed

anche in senso indiretto pe•r le frontiere albanesi dò che era destinato appunto

ad eliminare ogni preoccupazione jugoslava. Ho aggiunto che speravo V. E. e

Marinkovich avrebbero ·potuto riprendere la conversazione a Ginevra alla metà

di Maggio e fare qualche passo avanti che avesse permesso a noi due di comin

ciare a lavorare intorno a delle concrete proposte del Governo jugos.lavo. Ho

infine espresso il convincimento che a Belgrado si finirà un giorno per comprendere come il vero interesse di giungere ad un accordo con noi sia pm per la Jugoslavia che per l'Italia. Noi-ho detto-siamo per ·così dire in una botte di ferro, coperti dal punto di vista internazionaJe dalla deliberazione del '21, e nei riguardi albanesi dai nostri Trattati con J.'Albania, e dalla nostra situazione in quel Paese.

Superfluo aggiungere che in Italia domina ormai una volontà sola ed una perfetta coscienza dell'importanza del problema albanese come necessità di difesa e di sicurezza delle nostre frontiere, ciò ·che non può far.ci indietreggiare di fronte a qualsiasi eventualità. È inutile quindi sperare in avvenimenti che possano indebolire la nostra situazione in Albania, che ormai non è nemmeno più legata alla persona di Re Zogu. Ll tempo lavora a ·consolidarla.

P•eggio per la Jugoslavia se non m·ede di <wcettare ora quelle assicurazioni che sinceramente il Governo Italiano è di·sposto ora a darle nella sola intenzione e nella sola speranza di trarre dallo !svolgimento tranquiUo e pacifico dei rapporti fra i due Paesi vantaggi per entrambi preziosi e perfino più ampie prospettive di comune attività politica.

Rakich -buon diplomat1co -aveva l'aria di ·consentire ·con me. Ma egli è troppo intelLigente per non comprendere quali 'siano anche le nostre p["eoccupazioni nei riguardi dell'Albania.

(l) -Una copia dell'appunto fu inviata a Galli il 3 maggio. (2) -Cfr. n. 216.
231

IL PRESIDENTE DELLA GIUNTA CENTRALE DELL'AZIONE CATTOLICA, CIRIACI, A ... (l)

(Copia; Fondo Ambasciata presso la Santa Sede, busta 7)

[Roma], 29 aprile 1931.

Ebbi già occasione di far personalmente presente all'E. V. come in alcune zone, contrariamente agli accordi a suo tem:po presi, si andava .stabilendo ll.'incompatibilità per la contemporanea appartenenza all'Azione Cattolica e al Partito e alle Opere del Regime.

Siccome da diversi Centri -da Recanetti a Viterbo, a Padova, a Cuneo ricevo notizia che gli organi del Partito invitano a restituire l'una o l'altra tessera, mentre da parte nostra si continua ad affermare ·che tale incompatibilità non esiste, ·così ritengo doveroso richiamare di nuovo l'attenzione dell'E. V. su questo grave argomento.

Mi è gradito l'incontro per Tingraziare V. E. delle cortesie usatemi...

(l) Il destinatario è certamente Giuriati.

232

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO A BUDAPEST, ARLOTTA

T. PER CORRIERE 431. Roma, 30 aprile 1931, ore 21.

Pur non avendo ricevuto ancora i chiarimenti annunziatimi col Suo telegramma n. 83 (1), non potevo rinviare ulteriormente una conversazione con questo Ministro d'Ungheria circa il pro-memoria da lui consegnato qui il 17 aprile (2). D'altra parte mi sembrava utile non tardare a pTendere atto di alcuni concetti •contenuti nel p!I'o-mema:ria stesso per noi convenienti sia dal punto di vi:sta politico che da quello economico. Ho quindi detto al signor de Hory che in massima concordavo perfettamente col Governo ungherese, e l'ho informato di quanto ha fatto finora il Governo italiano per fissare la sua ilinea di condotta di fronte al progetto austro-tedesco. E cioè:

l) Abbiamo fatto conoscere al Governo inglese che, pur ac·cettando l'iniziativa britannica di portare ,la questione innanzi al ConsigHo della Società de1le Nazioni e pur proponendoci di trattarla con tutta la necessaria calma e ponderazione, non dobbiamo però nasconderei che nel p!I'ogetto austro-tedesco sono insite delle possibilità che, realizzandosi, potrebbero pl'egiudicare seriamente la situaz,ione economica e politica generale. Che l'esame giuridico non esaurisce la questione, ·che ha anche e più importanti aspetti di natura politica, economica e finanziaria. Per quanto riguaroa i poss,ibili pericoli politici, J'Italia e l'Inghilterra secondo il sistema creato a Locarno che le istituisce Stati garanti ed affida loro una funzione di collaborazione nell'interesse della pace hanno naturalmente il compito di agire ins,ieme per ovviare a tali pericoli. Le conseguenze economiche del progetto sembrano d'a.Itra parte poter portare pregiudizio ad importanti nostri interessi. Ckca il lato finanziario ~nfine dobbiamo porci il problema ,se il detto progetto non possa pregiudicare la situazione finanziaria dell'Austria e perciò abbiamo prospettato a Londra la convenienza di convocare il Comitato internazionale di controllo dell'Austria e chiedergli di 1studiare la questione ed esprimere n proprio parere (3).

2) Abbiamo dato istruzioni ai nostri organi tecnici di prendere contatto con quelli francesi per cercare di avere più precise notizie circa il contro-progetto francese e cercare di saperne dettagli prima della riunione di Ginevra, e nello stess(', tempo abbiamo assicurato il Governo di Parigi che esamineremo le sue provaste col maggiore intereSJse. Nello stesso tempo abbiamo avuto con quel Governo uno ·scambio di idee circa la convenienza di convocare il Comitato di controllo per l'Austria, e lo abbiamo trovato pienamente consenziente (4)..

3) Sono già d'accordo ·con Henderson di [ncontrarci a. Ginevra un giorno prima della riumione, e cioè il 14, per discutere fra di noi la situazione (1).

4) Reputo infine di grande importanza poter giungere prima della riunione di Ginevra ad una conclusione dei noti 'negoziati economici tanto con l'Ungheria che ·con l'Austria ed a ta,l uopo è stato pregato il signor Schilller di trovarsi qui domani per procedere attivamente nelle conversazioni.

Quanto precede risponde in sostanza anche alle vedute de'l Conte Bethlen e V. S. potrà ·servirsene come norma di linguaggio con lui.

(l) -Cfr. p, 318, nota. (2) -Cfr. n. 206. (3) -Cfr. n. 213. (4) -Cfr. p, 333, nota l.
233

IL MINISTRO A ADDIS ABEBA, PATERNO', AL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA LEVANTE ED AFRICA, GUARIGLIA

T. (P. R.) P. 7090/183. Addis Abeba, 30 aprile 1931, ore 19 (per. ore 11 del l maggi:o).

Avrei bisogno per mia norma di •condotta e linguaggio con Imperatore potergli dare una risposta circa sua offerta agricola (2) e desiderio da lui espresso relativamente visita Astuto (3).

Ritardare ancora una risposta, in quella forma che sarà ritenuta opportuna, potrebbe 'ingenerare sospetto animo Sov,rano così diffidente, e :sarebbe peccato allo stato delle cose attualmente abbastanza soddisfacente. Considero che entrambe proposte sia nostro interesse accedervi.

Abbiamo nella prima forse un'occasione unica piazzarci in diverse zone del paese e stabilire così interessi italiani in regioni non ancora permeate da noi che, comunque vadano le cose in avvenke, potranno giovarci.

Visita Astuto rientra nel programma generale ·chiarificazione anzitutto necessaria verso Eritrea nei cui riguardi gestione Zoli ha accumulato particolari ragioni di frizioni, ad eliminare ~e quali S. E. Astuto, data sua personale simpatia e peculiari qualità, potrà essere di decisivo ausilio.

Ritengo pure urgente venire ad una decisione circa trasferimento qui di una !sede della • Coloniale • (mio Tapporto n. 25 del 10 febbraio scorso) per saldare immancabili lacune ·cui trasformazione banca o sua eventuale cessazione darà luogo. Nostra azione in tale campo, oltre facilitare e tutelare efficacemente nostro commercio, ci permetterà di stabilire nel paese rete interessi di essenziale importanza.

Mi è pure necessario si.stemazione del personale e \sarei grato potessi ottenere risposta al mio telegramma 138 (4) redatto in base alle direttive trasmes

semi a mezzo Scammacca. A questo proposito è urgente soprattutto farmi sapere decisione drca Maresciallo Bonuglia raccomandato dal Colonnello Ruggero quale elemento particolarmente adatto (mio telegramma n. 61) (1).

(l) -Cfr. p. 331, nota. (2) -Vedi tel. 16 aprile n. 1031/160 da Addis Abeba. [Nota del documento]. Questo tel. non si pubblica. Ma cfr. n. 199. (3) -Vedi tel. 8 aprile n. 921/154 da Addis Abeba. [Nota del documento]. Non si pubblica. (4) -Vedi tel. 31 marzo n. (p.r.) 2459/138, assegnato all'ufficio personale. [Nota del documento]. Non si pubblica.
234

L'AMBASCIATORE A PARIGI, MANZONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. PER CORRIERE 1211/161. Parigi, 30 aprile 1931 (per. il 2 maggio).

l. -Ho visto ieri il Presidente del Consiglio Signor Lavai (2).

2. -PaDlandomi della questione navale egli ha detto che aveva volentieri accettata la proposta che è poi stata concretata nella Nota Francese del 20 corrente (3), ai Governi Italiano e Britannico, perché, data la difficoltà di veder chiaro in mezzo a tante questioni tecniche, date le divergenZJe so!rte a Londra, e dato il desiderio di vederle composte, quella proposta, che è in fondo un rinvio della questione sorta, ed un :rinvio sapendosi che vi sarranno occal.sioni di riesaminare la questione prima che il rinvio s'cada, gli è appavsa ~come una possibile soluzione ·conciliativa. Insomma il Signor Lavai desidera l'intesa navale, è dolente delle difficoJtà sorte, vede che sono difficili ad appiana,l1si perché i Governi sono ciascuno di fronte a difficoltà di natura interna, o militare o .parlamentare,

o di opinione pubblica, e pensa che una forma di rinvio del punto di divergenza sia la soluzione migHore a cui si possa ricorrere.

3. --Il Signor Lavai mi annunziò che nel discorso che pronunzierà domenica 3 corrente [sic] a Courneuve egli parlerà di politica estera, ossia, dell'annunciato progetto di unione doganale austro-tedesca e del progetto economico europeo del Governo Francese. Non parlerò, ha detto, dell'Italia e della questione navale; tengo a prevenirvene, ha aggiunto, per·ché lo sappiate e per dirvi che, anche per lo .stato attuale della questione, considero che sia meglio non tocchi quest'argomento. 4. --Il Signor Lavai parlando genericamente ha espresso il pensiero che si debba andare verso un cambiamento nei metodi della politica estera, per mettersi sul terreno realistico, per non ·incantonarsi in atteggiamenti e questioni di prestigio, ma dare soluzione equa e pratica aHe questioni. 5. --Dissi al Signor Lavai che ero stato recentemente a Roma ed ero stato ricevuto da S. E. il Capo del Governo e da V. E. Lo informai che entrambi seguivano la sua attività con simpatia e che io li avevo informati di aver trovato in

• Quanto alla situazione personale del Signor Briand esca permane assai scossa. L'intervento del Signor Lavai nell'assumere la direzione della preparazione dell'azione governativa francese tanto nella questione navale a Londra, quanto nella questione delle prossime discussioni di Ginevra, intervento svolto dal signor Lavai non con il metodo usato nell'inverno 1929-30 dal signor Tardieu fino alla crisi ministeriale del marzo 1930, ma con il suo metodo tranquillatore, semplice, fattivo, lascia adito alla possibilità che possagiungersi a soluzioni che oggi come oggi nc;:}n sono ancora prevedibili ~.

lui una comprensione più giusta e più larga delle relazioni itala-francesi e del Fa,scismo che in ogni altro Governante deHa Francia. E.gli mi ripeté come in precedente occasione, che aveva ancora poca cognizione degli affari della politica estera; espresse poi 1e linee generali già riassunte al •capoverso 4o; e peir quel •che concerne l'Italia aggiunse che se avrà vita al Governo, e quando si presenterà l'opportunità, volentieri si incontrerà con S. E. il Capo de•l Governo e con V. E., ma ·che l'incontro dov•rà essere ben p,reparato .prima in modo da essere 'sicuro portatore di succes,so.

6. --Nel complesso ho constatato che nel Signor Lavai si mantengono le favorevoli disposizioni generali ver,so l'Italia, una giusta comprensione del Fascismo e la netta decisione che 1sia rispettata la libertà di regime interno di ogni Stato, un senso di necessità di ·realismo e di mutamento nella politica estera Francese. 7. --Circa gli eventi deUa Spagna il Signor Laval non è tranquillo e non esclude che la Spagna possa divenire per la F·rancia un vicino alquanto incomodo. 8. --Circa la giornata di domani, mi ha detto che aveva pre,so tutte le disposizioni per il mantenimento dell'ordine, ma non escludeva qualche tentativo di dimostrazioni sui boulevards.
(l) -Vedi tel. 6 febbraio n. (p. r.) 1050/61 assegnato all'ufficio personale. [Nota del documento]. Non si pubblica. (2) -Cfr. quanto aveva comunicato Manzoni con tel. per corriere 1091/144 del 19 aprile:

(3) Cfr. p. 334, nota l.

235

IL MINISTRO A PRAGA, PEDRAZZI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. PER CORRIERE 1225/42. Praga, .'30 aprile 1931 (per. il 4 maggio).

Benès, che parte stasera per Bucarest, mi ha fatto chiamare per un colloquio prima della partenza, [)e!I" mettermi al corrente delle sue intenzioni in modo che potessi comunicarle a Roma. Egli mi ha detto prima di tutto che nella P!I"OS•sima Conferenza deLla P.iccola Intesa era già garantito l'accordo dei tre al.leati nell'opposizione all'accordo austro-tedesco.

Ma il •suo discor.so •aveva due !scopi che son subito affiorati e che segnalo. Egli non ha nascosto H disagio ·che anche tra gli Stati della Piccola Intesa produce il mancato Accordo Navale •che rimette in tensione la situazione europea. Insistendo sulla necessità per l'Europa che italia e Francia si mettano d'accordo, Benès mi ha esp01sto ·SU per giù le medesime cose che già mi aveva esposte Charles-Roux (vedi mio telegramma per corriere n. 41 del 28 corrente) (l) e cioè che per arrivare ad un risultato positivo occorreva che Francia ed Italia procedessero non ad un esame particolare di una sola questione, ma ad un esame

• II signor Charles-Roux ha insistito sull'assoluto desiderio della Francia di venire ad un'intesa, ed ha riparlato di un accordo di garanzia che comprenda Italia, Francia e Jugoslavia in modo da elimihare ogni controversia nell'Europa danubiana. Naturalmente il signor Charles-Roux mi ha detto che parlava per suo conto e che esprimeva idee assolutamente personali, ma poi subito è passato a chiedermi se una eventuale mediazione dd Dr. Benès in queste questioni itala-francesi che riguardano l'Europa centrale e l'Europa danubiana avrebbe potuto servire ad esserci utile in qualche cosa>.

generale delle questioni che le interes,sano e che per quanto riguarda la politica delle due Potenze nell'Europa centrale e danubiana, il miglior modo di sistemare le co1se sarebbe un accordo tripartito che unisse le due grandi Potenze ed il Regno jugoslavo in una politica di amicizia. Senza offrire la sua mediazione nelle cose nostre Benès ricalcava il tema francese ~con ostinazione non ristando dall'affermare ~che assolutamente bisogna che le due grandi Potenze si mettano d'accordo davanti alla grave minaccia tedesca così come a Praga ed a Budapest si ,stava amichevolmente discutendo per mettersi d'accordo, dopo T'allarme squillato dagli accordi di Vienna.

Benès è poi passato a pa11larmi del come egli vorrebbe sistemare l'Europa Centrale contro il pericolo tedesco. Egli si è reso ~conto delle obiezioni fatte al suo ultimo discorso, di contrapporre cioè, alla precisa azione tedesca un fiume di parole e si è preoccupato soprattutto di trovare una ~soluzione per l'Austria che le permetta di vivere e che ne faccia un punto fermo della nuova sistemazione europea. Secondo Jui l'Austria deve diventare una nuova Svizzera, neutra e quindi ~sottratta ad ogni competizione politica. Ogni a>ltra soluzione (compresa quella lanciata dalla • Tribuna » di una unione con l'Ungheria e che ha molto incuriosito qui) non è ,secondo Benès duratura pel'ché la Germania non si darebbe pace e sempre rivendicherebbe !l.'Anschluss, salvo nel caso in cui l'Austria neutralizzata dalle Potenze concordi, messa quindi fuori del giuoco diplomatico, costituisse anche per i tedeschi un angolo morto.

L'idea di Benès non è nuova, ma egli la riprende adesso per il desiderio di impedire che il cerchio attivo del mondo tedesco sd rstringa attorno alla Cecoslovacchia. Io ~credo che se Benès potesse farebbe volentieri tante Svizzere di tutti i Paesi ~confinanti, per avere finalmente la quiete che i pericoli esterni e la inquietudine dell'Europa Centrale non gli concedono mai. Resta da vedere se questa cloroformizzazione austriaca abbia per gli a1ltri paesi lo stes,so interesse. In ogni modo egli mi ha pregato di riferire questo suo pensiero, perché egli crede che la questione austriaca dovrebbe essere trattata fra Roma e Praga, avendo ambedue le capitali intereSiò'e a darle una ~soluzione definitiva. Ho risposto al Dr. Benès che avrei riferito e che in ogni modo egli avrebbe avuto ben presto a Ginevra l'occasione di riprendere con V. E. ~la conversazione interrotta nel gennaio (l) e quindi la maniera di esporre al Governo d'Italia le idee oggi esposte a mezzo mio. Benès mi ha risposto che senza dubbio lo farà.

Osservo ~che in tutta quelsta conversazione come in quella del Ministro di Francia della quale ho già riferito, ho potuto notare una vera e interessante premura di associarci in qualsiasi modo all'azione antitedesca che la politica francese sta svolgendo in questo settore europeo. C'è una ispecie di affanno in questa gente, che rende l'Italia particolarmente 11icercata e ~che dimostra !la poca sicurezza del sistema francese nel centro-Europa davanti allo spettro di una ripresa germanica.

Benès mi ha detto che appena tornato da Bucarest mi metterà al corrente di quanto è avvenuto nelle riunioni della Piccola Intersa.

(l) Tel. 1224/41 del quale si pubblica il passo seguente:

(l) Cfr. n. 31.

236

... (l) AL PRESIDENTE DELLA GIUNTA CENTRALE DELL'AZIONE CATTOLICA, CIRIACI

(Copia; Fondo Ambasciata presso la Santa Sede, busta 7)

Roma, 30 aprile 1931.

Rispondo subito alla Sua lettera (2).

Non Le ho taciuto, durante il nostro recente colloquio il.'opinione che !l'accordo a'cc,ettato dal mio predecessore fosse superato dagli avvenimenti, cioè dagli atteggiamenti assunti dall'Azione Cattolica in questi ultimi tempi. Evidentemente nei luoghi e nei 'casi da Lei citati i miei Segretari Federali hanno ritenuto 'Che il 'contegno de!l.le organizzazioni cattoliche sia stato tale da creare di per sé la incompatibilità delle due iscrizioni.

237

MEMORANDUM DEL GOVERNO ITALIANO PER IL GOVERNO FRANCESE. (3)

(Ed. in DB, II, n. 349)

Roma, 1 maggio 1931.

Il Governo italiano ha l'onore di riferirsi al Memorandum del 20 Apdle (4) del Governo della Repubblica relativo alle difficoltà sorte durante i lavori del Comitato di redazione del testo dell'Accordo Navale (5).

Il Governo Italiano ha sempre considerato il testo delle Basi di Accordo come un documento definitivo nella sostanza, se anche suscettibile di una diversa redazione. Esso condivide pienamente le preoccupazioni del Governo della Repubblica di fronte al pericolo di vedere annullati i risultati di lunghi e laboriosi negoziati e confida pertanto che l'Accordo del l o Marzo possa essere mantenuto. Con tale spirito, e animato dai più amichevo~i sentimenti e dalla migliore volontà, esso ha esaminato gli argomenti e le proposte cortesemente sottopostigli.

Nella prima parte del Memorandum del 20 aprile, il Governo della Repubblica espone le ragioni per le quali esso ritiene che l'Accordo regoli soltanto la costruzione del naviglio da completare prima del 31 dicembre 1936.

Il Governo italiano non può a questo proposito non riaffermare che esso non ha mai pensato -né durante i negoziati, né all'atto di dare la propria adesione alle Basi di Accordo -che l'Accordo fosse limitato alle costruzioni da completare entro il 1936.

Fu dopo avere constatato l'impossibilità, almeno per il momento, di conciliare le tesi opposte che erano state discusse alla Conferenza di Londra, che il Governo italiano ed il Governo francese vennero, fin dal luglio 1930, alla conclusione che un accordo fosse possibile soltanto sul terreno pratico, e che convenisse pertanto di ricercare una soluzione, la quale, lasciando assolutamente impregiudicate le questioni di principio, regolasse le costruzioni che i due Paesi intendevano di effettuare nei prossimi sei anni, e cioè nel periodo 1931-1936.

Di fatto, le discussioni svoltesi fra gli Esperti francesi ed italiani a Parigi durante il mese di agosto 1930 hanno avuto come obiettivo un accordo sui programmi di costruzioni per i prossimi sei anni, prendendo quindi in considerazione anche il naviglio che, impostato prima del 31 gennaio 1936 sarebbe stato completato soltanto dopo tale data.

È evidente che se ciascuno dei due Paesi avesse voluto conservare la libertà di impostare negli ultimi anni dell'accordo, una quantità indeterminata di naviglio, che sarebbe entrata in servizio negli anni immediatamente successivi, l'accordo avrebbe avuto una portata tanto limitata da fare apparire come del tutto inadeguata la finalità che si voleva raggiungere.

Il Governo italiano aveva dunque ragione di ritenere come acquisito, fin dall'agosto 1930, che l'Accordo Navale con la Francia doveva regolare tutte le costruzioni dei due Paesi fino al 1936 incluso.

Tale concezione non è mai stata contraddetta nel corso dei successivi negoziati, svoltisi parallelamente fra Esperti francesi e britannici e fra Esperti italiani e britannici. Essa venne anzi confermata quando i Ministri britannici degli Affari Esteri e della Marina, dopo aver conferito coi loro Colleghi francesi, vennero a Roma a sottoporre al Governo italiano le proposte che condussero all'accettazione delle Basi d'Accordo.

Il Governo italiano non vede come il testo delle Basi d'Accordo possa dar luogo a dubbi di interpretazione. Non vede infatti come l'Accordo italo-francoinglese, che nell'intenzione primitiva dei tre Governi interessati doveva essere incorporato nel testo della Parte III del Trattato di Londra, avrebbe potuto omettere di regolare in senso limitativo l'impostazione delle navi da completarsi dopo il 31 Dicembre 1936, analogamente a quanto stabilisce l'art. 19 del Trattato di Londra.

A ciò doveva appunto provvedere la disposizione inserita nel Capitolo d) (Disposizioni generali), al Palagrafo (b) delle Basi d'Accordo, dove è detto che Francia ed Italia accettano, per quel che le concerne, le disposizioni della Parte III del Trattato Navale di Londra, che hanno una portata generale. Pare incontestabile al Governo italiano che l'ultima parte dell'articolo 18 del Trattato Navale di Londra, il quale regola l'impostazione del naviglio da completarsi dopo la fine del Trattato, debba essere considerata come una disposizione avente una port<:rta generale, e tale quindi da essere compresa fra quelle che i firmatari delle Basl ùi Accordo si sono impegnati di adottare.

Il Memorandum del Governo francese espone ai paragrafi 7, 8, 9 e 10, i tre dlversi punti di vista, che si sono manifestati in seno al Comitato di redazione, rispettivamente dagli Esperti italiani, francesi e britannici.

Il Governo Italiano non 'PUÒ però condividere l'opinione es;pressa nel Memorandum secondo la quale • una questione ,che si era intesa di riservare viene in realtà risolta, almeno per un dato periodo •.

Le disposizioni finali delle Basi di Accordo esprimono due concetti: l) che l'Accordo non stabilisce alcuna proporzione permanente per nessuna categoria di navi; 2) che l'Accordo non crea alcun precedente circa la soluzione finale della questione se, e, nel caso affermativo, in qual modo, il tonnellaggio che al 31 dicembre 1936 abbia superato i limiti di età, potrà in definitiva esser rimpiazzato.

Queste disposizioni vogliono chiaramente significare che il regolamento dei livelli massimi e delle proporzioni fra le flotte francese ed italiana, rimane impregiudicato e che le questioni di principio vengono rinviate. Ora, questo rinvio non può logicamente essere concepito se non per l'intera durata dell'Accordo, perché, ove ciò non fosse, ove cioè venisse ammesso che prima della scadenza dell'Accordo si potesse costruire del tonnellaggio supplementare, le basi stesse dell'Accordo risulterebbero profondamente alterate.

Come è stato a suo tempo indicato, il Governo Italiano diede la propria accettazione all'Accordo, per il valore che esso essenzialmente, se non esclusivamente, attribuisce all'Accordo stesso sia da un punto di vista politico, pei benefici effetti che se ne potevano sperare nei rigua:rdi delle relazioni italafrancesi, sia come un contributo che Italia e Francia avrebbero portato alla causa del Disarmo.

La prossima Conferenza Generale del Disarmo avrebbe infatti potuto trovare nell'Accordo italo-franco-inglese un esempio di riduzione di armamenti, che non avrebbe mancato di esercitare un'influenza favorevole al successo della Conferenza stessa.

Senonché le nuove proposte sottoposte dal Governo francese secondo le quali sarebbe riservata la facoltà di iniziare costruzioni supplementari durante gli ultimi anni dell'Accordo, distruggerebbero tutti quelli che il Governo italiano considera essere i risultati più apprezzabili dell'Accordo stesso. Infatti la media di costruzioni annuali, che l'Accordo prevede in 27 mila tonnellate, verrebbe ad elevarsi e ciò in contrasto colle finalità che l'Accordo si propone dì raggiungere, quella di una effettiva riduzione degli armamenti navali.

Il Governo italiano confida, quindi, che il Governo francese vorrà rendersi

conto che, nonostante la migliore volontà da cui esso è animato, il Governo

italiano si trova, con suo rammarico nella impossibilità di accettare la proposta

avanzata.

Il Governo britannico con Memorandum del 25 aprile (l) diretto al Go

verno francese e comunicato al Governo italiano ha avanzato ai due Governi

italiano e francese un suo suggerimento.

Nell'intento di fare sino all'ultimo, quanto può da esso dipendere per mantenere l'Accordo del l • marzo, n Governo italiano ha l'onore di informare

che esso è disposto ad aderire al suggerimento britannico, secondo esso appare indicato al paragrafo 14 dell'anzidetto Memorandum, e quindi ad accettare che l'ultima parte dell'articolo 19 del Trattato di Londra venga incorporata nel Testo dell'Accordo con la formula più sotto riportata, intendendosi così per le due Marine e, secondo le stesse parole usate nel Paragrafo 10 del Memorandum francese, che spetterebbe eventualmente alla Conferenza del 1935 di autorizzare l'impostazione di un certo tonnellaggio a partire dal 1936 e che in mancanza di un Accordo in questa Conferenza, nessuna costruzione per il

rimpiazzo del tonnellaggio over-age esistente al 31 dicembre 1936 potrebbe essere intrapresa prima del l o gennaio 1937; che pertanto in tale ultima ipotesi, nessuna costruzione oltre il tonnellaggio per il rimpiazzo di navi che diventeranno over-age nel 1937, 1938 e 1939 potrà essere intrapresa prima del l o gennaio 1937.

Il testo della formula in parola, quale appare al paragrafo 14 del Memo

randum sopradetto, è il seguente:

« Subject to any further agreement limiting naval armaments which may be reached at the Generai Disarmament Conference of 1932, or at the Naval Conference which will take place in 1935 in accordance with article 23 of the Treaty of London, the additional tonnage which France and Italy may lay down before December 31st 1936, shall be the replacement tonnage of vessels which will become overage in 1937, in 1938 and 1939 •.

(l) -Il mittente è certamente Giuriati. (2) -Cfr. n. 231. (3) -Comunicato anche al Governo inglese. (4) -Ed. in DB, II, n. 345. (5) -Cfr. n. 215.

(l) Cfr. DB, II, nn. 346 e 347.

238

APPUNTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, SUL COLLOQUIO CON L'AMBASCIATORE DI GERMANIA A ROMA, SCHUBERT

Roma, 1 maggio 1931.

Von Schubert mi parla anzitutto della questione della partecipazione della Russia e della Turchia alla prossima riunione della Commissione paneuropea. Il Governo tedesco stima che allo stato dei fatti non sarebbe consigliabile di insistere nuovamente soprattutto dopo che il Governo di Mosca e il Governo di Angora hanno accettato l'invito nei termini stabiliti dal Comitato di Parigi. Il Governo di Berlino desidera procedere su questo argomento d'accordo con l'Italia. Gli rispondo che allo stato dei fatti è evidente che non possiamo essere più russi dei russi o più turchi dei turchi. Resta inteso che se qualche fatto nuovo consigliasse di riprendere la discussione su questo argomento il Governo di Roma e il Governo di Berlino concorderebbero l'eventuale azione da svolgere.

Von Schubert m'intrattiene quindi su altri punti dell'ordine del giorno del Consiglio (l) e precisamente: la questione relativa all'accordo circa i

(f) Cfr. quanto comunicava Orsini Baroni con tel. 1196/278 del 30 aprile circa un colloquio col segretario di stato tedesco. Questi disse « che resta hteso che debba diventare abitudine colloqui Ministro Affari Esteri tedesco con Amba3ciatore di Italia prima di ogni riunione del Consiglio perché il Governo tedesco è d'avviso utilità per i due Paesi continuare tenersi in contatto •.

mezzi per prevenire la guerra, lo statuto di Memel, il questionario particolare che il Governo tedesco propone di adottare come mezzo per indicare i materiali stockés alla prossima conferenza del disarmo. Il Governo tedesco spera di avere su questi punti particolari concorde il Governo italiano e sviluppare così su altre questioni oltre quelle già di comune accordo considerate una più larga collaborazione in seno alla Società delle Nazioni. Gli rispondo dicendogli che i vari problemi sono allo studio e che mi riservo al momento opportuno di dargliene risposta.

Von Schubert passa a parlare dell'argomento più importante che ha motivato essenzialmente la sua visita: l'accordo doganale tedesco-austriaco. Egli mi dichiara anzitutto la sua sorpresa e il suo rammarico per aver letto in qualche giornale italiano ad esempio nella • Tribuna • e nel • Corriere della Sera » accenni che potrebbero far pensare ad un mutamento di quell'attitudine di benevola attesa e di • non opposizione » che l'Italia aveva adottato nei riguardi dell'accordo tedesco-austriaco. Il Governo di Berlino l'aveva incaricato di fare alcune comunicazioni in proposito. Anzitutto manifestare la sgradevole impressione provocata dalla notizia della probabile riunione del Comitato di controllo sull'Austria. Von Schubert legge a questo punto un prolisso promemoria tendente a dimostrare che il Comitato di Controllo non ha alcuna competenza per esaminare l'accordo doganale austro-tedesco e che le finanze austriache si troveranno con la messa in vigore di tale accordo in condizioni migliori e tali da far fronte a qualsiasi impegno. Von Schubert mi prega di fare in modo che il Comitato di Controllo non si riunisca.

Grandi -Rispondo a Von Schubert dicendogli che l'idea della riunione del Comitato di Controllo è tuttora allo studio da parte dei Governi interessati e che nessuna decisione è stata presa ancora al riguardo, ma che pur tuttavia io personalmente ritengo che il Comitato di Controllo sia in linea di diritto competente ad esaminare l'eventuale conseguenza di carattere finanziario che per gli Stati garanti avrebbe l'accordo in questione. Le argomentazioni prodotte da Von Schubert sono una riprova. Se le finanze austriache risulteranno avvantaggiate dall'accordo doganale non comprendo perché il Governo tedesco si mostri così allarmato dalla riunione di questo Comitato il quale potrebbe anche concludere, nel suo ambito finanziario, in senso favorevole all'accordo doganale medesimo. Rispondendo a sua precisa domanda, dichiaro a Von Schubert che il Governo tedesco non deve farsi alcuna illusione su quella che potrà essere l'attitudine italiana nella prossima riunione di Ginevra. Non ho che da confermargli quanto gli ho detto in proposito nel mio ultimo colloquio. Più il Governo italiano approfondisce l'esame del progettato accordo tedescoaustriaco, più esso si persuade che è impossibile dissociarne la portata politica dai suoi effetti economici e che gli unl e, gli altri sono inaccettabili per l'Italia. Il gesto tedesco minaccia di compromettere i felici inizi di una collaborazione che il Governo italiano aveva ritenuto possibile e utile per i due Paesi.

Von Schubert -Riprende le solite argomentazioni insistendo nell'escludere qualsiasi ,carattere politico dell'accordo doganale tedesco-austriaco. Se mi domandate, egli dice, se l'accordo che abbiamo concluso e che porteremo in fondo, malgrado tutto, ha un contenuto politico, io vi rispondo: no. Se mi domandate se nel futuro il problema dell'Anschluss politica sarà posto, io vi rispondo con franchezza che questo problema sarà necessariamente posto. Ma non ora.

Grandi -Quanto voi mi dite riprova il carattere politico dell'accordo. Del resto perché nascondersi dietro paraventi di vetro? Il parziale successo ottenuto dal Governo di Briining e di Schober nell'opinione pubblica tedesca e austriaca dopo l'annuncio dell'accordo dimostra a sufficienza che esso ha soprattutto un significato politico. Ora l'Italia non accetta e non accetterà situazioni che possano indebolire l'indipendenza dell'Austria. È un curioso modo il vostro di manifestare i vostri propositi per una leale e attiva collaborazione con l'Italia facendo trovare l'Italia all'improvviso davanti all'accordo austro-tedesco. È un curioso modo questo per Berlino di intendere la collaborazione...

Von Schubert -La cosa principale per cui ho chiesto di parlarvi è per dirvi nella maniera più formale, da parte del mio Governo, che la Germania non ha avuto e non ha assolutamente l'intenzione, realizzando il Protocollo austro-tedesco, di fare alcunché che possa danneggiare gli interessi della economia e del commercio italiano. Il Governo tedesco m'incarica di proporvi degli scambi di vedute e dichiara fin d'ora di discutere con favore tutte quelle proposte che da parte italiana possano venirgli onde evitare ogni possibile danno che l'economia italiana possa temere in relazione al nostro accordo con l'Austria. L'accordo doganale austro-tedesco porterà alla necessità di una revisione del Trattato di commercio itala-austriaco e itala-tedesco. Si possono trovare in questa occasione delle formule che vengano incontro ai desideri italiani. Ci risulta ad esempio che il Governo francese sarebbe orientato a discutere insieme con Berlino, Vienna e Praga uno speciale accordo economico. Noi abbiamo fatto sapere subito a Par,igi che accettavamo la discussione purché fosse estesa anche a Londra e a Roma. Sono anche incaricato di confermarvi quanto è stato già comunicato all'Ambasciatore d'Italia a Berlino e che cioè il Governo tedesco non ha alcuna intenzione di procedere a inasprimenti doganali che possano preoccupare la vostra esportazione agricola in Germania (1). Naturalmente questo impegno del Governo di Berlino riguarda il presente e non può essere inteso per l'eternità.

Dal modo come mi ha parlato sarei del parere ritenere che oggi questo Governo pur di non averci assolutamente contrari azione Ginevra sarebbe disnosto tener conto nostro speciale desiderio in materia dazi e scambi. Mi ha detto che per ogni eventualità nella mattinata aveva personalmente detto al Ministro d'Ungheria, tranquillizzandone preoccupazione, che nessun mutamento sarebbe avvenuto nella situazione doganale atto nuocere Italia e Ungheria. Paesi che effettivamente avranno danno saranno Polonia, Francia, Sviz

zera, Cecoslovacchia ».

(l) Su questo argomento Orsini Baroni aveva comunicato il 25 aprile con tel. 1137/259 il sunto di un colloquio col capo dell'ufficio commerciale del ministero degli esteri tedesco, Ritter, che gli aveva detto « non vedere come possa nuocere alla economia italiana, anzi sarà avvantaggiata dalla soppressione di una dogana e di tutti preconcetti e perdite di tempo inerenti. Mi ha incaricato pregare V. E. volere far conoscere punto controverso che eventualmente unione potrebbe presentare per nostra economia. Egli si adopererebbeeliminarlo.

239

IL DIRETTORE GENERALE PER LA SOCIETA DELLE NAZIONI, ROSSO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

(Copia; USM, cartone 3291/2)

L. RR. u. Londra, l maggio 1931.

[ ... ] (1). Non so se il resoconto, necessariamente affrettato, che ho fatto delle mie conversazioni in questi ultimi giorni, sia riuscito a dare a V. E. una idea sufficientemente chiara della situazione.

Ad ogni modo, ne ricapitolo qui appresso i punti principali:

l) Il Governo britannico è preoccupato di un possibile atteggiamento americano favorevole ad ult<.:!riori concessioni alla tesi francese.

2) Il Governo britannico è persuaso che la Francia non accetterà la formula transazionale britannica (2) e manterrà ferma la domanda di poter effettuare delle costruzioni supplementari per lo meno nel corso del 1936.

3) Questo Governo non vuole troncare le trattative e dichiarare il fallimento dell'accordo. Va quindi alla ricerca di una soluzione di compromesso.

Non ho bisogno di attirare l'attenzione di V.E. sulla serietà della situazione che si sta creando e che merita di essere esaminata colla maggiore attenzione.

I problemi che per nol si presentano sono principalmente due:

l) uno di sostanza, e cioè decidere se ci convenga abbandonare l'idea dell'accordo, lasciando alla Francia la sua libertà d'azione per mantenere la nostra libertà; oppure se, tutto sommato, sia preferibile entrare nell'ordine di idee suggerito da Craigie ed accettare un accordo di cinque anni, che importerebbe -secondo il piano di Craigie -un aumento della media delle costruzioni francesi ed italiane da due a tre mila tonn.

2) Una questione di procedura (che naturalmente si presenta soltanto nella ipotesi che la questione di sostanza venga risolta nel secondo senso); si tratterà c;oè di decidere se sia il caso di entrare fin da ora in conversazioni

« Io non conosco la vostra questione in tutti i suoi intricati particolari e non capiscole vostre cifre. Non voglio neppure conoscerle. Giudico la situazione come il 'man-in-thestreet ' vale a dire a base di buon senso, e non so capacitarmi come mai la questione della durata dell'accordo possa essere la causa del fallimento dei vostri negoziati. Da una parte si vuole un accordo di sei anni: dall'altra si chiede un accordo di quattro anni e mezzo o di cinque anni. Questa differenza è talmente grave da non ammettere una soluzione soddisfacente? Io vi confesso che un accordo di cinque anni mi pare sempre migliore che nessun accordo.

Questo il ragionamento, in verità molto semplicista, del Generale Dawes, il quale non ha mostrato di voler attribuire eccessivo valore alle obiezioni di Craigie e mie, quando gli abbiamo fatto notare che la questione di cifre (quella che l'ambasciatore americano considera questione di dettaglio) è in realtà l'elemento sostanziale dell'accordo e che la riduzione della durata dell'accordo a quattro o cinque anni significherebbe un aumento sensibile della media annuale delle costruzioni francesi, perché la Francia concentrerebbe in tali anni la costruzione di tutto il tonnellaggio contemplato dalle basi d'Accordo ».

con Massigli (come vorrebbe Craigie) oppure di rinviare temporaneamente gli ulteriori negoziati.

Circa il primo punto non posso permettermi di esprimere un parere perchè mi rendo conto che la questione, mentre dal punto di vista tecnico è di particolare competenza della R. Marina, deve d'altra parte essere esaminata e risolta in armonia con le nostre direttive di ,politica generale. Osservo 'soltanto che alle entrature di Craigie io non mi sono creduto giustificato ad opporre un semplice • fin de non recevoir • perchè mi risultava (da quanto mi ha riferito il Com.te Raineri Biscia) che S.E. il Ministro Sirianni, prima ancora della nostra venuta a Londra, non escludeva la opportunità di prendere in considerazione una eventuale proposta francese nel senso di ridurre la durata dell'accordo a cinque anni. Non volevo quindi respingere senz'altro, di mia iniziativa, una idea che il R. Ministero della Marina potesse invece considerare meritevole di esame.

Quanto al • modus procedendi • sono d'avviso che -ove V. E. fosse d'accordo per la continuazione dei negoziati -converrebbe in ogni modo fare un distacco fra le presenti trattative e la loro continuazione, anche per marcare che si tratterebbe in realtà di negoziare un nuovo accordo. La data della ripresa potrebbe essere discussa e concordata dai tre Ministri degli Affari Esteri in occasione della prossima riunione di Ginevra.

Al ritorno a Londra di Massigli martedì prossimo 5 corrente si tratterà di decidere della sorte del Comitato di redazione e quindi in sostanza della sorte delle Basi d'accordo.

L'E. V. si renderà conto della necessità in cui io mi trovo di conoscere quali sono le intenzioni del R. Governo e Le sarò particolarmente grato se vorrà farmi pervenire appena possibile delle direttive per mia norma di condotta e di linguaggio.

(1) Di questa lunga lettera si omette la prima parte, scritta il 29 e 30 aprile. Se ne pubblica solo il seguente brano relativo ad un colloquio con l'ambasciatore Dawes: «Avendo riunito vicino a sè Craigie, Massigli ed il sottoscritto, l'Ambasciatore americano, col modo di parlare piuttosto ' rough ' che gli è consueto, ci ha esposto il suo modo di pensareall'incirca in questi termini.

(2) Cfr. n. 237, p. 364.

240

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. RR. 1214/229/125. Belgrado, 2 maggio 1931, ore 15,25 (per. ore 17,45).

Per Lei solo, decifri Ella 1stessa.

Mio telegramma posta n. 22891748 del 28 aprile scorso (1).

Ho veduto ieri sera Marinkovic che è partito stamane per Bucarest. Mi ha nuovamente sviluppato schema suo progetto .insistendo specialmente su obbligatorietà Cecoslovacchia accettarlo e su forza che esso avrà su Austria per dissuaderla da definitiva unione politica con Germania. Ha poi messo in rilievo funzione antigermanica e comune difesa Adriatico della Jugoslavia. Egli sosterrà a Bucarest fortemente suo progetto per il quale ritiene sicura adesione romena. Da Francia non ha finora ricevuto alcuna osservazione in contrario.

Ha confermato necessità previo chiarimento pieno dei rapporti itala-jugoslavi contando su quanto potrà adesso riferirgli Rakich da costì e poi su prossimo incontro con V.E. Si è dichiarato sicuro intera incontrastata forza Governo dittatoriale e su tranquillità situazione interna, che croati non possono scuotere, per far accettare senza opposizione da Jugoslavia politica di sincera intesa con l'Italia. Ha affermato aver piena approvazione di Re Alessandro.

Mi ha chiesto se avevo comunicato a V.E. suo progetto e mi ha fatto capire essere suo desiderio avere se possibile qualche impressione di V.E. al suo ritorno da Bucarest che avrà luogo il sei corrente.

(l) Non rinvenuto. Uno accenno al suo contenuto a p. 339, nota l, e al n. 244.

241

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, CHIARAMONTE BORDONARO

T. 447/133. Roma, 2 maggio 1931, 01·e 24.

Sono tuttora in attesa di ricevere riscontro mio dispaccio n. 1637 (l) e successivo telegramma n. 125 circa adesione inglese progettata riunione Comitato controllo Stati garanti prestito austriaco.

La prego di insistere per ottenere tale adesione da parte Foreign Office cui Ella potrà far presente che riunione Comitato di controllo non pregiudica in alcun modo quello che potrà essere atteggiamento dei Governi a Ginevra di fronte progettata unione doganale austro tedesca (2).

242

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, ALL'AMBASCIATORE A BERLINO, ORSINI BARONI

L. R. 1794. Roma, 2 maggio 1931.

Ho avuto ieri con questo Ambasciatore di Germania un colloquio -di cui Le unisco il sunto (3) -circa i progettati accordi itala-germanici.

Non posso tacere a V.E. che le vaghe parole che ci vengono da parte tedesca circa l'affidamento che si fa sulle disposizioni amichevoli dell'Italia, nonchè la mancanza di ogni precisazione sull'asserito desiderio di salvaguardare i nostri interessi particolari, mi sembrano una continuazione dell'atteggiamento tedesco, che sempre ha evitato ogni franca e tempestiva conversazione con noi.

Nè mi pare da escludere la possibilità che nel frattempo si svolga un certo lavorio fra quegli elementi tedeschi e francesi che tendono all'avvicinamento economico e politico fra i due Paesi per trovare delle soluzioni non sgradite tanto al Governo di Berlino quanto a quello di Parigi.

Sarà utile comunque che V.E. continui, come finora ha fatto, a mantenere contatti con i differenti organi di codesto Governo che si occupano della importante questione e con esponenti del mondo politico e industriale, per conoscere le nostre (l) intenzioni ed il programma che si propongono di seguire.

Ma desidero in pari tempo che V.E. che dai documenti inviartiLe per corriere avrà potuto rilevare il pensiero del Governo sul progettato accordo italo-tedesco, mi faccia al più presto conoscere il Suo punto di vista sull'importante questione, ed in particolare mi comunichi quelle considerazioni ed osservazioni di indole generale che su tale argomento Le saranno inspirate dall'esame dell'attuale situazione germanica e dei rapporti italo-tedeschi.

Per quanto infine riguarda gli accenni fattiLe dal signor Ritter di cui ai Suoi telegrammi 258 e 259 (2), V. E. potrà limitarsi a rispondere per ora in termini gentili e generici assicurandolo che non mancheremo di tener nel debito conto le cortesi disposizioni del Governo tedesco.

(l) -Cfr. n. 213. (2) -Il 2 maggio Bordonaro presentò al Foreign Office un memorandum del 29 aprile sul problema della unione doganale austro-tedesca (DB, II, n. 32 e allegato). (3) -Cfr. n. 238.
243

IL MINISTRO A BUDAPEST, ARLOTTA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. R. 1218/87-88. Budapest, 3 maggio 1.931, oTe 1,20 (per. ore 8,45).

Karoly dopo avermi oggi espressamente invitato al Ministero Affari Esteri mi ha pregato di informare riservatamente V.E. di quanto segue:

l) Questo mio Collega di Francia avendo iersera visitato Bethlen, dopo avergli rinnovato le note considerazioni che hanno indotto il Governo francese a prendere posizione contro Unione doganale austro-tedesca, ha attirato l'attenzione di questo Presidente Consiglio Ministri su effetti (che) presenta per la situazione economica dell'Europa in generale, danubiana in particolare l'applicazione del controprogetto che Briand si ,propone di presentare a Ginevra.

2) Ad esplicita domanda rivoltagli da Bethlen Signor de Vienne ha risposto di non essere ancora in grado di dare comunicazione scritta del suddetto controprogetto, ma gli ha dichiarato che chiederebbe subito dettagli a Parigi affermando che li avrebbe qui consegnati tempestivamente prima della prossima riunione della Società delle Nazioni.

3) lVfio Collega di Francia ha però esposto in linea di massima che progetto francese contempla sistema preferenziale in favore esportazione dai

Paesi agricoli senza doversi fare obbligo alla introduzione di prodotti industriali nei loro rispettivi territori. In base risultanze statistiche ultima Conferenza agraria di Roma, Francia nutre fiducia che Paesi transoceanici non (ripeto non) si opporranno applicazione suddetto sistema.

4) In favore delle produzioni industriali degli Stati interessati, Francia proporrà facilitare su vasta scala costituzione apposito Cartello internazionale analogamente a quanto già si sarebbe in via di attuare per l'industria automobilistica, ripromettendosene risultati che indirettamente renderebbero non solo inutili ulteriori lotte di tariffe doganali in proposito, ma ben presto ne provocherebbero automaticamente l'addolcimento.

5) Francia dichiarasi pronta accordare tutto il proprio appoggio finanziario specialmente pel tramite di appositi centri bancari per la concessione di crediti agricoli sia a lunga che a breve scadenza, purchè i relativi accordi tra gli Stati interessati avvengano sotto l'egida della Società delle Nazioni.

6) Governo francese non solo dichiara nella nota di non opporsi alla conclusione da parte dell'Austria di accordo economico « della natura di quello che Vienna sta trattando con Italia e con Ungheria , ma, desiderando la Francia contribuire ad assicurare le possibilità di esistenza indipendente della Repubblica Federale, è pronta ad appoggiare la conclusione di eventuali analoghi accordi con tutti vicini di quest'ultima comprese Svizzera e Germania. Alla domanda del Bethlen se tale punto di vista francese dovesse interpretarsi nel senso della costituzione di un blocco economico comprendente tutti gli Stati che circondano Austria, oppure lasciare eventualmente libertà di esclusioni (sottintendasi Cecoslovacchia) Ministro de Vienne non ha per ora saputo rispondere e chiederà a Parigi.

In attesa dl maggiori precisazioni e del conseguente esame, Bethlen si sarebbe per ora astenuto dall'esprimere alcun parere concreto in proposito pur assicurando che una volta conosciuto il progetto esso sarebbe studiato da questo Governo con tutta la ponderazione del caso.

Karoly nel rendermi nota la preghiera formulata dal Ministro di Francia di tenere, fino nuovo avviso, le suddette comunicazioni come strettamente confidenziali, ha concluso osservando che pur essendo evidente il substrato politico che anima tutta la iniziativa francese, questo Governo considerava con particolare interesse e non ·senza compiacimento le dichiarazioni relative all'Austria di cui al punto sesto del presente telegramma, giacché esse dimostrano che grave minaccia della Unione doganale austro-tedesca era per lo meno venuta a modificare radicalmente atteggiamento francese nei confronti del nostro progettato accordo a tre economico, che l'Ungheria continua ora anche più di prima a desiderare assai vivamente di vedere concluso quanto prima possibile.

Dietro espressa preghiera del Conte Bethlen, trasmessami dal mio interlocutore, l'ho assicurato che avrei subito messo al corrente V.E. di tutto quanto precede (1).

(l) -Sic, per "loro". (2) -Cfr. p. 366, nota l.

(l) Sull'atteggiamento dell'Ungheria in merito al problema degli accordi economicl cfr. 0RMOS, L'opinione, cit., pp, 308-309.

244

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO A BUCAREST, PREZIOSI

T. 456/28. Roma, 4 maggio 1931, me 18.

Codesto Ministro Affari Esteri fece qui chiedere l'altro ieri se ci fossero state fatte aperture da Belgrado circa un progetto Marincovich di accordi economici fra Italia, Jugoslavia, Romania, Polonia, Ungheria e Cecoslovacchia sotto la direttiva italiana. Gli feci rispondere che ne avevamo soltanto indiretta notizia. Ora però essendo avvenuta in proposito una lunga conversazione fra Marincovich e il nostro Ministro a Belgrado, ho fatto sapere a Ghika confidenzialmente per il tramite di questo Incaricato Affari· romeno che effettivamente Marincovich ha esposto tale progetto a Galli, ma ha aggiunto di non volerlo fare ufficialmente prima di averne parlato nella imminente riunione della Piccola Intesa. Prego V.S. informare anche Ghika, che la questione presenta per noi interesse e che siamo disposti ad esaminare seriamente dal punto di vista tecnico le eventuali proposte che ci venissero fatte in forma concreta. Ciò ben inteso se la Jugoslavia si deciderà a tener conto della insostenibile attuale situazione dei traffici itala-jugoslavi e dell'assoluta necessità per il R. Governo di cambiarla in senso equamente vantaggioso per l'economia dei due Paesi. Ella aggiungerà anche che per quanto concerne più specialmente la Romania sono note al Governo romeno le nostre disposizioni favorevoli allo studio ed alla realizzazione di accordi economici che potrebbero benissimo inquadrarsi nel progetto Marincovich (1).

• La sola questione di rilievo esaminata dalla recente conferenza della Piccola Intesa è stata quella relativa al progetto di unione doganale austro-tedesca ed al controprogettofrancese. Le discussioni sono durate una intera giornata, infine i tre Governi hanno deciso la loro adesione di massima alle proposte di Briand nonché un identico loro atteggiamento a Ginevra, presso i Congressi internazionali che dovranno esaminare i due progetti.

L'adesione prestata dalla Romania a detto solidale atteggiamento ha destato qualchesensazione, data la nota disposizione dei maggiori esponenti del nuovo Governo romeno a far prevalere l'interesse economico (ravvisato in opportuni accordi con la Germania) su quello meramente politico (riscontrato nei dogmi programmatici della esistente alleanza).

Ora tutto lascia ritenere che la Romania come già lo esponevo a V. E. con mio telegramma per corriere 744, del 3 aprile u. s. trovatasi di fronte alla concreta concessione di dazi preferenziali per i suoi prodotti agrari sia da parte della Cecoslovacchia che della Francia, non abbia potuto esimersi dal dare la sua adesione al desiderio di fronte unico...

Ma a mio avviso la Francia e la Cecoslovacchia, errererebbero se ritenessero che il signor Argetoianu ed il signor Manoilescu, che sono i Ministri romeni più interessati ad un largo accordo economico con la Germania resteranno completamente nell'orbita di Parigi e di Praga, per quanto riguarda l'organizzazione economica di questa parte dell'Europa, nel caso che non si realizzasse a Ginevra il piano di Briand o qualche altro concreto progettosia pure di natura regionale, ma da cui la Romania potesse sempre trarre il sicuro vantaggio economico che persegue per la sua produzione agraria •.

Sulla adesione romena alla tesi francesi cfr. le considerazioni di Preziosi comunicate con rapporto 1251/481 del 25 maggio:

• Quale è dunque l'origine di tanta improvvisa determinatezza romena? Devesi essa, cioè, attribuire al prevalere dell'impulso francofilo di Titulescu e del Ministro degli Esteri Ghica sulla parte germanofila del Gabinetto? Od alla promessa di una larga ricompensa da concedersi, in corrispettivo, dalla Francia? Od invece all'impressione che il Governo e l'opinione pubblica romena hanno ricevuto dall'atteggiamento assunto dall'Italia a Ginevra, e che è stato qui interpretato anche come un segno di un mutato atteggiamentodell'Italia verso la Francia, il problema del revisionismo, e I'Anschluss politico ed economico?

Forse un po' da tutti i predetti motivi, sebbene sia tutt'altro da escludersi che l'atteggiamento romeno sia stato influenzato sensibilmente dalla linea di condotta dell'Italia •.

(l) Sulla riunione della Piccola Intesa e in particolare sull'atteggiamento della Romania di fronte al progetto francese cfr. il te!. per corriere r. 1335jl065, Bucarest 6 maggio:

245

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO A VIENNA, AURITI

T. 455/131. R.oma, 4 maggio 1931, ore 19.

Suo rapporto n. 975 (l) mi ha molto interessato.

È bensì vero -e V.S. vorrà farlo considerare a Seipel -che nelle attuali condizioni ci troviamo di fronte ad un Governo austriaco che non sembra condividere le idee di Seipel e che ci ha messo innanzi un fatto compiuto quale il progetto di accordo austro-tedesco, sul cui merito dobbiamo fare ogni più ampia riserva, e prendere posizione in contrario. Seipel che conosce da n:olti anni il pensiero del Governo italiano e che è fine uomo politico non avrebbe forse commesso questo che non esito chiamare un errore, ma per ora egli non è al potere e quindi non possiamo che !imitarci a conversare con lui nella speranza che anche da tali conversazioni si possano trarre in prosieguo di tempo buoni frutti.

Sarà pertanto bene che V.S. continui a mantenere i più amichevoli contatti con Seipel facendogli comprendere come noi saremmo disposti ad esaminare i desiderata da lui esposti perchè, malgrado tutto, siamo sempre convinti della convenienza di rafforzare la situazione economica e politica di uno Stato austriaco che fosse amico dell'Italia e indipendente da influenze esterne.

246

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO A BELGRADO, GALLI

T. 457/71. R.oma, 4 maggio 1931, ore 19.

Benchè, come Ella avrà potuto rilevare dai documenti recentemente inviatiLe, il mio ultimo colloquio con Rakich (2) non cordsponda alla impressione avuta da V.S. circa le buone disposizioni attuali di codesto Governo nei riguardi del proseguimento delle note conversazioni politiche, V.S. potrà dire a Marincovick che ho letto con molto interesse quanto egli Le ha esposto in merito al progetto che intende sostenere nella prossima riunione della Piccola Intesa (3), e che sarei disposto a far studiare seriamente dal punto di vista tecnico le sue proposte, qualora ci fossero sottoposte in forma concreta. Marincovich non deve dimenticare però quanto gli è stato ripetutamente fatto da noi considerare circa l'impossibilità di prolungare l'attuale situazione, per l'Italia insostenibile, delle relazioni commerciali itala-jugoslave e deve una buona volta rendersi conto della necessità per il Governo italiano di impostarle in modo

equamente vantaggioso per l'economia dei due Paesi. Qualunque progetto che non tenesse conto di questa necessità non ci potrebbe quindi trovare consenzienti (1).

(1) -Cfr. n. 225. (2) -Cfr. n. 216. (3) -Grandi allude evidentemente al t. posta non rinvenuto per il quale cfr. p. 368, nota l.
247

APPUNTO DEL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA LEVANTE ED AFRICA, GUARIGLIA, PER IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

Roma, 4 maggio 1931.

Il Ministro di Jugoslavia è venuto da me a lamentarsi fortemente per i continui attacchi personali della stampa italiana contro il Re Alessandro. lVIi ha citato per ultimo un volgare articolo del LittoTio Dalmatico del 18 aprile.

V.E. ricorderà che erano già stati dati in passato col consenso di S.E. il Capo del Governo ordini alla stampa di non immischiare nelle polemiche e vertenze itala-jugoslave la persona di Re Alessandro. Evidentemente questi ordini sono stati dimenticati, e forse non sono neanche noti al Littorio Dalmatico.

Mi permetto sottoporre a V.E. l'opportunità di rinnovare categoricamente tali ordini, non potendosi in realtà ritenere che gli attacchi contro il Re di Jugoslavia siano in qualsiasi modo utili nè alle nostre tesi politiche nè alla situazione dei rapporti colla Jugoslavia. Per parte mia ho creduto già di esprimermi col Signor Rakic in senso di deplorazione dell'articolo in questione.

248

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL DIRETTORE GENERALE PER LA SOCIETÀ DELLE NAZIONI, ROSSO, A LONDRA

T. 465/138. Roma, 5 maggio 1931, ore 14,30 (per. ore 16,45).

Suo rapporto 29 aprile (2).

R. Governo non intende certamente prendere iniziativa abbandonare negoziato o darne comunque l'impressione (3). Esso desidera invece di fare quanto

• Vedrai da quanto scrivo che la situazione si sta sviluppando in modo tale da imporci nuove decisioni. Gli inglesi, dopo la prova di fermezza data col loro Memorandum di risposta alla Francia, si sentono oggi imbarazzati e forse anche un po' sgomentati ed accennano a fare macchina indietro. Quale è la via che ci conviene scegliere? Continuare ad essere cogli inglesi anche in questa loro ritirata strategica oppure rompere i ponti e proclamare che ne abbiamo abbastanza del giuoco? Avremmo tutte le ragioni e le giustificazioni per mostrarci seccati e mandare tutti al diavolo. lVla; ci conviene? Questa è la domanda che mi faccio e non ti nascondo che, malgrado tutto, ed esaminata freddamente la situazione, io credo ancora che il bene del Paese consigli di avere ancora della pazienza e di non !asciarci trasportare dal sentimento».

è in suo potere per mantenere accordo. Questo concetto è stato riaffermato anche nella nostra nota di risposta (1). Situazione creatasi e da Lei prospettata richiede evidentemente di essere esaminata con cura, e non solo per parte nostra. Trattative potrebbero essere continuate prossimamente e di comune accordo a Ginevra o subito dopo. In relazione a ciò si potrebbe pensare ad informazioni alla stampa concordate tra Lei ed i Suoi colleghi, che dicessero che il Comitato di redazione, avendo aggiornato i suoi lavori per dar tempo agli esperti di abboccarsi coi rispettivi Governi, riprenderà propri lavori prossimamente in occasione incontro Ministri Esteri dei tre Paesi a Ginevra.

(l) -L'ultima frase è stata cancellata. La minuta è di Guariglia. (2) -Cfr. n. 239. (3) -Cfr. quanto aveva scritto Rosso a Buti il 1° maggio nel trasmettere il doc. di cui al n. 239:
249

IL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA LEVANTE ED AFRICA, GUARIGLIA, AL MINISTRO A BELGRADO, GALLI

L. R.P. Roma, 5 maggio 1931.

Rispondo alla tua lettera del 28 aprile (2). Ho visto anche tutti i tuoi recenti rapporti tanto circa le conversazioni politiche quanto quelle economiche, che hai avuto con Marinkovic (3). A quest'ora avrai ricevuto il sunto del .colloquio del Ministro Grandi col Rakic (4) e il telegramma col quale si dimostrano le nostre buone disposizioni per il progetto economico Marinkovic (5). Ti accludo anche il sunto di una mia recenHssima conversazione con Rakic (6). Ho rivisto ieri lo stesso Rakic (7) il quale non era informato delle idee di Marinkovic in materia di accordi economici, cosa che mi ha indotto a comunicargliele io riservatamente per aver modo di ripetergli le nostre favorevoli disposizioni e per dirgli che questa era una buona occasione per parlarci alla .fine chiaramente su tutte le questioni, tanto economiche che politiche. Rakic mi disse che aveva riflettuto su quanto io gli avevo detto il 29 aprile e che aveva anche inviato un suo progetto a Belgrado, circa il quale tuttav1a non ,poteva dirmi nulla attendendo istruzioni dal suo Governo.

In complesso, caro Galli, la mia impressione è che malgrado ogni desiderio di Marinkovich di trovare una via d'accordo con noi, si continua per ora a fare del bluff, come del .bluff si fa da tutte le parti in materia di accordi economici. Comunque siano le cose, è certo ad ogni modo che a noi conviene ricercare attraverso a tutti questi bluffs una via d'uscita che ci porti a qualche soluzione seria; ,per ciò fare occorre che a Belgrado abbiano una ·più esatta sensazione del problema albanese.

Completamente d'accordo circa il processo. Farò di qui quanto mi sarà possibile.

14 -Documenti diplomatici-Serie VII-VoL X

(l) -Cfr. n. 237. (2) -Cfr. n. 227. (3) -Cfr. nn. 226 e 240. (4) -Cfr. n. 216. (5) -Cfr. n. 246. (6) -Cfr. n. 230. (7) -Non si pubblica !"appunto di Guariglia per Grandi relativo a questo colloquio.
250

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

R. RR.S.N. Belgrado, 5 maggio 1931.

La comunicazione del colloquio di V.E. con Rakic avvenuto il 23 aprile

u.s. (l) e che V.E. si è degnata farmi con Suo dispaccio del 29 m.s. mi è pervenuta ieri e si è incrociata con altra mia comunicazione diretta a V.E. il 28 aprile (2) nella quale riferivo quanto dettomi da Marinkovich.

Ho poi ricevuto stamane il telegramma di V.E. n. 457/71 (3) che si rife

risce principalmente al progetto che Marinkovich ha affermato sosterrebbe in

occasione della riunione di Bucarest della Piccola Intesa.

Richiamo poi l'attenzione di V.E. sul mio telecorriere riservatissimo del

4 corrente che si riferisce al mio colloquio con Guranescu (4).

Il riassunto di V.E. (5) suona infatti in modo assai diverso da quanto qui det

tomi da Marinkovich. Questi mi tradusse vari brani di una lettera personale

ricevuta da Rakich, che egli aveva in tasca. Avrei anzi la impressione che,

salvo poche frasi, egli me ne abbia fatta la traduzione integrale. Ed invero il

contesto di quanto tradottomi non marcava davvero la premura che Marinko

vich mi aveva affermato avere messo a Rakich. In sostanza egli finiva con

dare elementi assai sommari del colloquio con V.E. per finire col rimettere tutto

all'incontro di Ginevra. Tante;> che pensai che vi dovesse essere altra relazione

che Marinkovich non mi comunicava, quella essendomi sembrata allora, e sem

brandomi ancora più oggi, molto incompleta.

Debbo perciò adesso venire alla conclusione di V.E. Vi è una sostanziale differenza fra la intonazione di Marinkovich con me e quella di Rakich con

V.E. Dopo la lettura della suddetta lettera Marinkovich mi aggiunse che aveva dato istruzione a Rakich di tornare ancora da Guariglia e che sperava qualche precisazione prima ancora della sua partenza per Ginevra.

Se V.E. non me ne dia tassativa istruzione mi asterrò dallo intrattenere più oltre Marinkovich su questo punto preciso, ma se V.E. me ne autorizzi telegraficamente riporterò il discorso sulla questione albanese svolgendo gli elen:enti contenuti nella lettera che V.E. mi ha diretta il 1° aprile con n. 1341 (6). e concludendo che tutto ormai essendo stato detto da V.E. spetta a lui far cono

::;cere se e cosa intenda accettare e se il suo pensiero sia sempre quello espresso nel settembre 1930 (1), o quello del gennaio (2) assai 1più reticente.

Mi limiterò pertanto ad esprimermi con Marinkovich sul suo progetto, sempreché egli abbia potuto farlo accettare dalla Piccola Intesa, ed il contrasto rumeno-jugoslavo con la Cecoslovacchia non sia stato irriducibile come si dovrebbe rilevare dalla stampa odierna di Belgrado.

V.E. in fine del riassunto inviatomi afferma poco credere alle campagne di stampa che lasciano il tempo che trovano. Poiché V.E. lo afferma permetta che io sottoscriva a piene mani quello che V.E. dice e che è anche nel mio pensiero. E non solo nel campo commerciale economico (benché per questo un accenno avvertitore fosse pur necessario) ma anche nel politico. Ogni campagna di stampa dà luogo a repNche e controrepliche, polemiche e contropolemiche che intorbidiscono l'atmosfera, fanno perdere il senso delle reali diffiCC!ltà, ed hanno lo svantaggio di togliere delle incertezze su quelli che sono gli obiettivi dell'avversario. Mentre la incertezza delle finalità è quella che più inquieta. V.E. ne ha tipico esempio nell'ondeggiare della opinione jugoslava in queste ultime settimane. Hanno agito come principale propulsore per una ripresa dei colloqui: prima la incertezza degli sviluppi che l'accordo navale avrebbe potuto avere (uomini politici serbi dichiararono subito a Marinkovich ed al Re che se questo avesse avuto uno sviluppo la Jugoslavia non poteva restare al di fuori ma cercare al più presto un accordo con l'Italia), ed ora la incertezza della nostra definitiva attitudine quanto all'accordo doganale austro-germanico, poiché quella che traspare dai comunicati, dagli articoli di stampa, etc. è qui considerata piuttosto attitudine tattica, che strategica.

E mi sia anche lecito spendere una parola per quanto la nostra stampa riferisce circa la questione croata. È da lunghissimo tempo mia precisa convinzione ed è del resto credo anche quella di V.E., che non sono i croati quelli che condurranno allo sfacelo la Jugoslavia, non ne hanno la forza l'energia ed il coraggio. Occorrono ben altri sacrifici di sangue che quello fatto fin qui. L'Italia per le sue libertà, e per conquistarsi la sua forza attuale ne sa qualche cosa, e può apprenderlo altrui.

Aggiungo la mia subordinata opinione che se per avventura tale forza fosse nei croati, non so se tutte le conseguenze sarebbero utili per noi. La influenza germanica che si vale delle minoranze tedesche in Croazia e Slovenia, e dello stato culturale lasciato dall'Impero Austro-Ungarico avrebbe ancora più facile ed agevole modo di farsi sentire che non oggi. Se oggi si può credere ad una resistenza agli allettamenti germanici essa viene dai serbi, non da croati

o sloveni.

Infine quanto più il movimento separatista sembrerà favorito da noi, tanta più forza il Governo di Belgrado avrà per svalutarlo agli occhi delle popolazioni croate mettendo in evidenza la politica che noi svolgiamo verso gli allogeni e sfruttando al massimo grado ogni inventata spudorata menzogna a nostro danno, e dando esagerata notizia di ogni nostra agitazione pro Dalmazia cui contrappone la propria pro !stria sacrificata ed oppressa. Riferisco per debito

di ufficio una frase che da fonte bene informata mi è stata testualmente riportata e che fu pronunciata da un influente funzionario del Ministero degli Affari Esteri: • Noi non temiamo la propaganda croata finché sia noto che i croati hanno aiuti italiani, e l'Italia conduca l'attuale politica verso gli slavi che sono nel suo territorio e mantenga le sue pretese dalmate •.

Questo è il mio schietto pensiero che espongo tuttavia a V.E. con ogni rispetto e subordinazione.

(l) -Cfr. n. 216. (2) -Cfr. n. 226. (3) -Cfr. n. 246. (4) -Allude con ogni probabilità al tel. per corriere rr. 1233 che però è del 5 maggio. Guranescu, ministro di Romania a Belgrado, « aveva accompagnato Ghika nel suo nttraversare la Jugoslavia per recarsi a Bucarest ad assumere le sue nuove funzioni di lVlini· stro degli Affari Esteri e gli aveva ampiamente esposto le idee di Marinkovic "· Il 3 maggio Guranescu ebbe un colloquio con Galli. « Ho l'impressione che Guranescu abbia portato il colloquio sull'argomento dei rapporti italo-jugoslavi e sull'Albania a richiesta di Ghika (cui mi legano confidenti rapporti fino da prima della guerra) del quale Guran2see< mi ha esaltato la italofilia, ed il desiderio di cooperare al chiarimento delh sinw··io:w italo-jugoslava, aggiungendo che l'Italia non potrà mai avere in Rumenia un governo che leo si<> più favorevole dell'attuale Jorga-Ghika "· (5) -Del colloquio con Rakié. (6) -S'ic, ma si tratta del D. 1541, ed. al n. 178. (l) -Cfr. serie VII, vol. IX, n. 241. (2) -Cfr. n. 30.
251

IL MINISTRO A BUCAREST, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. 1279/35. BucaTest, 6 maggio 1931, oTe 17 (pe1·. oTe 22).

Telegramma di V.E. N. 28 (1).

Ghika, cui ho fatto stamane comunicazione prescrittami da V.E., mi ha detto che Marinkovic ha effettivamente esposto alla Conferenza della Piccola Intesa suo noto progetto economico. Esposizione venne da lui fatta ieri mattina all'ultima seduta della Conferenza. Avendo Ghika e Benès mostrato loro interesse per progetto in parola, Marinkovic annunziò che ne avrebbe intrattenuto Galli non appena di ritorno a Belgrado.

Dalle parole di Ghika ho poi creduto poter dedurre: l) che esposizione di Marinkovic, anche a causa ristrettezza di tempo. non fu molto diffusa; 2) che Marinkovic terrebbe a mostrare al Governo Italiano che progetto è dovuto soprattutto sua iniziativa. Da altra buona fonte ho inoltre appreso: l) che Francia avrebbe dato a Marinkovic suo consenso perché sia affidata all'Italia direzione eventuale combinazione economica; 2) che Marinkovic sarebbe effettivamente animato dalla volontà di portare a termine sua iniziativa; 3) che Marinkovic avrebbe infine intenzione di esporre suo progetto direttamente a V.E. in occasione prossima riunione Ginevra.

In relazione a quanto precede devo segnalare larga diffusione che è st<:~.ta data anche dai giornali romeni ad un articolo della • Tribuna " circa pretese favorevoli disposizioni dell'Italia verso un accordo economico austro-ungarico. Anche Ghika me ne ha fatto cenno !asciandomi impressione che egli trovasse inopportune simili pubblicazioni e ciò anche nei riflessi progetto lVIarinkovic (2).

((Possiamo noi rassegnarci a continuare a con1prare in Romania (e giova notare che le nostre importazioni di bestiame romeno sono in continuo aumento, mentre maggiormente si ravvisa l'importazione dei petroli romeni) senza che il Governo di Bucarest addivenga con noi a speciali intese di reciprocità, per quanto riguarda l'acquisto di nostri prodotti industriali? E rassegnarci a tanto. quando la Romania avesse conceduto particolari facili· tazioni o privilegi alla Germania?

So bene che la Romania farà valere il fatto che la Germania le ha concesso tariffe

preferenziali per i suoi cereali, n1entre noi non 1~ potremmo; 1na a noi resta facile la mi

(l) -Cfr. n. 244. (2) -Cfr. quanto scrisse Preziosi il 9 giugno:
252

IL MINISTRO DELLE COLONIE, DE BONO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

TELESPR. 43567. Roma, 6 maggio 1931.

Rispondo al telespresso n. 215246/391 di V.E. in data 30 aprile u.s. (1).

Condivido in linea di massima le considerazioni e le riserve che l'E.V. esprime circa la progettata visita di S.E. Astuto ad Addis Abeba ed ho l'impressione che anche l'attuale desiderio espresso dal Negus, di fare la conoscenza col Governatore dell'Eritrea, si debba collegare all'altro suo desiderio di dare

naccia che ci disinteresseremmo degli acquisti in grano, granturco, bestiame e petroli,che son poi (meno il granturco) proprio quelle voci che la Germania trascura nei suoi commerci con la Romania, e che rappresentano per l'incontro le sole integrali dell'attività agraria e mineraria di questo Paese.

In ogni caso io penso che una nostra decisa azione per il miglioramento dei nostri rapporti economici con la Romania, mentre farebbe finalmente nota a questa opinionepubblica l'importanza del mercato italiano (tanto superiore a quella del mercato francese) per l'economia romena, avvierebbe d'altra parte la Romania ad una migliore comprensionedei suoi rapporti con l'Italia, ed in ogni caso la tratterrebbe dal prendere posizioni a noi ostili, o contrastanti •.

Preziosi riteneva opportuno ricordare al Governo romeno l'appoggio economico dato in passato dall'Italia: il prestito dell'ottobre 1928 di 12 milioni di dollari, la partecipazione per 8 milioni di dollari al prestito di stabilizzazione romeno del 1929, i frequenti investimenti di capitali in vari campi (petrolio, zucchero, elettricità, industria edile, industria tessile etc.). Occorreva inoltre, sempre secondo Preziosi, giungere c con opportuni accordi ad una migliore integrazione delle due economie -agraria ed industriale -e ciò specie avuto riguardo alla possibilità di aumento delle nostre principali importazioni ed allo sviluppodi quelle incipienti; bestiame e petrolio.

Io non so se tali osservazioni possono armonizzarsi col piano generale che l'E. V. si ripromette di svolgere nella nuova situazione economica europea, ma ho ascritto a mio dovere di rappresentarle a V. E. giacché da questa sede, come già da quella mia precedentedi Praga, più vivamente si risente la forza travolgente delle iniziative economiche tedesche in questa parte d'Europa e quindi la necessità di contrapporre ad esse una azione che valga ad impedire il ritorno dello stato di cose esistente nell'anteguerra o la sopraffazionedi quegli avviamenti che con tanta fatica il Governo fascista è riuscito a dare ai nostri traffici nell'Europa Centro-orientale ».

Il 21 settembre 1931 il ministero delle corporazioni scrisse, a proposito del trattato commerciale tedesco-romeno:

• Questo Ministero ha motivo di ritenere che i favori offerti alla Germania ed estensibili agli altri Paesi, per effetto della clausola della nazione più favorita, non siano tali, di per se stessi, da stabilire una situazione di privilegio del Reich nel mercato romeno. Ciò tanto più se si confermi che la Romania, così come non ha consentito finora, non consen

tirà per l'avvenire ad offrire alla Germania speciali vantaggi in materia di forniture.

Poiché, però, il trattato in parola ha dato motivo al R. Ministro a Bucarest di esaminare la situazione degli scambi italo-romeni nell'intendimento di non tagliar fuori il nostro Paese da eventuali combinazioni e di stabilire, inoltre, con la Romania nuovi accordi che possano modificare in parte lo sbilancio a nostro sfavore dell'intercambio italo-romeno, questo Ministero ha creduto opportuno di dover soffermare la sua attenzione su questo particolare punto.

In merito non può negarsi infatti che noi acquistiamo in Romania più di quantola Romania acquisti da noi e che, in considerazione di ciò, sarebbe augurabile poter migliorare la situazione degli scambi fra i due Paesi.

Senonchè, è da tenere presente che particolari circostanze si oppongono ad una tale modificazione e cioè; in primo luogo la diversa composizione delle rispettive correnti di traffico, e, in secondo luogo, il fatto che sembra molto dubbio che possa rinnovarsi il trattato sulle stesse basi di quello attuale per quanto riguarda i vantaggi che con esso l'Italia ha consentito alla Romania.

Ciò perché, come è noto a codesto on. Ministero, con tale trattato si sono legate molte voci che interessano grandemente la nostra agricoltura, la quale oggi si trova nella necessità è.i conseguire una maggiore protezione doganale...

Questo Ministero esprime l'avviso che potrebbero forse utilmente essere tentate le vie diplomatiche per assicurare, se possibile, al nostro Paese quelle forniture statali per le quali la Romania deve necessariamente rivolgersi all'estero».

Con telespr. 234066 del 3 ottobre 1931 Grandi scrisse a Preziosi:

• A fine di correggere in nostro favore l'attuale passività della nostra bilancia commerciale con la Romania è desiderabile che la S. V., nel modo che meglio riterrà opportuno, si adoperi affinché siano assicurate alla nostra industria le forniture statali di cui codesto Paese ha bisogno)).

delle concessioni agricole agli italiani (1), e che faccia il tutto parte di un suo piano di attrazione nella propria orbita e di accrescimento del proprio prestigio personale, ai fini della lotta che, nel momento attuale, si sta svolgendo serrata fra lui ed i vari Ras della periferia.

Convengo perciò nella opportunità di dilazionare la progettata visita. che potrà poi eventualmente essere fatta sfumare, se le future circostanze avessero a suggerirlo {2).

Ed a proposito dell'accennata lotta fra il potere centrale ed i Ras delle provincie, non è che io pensi, neanche lontanamente, che si debba prendere partito a favore di questi ultimi, che ci si debba cioè distaccare dalla linea di prudente condotta che si è concordemente deciso di attuare. Sono convinto che non è il caso di farci sulla cosiddetta politica periferica soverchie illusioni; ma tuttavia parmi che la direttiva accennata debba essere tenuta presente in ogni nostro contatto col Governo centrale abissino, almeno ai fini di non assecondarlo nel lavoro di rafforzamento proprio, a detrimento dell'influenza dei Ras, lavoro che il Negus va compiendo con grande abilità.

Concordo perciò nel ritenere che il viaggio di S.E. Astuto non sarebbe

in questo momento opportuno.

(l) Nnn si pubblic3. :\!fa cfr. n. 233.

253

IL MINISTRO A BUDAPEST, ARLOTTA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. R. 1301/97. Budapest, 7 maggio 1931, ore 23,30 (per. ore 7,15 delr'8).

Mi riferisco al mio telegramma odierno in chiaro n. 95 circa articoli

Tribuna • Quo vadis Austria? • (3).

Bethlen pregatomi telefonicamente stamani recarmi da lui ha attirato, in

forma peraltro di semplice amichevole conversazione, la mia attenzione sulla

viva emozione che la soluzione legittimista austro-ungarica propugnata spe

cialmente dall'ultimo dei suddetti articoli, solleva nei circoli più strettamente

filo-absburgici di questa Capitale. Ha osservato che oltre effetti alquanto per

turbatori della opinione pubblica e degli spiriti locali e quindi piuttosto fasti

diosi per questo Governo, lo preoccupavano abbastanza le ripercussioni che

una simile sia pure limitata agitazione avrebbe probabilmente provocato

presso Stati Piccola Intesa sempre pronti a vedere rosso quando si accenni

soltanto alla possibilità di restaurazione. Il che, ha aggiunto sempre Bethlen,

cementando la compagine della Piccola Intesa proprio in un momento delicato

in cui questa si dimostra più fragile, fa il giuoco della Francia la quale per

mantenere compatto l'atteggiamento dei suoi vari componenti nella questione dell'Unione doganale austro-tedesca, starebbe inscenando un'azione di minaccia absburgica, di cui il giro che sta compiendo in questi giorni Sauerwein del Matin nelle varie capitali danubiane sarebbe un elemento molto significativo.

Bethlen ha un momento anche accennato interrogativamente all'eventualità che articoli in questione fossero stati indirettamente ispirati dalla stessa Francia attraverso personalità giornalistiche residenti a Vienna e si chiedeva se concetti propugnati potessero trovare favore in larga parte dell'opinione pubblica italiana.

Ho fatto considerare al mio interlocutore come non potesse trovarsi affatto strano che in un quotidiano come Tribuna il quale si occupa normalmente di polemiche riguardanti fatti salienti internazionali, trovassero largamente posto le espressioni dei vari avvisi che possono formularsi per le eventuali soluzioni di questioni così appassionanti come quelle relative alle molteplici conseguenze della progettata unione doganale austro-tedesca, ed il Conte Bethlen ne ha meco convenuto. Mi sono riuscite veramente di utile ausilio nel tranquillizzare questi ambienti governativi le spontanee dichiarazioni fatte in senso analogo sia a Khuen che al Capo Ufficio Stampa di questo Ministero Esteri dallo stesso Guido Puccio che trovasi occasionalmente oggi a Budapest per tenervi una conferenza (1).

(1). Con tel. p. rr. del 7 maggio Guariglia comunicò a Paternò il suo parere contrario ad accettare l'offerta del Negus di una concessione agricola.

(2) -In questo senso fu telegrafato a Paternò (tel. s. 526/125, 22 maggio, ore 16). Paternò mantenne il suo punto di vista favorevole alla concessione agricola e alla visita di Astuto ad Addis Abeba per consolidare la détente con l'Etiopia (tel. s. 1524/227, 30 maggio). (3) -Vedi te!. stampa 7 maggio n. 715 R.S. [Nota del documento].
254

IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. POSTA RR. 1859/1080. Vienna, 7 maggio 1931.

Facendo seguito al mio telegramma N. 145 in data 6 corrente (2), devo innanzi tutto ringraziare in particolar modo l'E.V. del Suo telegramma N. 131 in data 5 corr. (3), sia perché mutando in certezza la mia supposizione circa la nostra avversione all'unione doganale austro-tedesca mi ha dato modo di rettificare e precisare certe mie posizioni relative alla questione, nel mio nuovo colloquio con Seipel, sia perché tutto il contenuto del telegramma stesso mi ha offerto valida occasione per riprendere la mia precedente conversazione con monsignore e, soddisfacendo il suo amor proprio, assicurarmi il suo più volenteroso concorso nell'esame della migliore soluzione del non semplice problema.

Tornato dunque ieri da lui ho creduto ottenere migliore effetto leggendogli, senza nemmeno tradurlo, il testo italiano del telegramma di V.E. Affermando che Seipel ne è stato compiaciutissimo mi sembra dire poco. Gli hanno fatto particolare gradevole impressione così la frase ch'egli conosce da molto il peno;iero del governo italiano, come e anche più c~uella che se egli fosse stato a1

r3) Cfr. n. 245.

potere non avrebbe commesso l'errore, per maggiore efficacia avrebbe soppresso il • forse •. Altrettanto gradevole impressione hanno prodotto in lui le assicurazioni di V. E. sulla nostra volontà di rafforzare la situazione economica e politica di un'Austria amica dell'Italia e indipendente da influenze straniere; Seipel, come V.E. non ignora, è in cuor suo legittimista. E non minore ·soddisfazione ha prodotto in lui la mia riservata comunicazione che noi siamo contrari all'unione, in quanto ha visto in questa prova di fiducia, per la quale invece che a Schober è appunto a lui data notizia del nostro futuro contegno in Ginevra, il segno definitivo che il suo discorso parlamentare del '28 è ormai dimenticato e che siamo pronti a collaborare di nuovo cordialmente con lui. Onde, dopo la lettura del telegramma, ha desiderato gliene ripetessi qualche frase, ne ha voluto conoscere la data, e mi ha infine pregato di far pervenire al Governo fascista i suoi particolari vivi ringraziamenti. Dopo di che siamo entrati

nella sostanza della questione.

Il problema che v'era da risolvere e per il quale chiedevo il suo consiglio e la sua collaborazione nell'interesse dei presenti e futuri rapporti dei nostri due paesi era il seguente. Da un lato v'era l'esigenza per la tutela dei nostri interessi economici e anche politici di apparci all'unione, dall'altro v'era quella di impedire che da tale opposizione derivasse una ripresa di ostilità da parte dell'opinione pubblica austriaca a nostro riguardo. Bisognava quindi evitassimo un contegno semplicemente negativo verso questa repubblica. Un primo non indifferente passo in senso positivo lo stavamo facendo mediante i negoziati commerciali con Schi.i.ller, che era nostro vivo desiderio .giungessero a un concreto risultato. Già questo avrebbe qui potuto produrre buona impressione e annullare in parte quella della nostra futura opposizione a Ginevra. Ma se oltre a ciò altro si fosse potuto da noi fare dopo Ginevra a vantaggio dell'Austria per rafforzarne l'economia, noi eravamo pronti ad esaminare la questione con ogni cura e a dare il nostro volenteroso concorso per la sua soluzione nei limiti delle nostre possibilità. Senonché prima di tutto mi sembrava necessario sapere se egli intendesse di « sbarcare '' Schober prima di Ginevra: gli parlavo con ogni franchezza e gli promettevo il segreto.

Seipel, dopo aver assentito alle mie precedenti enunciazioni, ha risposto confermando la necessità di non pensare a rovesciare Schober se non dopo Ginevra. Se il partito cristiano-sociale suscitasse una crisi prima di Ginevra si attirerebbe i risentimenti generali. Schober ne uscirebbe come una vittima delle passioni politiche, con l'aureola dell'uomo di Stato che avrebbe salvato la Patria se non ne fosse stato impedito dall'odio dei suoi nemici; l'unione doganale avrebbe assicurato all'Austria il Paradiso terrestre nel quale tutti avrebbero trovata la loro felicità, anche quelli che ora sono ad essa contrari. Ciò non avrebbe giovato a liquidare soddisfacentemente né Schober né il suo progetto.

Ho ripreso che se così era mi pareva che dallo stesso punto di vista della politica interna austriaca, e anche dei bene intesi vantaggi della sua economia, una nostra opposizione non avrebbe dovuto riuscire sgradita a Seipel e al suo partito. Ci avrebbe pensato Ginevra a liquidare indirettamente e automaticamente Schober, e anzi ai cristiano-sociali sarebbe passata poi la parte di salvatori della patria, la parte di coloro cui spettava di compensare il paese da questa sconfitta internazionale riesaminando la situazione e cercando nuove vie di soluzione. Ma credeva egli alle voci di possibilità che Schober, per mantenere la sua posizione e cercare di assicurarsi la presidenza della Repubblica, si alleasse con i socialisti?

Seipel ha risposto non crederlo, e non ammettere assolutamente alcuna alleanza con i socialisti: in caso di necessità il suo partito agirebbe in modo da ottenere lo scioglimento del parlamento. (È da ricordare che le elezioni parziali amministrative di questi ultimi tempi in varie provincie hanno segnato un vantaggio per i cristiano-sociali e un danno per il gruppo Schober). E non ha negato che la nostra opposizione a Ginevra potesse giovargli.

Ho ripreso che gli dicevo ciò anche per un'altra ragione. Io non avevo dimenticato il suo desiderio di ottenere a Ginevra il riconoscimento, sia pure astratto, della libertà dell'Austria di negoziare. Ma egli doveva rendersi conto della nostra impossibilità, pur con le migliori intenzioni, di soddisfare il suo desiderio, oltre che per intuitive ragioni che derivavano da quanto gli avevo in precedenza esposto, per il fatto che a Ginevra si sarebbe trovato a rappresentare l'Austria e a prendere impegni per essa non lui bensì quello Schober che aveva acconsentito alla proposta tedesca dell'unione doganale.

Assodato questo primo punto, cioè che Schober sarebbe andato a Ginevra e che quindi fino a Ginevra non potevamo nulla concludere, ho detto che bisognava esaminare il da fare così colà come, dopo, qui. Le questioni erano, secondo avevo già accennato, due, l'una negativa l'altra positiva. La negativa era che cosa potesse farsi per evitare sfavorevoli risonanze in Austria per la nostra opposizione a Ginevra; la positiva, che cosa potesse farsi perché al progetto tedesco ed eventualmente al progetto francese un altro se ne sostituisse che prendesse il posto di quei due e mostrasse all'Austria la nostra volontà, nei limiti dei nostri interessi, di non danneggiare ma favorire quelli austriaci.

Seipel mi ha risposto sembrargli necessario che a Ginevra si mantengano

da noi rapporti con Schober e si cerchi una formula la quale, pur liquidando

in sostanza il progettato accordo, salvi le apparenze e dia qualche soddisfa

zione all'opinione pubblica d'Austria e anche più di Germania. Occorre evitare

il "colpo di mazza sulla testa che faccia stramazzare "· Egli non se ne preoccu

pava tanto per l'Austria quanto per la Germania, e da un punto di vista di

generale interesse europeo. La situazione austriaca non è tale che un cambia

mento di Ministero desti preoccupazioni, ma altra cosa è nel Reich ove la

caduta di Brunir:g potrebbe dar luogo a un sopravvento dei partiti estremi o di

sinistra o di destra con pericolo di turbamento dElla situazione europea. Sape

vo io dirgli quali fossero le nostre attuali relazioni con la Germania?

Gli ho risposto che non potevo parlare se non in nome mio perché non

avevo istruzioni. Quale fosse da alcuni anni la nostra politica nel riguardi della

Germania era a tutti noto. Avevo però l'impressione che la Germania non ci

avesse sempre pagato con la stessa moneta, e che preoccupata delle sue rela

zioni con la Francia ci avesse spesso chiesto sacrifici senza adeguati compensi.

Anche nella presente occasione la Germania ci domandava il nostro appoggio

e affermava una volta di più essere questa la pietra di paragone della nostra

a;nlciz:a verso dl essa. Ma si rendeva essa conto dei danni, anche solo economici,

che da tale appoggio ci sarebbero derivati, senza il corrispettivo di alcun beneficio? Non mi sembrava; pur affermando ora esserle di tanta importanza il nostro aiuto, essa si era astenuta dal dirci una sola parola prima di concludere l'accordo di principio con l'Austria, per sondare il nostro pensiero e assicurarsi in precedenza il nostro consenso. Si rinnovava in parte quanto era avvenuto nel 1914, e la catastrofe seguita alla guerra pareva non essere servita a dare alla Germania l'esperienza necessaria ad evitare gli stessi errori.

Anche in questo Seipel ha assentito. Ha poi ripreso che per evitare i danni delle ripercussioni in Austria della nostra opposizione a Ginevra molto avrebbe valso, come si era già detto, che Schiiller tornasse qui con un accordo concluso il quale sarebbe stato la migliore e più solida prova delle nostre buone intenzioni verso questo Stato. Le eventuali ripercussioni in Austria sarebbero derivate dalle notizie che questi giornali avrebbero ricevuto da Ginevra durante i lavori. Le notizie sarebbero state qui fornite dai corrispondenti dei giornali viennesi nonchè delle agenzie tedesche Wolff e Ullstein. Era utile che la nostra delegazione in Ginevra mantenesse rapporti con gli uni e con gli altri per cercare di influire sulla redazione dei loro telegrammi. Da parte sua egli mi prometteva tutto il suo appoggio per cercare così di calmare l'opinione pubblica e anche il suo partito come di illuminarli sulla vera ragione e sui veri scopi della nostra politica. Già del resto aveva agito in tal senso per dissipare una certa sfavorevole impressione destata qui dalla notizia che eravamo stati noi a prendere l'iniziativa per la riunione del Comitato di Controllo. Oltre a ciò egli considerava necessario che durante il corso stesso dei lavori di Ginevra i nostri tecnici avessero esaminato con quelli austriaci quale nostra iniziativa avrebbe potuto dopo Ginevra sostituire la tedesca e la francese. Si sarebbe così avuto qui la prova più convincente della nostra buona volontà malgrado la nostra opposizione a~l'unione, e la conferma quindi che tale opposizione derivava soltanto da nostre imprescindibili necessità e non da mutamenti di direttive politiche.

Al mio accenno alla voce della prossima stipulazione della seconda fetta del prestito, Seipel ha detto che egli non era entusiasta dei prestiti e che questa seconda fetta, quand'anche si fosse giunti alla conclusione, non sarebbe mai valsa a molto, sia perché si trattava di cosa già prevista, attesa e per così dire ~ scontata » dall'opinione pubblica, sia perché questa si rendeva conto che non si risanava veramente l'economia dello stato con simili mezzi i quali anzi si riducono spesso a un semplice incentivo per nuove spese non necessarie e in conclusione a maggiori aggravi per il bilancio senza adeguati vantaggi. Era più che mai necessario, nella presente generale situazione europea così poco tranquillante, che l'Austria non fosse sr:inta alla disperazione ma avesse un visibile e concreto mezzo di salvezza.

Per il momento non c'era altro da trattare. Mi sono quindi congedato da Seipel dopo essere rimasto d'accordo con lui che così prima come durante Ginevra avremmo mantenuti contatti continuati per esaminare a mano a mano che gli avvenimenti si sarebbero andati svolgendo quanto fosse il meglio da fare per l'interesse dei nostri due paesi e per i possibHi più stretti loro futuri rapporti. Egli mi ha detto e ripetuto che si te;1eva a mia completa disposizione.

Osservo intanto che, per mantenere Seipel nelle sue favorevoli disposizioni, facilitare la continuazione dei miei rapporti con lui e trarne il maggior profitto, sarebbe utile mi fossero inviate di tanto in tanto notizie o comunicazioni circa Ginevra da trasmettergli. Dall'effetto del telegramma di V.E. su lui mi rendo conto quanto soddisfatto e grato sarebbe per questa nuova prova della nostra fiducia, alla quale quindi con tanta maggior ragione non vorrebbe essere da meno. In questo nostro secondo colloquio, quasi per scusarsi di non averci prevenuto in tempo dell'accordo Curtius-Schober, mi ha ripetuto non esserne stato informato che dopo la presentazione dell'accordo stesso a questo Consiglio dei Ministri, e chiesto se io avessi già riferito tale particolare a V.E., al che ho risposto affermativamente.

(l) -Alla fine di maggio un giornale di Budapest diede la notizia, poi smentita, del fidanzamento fra Maria di Savoia e Otto d'Asburgo. (2) -T. rr. 1278/145, che non si pubblica.
255

IL MINISTRO A PRAGA, PEDRAZZI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. PER CORRIERE 1338/48. Praga, 8 maggio 1931 (per. l'11).

Le impressioni che qui si sono avute sulla riunione di Bucarest :sono quelle di un fronte unico che la Piccola Intesa ha costituito contro l'accordo di Vienna ed in favore del progetto di Briand, sull'assetto economico dell'Europa centrale e danubiana. Sl sapevano qui le grandi divergenze di ordine economico che dividevano ed ancora dividono gli alleati, ma si confidava che la azione della Francia, la sua pressione politica e soprattutto finanziaria avrebbero finito per imporre a tutti e tre gli stati una medesima linea di condotta. Questo sembra qui che sia avvenuto e se ne prende atto con molta soddisfazione facendo risalire alla Francia ed a Benes il merito della linea di condotta intransigente che ha finito per trionfare in seno alla restia alleanza.

Ho veduto Benes ieri mattina; egli era appena rientrato da Bucarest ed ha voluto parlarmi per le comunicazioni che ho già fatto ieri stesso con il mio telegramma N. 46. Dopo avermi ripetuto che l'accordo della Piccola Intesa era stato completo, assoluto, egli mi ha detto che le stesse indecisioni dei Ministri romeni Argetoiano e Manoilesco erano state molto facilmente vinte e che quindi il fronte unico degli alleati si poteva dire perfetto. Benes ha ancora una volta insistito (come del resto fa sempre da qualche tempo a questa parte) sulla precisa volontà della Piccola Intesa di non voler essere considerata vassalla della Francia ma egualmente amica della Francia come dell'Italia. Egli mi ha volutG raccontare che essendo egli andato a Bucarest con l'intenzione di precisare questo punto e di accentuarlo, aveva trovato che i suoi colleghi non avevano alcun bisogno di essere premuti da lui. Il principe Ghika aveva chiaramente le idee • di un uomo che viene da Roma • e Marinkovic ha più di tutti insistito sulla necessit:.t che a Ginevra tanto nella questione austro

tedesca che nelle altre questioni la Piccola Intesa debba cercare di mettersi d'accordo anche con l'Italia.

Benes parlava col suo solito calore ed io mi domandavo che cosa abbiamo fatto mai per essere diventati così interessanti e simpatici a questa gente!

Ho chiesto a Benes che significato avesse il colloquio dei due Re di Romania e di Jugoslavia che aveva suscitato qualche impressione per il fatto che avveniva mentre a Bucarest stavano adunati i Ministri degli Esteri dei tre paesi alleati. Secondo Benes il colloquio ha avuto un carattere di intesa

" dinastica , tra i due Re che hanno una posizione forte ma che devono per comune interesse tenersi vicini. Benes ha parlato anche della situazione in Romania. Secondo il suo giudizio il Governo di Jorga è molto più solido di quanto si può credere e l'alleanza di Jorga coi liberali potrà fargli ottenere una maggioranza. In ogni ènodo egli non crede che possa manifestarsi in Romania una dittatura, per la buona ragione che manca un uomo capace di fare il dittatore. L'ho interrotto: " Se ci foste voi! ».

Egli ha sorriso di compiacimento ed ha proseguito colla affermazione che il Re Carol non ha stoffa di dittatore. Egli non avrebbe nel giudizio di Benes, nè esperienza, nè conoscenza di uomini e di cose, nè una personalità tale da imporsi. Insomma Benes considera il Re con molta disinvoltura e con una noncuranza sintomatica. Non gli piace. Ma egli spera che la Romania aggiusterà colle prossime elezioni ogni guaio di politica interna.

Prima di finire il suo discorso nel darmi la notizia che gli alleati avevano deciso di seppellire la sua candidatura alla Presidenza della Conferenza pel Disarmo, Benes ha nuovamente ripetuto, come se avesse avuto paura che non avessi capito abbastanza, che egli vuole andare d'accordo con noi, che noi abbiamo solo da dirgli che cosa desideriamo. Per quanto riguarda l'atteggiamento di questo Governo di fronte al progetto Briand, di cui mi è chiesta notizia nel telegramma 449/27 del 2 corrente le decisioni di Bucarest lo hanno già chiaramente determinato. Per le piccole divergenze che vi possano essere in argomenti di dettaglio mi riservo di riferirne appena avrò potuto rivedere Benes.

256

L'AMBASCIATORE A BERLINO, ORSINI BARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

R. R. s.N. Be1'lino, 8 maggio 1931.

Rispondo al quesito posto da V.E. con la Sua lettera riservata del 2 maggio,

N. 1794 (1). Cercherò di essere breve quanto l'argomento lo consente -e perciò Ella mi concederà di esporre il mio pensiero non con larghe frasi, ma in punti succedentisi:

l) La repentina decisione dei Gabinetti di Berlino e di Vienna di pubblicare l'iniziativa presa di un'unione doganale, ha turbato il lento e penoso

lavoro di cristallizzazione dei rapporti internazionali ed ha posto d'un tratto il Governo del Re di fronte ad un problema economico, che è in pari tempo essenzialmente politico.

2) Economicamente, dato che sia realizzabile un effettivo accordo tra Austria e Reich (sul che ho molti e radicati dubbi), l'unione doganale divisata :si presenta pregiudizievole ai nostri interessi industriali. Per quelli agricoli, lo stesso Ministro Acerbo, nella riunione dei tecnici, ha riconosciuto che, in fin dei conti, invece che danno potrebbe arrecarci qualche vantaggio. Ai danni per le industrie si potrebbe trovar modo di riparare, qualora per ragioni politiche si reputasse conveniente di non prendere a Ginevra un'attitudine di decisa, assoluta opposizione. Il Governo germanico si è dichiarato d!sposto a trattare a quel fine -domanda solo di conoscere i nostri • desiderata ». Anzi, in questo momento, nel quale a quel Governo sta molto a cuore l'attitudine

.del rappresentante italiano a Ginevra, si potrebbe ottenere assicurazioni per vantaggi economici speciali da realizzarsi quando si verrà alla revisione del Trattato di Commercio italo-tedesco.

Il Governo germanico ha dato, in questi giorni, una prova reale di queste momentanee (scrivo momentanee, poiché l'attitudine futura del Reich verso le nostre esportazioni risentirà delle direttive di politica estera -von Schubert

€ stato con Lei assai chiaro) (l) disposizioni favorevoli, salvando le nostre importazioni in Germania (meno le poche oche che importiamo ed i pochi piselli) dalla bufera protezionista, nelle settimane scorse, effettivamente minacciosa. Quanto al temuto danno per i nostri porti adriatici, di cui leggo un accenno nel resoconto delle sedute dei tecnici, S.E. von Biilow mi ha detto che francamente a ciò nessuno in Germania aveva finora (2) pensato, ma che anche su questo punto non sarebbe difficile dare assicurazioni al R. Governo.

3) Dal punto di vista politico, l'iniziativa austro-germanica va consi

derata sotto due aspetti: a) come primo passo verso l'Anschluss politico; b) come mezzo di assaggio delle disposizioni delle varie Potenze con

tinentali verso il Reich.

4) Per quanto riguarda il quesito A) osservo che se alla Germania riuscisse portare in fondo l'accordo doganale con l'Austria, ciò costituirebbe un forte impulso alle tendenze annessioniste di una gran parte dell'opinione pubblica germanica, che non troverebbe però in Austria rispondenza uguale nè per estensione, nè per profondità. Dato che per l'Italia l'indipendenza dello Stato austriaco è un interesse vitale, l'Anschluss non potrà mai avere il nostro consenso -su questo punto fondamentale non credo però che a Berlino si nutrano illusioni.

Ma oggi, di questo non si tratta nè può trattarsi, la Germania non può pensare a compiere quel passo, 1pur ritenendolo fatale. Solo con la forza potrebbe realizzarlo. Non è certo nè oggi nè domani che essa potrà disporre

della forza necessaria. Noi ci porremmo sur un terreno non attuale, se ci lasciassimo oggi condurre da previsioni assai premature a dichiarazioni che oltrepassassero i limiti segnati dall'iniziativa austro-germanica.

5) Per quanto riguarda il punto B) conviene tener presente la terribile situazione nella quale si dibatte il Governo del sig. Briining e ricordare che l'iniziativa austro-germanica, più che da impellenti cause economiche, è stata determinata dalla volontà di rimettere in movimento quelle acque costituenti la morta gora nella quale la politica estera del Reich si dibatte da anni. Questa ripresa di attività all'estero è stata una conseguenza del risveglio nazionale all'interno e del piano di riattivare diplomaticamente il sistematico lavorio che dovrà condurre alla revisione del Trattato di Versailles, alla liberazione degli opprimenti pesi per riparazioni. Sotto questo aspetto si deve riconoscere che l'iniziativa ha già portato qualche risultato. La Germania si trova oggi, dì fronte alle Potenze maggiori, in una posizione diplomatica migliore, relativamente a quella nella quale, per esempio, si trovò all'Aja. Le Potenze sono più apertamente fra loro divise. La Francia e la Cecoslovacchia sulla difensiva -la Piccola Intesa assai malandata. La Gran Bretagna disposta ad esaminare le questioni con una certa benevolenza verso la Germania. Migliorata anche è la nostra posizione; ciò è dimostrato dall'attenzione.• con la quale da Parigi e da Berlino si segue la nostra condotta, l'ansia con la quale si attende di conoscere il pensiero di 8. E. Mussolini e di udire la parola di V. E.

Ora è il momento di domandarci: conviene a noi di ricostituire, sotto l'incubo di quell'Anschluss che è un pericolo molto lontano, una fronte unica anti-germanica con lo schierarci dalla parte della Cecoslovacchia, della Francia, quando il sig. Benes cercherà di portare la discussione sull'iniziativa austrogermanica dal campo economico in quello politico? e quando si arrivasse ad tD voto di riprovazione in seno al Consiglio?

Convengo con V.E. che l'iniziativa austro-germanica è stato un errore e per di più compiuto inabilmente, ma non dimentichiamoci che esso è stato compiuto anche per ribellarsi alla egemonia della Francia, per dar segno di vita indipendente.

Se dopo questo sforzo, Brtining dovesse constatare l'inutilità di ogni suo tentativo di resistere al volere della Francia e che la Germania non può contare non dico sull'amichevole appoggio, ma nemmeno su una benevola comprensione da parte dell'Italia delle sue aspirazioni nazionali, cosa gli resterebbe da fare? Piegarsi ai voleri della Francia, presso la quale, almeno, troverebbe i mezzi per salvare lo Stato dalle mordenti strette finanziarie tra le quali è preso. E se questa resa a discrezione a lui ripugnasse, se egli (ex combattente) preferisse alla resa l'abbandono dd potere assisteremmo qui anzitutto ad un periodo caotico poi alla rinascita di un governo democratico-socialista (quindi antifascista) e legato a filo doppio alla Francia. In questi giorni più del pericolo dell'Anschluss, considero preoccupante per la pace generale e per la nostra posizione in Europa la tempesta che va accumulandosi su questo paese e della quale a Ginevra assisteremo alle prime battute.

Riassumendo a me sembra savio consiglio quello espresso da V.E. di spingere cioè le trattative per la conclusione di accordi economici con l'Un

gheria e con l'Austria. Sarebbe desiderabile che quando V.E. si recherà a Ginevra queste trattative fossero giunte a tal punto di consolidamento da permetterle di farne base ad una nostra posizione particolare, distinta sia di fronte all'unione austro-tedesca, sia di fronte al controprogetto francese. Da quella posizione sarà più vantaggioso trattare con i due campi avversi. Per quanto riguarda il lato politico del problema, sono certo di trovarmi d'accordo con V. E. nel ritenere che a noi convenga appoggiare l'azione inglese che, secondo le notizie qui giunte, tenderà ad evitare che si addivenga ad una discussione politica. Non posso poi che metterla in guardia, nei riguardi di Curtius. Egli è un debole. Ha dei momenti di irrigidimento nazionalista, ma il più sovente egli è un avvocato, integerrimo, ma portato personalmente ad un compromesso con la Francia per la quale stanno attivamente lavorando i partiti socialisti di qua e al di là del Reno -i rappresentanti dei quali si sono riuniti ier l'altro a Zurigo, e l'alta banca. Sia che a questo compromesso si arrivi o no io ritengo che per l'avvenire dei rapporti tra la Germania e l'Italia convenga che nell'opinione pubblica tedesca e specie nei partiti di destra resti l'impressione non aver l'Italia collaborato a piegare la Germania

ai voleri della Francia.

(l) Cfr. n. 242.

(1) -Cfr. n. 238. (2) -La parola « finora • è stata postillata a margine con un punto esclamativo.
257

IL MINISTRO AL CAIRO, CANTALUPO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

'TELESPR. RR. 1557/485. Cairo, 8 maggio 1931.

Seguito mio telespresso 483 data odierna (1).

Ho assodato che tra gli elementi che dirigono l'agitazione sono non solo siriani, come ho detto nel mio sopracitato telespresso ma anche studenti alge~ rini e tunisini dell'Azhar: tutti, comunque, sudditi coloniali francesi. Uno di essi ha oggi confidato ad un mio informatore che « alcuni francesi li incoraggiano , , e che egli sapeva che " il console di Francia a Gedda aveva incoraggiato Ahmed Scerif ad accendere la campagna , . Questa ultima affermazione sembra confermare le informazioni nel medesimo senso raccolte di recente dal R. Console Sollazzo.

Stasera all'Azhar, dopo la preghiera, un gruppo di studenti tunisini e algerini ha tentato inscenare una dimostrazione; trattandosi di sudditi francesi, il Ministro Interno ha informato il Consolato di Francia il quale ha pregato la Polizia egiziana di arrestarli: ciò che è stato fatto. In serata i cawas del consolato sono andati alle carceri per confermare che l'arresto era avvenuto per volontà delle Autorità francesi.

• Assai :9iù che infierire contro di noi ner le :9retese atrocità, alle quali in fondo solo le povere masse hanno creduto, le proteste sono dirette principalmente contro "l'Italia perchè attacca l'Islam ". Ed è questo, a mio avviso, il lato più preoccupante della campagna: non bisogna dimenticare che noi non abbiamo mai avuto contro di noi l'odio tipico

(l) Telespr. 1552/483, nel quale dopo aver affermato che l'agitazione era diretta da elementi siriani per conto dello Scekib Arslan, Cantalupo scriveva:

258

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL CONSOLE GENERALE A TANGERI, DE FACENDIS

T. (P.R.) 4192/17. Roma, 9 maggio 1931, ore 24.

Opinione pubblica si interessa vivamente a quanto accade nel Marocco spagnuolo in conseguenza dei recenti mutamenti avvenuti nella metropoli.

Mentre mi riservo rispondere circa invio funzionario di cui Suo telegramma n. 15, prego V.S. segnalare con telegrammi stampa in chiaro notizie di particolare interesse e farmi conoscere Suo pensiero circa opportunità missione costà di qualche autorevole giornalista per una serie di articoli. Ravvisandone opportunità, V.S. potrà telegrafare notizie adatte per stampa direttamente alla Stefani a firma Stefani, facendo figurare come mittente persona che crederà conveniente.

259

IL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA LEVANTE ED AFRICA, GUARIGLIA, AL MINISTRO DELLE COLONIE, DE BONO (l)

(ASMAI, fase. " Creazione di una filiale dell'Istituto Commerciale in Addis Abeba •)

T.e:LESPR. RR.U. 216662. Roma, 9 maggio 1931.

Con riferimento alle varie recenti comunicazioni circa l'attuale situazione della Banca d'Abissinia ed il previ~to assorbimento di quest'ultima nella costituenda Banca di Stato etiopica, 'Si attira la particolare attenzione di codesto Ministero su quanto il R. Ministro in Addis Abeba espone e propone con suo rapporto riservatissimo del 10 marzo c.a. qui allegato in copia.

dei musulmani e che, se esso dovesse nascere, una fase di difficoltà serie potrebbe prodursi nei nostri rapporti con il mondo musulmano. Solo due anni fa eravamo qui contrapposti alla Francia, per la politica che questa ha sviluppato in Siria, oggi siamo accomunati acl essa o quasi...

Tra i profughi di Cufra arrivati in Egitto, e sono moltissimi, sembra vada determinandosi un certo movimento tendente al rimpatrio. Alcune famiglie mi hann0 fatto domandare se potrebbero ritornare a Cufra, così come tornano in Tripolitania numerose famiglie di fuorusciti. In data Io maggio h0 telegrafato al Governo di Bengasi:

"1414. Prego farmi conoscere urgenza quale accoglienza cotesto governo farebbe ad eventuali domande di famiglie Cufra che domandassero per tramite questa Legazione poter ritornare Cirenaica. Naturalmente non riceverei domande di elementi ribelli o notoriamente ostili nostro dominio".

Fino ad oggi non mi è pervenuta risposta. In via riservata mi permetto far prefPnte c!-,e, anche 2 parere di tutti i nostri amici musulmani, ottima sarebbe l'impressione che produrrebbe un provvedimento del Governo di Bengasi in favore dei rimpatri. Il Pres;dente del Consiglio ritiene basterebbe a far cessare ogni propaganda avversa. Lo ritengo :ermamente: esso, se annunciato da questa Legazione, gioverebbe grandemente, e assai più di qualsiasi smentita, a provare che la situazione reale in Cirenaica non è affatto quella descritta dallo Scekib Arslan. Giudichi V. E. se non sia opportuno un passo presso il Ministero delle Colonie, che non credo avrebbe ragione di opporsi».

Il Marchese Paternò si riferisce, nel formulare le sue proposte, a quanto egli ebbe già a comunicare con rapporto N. 1820-183 del 19 novembre 1930 (trasmesso direttamente anche all'E.V.) circa la situazione economico-commerciale dell'Etiopia, e viene in sostanza a riprendere, con alcune modificazioni suggerite dalle particolari condizioni d'ambiente, quell'iniziativa di costituire in Abissinia un istituto commerciale-finanzi2rio italiano circa la quale si erano trovati sin dallo scorso anno pienamente concordi sia codesto R. Ministero (telespresso di V.E. N. 44229 del 4-6-1930), sia la R. Legazione in Addis Abeba (telespresso di Addis Abeba N. 1688-136 dell'll agosto 1930) diretto anche a codesto R. Ministero) sia anche il Governo della Colonia Eritrea (Rapporto di

S.E. Astuto N. 16814 P.G. del 6 ottobre 1930).

Questo R. Ministero pienamente concorda nelle considerazioni svolte dal Marchese Paternò e, pur non nascondendosi le difficoltà di ordine finanziario che possono nell'attuale momento ostacolare la realizzazione pratica dell'iniziativa, si dichiara pronto --dato il vantaggio politico ed anche economico che a noi deriverebbe dall'esistenza nella capitale etiopica della progettata Istituzione -ad adoprarsi, d'accordo con codesto Dicastero, e con altri enti eventualmente interessati, a favorire la realizzazione della iniziativa stessa.

Sembra tuttavia a questo R. Ministero che il progetto per la creazione in Etiopia di un Istituto commerciale italiano al quale potrebbero anche venir devolute quelle funzioni di carattere bancario attualmente svolte dalla R. Lega.zione e dalle nostre Agenzie dell'in.tcrno (trasferte e rimesse da parte di capi e di Ditte), dovrebbe venire, almeno in un primo tempo realizzato, sulle basi prospettate nel rapporto Paternò, dal R. Governo della Colonia Eritrea d'accordo coa la rapprese;'ltanza locale della Società Coloniale Italiana.

Questo Iv'Iinistero racco;:nanda quindi a codesto di volere dare a S.E. Astuto oppo:rtune telegrafiche istruzioni di adoperarsi efficacemente per la attuazione di tale progetto, concretandolo definitìvamente, d'accordo coi Dirigenti della Società Coloniale in Eritrea.

Ove cotesto Ministero lo ritei1ga del c::1so, potrebbero anche essere intercsEati in proposito i dir!genti del Credito Italiano Eel Rc;gno.

Il R. Ministro in Addis Abeba ha poi fatto telegraficamente conoscere a questo R. lVIinistero che, contrariamente a quanto egli aveva comunicato r:el c_ui allegato suo rapporto, il Rar,. Pivetta, Agen~e della Coloniale a GibGti, non potrà per il momento recarsi all'P.smara, e che, onde evitare i danni che possono derivare dal ritardo che lo duclio del progetto in esame viene così a subire, egli ha glà telegraficamente i:<tE:1·es·,ato S.E. Astuto a prendere coi dirigenti della Società Color:iale a Iviassam:. gli opportuni contatti in vista della organizzazione della progettata Agenzia della Società in Addis Abeba.

Questo R. Ministero rimane in atte3a di conoscere quale seguito codec;to l\linistero avrà creduto di dare alla proposta in oggetto (1).

ALLEGATO.

PATERNO' A GRANDI

(Copia l

R. RR. 59/25. Addis Abeba, 10 marzo 1931.

Il Signor Collier, Governatore della Banca di Abissinia mi aveva letto, dopo

il suo ritorno da Cairo, il testo dell'accordo da lui ventilato col Governo abissino

in merito alla liquidazione della Banca. In detto accordo, che fu sottoposto da

lui all'assemblea degli azionisti in Egitto, è prevista la proroga desiderata dal

l'Imperatore per il pagamento della somma necessaria al riscatto dell'Istituto di

Credito in questione, nel totale ammontante a circa 250.000 sterline.

Di tali somme, effettivamente, il Governo etiopico ha sinora versato 40.000

sterline, prelevate dal deposito di 125.000 sterline a suo tempo fatto a garanzia

della domanda di scioglimento dell'attuale Banca. Come e se sarà possibile agli

abissini raccogliere il capitale occorrente è ancora malagevole dire e meno ancora

prevedere, date le ben note difficoltà incontrate dallo Imperatore nei suoi nego

ziati per un prestito ad hoc (sui quali questa R. Legazione ha fornito mano

a mano le informazioni raccolte).

Ciò che importa rilevare è che nel documento lettomi dal Signor Collier è

previsto che l'attuale Bank of Abyssinia dovrà alla fine maggio entrare in com

pleta liquidazione, anche se a quella data il Governo abissino non dovesse esser

pronto a riscattare l'attivo dello Istituto. In tale ipotesi l'Abissinia rimarrebbe

senza Banca.

V. E. ricevette a suo tempo il mio Rapporto N. 1820;183 nel quale ebbi l'onore di prospettare l'idea di creare in Abissinia un istituto di commercio italiano, su basi serie con appoggi di prim'ordine, il quale venisse a coordinare i nostri sforzi futuri per una razionale penetrazione economica, e fosse anzitutto in condizioni di sostituirsi praticamente alla Banca d'Abissinia nel servizio rimesse, nonché in quello delle compensazioni di pagamento interessanti il nostro commercio e in genere tutti i rapporti di dare ed avere fra l'Itali::l, le Colonie italiane e l'Abissinia, ivi compreso l'importante servizio di trasferta di fondi che fa attualmente la R. Legazione. Questa mia idea, nella ipotesi di una reale cessazione della Bank of Abyssinia, diverrebbe una immediata necessità al fine di evitare che le nostre iniziative ed i nostri commerci, sotto il diretto e non disinteressato controllo di altre iniziative straniere del genere, come ad esempio la Société Nationale d'Ethiopie, venissero strozzate e fosse resa cosl impossibile la loro esistenza.

Ritengo che ad una simile nostra organizzazione finirebbero per appoggiarsi anche abissini e stranieri, i quali non hanno nello interno alcun modo di svolgere i loro affari, se non attraverso le nostre Agenzie, le quali, all'intE-rno, potrebbero coadiuvare J.'ente auspicato nel servizio trasferte e rimesse che neppure la attuale Bank of Abyssinia è in grado di svolgere e che solo noi, R. Legazione, stiamo attualmente, in forma embrionale, svolgendo fin nelle più lontane regioni dell'Etiopia. Accanto a questo lavoro larvato di Banca dovrebbero sorgere veri e propri affari commerciali e depcsiti di merci che solo la presenza dell'ente in questione renderebbe possibile: così come accade già con una grande Ditta indiana, Mohamedally, la quale ha in tal modo pr3ticamente monopolizzato il commercio fra l'Abissinia e l'India.

Sono del parere che anche nell'ipotesi di una trasformazione dell'attuale Banl: of Abyssinia in un altro istituto nazionale abissino od in qualcosa intermedia, come una banca gestita da un gruppo straniero (Société de Gérance di cui al mio telegramma N. 103) a noi converrebbe lo stesso dar vita allo auspicato organismo italiano, non soltanto per eYitare di essere espulsi da questo mercato. come è ormai in parto avvenuto, ma anche per creare un centro di azione che non mancherebbe in 8'i\·enirc, di costituire un vero e proprio apporto nel campo politico.

Come accennavo nel citato mio scritto, dovremmo servirei delle organizzazioni economiche già esistenti alla periferia; abbiamo ad esempio la Società Coloniale Italiana, la quale ha già rapporti di affari con l'Abissinia e potrebbe, per la sua serietà, affrontare il problema.

La Coloniale, se appoggiata dal Credito Italiano e coadiuvata dalla Banca di Asmara, sarebbe intanto in condizione di fondare subito una succursale ad Addis Abeba la quale dovrebbe. nell'inizio presentarsi con la veste di una semplice agenzia dipendente dalla sede di Gibuti, come fu già fatto una volta e poi dis<'atto per mancanza di una adeguata organizzazione ed a causa anche della mancanza di un programma sufficientemente vasto; non credo, purtroppo, che potrebbesi nella circostanza, chiamare a collaborare la Società Commerciale di Mogadiscio, che, a detta di quel Governatore, non sembra avere una consistenza tale da permetterle di allargare le basi dei suoi affari. Si rischierebbe altresì di togliere al creando organismo quella omogeneità necessaria ad un lavoro fattivo.

Il Rag. Pivetta, Direttore della Agenzia di Gibuti della Società Coloniale Italiana, si recherà presto, su mio invito, a Massaua per conferire al riguardo con S. E. Astuto e, poscia, in Italia per parlare con i Signori del Credito Italiano.

Sarei grato se V. E. volesse accordarmi tutto il Suo illuminato appoggio in questa iniziativa che deve, a mio giudizio, essere rapidamente tentata per rafforzare la nostra presenza in un Paese dove è necessario irrobustire i nostri interessi politici con la formazione di un substrato economico, che attualmente manca quasi completamente.

(l) Il documento fu inviato per conoscenza anche al ministero delle finanze, alla Banca d'Italia, alle ambasciate n Parigi e Londra, e alla legazione al Cairo.

(l) In calce la seguente annotazione di De Bono, come traccia per la risposta al ministero degli esteri: • l) Concordo -come già dissi -sulla opportunità dell'Istituto nostro in Abeba. 2) Ho telegrafato Astuto nei termini voluti. 3) Scrivo alla Camera di Commercio Coloniale, il cui Presidente è anche Presidente della Coloniale e consigliere Credito Italiano perché metta tutto suo interesse per la riuscita •·

260

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. PER CORRIERE 1339/247/136. Belgmdo, 9 maggio 1931 (per. l'li).

Mio telegramma n. 26/135 in data odierna. Ho avuto stamane conversazione con Marinkovich durata due ore. Eccone largo riassunto:

Conferenza Piccola Intesa ha confermato perfetta unione tre alleati che hanno deciso mantenerla di fronte qualsiasi possibile combinazione e si~ua::i.one di futuro sviluppo. Ciò è importante in quanto Cecoslovacchia ha rinunziato sua posizione prees:stente e diretta alla strenua difesa suoi prodotti agnTii anche contro produzione agricola romeno-jugoslava. Ma è i:nportantc anche? p2r altre due Potenze. Era più facile per Jugoslavia resistere offerte germaniche. z:.ssai meno per Romania che trovavé'.si di fronte proposte estremamente allettanti e che erano l'impegno allo acquisto di tutta la sua produzione agricola, il che rappresenta circa 2 miliardi e mezzo di Lei annui. Malgrado i diverger;U interessi, malgrado il teatativo di disgregazione fatto dalla Germania, la Pi::cola I:1tesa hB mantenut2 la sua unità, decidendo an::he di rinviare a dopo Ginevi·a tutte le attuali trattative commerciali in corso con Austria e Germania. Così la Rumania ha pregato delegazione Germanica di non recarsi a Bucarest crean,.~o ~l malumore e l'incidente che è noto, come la Jugoslavia ha trovato maniera di sospendere le iniziate trattative con l'Austria mettendosi al rischio di trovarsi al l o luglio senza trattato di commercio. Se questo avverrà la Jugoslavia eleverà al massimo sue tariffe doganali che interessano l'Austria (specie ma

terie tessili) in modo da praticamente chiudere in assoluto la frontiera. Ciò produrrà contromisure contro la importazione jugoslava in Austda, ma sarà il solo modo di difendersi, e di riaprire se mai i negoziati su basi utili.

È sua opinione che la Germania e l'Austria non recederanno dal loro proposito e che si finirà col dovere andare all'Aja. La discussione di Ginevra vi sarà in relazione al responso del Comitato di Garanzia che dovrà pronunciarsi se o no l'Austria sia in contrasto col Protocollo del 1922. Comunque la sua impressione di massima è che difficilmente ci si potrà opporre alla unione doganale se anche le discussioni giuridiche si trascineranno. È contro i pericoli politici che egli stima personalmente che si dovrebbero chiedere all'Austria e Germania fino da ora garanzie politiche per il caso che l'Anschluss si faccia. Esse valgono per quello che valgono, ma ha concluso " è meglio avere due bottiglie di whisky che una ".

La posizione della Piccola Intesa sarà di opposizione ed egli ha in certo modo ricevute le opportune istruzioni da Benès e Ghika circa la condotta che egli dovrà tenere per conto della Piccola Intesa nel dettaglio terrà conto delle circostanze e si uniformerà di massima a quella della Francia e delle altre Grandi potenze.

Non crede alla attuabilità del progetto Briand. Esso è anzitutto ancora troppo vasto per avere un risultato preciso, per quanto nella ultima edizione miri a finalità più specifiche e concrete.

Il progetto Eriand ha due scopi: uno essenzialmente francese: impedire la unione austro-germanica; uno utile specialmente alla Piccola Intesa e che comporta qualche sacrificio da parte della Frar..cia. Ma siccome egli crede che l'obbiettivo puramente francese non potrà essere ottenuto non vede perché la Francia spingerebbe la attuazione del secondo scopo nel quale essa non ha nessun diretto effettivo vantaggio e soltanto sacrificio.

È a questo momento che principalmente potrà presentarsi il suo progetto, per quanto egli ritenga che esso possa coesistere anche col progetto fraecese perché se territorialmente più ristretto ha finalità economiche più ampie. l\'Ia in ogni caso è più agevolmente presentabile quando il terreno sarà sbarazzato dal progetto Briand.

Egli ha avuto la adesione di Benès e Ghika al suo progettG, lasciando a lui tempo e modo di presentarlo e prendere contatti con V.E. a Ginevra anche in loro nome per la sua concreta presentazione. Egli non ha per il suo progetto più dettagli di quelli che mi abbia esposti, ma stima che accordat'si sulle linee fondamentali il resto non sia malagevole a risolvere. Di tale suo progetto è stata evitata con cura ogni allusione nella stampv. per impedire sia offerto anche indirettamente argomento favorevole ai progetti austro-germanici, se conosciuto.

È poi necessario sapere se (e qui ha ricordato il fidanzamento di Arlecchino con la figlia del Re, che era fatto al 50 per cento, ma mancava sem;>re l'altro 50 per cento cioè il consenso della figlia del Re) l'Italia è disposta ad accettare questa combinazione e mettersene alla testa.

In ogni caso un modus procedendi non potrà fissarsi che a Ginewa tenuto conto di come si svolgeranno le discussioni sull'unione doganale e sul progetto Briand.

A Bucarest egli è stato subito interrogato da Benès e Ghika sui rapporti itala-jugoslavi, il cui regolamento è base prima del progetto da lui sostenuto ed egli ha risposto che i rapporti diplomatici sono assai migliori di quanto appare dall'esterno, ha accennato a contatti già avuti con V.E. e a quelli che si rlpromette avere a Ginevra.

Ed a proposito di questi ha aggiunto di avere avuto da Rakic relazione dell'ultima conversazione con Guariglia (1), di vedere adesso la questione albanese sotto altra luce. Prima di partire per Ginevra esporrebbe la questione e domanderebbe ogni maggiore autorizzazione (allusione al Re) per vedere di concludere questo punto. Quelli relativi alla Francia ed alle altre questioni non gìi parevano difficili.

Dal canto mio mi sono limitato (salvo che nelle lunghe discus,,aoni relative alla storia dei rapporti itala-jugoslavi dal 1915 in 'poi, dove ho 1precisato e rinfrescato qualche suo ricordo con i miei) a fargli ripetere con ogni precisione, e ad evitare equivoci sulle sue espressioni, quanto egli mi diceva circa la prossima riunione di Ginevra per la discussione dell'unione austro-germanica, il progetto Briand, il suo progetto economico e come egli lo presenterebbe e spingerebbe e se l'accordo era completo anche per questo punto.

Per quello che riguarda il pensiero di V.E. sul di lui progetto ho creduto utile dirgli che non ero autorizzato a fargli nessuna comunicazione, ma sapevo che V.E. aveva letto con interesse il mio esposto, lo considerava favorevolmente come prima impressione generale, ma sarebbero stati necessari maggiori dettagli per esprimere un preciso definitivo giudizio. Era in ogni caso occasione per esaminare ampiamente e definitivamente i rapporti politico-economici italajugoslavi.

Non nascondo a V.E. che le sue risposte sul suo progetto economico non mi sono sembrate complete e pronte e perciò il dubbio che possa essere anche una manovra non è interamente cancellato dal mio pensiero. Mi sarebbe perciò utile conoscere quello che eventualmente diranno in proposito i miei colleghi di Bucarest e Praga se ne avranno intrattenuto Benès e Ghika.

Quanto alla discussione che Rakic ha avuto con V.E. (2) e poi con Guariglia mi sono limitato a mettergli nuovamente in chiaro la nostra posizione attuale in Albania, la impossibilità di modificarla, ma la certa possibilità di accordarla con gli interessi balcanici jugoslavi specie dopo gli ultimi chiarimenti di V.E. e le suggestioni personali di S.E. Guariglia, soprattutto in relazione alla ipotGsi di un forzato intervento italiano, intervento che per altro mi sembrava impossibile anche per ragioni interne, poiché nessun elemento interno avrebbe avuto interesse ad una eventuale situazione anarcoide dell'Albania quando non avesse potuto speculare sui dissensi itala-jugoslavi. A questo punto Marinkovich ha fatto una utile ammissione che cioè se si fosse tolta agli albanesi la minaccia di un intervento straniero essi sarebbero stati incoraggiati a creare disordini, e che non doveva mai pubblicamente apparire che la Jugoslavia chiedeva garanzie e cautele all'Italia per esso.

Marinkovich parte per Ginevra il 12 p.v.

Aggiungo aver visto ieri questo Ministro di Inghilterra. Questi mi ha parlato del progetto Marinkovich dicendomi sapere che era stato esposto anche a me. Il Foreign Office lo aveva accolto con favore, ed Henderson ne avrebbe i:1trattenuto Marinkovich a Ginevra. Sopratutto incontrava favore anche perché ~1el gruppo progettato avrebbero preso parte anche stati già nemici, con evidente benefico influsso sulla situazione generale europea.

Mi ha poi parlato dei rapporti itala-jugoslavi, ribattendo il consueto suo tema più volte esposto. Principalmente si è fermato sul motivo albanese, dicendomi che la Jugoslavia non avrebbe mai accettato neanche la ipotesi di un :ntervento italiano, che era meglio rinunciare alla dichiarazione del '21 che già se le circostanze ne avessero chiesto la applicazione l'Inghilterra avrebbe certo fatto onore alla sua firma, ma non sapeva se la Francia l'avrebbe fatta. Gli ho risposto spiegandogli per la ennesima volta onde derivi la nostra situazione attuale in Albania, e confermandogli le impossibilità di recedervi anche formalmente e convenzionalmente. Se egli voleva fare opera utile doveva obiettare al Re ed a chi gli diceva qui inammissibile l'intervento italiano, che questo intervento anche se per a:ssurda ipotesi si fosse verificato e con l'assenso della Società delle Nazioni, non significava poi quella cosa tanto tragica e paurosa cui oggi si vuole far credere, quando vi fosse stata da parte della Jugoslavia sincerità ed onestà di intendimenti e fiducia nei nostri impegni. Non doveva incoraggiarli nel loro pensiero.

(l) -Cfr. n. 230. (2) -Cfr. n. 216.
261

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO A BUDAPEST, ARLOTTA

T. 501/70. Roma, 11 maggio 1931, ore 24.

Prego recarsi personalmente dal Conte Bethlen e comunicargli a mio nome che sono stati parafati l'altro giorno qui a Roma i noti accordi economici con l'Austria che si incatenano con quelli itala-ungheresi ed ungaro-austriaci. Della cosa è stata data sommaria notizia alla stampa in considerazione di una pubblicazione avvenuta sulla Neue Freie Presse. Nel pensiero del Governo italiano questi accordi dovrebbero formare la base e la direttiva della linea di condotta italiana nella prossima riunione di Ginevra, poichè mentre da un lato noi non possiamo assolutamente approvare il progettato accordo austrotedesco ed intendiamo che esso venga esaminato a fondo in tutti i suoi vari aspetti, politico, economico e finanziario (ragione per cui ci siamo fatti iniziatori della proposta di convocazione della Commissione di Controllo per l'Austria), dall'altro non possiamo nemmeno seguire il progetto francese che nella sua indeterminatezza presenta oltre tutto il solito inconveniente dei tentativi della Francia di voler mettersi a capo di una organizzazione di collaborazione economica generale europea che metta su di una linea uniforme le varie necessità economiche e anche politiche dei Paesi che con la Francia non hanno del resto diretti interessi di traffici e di scambi.

Questi sono stati i criteri a cui ho ispirato la mia azione prima di p<:.rtirc per Ginevra. Mi propongo di trarre norma dallo svolgimento delle discussioni che avranno luogo colà per le decisioni definitive che la grave questione richiederil.

Ella vorrà aggiungere al Conte Bethlen che sarò lieto di tenermi a Gmeaa

in cordiale e stretto contatto col Conte Karoly.

262

IL CONSOLE GENERALE A TANGERI, DE FACENDIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. RR. 1349/17. Tangeri, 11 maggio 1931, ore 17,55 (per. ore l del 12).

Telegramma di V.E. in data 10 corrente n. 4192/17 (1).

Incidenti fino ad ora verificatisi Tetuan miei telegrammi 14 e 15 hanno carattere sporadico e non costituiscono indice speciale situazione del momento nel Marocco spagnuolo. Naturalmente forze sovversive che si agitano fra la caotica situazione spagnola tentano portare, anche al di qua dello 1stretto, tentativi disordini, fino ora però senza serie conseguenze. Generale Sanjurjo è uomo energico per poter fronteggiare avvenimenti.

Non mi pare perciò e per ora il caso far luogo ad articoli di stampa che per mancanza di materia da trattare potrebbero, anche se redatti da autorevole giornalista, esser portati a gonfiare le cose ed ingenerare dubbio circa nostro speciale interessamento con conseguenti intempestive apprensioni del Governo di Madrid ed anche degli altri. Voglio dire che non mi sembra questo il momento per aprire gli occhi. Ciò che interesserebbe per ora sarebbe di poter seguire da vicino e metodicamente normale ripercussione avvenimenti metropolitani in quella zona mediante invio Tetuan Vice Console che non sia nuovo questi ambienti coloniali.

Mi attengo istruzioni di V.E. sia segnalando con telegrammi stampa eventuali notizie .particolare interesse, sia telegrafando direttamente Agenzia Stefani notizie redatte bisogni stampa.

263

APPUNTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, SUL COLLOQUIO CON L'AMBASCIATORE D'INGHILTERRA A ROMA, GRAHAM

Roma, 11 maggio 1931.

Graham -Mi dà comunicazione, per incarico di Henderson, di un appunto sull'attitudine che la Gran Bretagna assumerà a Ginevra nei riguardi del

l'Unione doganale austro-tedesca (1). Mi dà parimenti lettura di un resoconto di conversazione fra l'Ambasciatore britannico a Berlino e il signor Curtius. Tutto sommato l'attitudine inglese si riassume nel modo seguente: stiamo a vedere cosa accadrà a Ginevra. La Gran Bretagna non vuole assumere una posizione netta tra i due contendenti.

Grandi -Prego Graham di ringraziare Henderson, riservandomi di metterlo al corrente di quella che sarà l'attitudine italiana, nel nostro incontro fissato per giovedì p.v., 14 maggio. Informo Graham sulla natura e la portata dei nostri recenti accordi coll'Ungheria e l'Austria. Il Governo italiano si opporrà alla realizzazione dell'Unione doganale, poichè l'Unione doganale è evidentemente il primo passo verso l'unione politica. Il Governo italiano tuttavia differenzierà la sua attitudine da quella del Governo francese. Per quanto si riferisce alla crisi economica il Governo italiano presenteri'l proposte proprie, indipendenti dal contro-progetto francese.

Graham -Mi mette al corrente della preoccupazione che l'ex Re Amanullah dell'Afganistan suscita nel Governo britannico. Re Amanullah si è rimesso in movimento d'accordo coi Soviet per creare imbarazzi al Governo britannico nell'Afganistan. Egli dispone di somme di denaro notevoli, di ignota provenienza, e nel suo viaggio intrapreso alla Mecca, egli non ha nascosto le sue intenzioni. Il Governo britannico prega il Governo italiano di non facilitare in senso antibritannico l'attività dell'ex Re Amanullah, e, possibilmente, di mettere in grado il Governo britannico di non essere preso alla sprovvista dall'azione di esso.

Grandi -Assicuro Graham che il Governo italiano acconsentendo alla per

manenza dell'ex Re dell'Afganistan non ha inteso affatto favorire la sua azioE8

anti-britannica e che, ad ogni modo, io lo terrò al corrente di tutto quanto

possa risultare al Governo italiano al riguardo (2) .

• Poichè siamo in argomento di cose delicate » aggiungo, " io pure sono costretto a portare la vostra attenzione spassionata ed oggettiva su una questione, quella della lingua italia!la a Malta. Voi siete testimone da tanti anni di un fatto incontestabile. L'inesistenza nella coscienza italiana di un problema maltese. Lord Strickland ha fatto del suo megLo per crearlo. Non si può impedire alla opinione pubblica italiana di sottolineare con rammarico l'opera dello Strickland e dei suoi accoliti. Naturalmente le questioni fra il Vaticano e l'Impero britannico non ci riguardano. Però è naturale la preoccupazione che tra i due litiganti sia la lingua italiana a fare le spese del litigio ». Prego Graham di far presente queste mie considerazioni al Foreign Office, considerazioni che Ja lealtà dell'Italia sul problema specifico, l'amicizia itala-britannica, e la nota larghezza di vedute del Governo britannico in questa materia, mi permettono di esprimere all'ambasciatore britannico con franchezza.

n. -36 allegato.

Graham -Concorda nel riconoscere che Strickland ha la responsabilità d'aver fatto sorgere un problema laddove non esisteva. Egli assicura che farà presenti al Governo britannico le mie amichevoli considerazioni sul problema della lingua a Malta (1).

(l) Cfr. n. 258.

(l) -Si tratta probabilmente del memorandum 11 maggio, per il quale cfr. DB, II, (2) -Sulle avances dell'ex re Amanullah cfr. un promemoria di Balsamo per Grandi dell'S ottobre 1930, n. 233803/2209; e un promemoria, con allegato, di Pagliano per Grandi del 13 giugno 1931, n. 221352/95. Cfr. anche un appunto redatto da Guariglia dopo un colloquio da lui avuto con Amanullah.
264

IL MINISTRO A BUDAPEST, ARLOTTA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. 1376/103. Budapest, 13 maggio 1931, ore 21,20 (per. ore 4 deL 14). Mio telegramma odierno n. 102.

Bethlen ha preso conoscenza colla maggiore attenzione e con piena soddisfaZJione del telegramma di V.E. n. 501!70 in data 11 corrente (2) del quale gli ho comunicato punto per punto il contenuto, ponendolo in modo opportuno anche in relazione col noto promemoria ungherese del 17 aprile (3).

Egli mi ha quindi pregato di trasmetterLe testualmente la sua seguente esplicita dichiarazione:

,, Ringrazio vivamente S.E. Grandi per la interessantissima e motivata comunicazione riassuntiva del punto di vista italiano col quale concordo integralmente sia per ciò che concerne il progettato accordo austro-tedesco e sia nei riguardi del controprogeito francese. Concordo del pari pienamente nel concetto che i noti tre Accordi tra Italia, Ungheria ed Austria debbano costituire la base di manovra per la nostra comune linea di condotta nella imminente riunione di Ginevra. Ringrazio assai per le cordiali disposizioni verso il Conte Karoly al quale vado a confermare le precise istruzioni già dategli nel senso tenersi costantemente nel più stretto contatto con la Delegazione Italiana tanto per uniformità nella direttiva generale quanto per gli eventuali adattamenti che risultassero di comune accordo consigliabili a seconda dello svolgimento delle discussioni ".

Bethlen ha infine espresso ancora i suoi vivi ringraziamenti per la copia del promemoria Beaumarchais da V.E. cortesemente inviatagli, ed analizzandolo meco ha ampiamente concordato sulle considerazioni circa la indeterminatezza ed i fini di preminenza politico-economica francese posti in rilievo nel citato telegramma di V.E. Telegrafato a Roma e Ginevra.

Carlo Scorza, segretario dei G.U.F., scrisse il 14 aprile a Grandi per chiedere il nulla osta a un viaggio a Malta di un gruppo di studenti pavesi per consegnare agli studenti maltesi una bandiera italiana. Grandi, su conforme parere del console Silenzi, rispose l'il maggio che « in considerazione... della delicata situazione attuale dell'Isola ritengo piu opportuno che il viaggio progettato venga, almeno per il momento, rimandato».

(l) Sulla questione cfr. un appunto di Guariglia per Grandi del 6 maggio. Sulla attività a Malta di Giuseppe Donati cfr. quanto comunicava il console generale Silenzi con rapporto 528/129 del 28 aprile. Cfr. anche, sul problema maltese, Mussolini a D'Annunzio, 20 maggio, ed. in B. MussoLrNr-G. D'ANNUNZIO Cartermio (1919-1938), a cura di R. Felice e E. Mariano, Mondadori 1971, pp. 300-301.

(2) -Cfr. n. 261. (3) -Cfr. n. 206.
265

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. 1388/249/137. Belgrado, 14 maggio 1931, ore 14,40 (per. ore 20,30).

Questo Ministro di Inghilterra mi ha comunicato ieri che Marinkovich prima di partire per Ginevra gli ha affermato che trattative avevano durato anche troppo ed era venuto il momento concluderle, sul che egli era ottimista perché Rakich gli aveva scritto che V.E. non avrebbe insistito sul riconoscimento dichiarazione albanese 21 (1).

Ho subito risposto che doveva esserci equivoco. A me non risultava affatto che V.E. avesse receduto dalla sua posizione, ma ho aggiunto che, da quanto sapevo, riconoscimento tale dichiarazione era perfettamente conciliabile con interessi jugoslavi.

Ministro d'Inghilterra mi ha risposto ritenere anche lui (specialmente per un telegramma di Graham) che doveva esservi equivoco e lo aveva subito telegrafato a Londra ad evitare che riprendendosi le conversazioni, esso non fosse iniziale ostacolo al loro proseguimento. Ha pure telegrafato che era sua opinione che il Governo Jugoslavo non avrebbe mai potuto accettare dichiarazione perché fatta contro di lui ed inspirata concetti ostili Jugoslavia, che però sarebbe stato possibile accordo su questione albanese che, sostanzialmente identico a dichiarazione, non ne facesse menzione o riferimento.

Gli ho replicato che riconoscimento dichiarazione se inquadrata e compresa in accordo di più larga portata non poteva più avere significato col quale essa sorse a suo tempo.

Ministro d'Inghilterra mi ha pregato tenere riservata informazione del telegramma da lui diretto a Henderson. Telegrafato a Roma e Ginevra.

266

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO A TIRANA, SORAGNA

T. PER CORRIERE 508. Roma, 14 maggio 1931.

Quaroni mi ha esposto le nuove tortuosità dell'atteggiamento di codesto Governo per l'apporto finanziario e mi ha fatto cenno del nuovo progetto di nota pubblica che V.S. avrebbe elaborato come base per una ripresa di conversazioni (2). Le comunico che approvo le linee di tale progetto specialmente

t2) Su quanto riferito a Ro1na da Qunr0ni l'ufficio Albania fece un prome1noria, che non si pubblica.

nella parte in cui V.S., respingendo le velleità albanesi di precisare gli anm in cui verrebbe a scadere un preteso termine per il rimborso del preteso prestito, connetterebbe l'idea del rimborso a quella ancor più vaga di un risollevamento dell'economia albanese. È superfluo dire che precisando fra un ventennio gli anni del rimborso codesto Governo non fa alcuno sforzo perché sa di non prendere un impegno sia pur minimo; ma intende solo travisare dinanzi al suo popolo la natura dell'apporto facendola apparire come una operazione che comporti un serio vincolo di restituzione, con che ogni buon albanese sarebbe dispensato dal nutrire, in corrispettivo, un qualsiasi senso di riconoscenza. È un tentativo di svalutazione a priori del nostro sacrificio; cosa del resto a cui noi siamo preparati nel pensare che sia di gusto albanese tentarla, ma non di gusto nostro consentirla.

Comprendo che il Re che vuole sempre frapporsi alla creazione di un diretto canale di comprensione e di simpatia tra l'Italia ed il popolo albanese adopererà tutte le sue arti meno benigne per impedire che l'apporto finanziario possa giovare ad una diretta politica dell'Italia su codeste popolazioni; ma ciò non fa che confermare che noi siamo nel giusto nell'esigerlo, specialmente nella situazione creatasi che ci impone di cercare più larghi orientamenti alla nostra azione in Albania sia per parare ad una sparizione del Re o sia per fare di codesto Re, se dovrà vivere, quello strumento di vera collaborazione quale doveva essere secondo i nostri piani, quando lo elevammo, e quale egli invece sinora non ha voluto essere, una volta elevato.

Una occasione come questa del naufragio finanziario raramente si presenterà una seconda volta per permetterei efficacemente di stendere la mano al popolo albanese, da una parte, per farcelo amico, e di premere sul Re, dall'altra parte, per farcelo più docile; l'una e l'altra finalità mirando al caso della morte come al caso della vita del Sovrano.

Per queste considerazioni si impone che l'atteggiamento di V.S. sia nella sostanza e nella forma coerente con la nostra posizione di donatori che se non vogliono essere difficili nel dare non vogliono d'altro canto essere costretti a cedere qualche altra cosa per ottenere che il loro dono venga accolto, come al solito giuoco albanese. Le riconfermo dunque le istruzioni altra volta datele al riguardo e cioè che se codesta gente non viene a chiederle nulla, Lei non si farà diligente per offrir loro nulla. E quando essi verranno a chiedere, Ella dichiarerà di avere sottoposto al Governo Fascista le precedenti intese che sono state benevolmente accettate; che queste intese sono le direttive entro cui Lei è stato autorizzato a muoversi: che tutto al più Ella può interpretarle largamente sino al punto da adattarle al nuovo progetto da Lei compilato; che questo progetto è da prendere o lasciare; e su di esso Ella si fermerà recisamentc.

In quanto alle contropartite relative ai nostri organizzatori ed alla nostra penetrazione culturale, non credo che sia il caso di rimetterle de facto ad una sistemazione futura, giacché ottenuto il denaro, codesto Governo non si farà più stringere per alcuna concessione sia pure solennemente promessa. Né è a dire che noi potremmo concordare l'apporto e poi materialmente tenerlo sospeso finché non vengano le concessioni culturali; giacché in tal caso ci perderemmo noi di fronte al popolo albanese cui codesto Governo farebbe apparire la nostra resistenza come un ingiustificabile mancamento di fede.

Ciò non significa però che l'apporto non debba essere congegnato in modo che l'erogazione di esso -graduata secondo il succedersi delle occorrenze di bilancio -non debba rimanere in nostro controllo: infatti trovo molto opportuno che i prelevamenti del nostro contributo avvengano su firma dell'organizzatore finanziario italiano, possibilmente anzi con la doppia firma del R. Ministro a Tirana.

Ho appreso da Quaroni che la S.V. non ha preso iniziativa alcuna per parlarne col nuovo Ministro degli Esteri, il quale, per essere stato il firmatario di quel patto nel 1926, non può ora combatterlo. Lascio alla S.V. di regolarsi per il meglio: ma in quanto all'idea di Hussein Vrioni di non fare apparire il rinnovo del patto come legato alla convenzione finanziaria, trovo che la considerazione è giusta, ma pericolosa. È giusta perché la contemporaneità rivela la connessione e la connessione è poco simpatica. Ma, a parte il fatto che è codesto Governo che ha spinto le cose sino a farsi imporre questa connessione, ripeto alla S.V. quanto ebbi già a dirLe e cioè che sono assolutamente scettico sul rinnovo del patto politico dopo la conclusione della faccenda finanziaria. Se codesto Governo non ama la connessione -e può avere ragione anche da un punto di vista comune -non ha che da affrettare il rinnovo del patto politico, in modo che tra tale rinnovo e la conclusione della trattativa finanziaria passi un lasso di tempo qualsiasi tale da non fare rilevare o da permettere di negare la connessione. Se invece codesto Governo non è disposto a dar la precedenza al patto politico non vi è che concludere insieme le due cose perché noi, a nostra volta, non siamo disposti alla precedenza inversa, che segnerebbe la fine del patto politico.

Queste sono le direttive a cui la S.V. dovrà attenersi.

(l) A margine un punto esclamativo.

267

APPUNTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, SUL COLLOQUIO COL MINISTRO DEGLI ESTERI AUSTRIACO, SCHOBER

Ginevra, 14 maggio 1931.

Grandi -Piacere di vedervi.

Schober -Altrettanto piacere ho io.

Grandi -Al piacere di vedervi non corrisponde altrettanto piacere per quello che sarà il lavoro che ci attende. Schober -Anch'io non sono affatto entusiasmato della fatica che ci aspetta. Come sta il Presidente Mussolini? Grandi -Sta bene, mi ha incaricato di salutarvi e di confermarvi che il

nostro atteggiamento verso di voi, Austria, non è cambiato. Si può dire che sia altrettanto da parte vostra?

Schober -Assolutamente. Vi prego di ringraziare il Presidente dei suoi. saluti e ricambiarli ed assicurarlo che i nostri sentimenti e la nostra politica non sono assolutamente cambiati verso l'Italia. Voi avete visto le notizie relative a questo crack del Credit Anstalt. Questo episodio è la prova che assolutamente l'Austria non può andare avanti così, che qualche co3a doveva e clc\·c·

assolutamente esser fatto. Ora noi siamo lietissimi dell'accordo fatto con voi. Posso annunciarvi che anche il nostro accordo con l'Ungheria può considerarsi raggiunto ed esso può essere integrato in questa situazione. Ora qualche cosa deve essere assolutamente fatto anche con la Cecoslovacchia, tanto più che noi abbiamo denunziato il trattato di commercio con essa. Ma voi vedrete che Benès si opporrà a qualunque cosa, che egli non vorrà neppure concederci la clausola preferenziale e che pur di negarci il trattamento della nazione più favorita si opporrà ad una proposta [sic] in quanto contenuta nel progetto francese. Egli invece va dicendo che l'unica soluzione è quella della neutralizzazione politica dell'Austria, che dovrebbe essere effettuata come la neutralizzazione della Svizzera.

Grandi -Comprendo che qualche cosa debba esser fatto anche con la Cecoslovacchia, ma non mi pare che vi siate messi sulla buona strada ed in quanto al vostro atteggiamento verso l'Italia non posso nascondervi che gli ultimi avvenimenti hanno destato nel Governo e nel popolo italiano una grave perplessità. Voi comprenderete dopo tutto quello che abbiamo fatto per l'Austria, e ancora in questi ultimi tempi ve ne abbiamo dato prova, che siamo stati estremamente sorpresi all'annunzio del progettato accordo doganale austrotedesco.

Schober -Avete perfettamente ragione. Riconosco che voi avete il diritto di biasimarmi. però !asciatemi dire come sono andate le cose. Quando ci siamo lasciati con Curtius a Vienna era il 12 marzo. Siamo rimasti nell'intesa che nulla sarebbe stato fatto né annunziato prima della sessione di maggio della Paneuropa. La nostra intesa era che a questa riunione, quando i soliti esperti e relatori come il signor Coljin, si fossero alzati per constatare che niente era stato fatto e nessun passo innanzi era stato realizzato, noi Germania ed Austria avremmo detto: ecco, noi vi portiamo qualche cosa di pratico, cioè una proposta di unione doganale aperta a tutti gli Stati che vogliono aderirvi. Questo e non altro era il nostro progetto e così eravamo rimasti. Tutto ad un tratto da Berlino, e precisamente il 17 marzo, è stato telefonato al Lerchenfeld (Ministro di Germania a Vienna) che bisognava assolutamente dar l'annunzio clel progetto prima della riunione del Comitato preparatorio di Paneuropa di Parigi dell'll aprile. Io mi sono opposto con tutte le mie forze tanto più che il progetto era naturalmente di avere l'occasione di far sapere a voi ed anche agli inglesi di questo progetto prima che fosse annunziato agli altri, ma da Berlino si è insistito, anzi si voleva addirittura che la comunicazione fosse fatta da von Schubert ed io ho insistito perché la comunicazione dovesse esser fatta da Egger. Il resto lo sapete. Ora io non voglio con questo giustificarmi, ma forse questi fatti e la impossibilità materiale in cui mi sono trovato di avere una occasione ed il tempo di avvertirvi, possono ai vostri occhi fare apparire diversamente il mio atteggiamento.

Grandi -Comprendo czu.ello che voi mi dite. Ma sta di fatto che voi ci avete messo in una situazione bene imbarazzante e difficile. Voi. comprendete bene che noi non possiamo assolut<>.mentc approvare il vostro progetto, così come è. I tedeschi, d'altra parte, hanno sciupEto una possibilità di collaborazione che si delineava e che prometteva i risultati più soddisfacenti. D'altra parte io non credo che economicamente questo progettato accordo risolva le

vostre difficoltà, mentre invece voi vi avviate ad un assorbimento politico. In occasione della convocazione del Comitato finanziario di controllo (e non \'i nascondo che ne ho avuto io l'idea, del che non voglio farmi un merito, ma ho creduto una cosa utile e pratica), dunque in occasione di quella convocaziom~ la Germania ha mostrato la sua contrarietà in termini così vivaci che l'Ambasciatore von Schubert appariva come un vostro vero e proprio protettore.

Schober -No, no, non vogliamo assolutamente un protettore.

Grandi -Ebbene, egli parlava proprio in tali termini che io ho dovuto domandargli ironicamente se la tutela degli interessi austriaci era ancor<>. affidata al signor von Egger oppure se egli non ne avesse già assunto l'incarico.

Schober -Fa un gesto di rassegnazione tra l'imbarazzato e lo scettico. Poi riprende in maniera più vaga il tema della disperazione austriaca, della necessità assoluta in cui si trova di essere aiutata, ripigliando qualche spunto della imposizione tedesca.

Grandi -Riprende quindi il tema degli accordi italo-austriaci per dire a Schober che se l'Austria vuole ancora cercare di diminuire il danno e la gravità della sua situazione, essa deve appoggiarsi piuttosto alle possibilità che derivano da un allargamento dell'accordo italo-austriaco e delle sue eventuali integrazioni danubiane.

Schober -Eccellenza, siate sicuro che io farò tutto il possibile pres~o Curtius, al quale ho mandato proprio adesso Schiiller che egli ascolta e che è, come sapete, di buon consiglio. Del resto state tranquillo, che io mi guardo anche da Curtius e dai tedeschi. L'ultima volta che ci siamo visti, egli mi ha detto: " La prossima volta vi parlerò di un'altra cosa ". Io so di che cosa mi vuole parlare e non gliene darò l'occasione. Questo io non l'ho detto a nessui'.O dei rappresentanti stranieri a Vienna, ma l'ho detto ad Auriti (1).

Dopo poche altre battute di conversazione che poco aggiungono, il collcquio finisce.

268

RELAZIONE PER IL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI

... (2l

L'E.V. si è compiaciuta informare questo IVIinistero, con lettera del 6 maggio u.s. N. 8939 (Istituto Centrale di Statistica), di aver disposto, in conformità della proposta fatta dall'Istituto Centrale di Statistica, che l'Italia non si faccia rappresentare alla Conferenza degli Statistici del Lavoro indetta a Ginevra per il 20 maggio prossimo da una delegazione ufiìciale, ma solo da un osservatore.

Nella lettera surriferita sono indicate le ragioni di carattere tecnico che, a sostegno della sua proposta, ha addotto il Presidente dell'Istituto Centrale di Statistica.

marginale di Nonis: <<Visto da S. E. il n1inistro, che approva)~,

Questo Ministero non intende naturalmente mettere in discussione tali

ragioni, che esulano dalla sua competenza; poiché tuttavia la Conferenza in

parola è indetta dall'Ufficio Internazionale del Lavoro, e poiché, d'altra parte

è ben nota la delicata situazione politica dell'Italia nei confronti di quella

organizzazione internazionale, questo Ministero si permette -per quanto

riguarda gli aspetti della questione di sua competenza -di sottoporre all'alto

apprezzamento dell'E.V. le seguenti considerazioni di carattere generale politico.

In linea di massima, sembrerebbe opportuno evitare che l'Italia si astenesse dall'intervenire ad una riunione dell'Ufficio Internazionale del Lavoro nella quale si tratta di questioni di ~alari; è infatti da notare che in quegli ambienti -nei quali si cerca ogni pretesto per svalutare la politica sociale del Re(5ime fascista -la nostra assenza potrebbe determinare l'impressione che il R. Governo cerchi in questa materia, che interessa così da v1cmo i lavoratori, di sottrarsi ad una analisi internazionale delle statistiche dei salari, che involgerebbe anche un esame delle statistiche italiane.

Le obiezioni dell'Istituto Centrale di Statistica hanno senza dubbio la mag

giore importanza, ma è appunto per questo che sembra opportuno farle valere

nel modo più efficace, e cioè partecipando alla Conferenza con una Delegazione

ufficiale, che potrà affermare il punto di vista italiano ed adoperarsi per indiriz

zare nel senso da noi desiderato i lavori della riunione. In ogni caso, essa sareb

be in grado di formulare tutte le opportune riserve per l'avvenire, anche per

evitare di trovarci poi eventualmente costretti, per ragioni di opportunità,

a seguire i deliberati di una Conferenza alla quale saremmo restati estranei.

Si deve infine rilevare che il Ministero delle Corporazioni, anche dal punto di vista tecnico e di politica sociale, si è dichiarato pienamente favorevole ad inviare una Delegazione ufficiale, designando a tale scopo il Comm. Antonio Bernardi, Capo del Circolo di Milano dell'Ispettorato Corporativo.

Per le suesposte considerazioni, questo Ministero si permette prospettare all'E.V. l'opportunità che l'Italia invii una rappresentanza ufficiale alla Conferenza di cui si tratta. A tal uopo, potrebbe essere designato il predetto Comm. Bernardi, dato anche che l'Istituto Centrale di Statistica ha fatto sapere che, per i lavori del censimento in corso, si troverebbe nell'impossibilità di inviare a Ginevra un proprio rappresentante.

Questo Ministero rimane in attesa di conoscere le superiori decisioni dell'E.V. (1).

Corrado Gini. presidente dell'lsttiuto di Statistica, prese parte alla riunione che si tenne a Ginevra il 2-4 luglio 1931 fra i rappresentanti « dei Consigli Economici e degli Istituti di Ricerca allo scopo di studiare i mezzi per coordinare il lavoro attualmente intrapreso sul problema della periodica ricorrenza dei periodi di depressione economica ". Gini fece una rela.zione per Grandi, datata Roma 22 agosto, di cui si pubblica il passo seguente:

« Il Segretario basandosi sulla lettera di talune frasi contenute nel rapporto della Seconda Commissione dell'ultima Assemblea sostenne, appoggiato dai rappresentanti dell'Inghilterra e di vari piccoli paesi, la tesi che convenisse istituire presso il Segretarin "" Ufficio Scientifico col compito di studiare le crisi economiche coordinando i lavori che

s.i facevano nei vari Stati. Questo progetto fu da me giudicato pericoloso, sia in quanfr_) è· nota la estrema difficoltà che presso la Società delle Nazioni possa funzionare impar2ialmente un ufficio di carattere scientifico sia in quanto vi è da temere che. se un ta1é' u-:"ficio fosse oggi costituito, esso diventerebbe l'appannag;:io di studiosi anglosassoni,

1)

40S

(l) -In realtà Schober non ne aveva parlato ad Auriti (cfr. n. 311J. Si ignora quale foss2 la progettata proposta di Curtius a Schober. (2) -Si inserisce sotto il 14 maggio perché di questo giorno è la seguente annotazione

(l) Allegato un appunto di Diana del 13 maggio: « De Ciutiis mi comunica che S. E. il Ministro, presa visione della relazione a S. E. il Capo del Governo. ha dato istruzioni di procedere senz'altro alla nomina del comm. Bernardi, senza curarsi di avviso differente espresso da altri enti ».

269

APPUNTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, SUL COLLOQUIO COL MINISTRO DEGLI ESTERI TEDESCO, CURTIUS

Ginevra, 15 maggio 1931 (l).

Curtius -Ho visto Henderson. Egli mi ha parlato della proposta di riunione a quattro tra i Delegati della Francia, Gran Bretagna, Italia e Germania per oggi. Henderson lo desidera perché i francesi vogliono aggiornare la discussione della questione dell'unione doganale austro-tedesca fino al Consiglio. Io ho protestato. È impossibile procedere così. È impossibile parlare della tesi economica e di tutto il problema, senza parlare dell'accordo austro-tedesco.

Grandi -Allora oggi ci riuniremo a quattro?

Curtius -Io ho accettato ed appoggiato l'idea di Hendcrson, ma non co se gli altri accetteranno. Grandi -Allora c'è rischio che staremo qui tutta l'estate! Curtius -Già. Come all'Aja. Vi ricordate quando Snowden disse che sarerr. ·

mo rimasti lì fino a Natale? Speriamo di finire almeno per Pentecoste (24/3).

Per parlare dell'accordo austro-tedesco, mi dispiace, invero, che esso venga messo in discussione dal punto di vista giuridico. Io ho detto ad Henderson che noi riteniamo avere agito su un terreno pienamente legittimo e credo in piena coscienza che esso sia nel quadro dei trattati e del protocollo di Ginevra. Ma se una grande Potenza contesterà questo in Consiglio io non potrò che inchinarmi e accettare il rinvio dell'esame all'Aja. Spero però che ci si limitcr3. a questo e che non si amplierà la discussione oltre il terreno dell'esame giuridico; solo così potremmo sperare di t'2rminare la dlscuss~one per Pentecoste, altrimenti andremmo all'infinito.

Grandi -Si. Anch'io considero che la discussione della questione austrotedesca non potrà essere che sgradevole per tutti.

Mi dispiace di dovervi dire subito che questa volta :1on saremo così vicini come nell'ultima sessione. Il vostro Ambasciatore von Schubert vi avrà detto quello che il Governo Italiano pensa al riguardo. Voi sapete perfettamente che la linea politica del mio Governo è stata sempre informata al concetto che i nostri due Paesi debbano collaborare insieme. Io vi ho detto a gennaio (2) come intravvedevo questa collaborazione, secondo un programma di realizzazioni progressive. Ora io vi confermo che l'annuncio dell'unione doganale austrotedesca ha sconvolto le vedute del Governo italiano e completamente disorganizzato questo programma di azione. Sapete pure, e vi confermo, che sebbene i francesi abbiano fatto dì tutto per persuaderei. di prendere una attitudine

ligi agli anglosassoni, mentre l'Italia difficilmE'nte potrebbe avervi una rappresentanza o un'influenza adeguata.

In opposizione a tale tesi sostenni l'opportunità che il compito del coordinamento restasse affidato alle riunioni dei Rappresentanti dei Consigli Economici e Istituti di Ricerca eventualmente completate con altre competenze.

La mia tesi fu appoggiata dai membri francesi e tedeschi della riunione, e, dopo non facile lotta finì con l'essere accolta ».

molto dura nei vostri riguardi, il Capo del Governo italiano non ha accettato il suggerimento francese. Voi avete visto l'atteggiamento del Governo e del popolo italiano. Però è innegabile che un turbamento esiste. L'Accordo navale non ha niente a che vedere con tale stato d'animo. Sono cose del tutto separate. Del resto avete letto le mie dichiarazioni alla Camera. L'Accordo navale avn~bbe dovuto riaffermare la nostra politica di collaborazione con voi. Così lo avevo intravisto. Di colpo è scoppiato l'Accordo doganale austro-tedesco, e la situazione è mutata completamente. Fra l'Italia e la Germania non vi sono questioni che le dividono, t1·anne una, la questione dell'Anschluss, Anschluss poEtico, beninteso. Noi non possiamo essere messi davanti ad una unione economica, che è una introduzione ad una unione più vasta, di portata innegabilmente politica. Economicamente gli esperti non escludono che ci si possa anche intendere. Voi mi avete fatto dire da Schubert che si poteva trovare un accordo che coprisse sufficientemente gli interessi italiani colpiti dalla Zollunion (1), ma l'unione doganale resta tuttavia qualche cosa che non può essere accettata dall'Italia. È un peccato. È un peccato che noi non possiamo fare a meno di non rendere questo servizio alla Francia; ma è triste che proprio all'inizio di una collaborazione accettata dai nostri due Paesi, ci si debba trovare di fronte a questa situazione piena di incognite. Ora io mi domando: è possibile evitarne le conseguenze? Io sono qui con la speranza di convincermi che voi non realizzerete un accordo di tal genere. Sono persuaso che qualche cosa debba essere fatta per l'Austria ed anche per la Germania. Per esempio nelle riparazioni. Io lo dirò. Voi ripetete che il Governo del Reich vuole una stretta collaborazione coll'Italia. Lasciatemi dire che il vostro è un modo ben curioso di intendere la collaborazione!

Curtius -Vi ringrazio di aver parlato con molta franchezza e mi permetterò di rispondervi altrettanto francamente. Mi aspettavo del resto buona parte delle cose che mi avete dette essendo stato avvertito da Schubert. Noi avevamo l'intenzione di dare l'annunzio di questo progetto di accordo doganale in questa sessione di maggio della Società delle Nazioni. In tale occasione avremmo informato amichevolmente i colleghi della cosa, senza pubblicità. Indiscrezioni improvvise hanno costretto i due Governi a prendere la decisione il 21 marzo, di non più rinviare il noto annunzio. Noi avevamo parlato di una Zollunion generale, ma mai abbiamo pensato di fare una unione completa, sibbene che bisognava stabilire su quale base e concretare, specialmente per quanto concerne l'Austria, se l'unione era compatibile con i Trattati e col Protocollo. Abbiamo sempre avuto di vista che tutto ciò doveva essere studiato senza alterare l'indipendenza dell'Austria. Su questa linea eravamo precisamente d'accordo a Vienna, ed in tal senso erano stati informati i dv.e Governi e i Cancellieri. Poi sono sopraggiunte, inattese, le note indiscrezioni.

La crisi economica obbliga la Germania e l'Austria ad allargare i loro mercati. L'Austria aveva già cercato da tempo l'appoggio di altre Potenze. Non abbiamo parlato di Anschluss e credo che sia inesatto parlare di lesione dell'indipendenza dell'Austria. Amichevolmente aggiungo, in via confidenziale, che

15 -Documenti diplomatici-Serie VII-Vol. X

anzi l'Austria resta completamente indipendente e noi invece veniamo in certo modo a diventare dipendenti dell'Austria nelle nostre decisioni economiche. Sicché io ho avuto per questo fatto delle difficoltà, personali in Consiglio dei Ministri. Qualcuno dei miei colleghi mi ha rimproverato di rendere la situnzione imbarazzante nel senso che la Germania sarà influenzata nelle sue grandi decisioni economiche dalle esigenze e dai bisogni dell'economia austriaca, allorquando invece è assicurata la cumpleta indipendenza dell'Austria.

Ora io credo che non ci sia davvero da pensare a diminuzione dell'indipendenza austriaca, quando si lascia all'Austria il 51 o/o della sua amministrazione doganale e quindi non si può parlare di Anschluss e sono convinto che i Trattati sono pienamente rispettati. Ripeto, come vi ho fatto dire da Schubert, che non abbiamo avuto nessun pensiero imperialista. Noi non vogliamo affatto inaugurare una politica che possa contrastare nei Balcani e nel sud-est dell'Austria (l) gli obiettivi e la politica dell'Italia a fare qualche cosa di simile. Io non credevo che poteste essere indotto in una convinzione diversa e che il carattere economico della nostra azione dovesse essere da voi frainteso. Pensavo anzi che gli interessi dell'Italia si inquadrassero nel nostro progetto e non fossero contrastanti in alcun modo nel quadro dei trattati e della nostra politica generale. Non credo, ripeto, che gli interessi economici siano lesi come mi pare che mi abbiate detto, per lo meno non esserci grandi danni. Tuttavia, se nella forma attuale io devo purtroppo ammettere con rammarico che esso abbia potuto involontariamente mettervi in una situazione imbarazzante, non per questo le nostre linee politiche dovrebbero essere cambiate, anzi ritengo che la nostra collaborazione debba e possa in generale continuare.

Grandi -Avete parlato di interessi italiani nei Balcani e del desiderio di Berlino di non danneggiarli e diminuirli. Ma io vado più lontano. Io considero anzi una possibilità di collaborazione italo-tedesca in parecchi problemi balcanici. Non crediate che noi consideriamo i Balcani come una specie di riserva di caccia esclusivamente nostra, tanto più che altri cacciatori purtroppo vi fanno incursioni da padroni. Io considero possibile una collaborazione con voi; ma siamo sempre allo stesso punto. Noi consideriamo, infatti, prima di tutto l'Austria come lo Stato cuscinetto del centro-est europeo.

Una attività germanica nel Danubio e nei Balcani, che incomincia con un blocco austro-tedesco, non può non suscitare la preoccupazione italiana. Voi mi avete assicurato che l'indipendenza austriaca è salvaguardata e che la Germania non intende andare oltre un programma economico. Non penso di mettere in dubbio la lealtà delle vostre dichiarazioni. Ma la Zollunion fa pensare al contrario. Nei Balcani e nel Danubio non v'è solo il • sistema francese , della Piccola Intesa, c'è anche l'Ungheria. L'Ungheria stessa nella sua piccolezza e nella sua situazione drammatica, ha dovuto, dopo riflessione, pensare che forse l'amico del Nord poteva essere più pericoloso dei vicini nemici del sud. Questi elementi politici e psicologici voi dovete valutarli. Io non sono qui per darvi consigli, di cui non avete bisogno. Ma tutto ciò che è stato, è molto male. Quante volte io ho dovuto pregare i miei amici ungheresi di essere più calmi nei riguardi

della Piccola Intesa. Oggi io devo invece insistere pel contrario, persuaderli cioè a non fare una politica troppo intesofila. Perché questo? Per l'improvviso colpo ricevuto dalla vostra unione doganale. Qui è l'errore. Il vostro gesto non favorisce la vostra economia e la vostra politica; d'altra parte porta alcuni Stati alla necessità di scegliere tra due squilibri.

Curtius -Comprendo quello che mi dite. Però perdonate, io ritengo che non si possa parlare di squilibri. Io credo che non siano possibili squilibri nella linea del nostro progetto. Un accordo austro-tedesco nel quadro dei Trattati e sul terreno economico, non può turbare l'indipendenza dell'Austria. Sono del resto convinto che questo sarà dimostrato dall'avviso del Consiglio e della Corte dell'Aja. L'ora è tarda e dobbiamo andare alla Società delle Nazioni. Però dobbiamo parlarne più a lungo, voglio dirvi soltanto questo ancora: che il nostro progetto rappresenta il minimo di unione doganale. Voi mi avete detto se era possibile cambiarlo almeno in parte. Io non vedo come si possa portare il benché minimo cambiamento al progetto, senza far cadere tutto, per cui non vedo nessuna possibilità di cé!mbiarlo. Comunque, per evitare quelle difficoltà alle quall avete accennato, noi stiamo cercando anzi di portare altri Governi ad accedere alla nostra unione per metterli d'accordo sullo stesso terreno ed allargare l'unione stessa. Questo non vuol dire che noi vogliamo cercare di realizzare una specie di Anschluss dell'Italia e della Cecoslovacchia e di altri Stati, collegandoli all'unione austro-tedesca.

E questi sono i concetti che io svilupperò alla Commissione Europea. Ma sono convinto che il prlmo passo di questa unione è proprio il nostro progetto e che è proprio venuto il momento di allargare le basi dell'attività paneuropea in questo senso. Forse così si potranno eliminare i malintesi e trovare un terreno d'accordo.

Grandi -Continueremo allora la conversazione su questo argomento.

(l) -Il colloquio ebbe luogo la mattin3. (2) -Cfr. nn. 19 e 36.

(l) Cfr. n. 238.

(l) Sic, per "dell'Europa".

270

IL MINISTRO AL CAIRO, CANTALUPO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

TELESPR. RR. 1606/495. Cairo, 15 maggio 1931.

Seguito mio telegramma n. 81 del 12 corr.

Ritengo opportuno rendere noto a V.E. che, durante la campagna contro l'Italia per i pretesi fatti della Cirenaica, Nahas Pascià si è servito di un comune amico per farmi conoscere aver egli spontaneamente dato ordine al Partito, e ai giornali wafdisti, di non mescolarsi minimamente a tale campagna e di aver avuto in ciò consenzienti i capi del movimento, questo sia perché detta campagna era fondata su menzogne diffamatorie, sia perché il Wafd doveva assolutamente salvaguardare i buoni rapporti con l'Italia, dalla cui attitudine esso si attende prove di simpatia qualora debba tornare al potere. Mi risulta che in ugual senso si sono pubblicamente espressi i principali capi wafdisti, nonché il rettore dell'Azhar.

Interessante ai fini di qualsiasi eventualità futura, questa informazione mi è servita come prova positiva che i risultati da questa Legazione ottenuti con la propria condotta di assoluta neutralità nel presente conflitto politico egiziano, sono esattamente quali mi ero proposto di raggiungere, con il prezioso consenso di V.E. (1).

271

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, FANI, AI MINISTRI DELLE COLONIE, DE BONO, DELLE CORPORAZIONI, BOTTAI, DELL'AGRICOLTURA, ACERBO, DELLE FINANZE, MOSCONI, E AGLI AMBASCIATORI A LONDRA, CHIARAMONTE BORDONARO, E A PARIGI, MANZONI (2)

TELESPR. 217521. Roma, 16 maggio 1931.

Seguito telespresso n. 216471 dell'8 corrente.

(Solo per Londra) Telespresso di codesta Ambasciata n. 1878/954 del 30/4.

II R. Ministro ad Addis Abeba con telegramma del 9 corrente riferisce quanto segue: « Trasmetto testo redatto nella riunione dei rappresentanti italiano, francese ed inglese :

"Les Ministres de France et d'Italie et le Chargé d'Affaires d'Angleterre réunis rpour examiner la situation créée par les nouvelles taxes après la réception des instructions données par leurs Gouvernements respectifs ont constaté ce qui suit:

Les Ministres de France et d'Italie estiment qu'il-y-a Iieu de faire auprès du Gouvernement Etiopien une démarche collective avec les autres représentants diplomatiques pour demander modification des taxes et leur remplacement par le changement de l'artide trois du Traité Klobukowsky dans le sens de la fixation, par convention, d'un coefficient unique supérieur 10 % apprédation possible pour certains articles de nécessité. Ils préfèrent adopter cette majoration uniforme qui, tout en assurant l'égalité envers toutes leurs marchandises, semble dans l'esprit de la Convention tripartite pour éviter compétitions et infinis calculs politiques dans lesquels le Gouvernement Abyssin excelle. Dans le cas où cette démarche serait repoussée, ils envisagent l'établissement de taxes sur les importations Ethiopie dans les colonies voisines et voudraient connaitre jusqu'à quel point ils pourraient se servir de ,cette arme comme moyen de pression.

Le Chargé d'Affaires d'Angleterre partage l'opinion de ses Collègues qu'il

est essentiel de déterminer les taxes à imposer sur les produits étrangers de

façon qu'ils soient plus assujettis à des impositions convenables mais il réserve wn avis concernant un coefficient unique. Il craint d'ailleurs, en ce q_ui concerne les mesures proposées de représaille, s'il devenait nécessaire de les imposer, que les premiers à souffrir soient les marchands étrangers et elles pourraient aboutir au chaos. Elles pourraient d'ailleurs donner facilement l'impression que les Grandes Puissances se fàchent injustement contre une petite.

Le Chargé d'Affaires d'Angleterre ajoute qu'il a demandé à so n Gouvernement s'il doit considérer ou non les taxes d'accise comme violation du Traité. Les lVIinistres de France et l'Italie considèrent que cette question ne doit pas ètre présentée comme base de leurs démarches car une telle base fournirait aux Ethiopiens l'occasion favorable de répondre ou proposant l'arbitrage ou la Cour de la Haye, ce qui amènerait à maintenir les taxes ' sine die '.

En ·ce qui concerne l'article 7 on aborderait sa discussion si le Gouvernement Ethiopien accepte reviser les taxes en concédant un coefficient plus fort contre modification selon nos vues.

Il serait urgent faire concorder les instructions des trois Gouvernements considérant dangereux que les discussions donnent l'apparence d'une divergence entre les trois Puissances intéressées".

Ritardo inizio azione diplomatica, se ha permesso da un lato constatare che decreto tasse non potrà dare risultato sperato perché importazioni sono già in seria diminuzione, ha sempre più spinto Governo Etiopico ad ascogitare nuove tasse sui valori immobiliari, sulle patenti di commercio e pare sul reddito. Per frenare tale pericolosa tendenza occorre assoluta unità di azione più utile ed altresì mezzi di pressione efficaci.

Ci troviamo di fronte anche un finanziere Americano il quale è un teorico pericoloso sordo ai consigli dello stesso Ministro degli Stati Uniti la cui azione moderatrice è paralizzata da quella del Signor Colson che agisce immaginando di essere un apostolo qui inviato per liberare Abissinia dal giogo europeo.

Nel lavoro di persuasione che stiamo svolgendo per indurre l'Abissinia alla ragione col dovuto tatto, oltre che la completa unità di fronte anche l'adozione dl mezzi severi apparisce una necessità. Le idee espresse dall'incaricato d'Affari inglese sono inaccettabili. Esse porterebbero ad insuccesso ed a compromettere seriamente il prestigio delle Potenze. Meglio varrebbe astenerci da un simile negoziato collettivo. Il caos che teme l'incaricato d'Affari diverrà una certezza se le Potenze non riusciranno a fermare l'Abissinia sulla pericolosa via cui va mettendosi.

La mancanza d'unità fra le Potenze e i palliativi d'ordine giuridico che il rappresentante inglese sembra preferire saranno destinati a compromettere l'esito delle trattative. Prima ài indire nuova riunione del Corpo Diplomatico, i rappresentanti delle tre Potenze hanno deciso di attendere la decisione dei rispettivi Governi per vedere se sarà possibile concordare azione.

Informo ad ogni buon fine che l'Incaricato d'Affari britannico ha ricevuto istruzioni agire in accordo con Francia e Italia. Egli ci ha dichiarato che le sue osservazioni 1sono da considerare fatte a titolo [)ersonale ed ha chiesto perciò istruzioni. Un passo avanti quindi di V.E. a Parigi e Londra potrà influire a tentare una formula che assicuri auspicata ed efficace unità d'azione , .

Questo R. Ministero prega il R. Ministero delle Colonie acché, in aggiunta a quanto già comunicava col suo telespresso n. 43152 del 25 aprile

u. s. (1), faccia conoscere con cortese urgenza il proprio pensiero :sui punti trattati nel sopratrascritto telegramma; se cioè non abbia osservazioni da formulare circa la proposta percentuale uniforme di magg~orazione di dazi per t:Itte le merci importate in Etiopia; e se veda la possibilità e la convenienza di adottare, nell'eventualità che l'Etiopia non accetti la proposta delle Potenze, delle misure di rappresaglia aumentando i dazi sulle merci etiopiche importate nelle colonie dell'Eritrea e della Somalia. Questo Ministero prega pure gli altri Ministeri interessati di voler far conoscere con cortese urgenza il loro pensiero in materia ed in particolare sul progettato aumento di dazi sulla base della suindicata percentuale uniforme.

In relazione alla nota del R. Ministero delle Corporazioni n. 9734 del 25 aprile, questo Ministero assicura di aver già chiesto telegraficamente al

R. Ministro ad Addis Abeba di inviare col primo mezzo il testo dei provvedimenti emanati; ma, non potendo detto testo giungere che fra qualche tempo, gradirebbe conoscere anche in via di massima quale sia l'avviso che il R. Ministero delle Corporazioni crede di formulare sulle basi degli elementi in suo possesso; e ciò vista l'urgenza di impartire ulteriori istruzioni al R. Ministro ad Addis Abeba.

Questo Ministero prega nel contempo il R. Ambasciatore a Londra di far presente al Foreign Office l'interesse che il R. Governo annette acché sia raggiunta al più presto fra le tre Potenze principalmente interessate concordanza di vedute e di azione in materia. Per q_uanto, giusta il sopratrascritto telegramma del R. Ministro ad Addis Abeba, l'Incaricato d'Affari britannico in Etiopia abbia ricevuto dal Governo di Londra istruzioni di agire d'accordo con i suoi colleghi di Francia e d'Italia, egli ha tuttavia mosso, pure a titolo personale, obbiezioni che hanno impedito di raggiungere l'intesa fra i tre Rappresentanti, ed ha creduto di dover chiedere al Governo di Londra nuove istruzioni.

Questo Ministero considera che ogni ritardo da parte delle Potenze interessate nell'assumere un atteggiamento concorde e deciso verso il Governo di Addis Abeba non farà che persuadere detto Governo a persistere nella via in cui si è messo di apportare unilaterali mod1ficazioni al Trattato Klobukowsky; ciò che può avere serie conseguenze, specialmente se, come ha già fatto per la materia doganale, il Governo etiopico prendesse unilaterali provvedimenti per quanto riguarda le disposizioni giurisdizionali, in detto trattato contenute, e che costituiscono un'indispensabile garanzia per la tutela personale degli stranieri. Occorre che le tre Potenze, col loro concorde e fermo atteggiamento,

« Non avrei perciò difficoltà a convenire in linea di massima -con codesto Ministero, nel considerare legittima l'aspirazione del Governo Abissino a rivedere le proprie tariffe doganali, rimaste invariate dal 1908 in poi.

Ma poiché noi abbiamo interesse a che non si rafforzi il potere centrale etiopico, e, nell'attuale questione, noi possiamo ostacolarlo senza prendere posizioni particolari di contrasto, ritengo sia per noi opportuno non opporci ad eventuali passi di protesta che pare stiano delineandosi da parte dell'Inghilterra e delle altre Potenze, ma che ci convenga invece di parteciparvi in quella giusta misura che le circostanze contingenti saranno per suggerire».

facciano intendere al Governo etiopico che esse non sono disposte ad accettare modificazioni del detto Trattato che non siano stabilite col loro consenso e che debbono Quindi essere consacrate in nuovi accordi internazionali.

Pregasi il R. Ambasciatore a Londra di riferire con cortese urgenza l'esito delle nuove pratiche esperite presso il Foreign Office al riguardo.

(l) -Con telespr. 1763/553 del 29 maggio Cantalupo annunciava che • la campagna contro l'Italia per le pretese atrocità in Cirenaica può dirsi finita -o per lo meno profondamente sopita •. (2) -Il documento fu inviato per conoscenza anche a Washington, al Cairo e all'ufficio di politica economica del Ministero degli Esteri.

(l) Del quale si pubblica il passo seguente:

272

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI (l)

Ginevra, 17 maggio 1931.

Ecco, in aggiunta ai telegrammi inviati, un breve sunto della cronaca di questi primi tre giorni di attività ginevrina.

Utile, oserei dire necessario, il mio incontro con Henderson, alla vigilia dell'apertura della sessione (2). Henderson e la Delegazione inglese hanno lasciato volentieri che l'ambiente politico ginevrino, incuriosito di questo incontro, pensasse su di esso anche più di quello che esso in realtà contenesse. Ma questa dimostrazione di collaborazione itala-britannica alla vigilia di una sessione così delicata ed imbarazzante per noi, ha contribuito a dare un tono di maggiore libertà ed autonomia alla nostra azione. Henderson non riesce a dimenticare il cattivo scherzo giuocatogli dai Francesi sull'Accordo Navale del l" marzo; ha avuto su tale argomento parole amare e dure. Egli mi ha proposto, ed io ho accettato, di seguire per ora la tattica seguente: se i francesi domandano di riprendere le trattative risponderemo loro che poiché essi hanno desiderato dare al negoziato un carattere formale con uno scambio di note diplomatiche, il Governo britannico e quello italiano sono in attesa di una risposta formale alla proposta contenuta nell'ultima nota britannica ed italiana (3). In realtà, prima che la crisi del Gabinetto francese non sia risolta e che un um:::.o di r.utor~tà governi la politica estera francese non c'è da farsi illusioni sulla possibilità di condurre a fondo con la Francia un negoziato qualsiasi. Circa l'attitudine inglese sulla progettata unione doganale tedesco-austriaca, essa è quella che si presumeva. Il Governo britannico non ha obiezioni sostanziaii da fare a tale accordo. In fondo, pur non confessando dò apertamente, l'accordo non dispiace e ne sono evidenti i motivi. Dal punto di vista politico il Governo di Londra considera " l'Anschluss , come un avvenimento fatale che occorre

\2) Non si è trovato verbale di questo incontro con Henderson, avvenuto il 14 maggio.Come risulta dal tel. 1348, Londra 11 maggio, Henderson si proponeva di parlare dell'accordo doganale austro-tedesco. « Egli vuole evitare che discussione tanto da parte della Commissione Europea quanto in Consiglio risulti in una vittoria sia del punto di vista francese che di quello tedesco; vorrebbe arrivasse ad un rinvio per lasciare tempo aglianimi di calmarsi e ... a tal uopo, senza che nessuno abbia a prendere una definitiva posizione, proporrà rimettere ad un Comitato da nominarsi esame questione sotto tutti i suoi aspetti. Egli spera che V. E. verrà disposto entrare in questo ordine di idee.

Henderson intende anche concertarsi a lungo con V. E. •.

soltanto regolare allo scopo di evitare che una precipitata ed anticipata attuazione di esso possa seria;~;.c:1te turbare l'incerta pace europea. Dal punto di vista economico l'accordo austro-tedesco è più favorevole che dannoso al commercio britannico. Aggiungasi, da parte inglese, il mal celato desiderio di favorire, in questo momento, quanto possa creare fastidio ed imbarazzo alla Francia. Henderson mi ha detto chiaramente che la sua proposta di adire alla Corte dell'Aja (l) è inspirata a guadagnare tempo, ma egli è convinto che la Corte dell'Aj a non potrà se non dare ragione alla Germania ed all'Austria. Ho spiegato ad Henderson che l'Italia non può assistere indifferente all'iniziativa tedesco-austriaca, e se questa si avverasse nei termini in cui è stata annunciata, il danno che la nostra economia ne avrebbe in seguito, sarebbe notevole. Ma, a parte ciò, l'Italia si troverebbe improvvisamente davanti alla rottura di un equilibrio politico negli Stati dell'Est-europeo. Noi non siamo affatto rassegnati a perdere i vantaggi che l'esistenza di un'Austria indipendente ci procura, e non possiamo, in omaggio alla fatalità, accettare il fatto compiuto. Faremo quindi quanto ci sarà possibile per impedirlo. Naturalmente non intendiamo metterei nella scia dell'azione francese, tanto più che siamo convinti della inefficacia di questa azione. Ho illustrato ad Henderson quanto abbiamo fatto finora per alleggerire la posizione economica dell'Austria ed il contenuto dei nostri recenti accordi diretti conclusi con Vienna e Budapest, accordi cui altri del genere potranno successivamente seguire coi rimanenti stati danubiani. Henderson ha finito col dire che il gesto tedesco era stato intempestivo e politicamente sbagliato, tale da provocare « the consternation of Europe » ed in

definitiva un danno politico per la GenYJania. Siamo rimasti d'accordo di tenerci in stretto contatto e regolare la nostra azione su linee il più possibile identiche o almeno parallele. Quando ho comunicato ad Henderson che Tu, prima di congedarmi, mi avevi dato istruzioni di sostenere ed insistere per la sua candidatura a Presidente della Conferenza del Disarmo, egli che, essendo laburista e vecchio è quindi doppiamente sensibile al peccato della vanità, pur non essendo affatto cattivo, mi ha detto calorosamente di ringraziarTi, riconoscente e soddisfatto. La sera in un pr:::nzo (mi ha riferito Mrs. Barthon, una nostra amica inglese che abita a Ginevra) Hcr:derson avrebbe detto parlanc1o dell'Italia: • When a m an is able to rule a country as Mussolini does, he cannot be but a great man ».

Nella serata di giovedì 14 mi sono venuti a trovare Karoly e Schober.

* Questi ungheresi sono degli amici fidati ma dei tipi allegri, nondimeno! * (2). Un mese fa Hory mi è venuto a dichiarare che al Governo ungherese non restava altro che accettare il fatto nuovo dell'unione doganale austro-tedesca (3). Adesso Karoly si dichiarn preoccupatissimo che un'azione italiana parallela ma non associata a quella del Governo francese possa indispettire la Francia e portare conseguenze dannose all'Ungheria. Karoly insomma non sgradirebbe

che l'Italia entrasse ad appoggiare in pieno il progetto francese, senza riserve. Gli ho spiegato a lungo che dò non è possibile, soprattutto perché ciò sarebbe dannoso proprio all'Cngher~a, la quale non può aver l'aria di domandare l'elemosina alla Francia e tanto meno di essere salvata dalla Piccola Intesa, dopo tutto quel po' po' di letteratura magiara sul Trattato del Trianon! Malgrado ciò non sono riuscito a convincere Karoly circa l'opportunità che il rappresentante dell'Ungheria prenda la parola durante la discussione, dopo le mie dichiarazioni. Gli Ungheresi non sanno che pesci prendere. In verità la loro situazione è drammatica (1).

Schober (2). È un • porcaccione ». Ecco come io definisco questo uomo. Noi forse abbiamo commesso qualche errore nei suoi riguardi, lasciando che Starhembcrg e soci accreditassero in lui l'impressione che Tu, ad un certo mo·· mento, volessi sbarazzarti di lui per il binomio Vaugoin-Starhemberg. Il che non toglie che Schober rappresenti il tipo perfetto dell'austriaco attuale, nei suoi difetti peggiori. Per Schi.iller, che gli sta accanto, l'unione doganale della Germania non rappresenta evidentemente altro che un mezzo per ricattare finanziariamente le grandi potenze dicendo loro: " Se non volete l'Anschluss dovete pagarci questo favore che vi facciamo ben caro; ». Schiiller è un uomo di affari che cerca soldi, e manovra abilmente (il suo giuoco è facile) pel· fare pagare all'Europa al più alto prezzo possibile l'eventuale rinuncia al fidanzamento di Casta Susanna col Nibelungo villoso e violento. Ma Schober, imbarazzato, tortuoso, che comincia tutti i suoi discorsi con me, Henderson ed i francesi dicendo: • Voi avete tutta la ragione di rimproverarmi... la colpa è di Berlino... la colpa è di Bruening... io sono stato sorpreso nella mia buona fede... io non sapevo nulla ecc. ecc. » è di fatto nelle mani dei pangermanisti austriaci i quali, alla lor volta, dipendono da Berlino. Quando gli ho detto:

" lVIa insomma, perché non dichiarate almeno che l'Unione doganale non ~ignifica per voi l'Untone politica, e che siete contrario all'A.r.schluss? Ciò potrebbe dare credito alla vostra buona fede ed aiutarvi, in definitiva, ad uscire dalla situazione difficile ,, Schober ha risposto, sospirando, chiudendo gli occhi, tragicomico nella sua falsità: < Non posso. Ve lo dirò perché non posso. A quattr'occhi. Ma non posso ". Schober è in mano di Berlino per ragioni di politica interna austriaca. Con scarsi seguaci, con un partito cristiano-sociale guidato da Seipcl che è contro di lui, nella impossibilità per lui vecchio capo di polizia di andare sicuramente coi socialisti, S.chober ha trovato nell'idea pangermanlsta l'unico elemento che possa sostenere la sua incerta posizione politica. Questa è la mia impressione. Poco di buono dovremo attenderci, specie in futuro, da lui.

Venerdì nella mattinata ho conferito con Curtius (3). Ho desiderato vederlo

subito, prima che si iniziassero i lavori della sessione. per dirgE con lerJe

« Nei diversi colloqui avuti col Ministro ungherese non vi è che una circostanza da sottolineare: la preoccupazione dell'Ungheria di vedere l'Italia scostarsi troppo dall'C Francia e indebolire la resistenza alla Germa!lia pe;" la preoccupazione di differen::iaroi dalla Francia.

Semnre leoni a Budapest questi bravi magiari e agnelli a Ginevra!"·

.,

4J.J

franchezza che la Germania non doveva attendersi da noi questa volta un atteggiamento benevolo. Mi sono vivamente rammaricato del fatto che il Governo tedesco ubbia guastato sul nascer2 ur.a collabor:nione italo-~Ern~an:ca, introducendo in qu2st'ulLma una nube che ho ~peranza la saggezza del Gcverno tedesco vorrà dissipare non insistenào su un'un~o;1e dall:l quale il Governo tedesco ha tutto da perdere anziché da guadagnare. Curtius ha insistito per dimostrarmi che l'Unione doganale non rappresenta un danno per l'Italia e chiò ad ogni modo il Governo tedesco non può tornare :ndietro. Dopo qucsl::l battuta iniziale Curtius ed io siamo rimasti intesi eli riprendere l'argomento tra qualche giorno in una tranquilla ed esauriente conversazione.

Briand è arrivato a Ginevra molto, ma molto male in gamba, Henderson, non so se per ingenuità o per rendergli il peggiore se!"viz~o che si poteva rendere in quel momento a Briand, lo ha salutato con un discorso che era un autentico elogio funebre. Henderson ha detto, in sostanza: « Signor Briand vi vogliamo bene soprattutto in questo momento in cui non contate più niente , . Nel pomeriggio di venerdì durante la riunione segreta a quattro il vecchio era accasciato, stanco e Curtius ha avuto in fondo ragione su di lui facendo prevalere la sua tesi circa la priorità della discussione dell'Unione doganale in seno alla Commissione europea anziché al Consiglio. Però ieri, di fronte alla solita pesante attitudine tedesca, il vecchio si è ripreso, ed ha reagito con sufficiente energia.

Ieri è stata in fondo la giornata più interessante dal punto di vé.>ta scenieo. Bisogna riconoscere che nell'arte del palcoscenico e come « metteurs en scène , i francesi sono insuperabill. Presi alla sprovvista dal discorso di Curtius. che essi si erano illusi sino all'ultimo momento egli non avrebbe pronunciato, i francesi sono subito passati al contrattacco in grande stile. Distribuz:one ;m:nediata di ·un voluminoso memorandum contenente le solite inconclude;"lti ricette messe a nuovo accompagnate questa volta da una copiosa offerta c<i banconote francesi. Poiché del tasso di interesse si discuterà in seguito ciascuno ha il diritto di illudersi per ora che il denaro è offerto gratis. Ma intanto l'effetto è guadagnato. Il colore e l'odore dell'oro hanno sempre avuto una troppo naturale virtù magnetica. JVI:i sono reso immediatamente conto che se non ;:Jiazzavo le dichiarazioni dell'Italia prima del pezzo-forte francese, la nostra azione sarebbe stata soverchiata c rièotta :1 propol'Zioni talmente lir.1itate da perdere qualsiasi carattere se non di autonomia, certo di pr:orità. Così ho insistito per parlare dopo la breve ma energica risposta di Briand e pr~n-,a che Poncet illustrasse il contro-progetto francese.

lVIi sono tenuto, come Tu avrai veduto ieri sera dai giornali, nei limiti ,precisi delle Tue istruzioni del 9 maggio (1). Il Governo italiano pensa che è impossibile limitare al semplice campo economico l'esame della progettata unione tedesco-austriaca. Nel campo politico qualsiasi • slittamento » dell'Unione doganale verso l'unione politica austro-tedesca non potrebbe trovare consenziente l'Italia. Poiché la discussione aveva esclusivamente un tema economico

p. -448.

e cioè la crisi europea, ho cercato di differenziare il più possibile, criticando parimenti il metodo tedesco ed il metodo francese, la direttrice dell'azior.e italiana in questa materia. Discorso molto semplice e sobrio, secondo il nostro stile, che ha presentato una linea autonoma, per quanto possibile, ed indipendente dell'Italia, mantenendo le nostre posizioni equidistanti, ma dicendo pur chiaramente ai tedeschi che se insistessero sulla strada segnata ci avrebbero nettamente contro. Con pacatezza e con misura, ma questo credo bisognava fosse detto, a meno di non volere apparire come favoreggiatori della Germania. Mi propongo di ripetere presso a poco le stesse cose in Consiglio domattina e se una discussione vi sarà, ciò che Henderson cerca di evitare IT:a che non so come riuscirà ad evitare e che forse non è bene evitare. L'impressione del mio discorso è stata buona e credo di avere ottenuto l'effetto che era nelle Tue direttive, e cioè quello di apparire quello che siamo, gente seria che fa quello che promette e promette quello che fa, che non • bluffa " e che ha un programma modesto sì, ma differenziato e soprattutto realizzabile.

L'intervento francese di Briand prima e di Poncet poi ha avuto del drammatico e del melodrammatico insieme. Due idee. 1) Se voi, Germania, fate l'Anschluss vi facciamo la guerra. 2) A voi, Austria, ed altri paesi pezzenti del sud-est europeo, eccovi qui del denaro al tasso ed alle condizioni che mi riservo di comunicarvi a suo tempo. L'impressione momentanea è stata che la Francia sia disposta a giocare grosso. Ma quali saranno effettivamente i risultati? La Francia si considera a Ginevra come un Ministro davanti ad una Camera dei Deputati. Bisogna sbarcare un voto di fiducia, qualunque esso sia ed in qualunque modo. In realtà la Francia non farà la guerra alla Germania, per l'Unione doganale, nè presterà questo denaro che fa luccicare gli occhi ad austriaci, magiari, serbi, romeni, albanesi (anche albanesi, come 'TI dirò) ad un tasso di interesse che non sia quello dello strozzino.

Poi ha cantato Schober in tono minore, difendendo beninteso il progetto austro-tedesco, ma concludendo il~ r2altà nel modo seguente: « fateci delle condizioni migliori di quelle che la Germania ci fa, e noi saremo buoni •. Due sottintesi, e cioè: « condizioni migliori non ce ne farete, o se ce le farete, Berlino sarà costretta a farcele dopo migliori ancora •.

Domattina, come Ti ho detto, vi sarà la discussione al Consiglio, che

finirà colla nota soluzione dilatoria e cioè il ricorso all'Aja. I Francesi sono

sicuri che la Corte permanente darà ragione a loro. I tedeschi sono altrettanto

sicuri del contrario. Il problema dunque si aggiorna, ma non si risolve. Tor

nerà nel mese di settembre. Gli inglesi, e noi con essi, sperano che nel frat

tempo qualcosa accadrà che possa dare agli avvenimenti un corso meno inquietante. Non Ti nascondo, Caro Presidente, che la mia fatica di mantenere la po>;1zione dell'Italia a quel livello di prestigio quale la politica del regime esige assolutamente, non è facile. Credevo che la Conferenza di Londra rappresentasse il grado massimo delle difficoltà per un diplomatico italiano. Il giuoco attuale è più difficile. Spero di cavarmela, soprattutto perché so di essere confortato dalla Tua assistenza quotidiana e dal fatto che non ho se non un compito: la esecuzione fedele delle Tue direttive. Ma la • bomba • dell'accordo

austro-tedesco non ci voleva. È stata una cannonata che ha ferri1ato un po' la nostra nnve in mezzo al mare, e messo a dura prova l'abilità dci navigatori che si sentono costretti a spostare, nelle condizioni meno adatte, ì:1 rotta prestabilita. L'accordo austro--tedesco ci ha sorpreso nel momento in cui stavamo per raccogliere il primo frutto tangibile di parecchi anni di polemica italafrancese, nel momento in cui eravamo riusciti a determinare, per la prima volta, dopo la guerra, un principio di collaborazione concreta italo-tedesca sulla base del principio della revbione dei Trattati, nel momento infine in cui questi due fatti stava~o per influire favorevolmente sulla situazione dei rapporti itala-jugoslavi. I tedeschi, bestioni dal pied~ piatto, come sempre, ci hanno guastato un po' tEtto determinando automaticamente la convergenza di un interesse italo-francese ed anti-tedesco che, per quanto noi facciamo di 'cutto per mantenere differenziato, si mostra in tutta la sua evidenza e costringendoci da ultimo a considerare la convenienza di patteggiare con la Jugoslavia un accordo economico che avrebbe dovuto essere, nelle condizioni previste un elemento non scindibile dal negoziato politico generale. Aggiungasi che per quanto io mi sforzi a mettere insieme i brandelli di un programma italiano da contrapporre a quello tedesco e francese come rimedio alla crisi economica dell'est europeo, e per quan~o io sia riuscito a far accettare questo cosiddetto programma, come una realtà differenziata, c'è tuttavia un fatto che è prosp2-:tico, e non lo si può quindi nascondere interamente. L'apparizione inaspettata della Germania sul Danubio ha modificato automaticamente alcune posizioni politiche dell'est europeo. Il contrasto itala-francese è diventato il contrasto tedesco-francese, e l'indice cloè la misura della nostra potenza ne ha eviden

temente un poco sofferto.

C'è naturalmente, un largo margine di riguadagno, e come in tutte le

cose svantaggiose una parte di vantaggio che bisogna cercare di afferrare per

non correre il rischio di cadere, come dice un proverbio (mi pare proprio

tedesco) • fra due sedie , . Questo soprattutto per quanto riguarda gli interessi

generali della economia italiana. Nel campo politico il giuoco spostandosi e

perdendo alcuni di quei caratteri di rigidezza che erano il presupposto della

nostra azione politica sino a ieri, si arricchisce, in compenso, di elementi nuovi,

mobili, impreveduti.

L'Italia si avvia ognora più a costituire tra Francia e Germania quello

che vorrei chiamare il « peso determinante ». Si tratta, al momento buono di

farci pagare molto caro dall'una parte o dall'altra. In attesa di quel momento

buono mi sembra che la condotta segnata a Ginevra in questi giorni sia la

più opportuna. Il contrasto con la Francia non ci impedisce di essere contro

la Germania. Un eventuale contrasto colla Germania ci impedisce di essere

contro la Francia. Dimostrare che la nostra poEtica non è schiava della regola

del tre. Poi vedremo domani.

P.S. Thomas, tornato dall'Albania, ha portato i desiderata del Governo albanese per ottenere dalla Società delle Nazioni (Vedi Francia) crediti per risollevare l'economia albanese. L'Albania, evidentemente, vuole fare un po' come fa l'Austria.

(l) Questo documento è stato citato da R. DE FELICE, Mussolini, pp. 379 e 388.

(3) Cfr. n. 237.

(l) -Testo della risoluzione del Consiglio della Società delle Nazioni, presentata il 18 maggio da Henderson e appoggiata da Grandi e Briand, approvata il 19 maggio, con cui veniva deferita al tribunale dell'Aja la questione dell'unione doganale austro-tedesca in DB, II, n. 39. (2) -In un altro testo la frase tra asterischi suona cosi: « l'atteggiamento degli ungheresi è singolare ». (3) -Cfr. n. 206, dove però non risulta l'affermazione che Hory avrebbe fatto a Grandi.

(1) Cfr. il seguente appunto di Grandi, datato Ginevra 15-22 maggio:

(2) -èfr. n. 267. (3) -Cfr. n. 269. (l) -Si tratta verosimilmente di istruzioni date verbalmente, per le quali cfr. n. 287,
273

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, FANI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, CHIARAMONTE BORDONARO

TELESPR. 217739/314. Roma, 18 maggio 1931.

A rapporto 22 aprile u.s. n. 1746/885 (1).

Ho ricevuto il rapporto sopra richiamato col quale V.E. pur riconoscendo implicitamente la grave portata degli emendamenti alla costituzione nei riguardi della lingua italiana a Malta, quali sono stati riferiti nei rapporti del Comm. Silenzi, giunge alla conclusione che sia sconsigliabile un nostro passo diplomatico anche amichevole.

In realtà anche questo Ministero si è sempre reso conto, come del resto era detto nel precedente mio telespresso sull'argomento, della delicatezza della questione. Perciò col telespresso medesimo, riaffermando il principio che il nostro Governo non pensa in alcun modo ad ingerirsi in fatti di politica interna di altri Stati, era nel pensiero di questo Ministero che V.E. senza addivenire ad un passo diplomatico trovasse egualmente modo di ritornare sulla cosa in occasione di Sue conversazioni con organi responsabili di codesto Governo. Il quale ultimo non può aver ragione di sorprendersi (nè di dare al fatto ingiustificate .interpretazioni di sospetto), che in Italia l'opinione pubblica e lo stesso Governo si interessino e si allarmlno vedendo minacciata una tradizione di italianità di cultura che nell'isola ha tutto un passato particolarmente glorioso.

La nostra lingua ha appunto troppe tradizioni gloriose nel campo della civiltà e della cultura, perchè l'Italia non ne senta tutto il legittimo orgoglio, e non se l!e consideri, in certo qual modo, vigile e gelosa custode, senza che da questo si abbia a trarre la conseguenza di assurde aspirazioni politiche, cui nessun uomo di Governo britannico può seriamente credere. Ed appunto perchè i minacciati provvedimenti hanno, come Ella osserva, la loro ragione di essere in meschine lotte di partito locale, riescirebbe più difficile e certo più penoso all'opinione pubblica italiana, lo spiegarsi che ad esse un grande paese come la Gran Bretagna abbia consentito a sacrificare gli interessi, sia pure soltanto ideali, di un Paese amico come il nostro.

E perciò, poichè in ogni modo anche se non molto probabile non è escluso che le mene Stricklandiane possano avere buon gioco sulla finora assai scarsa resistenza britannica (anche l'atteggiamento del Time3 che V.E. mi ha segna12to coi suoi successivi rapporti può apparire significativo) è bene che Ella si adoperi, nel rr.odo che riterrà migliore, ma con viva attività e valendosi di tutta quella particolare simpatia e fiducia personali che ha saputo acquistarsi costì, a far sentire e comprendere quali sono le ragioni esclusive per le quali noi non possiamo disinteressarci alla questione della lingua italiana, alla quale oggi artificiosamente, e soltanto per sue ragioni di rancore personale, il Signor

Strickland vuol ridurre tutte le ben p:ù complesse rag~oni di conflitto che da

tempo si trascinano nell'isola. Ella vorrà poi continuare a tenermi informato dell'esito d~ tale Sua azione (1).

(l) Non si pubblica.

274

L'AMBASCIATORE A PARIGI, MANZONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. 1411/189. PaTigi, 19 maggio 1931, ore 13,15 (per. ore 16.30).

Atteggiamento italiano nella Commissione Paneuropa, nel Consiglio della Società delle Nazioni e nel Comitato Controllo Austria circa progetto Unione doganale austro-tedesca produce qui forte e favorevole impressione. Si constata con piacere che esso non contrasta con quello francese e con tesi francesi, ma ciò che più si nota è che è assolutamente indipendente e si verifica nonostante atteggiamento generale tenuto dalla Francia verso l'Italia. Linea autonoma sostanzialmente costante della nostra politica acquista rilievo e considerazione.

Comunicato Roma e Ginevra.

275

L'AMBASCIATORE A PARIGI, MANZONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. POSTA 2804/1579. Parigi, 19 maggio 1931.

Riferimento a telespresso n. 216925/477 E.L.A. Pos. Libia 15.1 del 12 maggio 1931.

Ho avuto occasione di far intrattenere il com1~ctentc funzionario del lVIinistero degli Affari Esteri circa le notizie di presenza di Senussiti in Siria e nell'Africa Centrale Francese, specie nelle località prossime al confine egiziano, lasciando anche intenàere che sono corse voci da p~rte dei ribelli di simpatie francesi al movimento antitaliano.

Il Conte di St. Quentin ha fatto osservare che è necessario che nei riguardi dei moti islanùci, che sono tutti collegati e diretti da note personalità (fra cui principalmente Sciakib Arslan) che fanno la spola fra Ginevra, Berlino e

« La risposta testè pervenuta da S_ E. Bordonaro non sembra del tutto rassicurante in proposito, mentre proprio di questi giorni ha fatto ritorno a Londra la Commissione Reale che si era appositamente recata a Malta_

L'Ufficio ritiene perciò doveroso far presente quanto precede all'E. V. pel caso che a fiancheggiare le conversazioni del nostro Ambasciatore a Londra, giudichi utile sottoporre a S. E. il Capo del Governo l'opportunità di intrattenere Egli stesso sull'argomento sir Ronald Graham •.

lVIosca, le potenze interessate mantengano un fronte unico: cd anche in occasione delle agitazioni e dei moti antitaliani, che sor.o poi anche dei moti xenofobi e quindi anche antifrancesi, le Autorità della Repubblica hanno tenuto (e terranno) massimo conto di questo precipuo interesse comune, adoperandosi nel modo migliore per contrastarli ed anche per proteggere i nostri connazionali in Siria come a Tunisi, dove tuttavia l'agitazione è stata minore e più facilmente sedata.

Egli non era informato della presenza di senussiti nella regione al Nord del Tchad verso la frontiera egiziana: ve ne sono invece già da tempo, come è noto, parecchi in una zona più a occidente.

St. Quentin durante le conversazioni ha rilevato che, analogamente a quanto accadde per la Francia a proposito della applicazione delle leggi berbere ai berberi, forse i moti sono stati causati da qualche atteggiamento nostro non troppo prudente, come quello di proclamare apertamente la guerra ai senussiti. Lo riferisco solo per rendere edotto il R. Governo dell'impressione espressa dal Capo Ufficio del Ministero francese degli Affari Esteri.

(l) Cfr_ l'appunto di Guariglia per Grandi del 7 luglio, dopo ricevuta la risposta (che non si pubblica) di Bordonaro:

276

IL MINISTRO A BUDAPEST, ARLOTTA, AL VICE CAPO GABINETTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, JACOMONI

(Archivio Grandi)

L. R. CONFIDENZIALE 3885/418. Budapest, 19 maggio 1931.

Il Signor Guido Malagola Cappi, qui residente, e del quale ho avuto occasione di parlare nei miei due rapporti confidenziali diretti a S. E. il Ministro

. in data 2 e 20 febbraio, rispettivamente coi numeri 577/82 e 984!147, mi ha dato spontaneamente e riservatamente conoscenza, testè qui rHornato da Roma, dove ebbe l'onore, credo 1'11 maggio, di essere ricevuto in udienza particolare da S. E. il Capo del Governo giusta preavviso scritto fattogli costà pervenire proprio per di Lei gentile tramite, dell'annesso promemoria confidenziale nel quale aveva appuntato le fasi dei più recenti colloqui da lui stesso avuti a Belgrado con Re Alessandro, e concernenti tra l'altro un eventuale viaggio in Italia del Sovrano jugoslavo. L'originale del promemoria an2lidetto è stato dallo stesso Malagola rimesso a S. E. Mussolini in appoggio dell'esposizione verbalmente fattagliene.

Per quanto il promemoria in questione è certamente già noto a S. E. il Ministro, siccome esso termina col riportare una considerazione da me fatta parlando col Malagola circa il probabile atteggiamento del Conte Bethlen di fronte ad un eventuale nostro riavvkinamento colla Jugoslavia, con frase forse tanto categoricamente affermativa da lasciare l'impressione che io abbia discusso in modo preciso la questione con questo Presidente del Consiglio, Le sarei ben grato se, al dtorno di S. E. Grandi, di Guariglia e di Ghigi da Ginevra, volesse compiacersi chiarir loro a mio nome, che effettivamente ho ragione di dedurre dalle molteplici conversazioni in cui il Conte Bethlen mi ha sostenuto, caldamente auspicandolo, la convenienza di agire in qualsiasi modo pur di raggiungere un qualsiasi « sgretolamento » della Piccola Intesa, nonché dalla costante sua affermazione di particolare ostilità alla Cecoslovacchia, come egli non sarebbe punto contrario ad una nostra intesa colla Jugoslavia che tenesse conto degli equi interessi -se non 'proprio dei vantati diritti territoriali dell'Ungheria, e dalla quale potesse risultare un allentamento del cerchio di ferro che ora strozza questo paese; ma che, ripeto, non ho fatto alcun accenno nè al Conte Bethlen nè ad altri, non soltanto, ben inteso, del principale argomento di cui è oggetto l'annesso promemoria, ma neanche, comunque, dei contatti confidenziali con Re Alessandro dei quali è tramite il Malagola.

Mentre La ringrazio vivamente per la Sua cortesia, La prego, caro Jacomoni, di voler presentare i miei ossequi a S. E. il Ministro e di voler dividere, con Ghigi, al suo prossimo ritorno da Ginevra, i miei più cordiali saluti.

ALLEGt,TO.

PROMEMORIA DT MALAGOLA C:\PPI PER MUSSOLINI (Copia)

CONFIDENZIALE. Belgrado, 23 aprile 1931.

Avendo io detto al Re che S. E. Mussolini mi aveva chiesto della ~ettera pastorale del Vescovo di Zagabria, il Re mi ha dato le seguenti spiegazi01~i:

• On a fait, il n'y a pas longtemps, une loi pour l'enscignement rìligieux dans les écoles, et on a chargé de ça les maitres d'école memes. Les pretres catholiques ont élevé alors des grandes protestations, ils m'ont envoyé des lettres, des commissions pour me démontrer que les maitres d'école lai:ques, parmi lesquel.ls on trouve facilement des socialistes, des anticatholiques, des athées, ne sont pas adaptes pour donner éducation religieuse aux enfants. D'autre cote les orthodoxcs et le publique en général ont commencé à dire et à é~rire sur les journaux que les pretres catholiques ne pouvaient absolument etre chargés de l'enseignement de la religion dans les écoles car, étant toujours et surtout sous la patte de Rome, ils ne peuvent pas atre de bons patriotes.

Devant ces attaques, les pretres catholiques ont pensé qu'ils devaient faire quelque chose pour montrer qu'ils étaient avant tout patriotes et alors l'Eveque de Zagreb a écrit la fameuse lettre pastorale en espérant de calmer et de changer I'opinion publique.

C'est la seule explication que l'on peut donner à toute la chose; quant à moi, je peux vous assurer que ni moi méme ni le gouvernement ont été prévenus et que nous avons appris la chose quand elle été déjà faite. Et je peux aussi vous donner ma parole que à Zagreb je n'ai pas parlé avec l'Evéque de l'Italie, et que par conséquence rien était plus faux que l'article qu'on a publié dans le Corriere en disant que l'onorificence que j'ai donné alors à l'Evèque était pour l'encourager à ça. Croyez-moi, ça ne me fa:t aucun plaic-ir, car toute cette aff;:,ire nous a créé dcs embarras aussi dans le pays. J'ai fait àcmander à l'Eveque aprè~, s'il avait reçu des reprimendes de Rome du Vatican à cause de ça et il m'a fait dire qu'il n'avait rien reçu •.

Il Re ripete che i due paesi potrebbero così bene completarsi economicamente ed intendersi politicamente: • car si on met sur la balance les questions qui nous divisent avec les raisons qui devraient nous unir, on vcrra que celles-ci pèsent beaucoup plus que les premières, et je suis sur que M. Mussolini, qui

a une intuition si juste et une mamere si exacte de voir les choses, il serait de mon avis. Puisque nous sommes destinés par la nature à etre l'un à còté de l'autre, il serait bien plus avantageux de nous tenir d'accord ».

• Mais est-ce-que Votre Majesté aimerait de rencontrer S. E. Mussolini et de lui parler? •.

« Vous pouvez bien imaginer che j'en serais enchanté, car vous devez vous rappeler que je vous ai toujours parlé de M. Mussolini avec admiration, sympathie et je dirais meme enthousiasme, et j'aimerais bien pouvoir lui parler tranquillement et franchement, mais je voudrais etre sur que de son còté il y avait la ferme intention et la bonne disposition pour arriver à trouver la voie de l'accord et, une fois trouvée, la volonté de la suivre.

Je n'aimerais pas que notre conversation avait le résultat de toutes les autres conversations qui se sont passées entre nos Ministres, lesquelles n'ont jamais eu de suite après nous en avoir donné l'espoir.

Je suis persuadé que M. Mussolini n'est pas bien informé en général. Je ne dis pas que M. Galli ne l'informe pas bien, car M. Galli est une personne tout à fait supérieure, il est vraiment un "gentleman" et j'ai pour lui une grande estime, mais lui aussi il se trouve dans une position difficile car il a trouvé ici un bagage très lourd laissé par son prédécesseur. Très souvent les ,informateu'rs donnent des informations en les déformant selon ce qu'ils pensent qui fait plaisir aux personnes qui les écoutent en croyant de se rendre agréables ou bien en exagérant pour fa:r croire qu'ils sont très bien informés meme des choses les plus réservées •.

Da notare che sono venuti ad annunciare la colazione ma il Re ha continuato a parlare per oltre mezz'ora, cosa insolita data l'assoluta puntualità dell'orario di Corte.

« J'ai vu M. Galli après le mariage du Prince de Piemonie et il m'a dit qu'à Rome il avait parlé avec M. Mussolini et avec M. Grandi et que il avait l'impression qu'à Rome on avait de très bonnes dispositions envers nous, mais après on n'a plus rien entendu.

Plus tard M. Grandi s'est rencontré en Suisse avec Marincovich et après 4 heures d'entretien, ils ont eu le meme résultat négatif.

Si je pouvais p::rler avec M. Mussolini je voudrais que nous avions l'intention de procéder en avant sans nous décourager aux premières difficultées, car je comprends que après tout l'huile qu'on a jeté sur le feu avec cette sale presse au commencement la question "accord" serait impopulaire dans les deux pays, mais bientòt on s'apercevra de l'utilité matérielle et morale de l'accord et on en serait satisfaits. Quant à moi je sais positivement que je pourrais le faire accepter volontier car dans le pays on m'aime, on m'estime et surtout on sait très bien que je n'ai autre pensée que le bien de la nation.

En Italie on croit et on est persuadé que notre pays est sous la dictature de Zifcovich; voilà encore une chose sur laquelle on n'est pas bien ,informés; car c'est moi qui a tout dans les mains, c'est moi qui a mis Zifcovich à la Présidence du Conseil et je l'ai mis à cette place précisément car je voulais un homme qui n'a rien à faire avec la politique. Le G. Zifcovich n'a aucune ambition politique, et il sert son Roi comme un fidèle serviteur, avec intelligence et amour rnais il est pret de quitter sa place et de rentrer au Régiment le jour que je le lui dirai.

M. Mussolini a souvent déclaré d'etre pour la révision des traités sans spécialement déclarer que cette révision doit nécessairement etre contre la Yougoslavie. Si on pouvait se parler on pourrait très probablement trouver aussi l'accord sur cette question délicate et importante mais c'est nature! que jusque là je me tiens avec ceux qui ont intéret à ne pas révisionner. On dit que pour ça nous sommes vassalles de la France. Nous ne sommes les vas~alles de personnes, nous avons avec la France des traités qui nous engagent réciproquement et i1 ne faut pas s'étonner si nous nous tenons et si nous sommes d'accord avec ceux qui ont les memes intérets à ne pas faire révisionner les traités. A quoi bon avoir fait la guerre et quelle guerre si nous devons maintenant en perdre les avantages que nous avons conquis? On s'étonne aussi si nous nous armons, je ne vais pas à le déclarer publiquement, mais la Yougoslavie est peut-étre la Nation qui s'arme le plus en ce moment, car si l'on menace de révisionner pour nous prendre ce que nous avons acquis, je dois étre pret à nous défendre, mais, mon cher, une guerre serait la plus grande calamité qui pourrait arriver à tout le m onde et il faut faire de tout pour l'éviter ».

Poi, guardando l'orologio ha detto: • maintenant nous allons etre grondés; montons Jéjeuner •. E nel montare le scale si è rivolto verso di me c come completando un suo pensiero ha detto: • du reste il n'y aurait rien de plus nature! que si je venais voir mon oncle le Roi d'Italie à Rome• .

Entrando nel salotto vicino alla piccola stanza da pranzo, ove la Regina Maria stava facendo dei solitari, si è rivolto a lei dicendo: • Excuse-moi mais nous étions en train de parler de choses très intéressantes, n'est-ce-pas M. Malagola? •.

Durante la colazione si è parlato di varie cose, il viaggio e la permanenza a Budapest del Principe Nicola di Rumania, delle accoglienze da lui ricevute ecc. ma dell'Italia non si è più parlato.

Il 25 marzo, sabato, ho veduto il Re al mattino mentre stava dirigendo il lavoro di montatura della boiserie, venuta dall'Italia, e il discorso è caduto sui mobili e le antichità ed il Re mi ha detto:

• Vous vous rappelez quand il y a deux ans je vous avais dit que j'aurais tellement aimé de venir faire un tour en Italie et aller dénicher les belles choses dans les magasins? C'était un beau réve qui n'a pas duré •.

Avendo capito che il Re non chiedeva altro che di essere incoraggiato ho subito risposto:

• -Il n'y a que reprendre le réve et faire le voyage cette année ». Ed il Re ha risposto: • -Vous savez de Bled on est à la frontière italienne en deux heures d'auto, donc difficultés matérielles il n'y e n aurait pas •.

Le dimanche le Roi m'a dit de l'accompagner faire une longue promenade dans le parque et la propriété. Mi ha parlato ancora dell'eventualità di un viaggetto in incognito fino a Venezia.

• C'est bien à Venise il y a des très belles choses, mais pour vraiment dénicher les antiquités il faudrait aller aussi à Bologna, et une fois à Bologna vous pourrez réaliser votre grand désir de voir Ravenna •.

Mi ha allora domandato che distanza c'era da Bologna a Ravenna e se a Ravenna c'erano buoni hotels ed altre informazioni sui monumenti ecc. Poi mi ha chiesto, salutandomi:

• -Quan d e3t ce que vous partez? •. • -Demain soir, si Votre Majesté n'a plus besoin de moi •. • -C'est bien alors o n se verra demain matin •.

Il lunedì mattina stavo cogli operai a sorvegliare il compimento del lavoro quando il Re mi ha fatto chiamare nel suo gabinetto. L'ho trovato di ottimo umore e subito è entrato in argomento:

• Quand est ce que vous rentrez en Italie? •.

Ed io mi sono affrettato a rispondere: • Bientòt, Majesté, peut-étre dans deux semaines •.

• -Et vous verrez encore M. Mussolini? •. • -Probablement oui, car je devrais justement lui référer quelque chose pour le travail de la Rocca, et qu'est ce que je dois lu dire? •. • -M. Malagola, je vous considère comme un ami, et je vous prie si vous voyez M. Mussolini de lui dire qu'il trouvera en moi toujours la plus bonne volonté et la meilleure disposition pour venir à un accord •. • -Et si M. Mussolini me demande si vous désirez de le voir est ce que vous m'autorisez de lui répéter ce que vous m'avez dit l'autre jour? •. • -Certainement, je vous répète que je serais enchanté de me rencontrer avec lui, car je suis persuadé que nous pourrions nous entendre bien facilement.

Vous étes un grand pays, nous sommes un petit pays, c'est à vous de nous appeler et à nous d'attendre d'étre appelés.

•Te vous répète aussi et je vous prie de le dire de ma part a M. Mussolini que j'aimerais savoir que des deux còtés il y a la ferme volonté de continuer les conversations, et d'aUer vers l'accord sans nous laisser décourager par les premières inévitables difficultés. Je vous prie de l'assurer que de ma part cette intention existe et que je sais et je peux compter que le pays et le gouvernement vont me... (1).

J'espère que je pourrais dissiper plusieurs convictions qui sont en Italie à cause des informations pas exactes que l'on vous fournit. On croit par exemple que ici chez nous il y a je ne sais pas quelle sorte de "Camarilla ". Rien n'est plus inexacte que ça.

Les généraux qui sont au Gouvernement, y sont justement car je veux avoir des personnes sans ambitions politiques. J'ai toujours exigé que notre armée se tienne loin des compétitions politiques et c'est pour ça que notre armée est compacte, disciplinée et incorrompue, J'y peux absolument compter ».

Il croit que l'accord avec nous serait soulagement général, car une des causes principales du malaise général, des crises du commerce, de l'industrie e~c. est le manque de confiance dans la paix et la peur d'une guerre. Tout le monde se sent sur un Vulcan.

• Comme je vous ai dit, j'ai un traité avec la France, et nous sommes réciproquement engagés.

Si des fois la France tient avec l'Italie un langage un peu "baldanzoso" haute langage [sic] elle le fait car elle vous croit isolés et car elle sait qu'elle est soutenue par nous et naturellement par toute la petite entente.

Elle ne [le] ferait plus le jour que l'Italie avait avec nous, et naturellement avec la petite entente un accord frane et loyal.

C'est l'isolement qu'il faut éviter, que est ce l'Italie croit pouvoir avoir avec des alliances en Hongrie, Albanie, Bulgarie ecc. Tout ce monde s'attache à l'Italie avec l'espoir de tirer avec sa patte les marrons du feu, mais ces allian~es vous coutent des sommes formidables et le jours que vous auriez besoin vous n'en tirerez rien, croyez moi, c'est de l'argent mal placé.

Notre argent nous pourrions mieux le piacer aussi si nous étions en accord avec l'Italie. Mais je vous avoue que maintenant je ne pense qu'à développer dans le pays l'industrie de guerre. J'ai les magasins bondés de matériel de guerre, mais je continue a en produire, pour en acheter toujours moins à l'étranger •.

Ho cercato di riportare l'argomento sul viaggio e così il Re ha detto che lo desidererebbe moltissimo Venezia-Bologna poi il Re vorrebbe visitare la Romagna: Ravenna-Rimini-Urbino-Gubbio-S. Marino.

Siccome altra volta il Re si è intrattenuto a S. Marino, alla sua storia, al suo Governo e siccome sa che a S. Marino noi abbiamo una piccola casa, così io ho detto che sarei stato ben felice di metterla a sua disposizione come • quartier generale • potendo di lì con l'auto fare le gite della Romagna, naturalmente ho aggiunto che ci vuole una buona dose di sfacciataggine a fare una simile offerta, ma lui ha risposto molto cortesemente:

• -J e suis persuadé que nous y serons parfaitement bien •. Siamo poi saliti per colazione ed il Re ha detto alla Regina: • -Est ce que tu aimerais si nous allions de Bled faire un tour en Italie en auto en incognito avec M. Malagola? Finalement nous pourrions aller voir Ravenna et S. Marino où M. Malagola a l'amabilité de nous offrir sa maison •. - • -Qui sait (ha risposto il Re) si on a la chance qu'il soit en Romagna en meme temps, o n pourrait peut-étre le rencontrer •.

Da questo è facile dedurre che fra il Re e la Regina avevano già parlato di questo progetto.

Si è poi parlato di S. Marino, di Arbe ecc.

Prima di congedarmi mi ha ancora ripetuto che se vedevo S. E. Mussolini

gli avessi ripetuto ciò che lui mi aveva detto, poi, al mio ritorno a Belgrado di riferirgli in proposito. Mi ha poi raccomandato il massimo riserbo: « et surtout n'en parlez pas ici avant que la chose so i t fixée ».

Il nostro R. Ministro a Budapest M. Arlotta mi ha detto prima della mia partenza che tanto S. E. il Conte Bethlen, quanto il Ministro della Guerra Gombos, vedrebbero tutt'altro che di malocchio un'intesa colla Jugoslavia e colla Rumania, che isolasse la Cecoslovacchia e mi ha autorizzato a dirlo a S. E. il Capo del Governo.

(l) La lacuna è nel testo.

277

APPUNTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, SUL COLLOQUIO COL MINISTRO DEGLI ESTERI AUSTRIACO, SCHOBER

Ginevra, 20 maggio 1931, ore 8,43.

Schober -Sento che sono di nuovo oggetto delle lusinghe della Francia e di Benès. Avrò il piacere di vedere oggi François-Poncet e :so che mi chiederà che cosa vuole l'Austria. Tengo a dirvelo prima che abbia luogo questo incontro. Il nostro Ministro, qui, Pfliigl, mi disse ieri che i francesi, dopo questa sessione diranno ufficialmente a Vienna che desiderano fare qualche cosa per l'Austria, e che la Piccola Intesa offrirà all'Austria condizioni migliori di quelle che le può fare la Germania. Come ripeto, tengo ad avvertire voi personalmente prima che tutto ciò avvenga.

Grandi -Vi ringrazio.

Schober -Mi pare che sia una cosa importante, non è vero?

Grandi -Si, certo, è importante.

Schober -Noi abbiamo intanto continuato i negoziati con l'Ungheria, e

Nickl deve tornare a Vienna per tutta questa roba.

Grandi -Mi dispiace che non sia q_ui Brocchi, il quale sarebbe prezioso

in questa materia, ma non mancheremo di fare tutto ciò che occorre in que

sto campo.

In quanto a quello che mi avete detto della Francia, io credo che voi non

potete essere contento di quanto avviene...

Schober -(interrompendo) Io tenevo soprattutto ad avvertirvi per non

incorrere di nuovo nei vostri eventuali rimproveri.

Grandi -Mi pare che ora siamo sulla via giusta. Noi pensiamo che la

posizione dell'Austria e della Germania debba essere chiarita e che si debba

fare quanto occorre, per farle uscire dalle loro difficoltà, ma non nel modo che

è stato seguito da voi e dalla Germania. Noi avevamo intravisto con la Ger

mania una collaborazione utile e desiderabile in cui l'Austria avrebbe potuto

trovare il suo tornaconto. Queste vie non sono del tutto precluse. Natural

mente c'è stato un arresto, ma bisogna vedere, a poco a poco, di riprendere

quello che è possibile, dopo che sia stata chiarita l'attuale situazione.

Schober -Io credo che vi sono Paesi i quali, in presenza di questi avve

nimenti, sono indecisi ed in attesa di prendere un atteggiamento. Quello che volevano tali Paesi era di vedere scongiurati i pericoli, ma passati questi e regolato il punto politico, essi seguono col più grande interesse la nuova situazione. Per esempio la Romania. Credo che la Romania sia sul punto di scegìlere una via definitiva per la sua politica, in presenza delle nuove situazioni determinate e che voi dovreste sorvegliare. La situazione mi sembra cambiata precisamente da un certo momento determinatosi ieri. Non pochi sperano trarre da questi fatti l'inizio di una nuova politica economica di grande interesse per loro, così per esempio, forse, la stessa Jugoslavia, nei rapporti con voi, potrà cambiare. Anche Poncet mi disse ieri che si deve assolutamente fare qualche cosa fra Austria e Cecoslovacchia, ora sentirò quello che mi diranno, ma vi ripeto ancora una volta, io vi ho oggi informato preventivamente di tutto questo.

Grandi -Io credo che tutto debba esser fatto per l'Austria eccetto l'unione doganale. In fondo sono contento che Poncet faccia queste avances concrete nel vostro interesse. Credo che il nostro accordo itala-austriaco possa essere anche esso il principio di altra e più vasta collaborazione. La fretta con la quale dovevamo venire a Ginevra ha fatto sì c.he non si è potuto fare di più per questa volta. Ma io ;penso che dopo il mio ritorno a Roma, si pos~ano studiare ampliamenti di questo accordo.

E penso che in definitiva, voi potete essere personalmente soddisfatto, perchè la minaccia dello Zollverein ha determinato un vantaggio per l'Austria. Schober -Sì, ho avuto uno scacco per lo Zollverein ma ho riportato un successo nella nostra linea di difesa degli interessi austriaci.

Grandi -Si è chiarito che la posizione dell'Austria è seria, e deve essere considerata con la maggiore attenzione. L'Europa deve persuadersi, e voi stessi dovete persuadervi che l'Austria deve essere lo Stato cuscinetto nell'Europa centro-orientale. Naturalmente se l'Europa vuole questo, essa deve pagare all'Austria questa funzione...

Schober -(interrompendo) Non pagare, se permettete, Eccellenza, basta aiutarci. Grandi. -Scegliete voi la parola che vi piace. Questi diritti dell'Austria, queste sue esigenze e questa sua funzione sono stati chiaramente posti dinanzi agli occhi dell'Europa.

Io ho sentito subito e non l'ho loro nascosto, l'errore grave che commettevano i tedeschi. Voi non avete commesso un errore diplomatico, perchè voi riportate a Vienna qualche cosa per l'Austria. Avete posto davanti all'Europa la questione austriaca, ma la Germania ha commesso un enorme sbaglio.

Schober -Sono perfettamente del vostro avviso. Voi dovete capire quanto fosse difficile la mia situazione. Non ho mancato di far comprendere questo ai tedeschi. Ho fatto il possibile per far loro intendere che commettevano un grosso sbaglic e per dissuaderli dal farlo. Ora essi lo capiscono e mi danno ragione. Come vi ho già detto l'ultima volta che ci siamo visti (1), io avevo proposto una procedura inversa: incominciare da Ginevra con amichevoli comunicazioni, sondaggi, preparazione ecc. e poi passare ai negoziati. Tanto più che

dietro a questo apparente fatto compiuto, che ha sollevato tanto rumore non c'è assolutamente niente di concluso, Non solo, ma il piano ha molte probabilità di non poter riuscire. I piccoli industriali del mio paese, che ho appena, appena informato in via preliminare con qualche accenno, hanno levato immediatamente le alte strida, protestando che ciò è impossibile, che sarebbe la rovina completa dell'industria austriaca. • Noi s<èremmo sommersi " essi hanno detto « dalla marea industriale tedesca ".

Non voglio trattenervi più oltre, dunque, io spero di vcdervi ;.mcora prima di lasciar Ginevra, credete che la Commissione finirà doman:?

Grandi -Credo di sì.

Schober -Naturalmente il Consiglio continuerà ancora.

Grandi -Infatti.

Schober -Sapete che gli ungheresi volevano che io partissi subito con un aeroplano per Vienna, per la conclusione delle trattative. Io ho detto che non potevo lasciare Ginevra in questo momento, che sarebbe stato un grave sbaglio politico. Non vi pare?

Grandi -Certamente, sarebbe stato un errore (1).

(l) Cfr. n. 267.

278

APPUNTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, SUL COLLOQUIO COL MINISTRO DEGLI ESTERI FRANCESE, BRIAND (2)

Ginema, 20 maggio 1931, ore 18.

Briand -Ebbene, caro Grandi, quando aggiustiamo "notre petite affaire? "·

Grandi -Non chiedo di meglio. Se finora non si è fatto non è dipeso da noi.

Briand -È veramente un peccato. Ma io sono deciso di farlo. Bisogna continuare a lavorare in modo che si possa arrivare ad una conclusione appena si presenterà il momento favorevole.

c Schober -Se sarà favorevole, certamente la Germania insisterà nella realizzazione del progetto ed il Consiglio sarà contrario. Non ho bisogno di dirvi di più sul significato di quello che avverrà. Lascio a voi la considerazione. Voglio soltanto dirvi che forse, quantofu trascurato prima, potrebbe essere fatto ora.

Grandi -Fra i nostri due Paesi.

Schober -Certo.

Grandi -Ma che cosa pensate di fare? Voi sapete che io non ho le idee nebulose di Briand e Benès. Volete dire che si possono allargare i nostri accordi, o forse di più?

Schober -Si, credo.

Grandi -Voi sapete che il Governo italiano ha fatto del suo meglio sul terreno

economico. Su questo terreno si potrebbe fare qualche altra cosa per aiutarvi, ma alla precisa condizione di rinunciare alla unione doganale colla Germania. L'ho detto a Curtius, e lo ripeto a voi. Accordi colla Germania finché volete. Unione doganale, no. Io non credo alla Società delle Nazioni danubiana, la base dovrebbe essere un largo accordo italo-austriaco che assicuri la tutela dei nostri reciproci interessi ed impedisca l'unione dell'Austria con la Germania. Oggi non so dirvi con precisione in che modo. Aspetto il mio amico Brocchi per consigliarmi con lui...

Schober -Posso pregarvi di presentare i miei devoti ossequi al Capo del Governo?

Grandi -Non mancherò di farlo. Del resto vi confermo che egli mi aveva detto di assicurarvi della sua simpatia ed amicizia per l'Austria e per voi. Egli desidera la vostra permanenza al Governo per continuare la politica di amicizia fra l'Italia e l'Austria, che

è necessaria».

Grandi -Non vi nascondo che quello che è successo a Londra è stata per me una grande delusione. Non pensavo che vi potessero essere dubbi e che il Comitato di Redazione potesse incontrare delle difficoltà. Quando ricevetti da Londra il telegramma di Rosso che mi metteva al corrente della situazione ho giudicnto la mia posizione insostenibile ed ho chiesto al Capo del Governv di accettare le mie dimissioni. Ancora oggi non vedo come la cosa si possa regolare se non confermando le Basi d'Accordo.

Brianà -Purtroppo ci sono i Marinai e gli Ammiragli. Però bisogna continuare a lavorare. Io voglio l'accordo con l'Italia su questa e sulle altre questioni. È sempre stata la mia politica, e se rimango, voglio condurla a compimento. In fondo le difficoltà non sono serie.

Grandi -Per le questioni « africane » credo che le difficoltà potranno essere superate. Avevamo già incominciato a discuterne col signor de Beaumarchais (l) quando le improvvise difficoltà per la questione navale hanno tutto interrotto.

Massigli -Io mi chiedo se non sarebbe il caso che si lasciasse dormire per il momento la q,uestione navale e si mandassero innanzi intanto le questioni africane.

Grandi -Io non vedo difficoltà a procedere con l'esame di queste ultime. Bisogna però nel tempo stesso risolvere al più presto la questione navale. Bisogna rendersi conto che questa ha assunto davanti all'opinione pubblica un aspetto speciale. Essa ha creato un problema psicologico. Non si può continuare a rimanere indefinitamente in uno stato di incertezza.

Briand -Sono d'accordo. I nostri esperti devono continuare a lavonre per trovare una soluzione. Sbarazzato il terreno da questa e dalle questioni africane, vi è molto altro da fare utilmente nell'interesse dei due Paesi. Le conversazioni di questi giorni hanno mostrato che il campo economico offre delle larghe prospettive.

Grandi -Non domando di meglio che di lavorare in questo senso. Ho già pregato del resto De Michelis di scambiare delle idee in proposito col signor Poncet (2).

Però quello che raccomando è di fare in modo che la stampa francese non metta in relazione qualsiasi fatto che segni un accordo fra Francia ed Italia con la pretesa intenzione dell'Italia di chiedere un prestito. Nulla può essere più dannoso di voci del genere.

Briand -Lo capisco perfettamente e so che queste voci erano messe in giro da chi voleva danneggiare noi e voi.

La conversazione ha toccato ancora la questione navale senza entrare in particolari. Essa 'Si è conclusa con l'intesa di dire alla stampa che le conversazioni non erano rotte, che gli esperti continuavano a mantenere i contatti con l'intenzione di giungere ad una intesa. Da parte di Massigli viene fatta una allusione alla opportunità di discutere la questione fra esperti italiani e francesi. Per questo Massigli sarebbe felicissimo di venire a Roma allo scopo di continuare le conversazioni. È stata fatta rilevare da parte italiana la necessità che si continui invece a discutere anche con gli esperti inglesi.

ì2) Cfr. n. 285.

(l) II 22 maggio Schober, in un altro colloquio con Grandi, espresse la sua preoccupazione per l'eventualità di una risposta della Corte dell'Aja favorevole all'unione doganale austro-tedesca. Del verbale del colloquio si pubblicano i passi seguenti:

(2) Erano p.~.·c.scn~i ;.:nche Massigli e Ressa.

(l) Cfr. n. 136.

279

IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. POSTA R. 1971/1118. Vienna, 20 maggio 1931.

Sono tornato oggi da Seipel. Gli ho portato il testo del discorso di V.E. in Ginevra, dicendogli essere sicuro di fargli cosa gradita. l\!Il ha risposto che così era infatti, egli non legge che saltuariamente i giornali italiani, e non conosceva il discorso di V.E. se non nei riassunti qui pubblicatine. Sperava io fossi rimasto contento del linguaggio dei giornali austriaci; si era molto adoperato, secondo i miei desideri e le sue promesse, specialmente con la stampa del suo partito così di Vienna come delle provincie. Aveva raccomandato che, pur mostrando, come doveva farsi per evidenti ragioni, di sostenere Schober e il suo progetto, usassero verso di noi parole tali da mantenere l'opinione pubblica austriaca in uno stato d'animo favorevole alla possibilità di una ripresa di nuovi posteriori negoziati. La politica austriaca non poteva cristallizzarsi nel progetto dell'unione doganale, e poiché questo sembrava, almeno praticamente, già liquidato, bisognava riprendere il lavoro in altre direzioni. Ho osservato che alle sue cure per la stampa avevano corrisposto le nostre, e che perciò era stato chiamato a Ginevra il dott. l\!Iorreale, di cui egli conosce e apprezza, secondo mi aveva altra volta detto, la capacità e In serietà, per poter mantenere i contatti con i giornalisti stranieri, tra cui specialmente gli austriaci, e influire su di essi, com'egli stesso mi aveva nel precedente colloquio consigliato.

Egli era stato soddisfatto dell'azione nostra in Ginevra. Da quanto aveva udito, così a Berlino come a Parigi essa era rimasta sino all'ultimo ignota e aveva poi meravigliato: i tedeschi avevano creduto poter fare assegnamento sul nostro appoggio e i Francesi non vi avevano sperato. Gli ho fatto notare che, come avrebbe meglio visto dopo letto tutto il discorso di V.E., noi avevamo seguito una linea di condotta propria, che, se non poteva dirsi germanofila, non poteva neanche dirsi frv.ncofila ciò che restava confermato dalla recente intervista di V.E. in Ginevra ai giornalisti di Germania e d'Austria nella quale l'E.V. aveva assicurato che la nostra politica nei riguardi di questi due Stati non avrebbe subito mutamenti. Seipel ha detto rendersi conto delle ragioni per le quali noi non potevamo consentire alla proposta unione. Del resto egli era soddisfatti3simo degli accordi parafati con Schiiller a Roma. Il nostro sistema gli sembrava più pratico e positivo; meglio convenzioni limitate ma concrete e prontamente attuabili, che non le vaghe e farraginose proposte francesi le quali intendendo riunire insieme tutta l'Europa non sarebbero riuscite a nulla: occorre procedere a intese bilaterali che pessano successivamente estendersi ad aliri Stati.

Questo suo accenno mi ha dato lo spunto di parlargli dell'Ungheria. Credeva egLi possibili più stretti rapporti economici con essa, indipendentemente dalle future eventualità di un'unione dei due Stati connessa per esempio con una restaurazione monarchica? Mi ha risposto chiedendomi se noi non sa

remmo stati contrari a un'unione; rammentava come subito dopo la guerra si fosse dichiarato in Italia che ci saremmo sempre e in ogni caso opposti a una simile combinazione. Ho replicato che quelli erano i tempi di Sforza nei quali il conte, che seguiva altre direttive di politica, si compiaceva di fare anche in politica dello spirito di cattivo gusto, come quando dichiarava che l'Italia non si interessava all'Austria non potendo legare al suo corpo vivo un cadavere. Come mia personale opinione, mi pareva che, essendo noi contrari all'unione doganale, se l'Austria rimpicciolita come oggi è si fosse convinta di non poter vivere che male nelle condizioni attuali e di poterle migliorare avvicinandosi maggiormente all'Ungheria oltre che a noi, non si vedeva per quale ragione non avremmo dovuto esserne contenti e adoperarci per l'attuazione di questo disegno. Del resto i recenti accordi tra l'Italia, l'Austria e la Ungheria potevano appunto considerarsi come un inizio di attuazione di questo

piano. Seipel ha allora soggiunto che di tale questione dei rapporti fra Austria e Ungheria aveva parlato ieri l'altro in un colloquio da lui avuto con il vecchio contè Appony. Alla stipulazione di più stretti vincoli economici tra i due Stati non era ,punto contrario, e ne vedeva la possibilità nel fatto che, mentre l'Ungheria era un paese agricolo, l'Austria, pur dopo aver perduto tante sue industrie divenute cecoslovacche, aveva ancora una produzione industriale che consentiva facilità di reciproci scambi con l'Ungheria. A una unione dei due Stati non poteva per il momento pensarsi, in quanto l'uno era rimasto regno e l'altro divenuto repubblica. Gli pareva che anche per l'Ungheria non si potesse pensare per il momento a una restaurazione; certo non poteva pensarvisi in Austria ove nessun momento sarebbe meno favorevole dell'attuale. Una restaurazione qui, dopo il fallimento del progetto di unione doganale, sembrerebbe soltanto un mezzo impiegato contro di questa ed ecciterebbe i risentimenti dei socialisti, nazionalisti ecc. La questione non è quindi attuale; ma se non può pensarvi:si ora potrebbe pensarvisi in seguito, quando una restaurazione non apparisse come avente un valore negativo, di opposizione a un'altra soluzione, quando per esempio essa apparisse all'economia austriaca come il mezzo per risolvere una crisi che risultasse non avere altri rimedi.

Si è così venuti a parlare dell'attuale crisi bancaria e politica austriaca. Gli ho detto delle voci da me udite, secondo cui il dissesto della " Credit Anstalt , sarebbe stato se non prodotto almeno affrettato e aggravato da un recente ritiro di crediti francesi, voci alle quali dava conferma il risentimento che, so di sicuro, i Rothschild viennesi manifestano in privati colloqui verso questo Ministro di Francia come autore di macchinazioni a loro danno, tanto più ingiustificate in quanto a Parigi non era ignota l'opposizione della " Credit Anstalt , all'unione doganale. Seipel ha mostrato molto interesse alla notizia, ma mi ha assicurato non saperne nulla. Mi ha del pari assicurato essere false le asserzioni, smentite del resto pubblicamente da questo Ministro delle Finanze, per le quali i francesi avrebbero qui fatto offerte di crediti e le avrebbero subordinate alla denuncia dell'unione doganale. Egli è di opinione che lo Stato non debba sostituirsi alla « Credit Anstalt » e debba quindi al più presto liberarsi dagli oneri ora assunti per fronteggiare il di,ssesto, giacché non

appartiene alle sue attribuzioni quella per l'Sempio del controllo di indust!'ie. Bisognerà che esso ceda a qualche organizzazione privata i suoi diritti, e forse da un male può derivare un bene, in quanto si potrà forse giungere alla costituzione di un sindacato internazionale il quale si sostituisca allo Stato austriaco, attenendosi così una maggiore partecipazione del capitale estero alle imprese interne. Tuttavia la situazione economica austriaca è gr2ve e rende necessario l'urgente ricorso ai ripari. Di ciò sono convinti il cancell..iere c il Ministro delle Finanze, i quali si manifestano decisi a non recedere dai progetti di economie, consistenti tra l'altro nella riduzione degli stipendi degli impiegati. Se i pangermanisti persisteranno nella loro tesi di rimandare tale progetto a ottobre, la crisi ministeriale ora latente, diverrà inevitabile, giacché non si può prolungare il presente stato di cose con relativo aggravamento dell'attuale • deficit • già tanto considerevole. Ho osservato che poiché a una crisi ministeriale si verrà, se non ora, in seguito, quando si discuterà sul co~ cordato, mi pareva preferibile affrettarla non dando Schober gli affidamenti necessari a condurre in porto l'accordo con il Vaticano. Seipel ha assentite; no11 bisogna che la discussione parlamentare sul concordato sia compromessa nel suoi futuri svolgimenti da una crisi ministeriale. Bisogna che Schober cada anteriormente su una questione di riforme economiche. Del resto la sua fine potrebbe essere prossima, facilitata come ora è dall'insuccesso di Ginevra, se

i pangermanisti si ostinassero nelle loro pretese. Si costituirebbe allora un nuovo Gabinetto, sempre sotto la presidenza dell'attuale Cancelliere Enàer. del quale non farebbero più parte il Ministro della Giustizia Schiirff pangermanista né Schober che appartiene anche egli al gruppo parlamentare pangermanista. Tuttavia egli è sempre dell'idea, come già nel momento in cui lasciò il potere l'inverno scorso, che bisognerebbe raccogliere insieme tutta la maggioranza anti-socialista, e che pertanto nel nuovo Ministero dovrebbero continuare a partecipare, pur con altri membri, il partito pangermanista, e oltre

ad esso anche quello del • Heimatblock ".

Quando mi sono accomiatato da lui Seipel mi ha ripetuto restare a mia disposizione per quello in cui potesse essermi utile.

P. S. -Seipel si è anche molto lodato dell'opera di Bianchini in Ginevra a favore dell'A:,stria.

280

APPUNTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, SUL COLLOQUIO COL MINISTRO DEGLI ESTERI CECOSLOVACCO, BENES

Ginevra, 21 maggio 1931.

Benes -Comincia col dire che ha desiderato vedermi per riprendere la conversazione al punto in cui fu sospesa durante l'ultimo nostro incontro di gennaio(!). Parlandomi della utilità di un avvicinamento del suo paese all'Ha

lia, egli era allora un facile profeta. È necessario per la Piccola Intesa e specialmente per la Cecoslovacchia di andare d'accordo coll'Italia. L'ultimo convegno della Piccola Intesa a Bucarest ha confermato unanimemente questa necessità (1). Si rende conto che premessa di questa 'Politica è l'accordo dell'Italia colla Francia. La Francia ha commesso dei grandi errori nei riguardi dell'Italia. Crede di poter sapere che gli uomini che dirigono la politica francese sono consci degli errori commessi, e decisi a mutare strada.

Grandi -Lo interrompo dicendo che non mi faccio alcuna illusione su que

sto punto. Di qui a quindici giorni la Francia avrà interamente dimenticato

i vantaggi che da un accordo itala-francese possono derivarle, e di cui in onesti

giorni è stata costretta a rendersi coato. I Francesi non si accorgono del loro

vantaggio che sul punto di perderlo. È lo stato di animo tipico dell'avaro cbe

per non cedere un soldo finisce col perdere un patrimonio. Ecco perché l'Italia

ha tenuto in modo speciale a marcare una condotta indipendente che le renda

possibile ad ogni futura evenienza di giudicare, con assoluta libertà, e tenendo

conto di tutti gli elementi, da quale parte sono i suoi interessi.

Benes -Ho perfettamente compreso, e tutti hanno compreso. Ma senza l'Italia non si può, non si potrà mai risolvere il problema dell'Anschluss. Se l'Italia non è con noi, la Germania finirà un giorno o l'altro per avere la partita vinta. E allora l'Europa sarà precipitata in una crisi di cui non si possono misurare le conseguenze. L'Anschluss non significa, beninteso, la scomparsa dello Stato ceco-slovacco, che è riuscito, in altri periodi molto più critici della sua storia, durante i quali si è trovato a combattere a nord e a sud contro il Sacro Romano Impero, e preservare la sua indipendenza. Un blocco fra la Polonia e la Cecoslovacchia si determinerebbe automaticamente. Vi è gente in Cecoslovacchia che, tutto sommato, non vede nell'Anschluss un pericolo mortale. Ma io sarò contro l'Anschluss, dovessi rimanere solo a combattere in tutté\ l'Europa contro tale eventualità. Di rimedio non ce n'è che uno solo, che ho già accennato al Ministro Pedrazzi: la neutralizzaz:ione dello Stato austriaco (2). Il giorno che saremo tutti d'accordo su ciò, la cosa è fattibile.

Grandi -Non escludo questa possibilità. Se avessimo cominciato in questi giorni a designare (come io ho proposto a Drummond) Vienna quale sede della prossima Conferenza del Disarmo sarebbe stato un buon principio. Ma le considerazioni di comodità hanno prevalso su quelle dell'opportunità politica generale. Ad ogni modo il Governo Italiano è pronto a studiare le proposte che ad esso saranno sottoposte su tale argomento.

Benes -Allora rimaniamo d'accordo che io vi terrò informato di tutto quanto possa essere il risultato dei miei studi e dei miei approcci con altri Governi. Vi sarò grato di farmi sapere, da parte vostra, tutto ciò che riterrete utile.

Grandi -Sta bene. Ma intanto la procedura della Corte dell'Aja va avanti. Tre sono le ipotesi: l) La Corte dà torto alla Germania ed all'Austria; 2) La Corte dà ragione alla Germania ed all'Austria; 3) La Corte emette un verdetto equivoco. Nel primo C<lSO, la questione, per ora almeno, è evidentemente finita.

Non credo che il Governo tedesco si rifiuterà di uniformarsi all'avviso consultivo della Corte dell'Aja. Ma se 'SÌ avvera la seconda o la terza ipotesi? Farete voi la guerra per questo?

Benes -È fuor di dubbio che, ove la Corte desse ragione alla Germania, ci troveremmo tutti in un serio imbarazzo. Ma non c'era altro da fare per il momento, vista l'attitudine del Governo britannico. Ecco perché è necessario che gli Stati interessati si intendano prima, onde non siano colti di sorpresa di fronte a qualsiasi eventualità. Perché, c:d es., non potrer:m1o firmare tutti insieme la memoria defensionale davanti alla Corte dell'Aja? Non vorrei che la presentazione di memorie distinte finisse col determinare delle contraddizioni tutte a favore della Germania.

Grandi -Questo inconveniente lo si può evitare comunicandoci in tempo utile i singoli progetti. Sono d'accordo sulla utilità di presentare davanti alla Corte un fronte unico, composto cioè delle Potenze firmatarie del Protocollo del 1922. Ma se una sola di queste Potenze, intendo riferirmi alla Gran Bretagna, non accedesse a questo ordine di idee, non riterrei utile che Franc:ia, Italia e Cecoslovacchia presentassero un blocco cui non accede l'Inghilterra. Sarebbe l'unico modo per dare all'astensione britannica, proprio noi, un significato di adesione alla tesi tedesca. Se l'Inghilterra, come pare, non accetta, è assai meglio che ciascuno si presenti all'Aja per proprio conto. Nulla vieta che la condotta di ciascuno sia prima armonizzata con quella degli altri.

Benes -Avete ragione. Così resta inteso.

(l) Cfr. n. 31.

(l) -Cfr. n. 255. (2) -Cfr. n. 235.
281

APPUNTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, SUL COLLOQUIO COL MINISTRO DEGLI ESTERI JUGOSLAVO, MARINKOVIC

Ginevra, 21 maggio 1931.

Marinkovic -L'esperienza di questa settimana, dimostra una cosa di cui io, vecchio italofilo, sono convinto dalla nascita, che cioè senza l'Italia nulla si può fare di essenziale e di definitivo nell'Europa danubiana. Gli avvenimenti di questi giorni sono estremamente istruttivi a tal riguardo. L'Italia ha la sua specifica missione in questa parte di Europa. Senza l'Italia la calata della Germania è inevitabile. Coll'Italia alla nostra testa noi siamo e saremo in grado di resistere almeno per molto tempo. I francesi hanno un bel da fare a immaginare piani, progetti, contro-progetti. Essi si sono resi conto che per una infinità di ragioni evidenti la loro azione di resistenza alla Germania nell'Est-Europeo è inefficace. L'Italia invece può farlo. lVIussolini deve profittare del momento favorevole per costituire, egli nessun altro che lui, il blocco del centro-est-europeo, Jugoslavia, Albania, Romania, Ungheria, Austria, Cecoslovacchia. Tutti questi Stati non domandano ormai se non che l'Italia si deeida a prendere la direzione di questo movimento. La Francia non vede volentieri

questo possibile accrescimento del prestigio italiano, ma non ne può fare a meno essa stessa. Ciascuno ha il suo posto determinato nel mondo. L'Italia ha questo posto, e noi tutti in luogo di opporci a ciò, aspettiarno che essa prenda delle iniziative concrete, dichiarandoci sinora non solo disposti a seguirla, ma ansiosi di seguirla.

Il mercato francese non ci può dare nulla. Il mercato tedesco ci può dare troppo. Il mercato italiano ci può dare quello di cui abbiamo bisogno. L'azione dell'Italia può essere politica ed economica insieme, mentre l'azione francese non può che essere esclusivamente politica. Non ci basta. Io ho fiducia che Mussolini profitterà del momento favorevole, rappresentato da questo stato d'animo generale. Il protocollo doganale austro-tedesco ha aperto gli occhi a tutti. Il Governo di Belgrado è rimasto a lungo perplesso. Non parlo di quello di Bucarest, il quale non sa ancora persuadersi a rinunciare ai vantaggi che gli pos'Sono derivare da un accordo colla Germania. Il Governo francese e quello cecoslovacco hanno molto penato a trascinare la Piccola Intesa concorde alla linea che abbiamo poi deciso di seguire. Io sono personalmente persuaso che l'unione austro-tedesca sarebbe un grosso pericolo anche per la Jugoslavia. E non ho esitato. Ma debbo dire che ho fatto molta fatica a persuadere la mia gente di Belgrado. Io spero che l'Italia voglia fare con successo quello che la Francia, pur volendolo, non riuscirà effettivamente a fare. Ma bisogna che non perda tempo. Ecco il mio pensiero.

Grandi -Quello che mi dite è interessante. Non escludo che l'Italia possa mettersi su questa strada. Ma prima di parlare di ciò vi è un punto preliminare che dovrebbe essere regolato, e da cui dipende, evidentemente, la possibilità di sviluppi più ampi. Le relazioni itala-jugoslave. Non è possibile chiudere gli occhi e fingere di ignorare quello che ci stiamo dicendo, io e voi dal mese di luglio dell'anno scorso, sino ad oggi. Nel mese di luglio e nel mese di settembre dell'anno scorso voi avete dichiarato al nostro Ministro a Belgrado e l'avete confermato in seguito a me personalmente (l) che, allo scopo di uscire una buona volta da una situazione paradossale, il Governo jugoslavo era disposto a prendere atto della situazione di diritto e di fatto quale esiste in Albania rispetto all'Italia. Allora la prima volta, ho concepito come possibile una modificazione in senso favorevole, dei nostri rapporti, e in seguito alle vostre dichiarazioni mi sono messo all'opera immediatamente. Ho avuto l'impressione che, poiché eravamo su questo terreno, un'intesa sarebbe stata possibile. Parlo di un'intesa reale, completa. Due popoli che vivono vicini non possono essere che amici o nemici. Non c'è altra posizione. Se non che, poco dopo, verso la fine dell'autunno ho notato un cambiamento nelle direttive del Governo jugoslavo. Questa impressione è stata confermata nel colloquio, troppo generico, che ho avuto con voi nel mese di gennaio (2), e in un altro, più esplicito, che ho avuto recentemente col Ministro Rakic a Roma (3). Prima di proseguire su altro terreno occorre che voi mi diciate francamente cosa pensate di fare. Non vedrei altrimenti la possibilità di una intesa fra di noi.

Marlnkovic -Vi parlerò francamente. C'è un punto cruciale: il possibile intervento dell'Italia in Albania (1). Questo, la Jugoslavia, non può assolutamente accettarlo. Noi riconosciamo la vostra influenza, i vostri interessi, ma non accettiamo che l'Italia si installi in Albania. Ecco tutto. Non possiamo ammettere di avere, nei Balcani, una frontiera in comune con voi. Ci.ò è impossibile. Ma che bisogno avete voi di installarvi in Albania? Siamo d'accordo, voi e noi, che l'Albania debba essere e rimanere uno Stato indipendente. Abbiamo un grande comune interesse che lo sia. Nella convergenza di questo interesse sta la possibilità di intenderei. Voi non volete, e riconosco le vostre ragioni, che la Serbia si affacci a Durazzo e Valona. Ma noi non potremmo sopportare che voi vi affacciate al Lago di Ocrida, cioè nel punto più delicato per noi della nostra frontiera balcanica. Ad un certo momento io ed i miei collaboratori siamo arrivati a questa conclusione: se l'Italia interviene in Albania, interveniamo anche noi ed occupiamo quella parte dell'Albania che riteniamo indispensabile alla nostra difesa territoriale. Ma poi, riflettendovi bene, anche questa soluzione ha un lato svantaggioso per la Jugoslavia ed è che finiremmo con l'avere in tutti l modi una frontiera comune italo-jugoslava nei Balcani. Ciò non è possibile. Se Italia e Jugoslavia si mettono d'accordo nulla può succedere di straordinario in Albania che obblighi l'Italia ad intervenire. L'Albania può essere sicura da qualsiasi attacco esterno.

Grandi -Per il pericolo dell'attacco esterno provvedono gli articoli del Trattato di alleanza italo-albanese. Per i pericoli del disordine interno provvede la Dichiarazione del '21 ed il Trattato di amicizia italo-albanese. È giammai possibile che l'Italia rinunzi a valersi eventualmente di questi due Atti internazionali che costituiscono per il Governo Italiano un diritto ed un dovere nell'istesso tempo? D'altra parte è possibile che si realizzi un accordo politko itala-jugoslavo fingendo di ignorare la questione albanese? Ripeteremmo voi e noi l'errore del Patto del 1924. La situazione fra di noi dev'essere chiara. l\~oi rinunciamo alle nostre aspirazioni, legittime del resto, perché anch'esse derivano da atti internazionali, nel medio Adriatico, ad una condizionE·, che il problema del basso Adriatico sia regolato una volta per sempre. Si tratta di risolvere un conflitto storico. La Jugoslavia ha il suo destino ed il suo avvenire altrove che nell'Adriatico. Noi non intendiamo contrastarvi. Ma la Jugoslavia deve dal canto suo riconoscere una volta per sempre il diritto italiano sul basso Adriatico.

lVIarinkovic -Voi mi parlate di aspirazioni nel medio Adriatico. Ma la colpa è tutta del Barone Sonnino che nel 1915 ha concluso un Trattato che prevedeva il mantenimento dell'Austria mentre noi, serbi, fin da allora ne volevamo la distruzione. Allora il Barone Sonnino poteva intendersi coi Serbi. Non lo volle fare. Noi siamo stati costretti in seguito ad accettare, per salvare

« Si può dire che i rapporti fra l'Albania ufficiale e la .Jugoslavia si trovino, dopo l'attentato, l'affare delle bande, l'intervista di Zog alla Neue Freie Presse, ed il contrattacco del Ministero Esteri di Belgrado, in uno stato di freddezza quale mai non fu dall'epoca dell'incidente Gjuraskovich fino ad oggi.

Concorre, com'è naturale, da parte albanese la volontà di non fare e non dir nulla. in questo momento, che possa danneggiare il noto apporto finanziario o renderne più difficili le trattative irritandoci ».

l'unità jugoslava, Trumbic come Ministro degli Esteri e rivcndicatore dei diritti croati sull'Adriatico.

Grandi -Lasciate in pace il Barone Sonnino. Se nel 1915 egli avesse domandato la distruzione dell'Austria, né la Francia né l'Inghilterra ~vrebbero accettato questa proposta. È la Francia, non l'Italia, che voleva il mantenimento dell'Austria. Ad ogni modo non vedo come tutto ciò abbia a vedere con il regolamento della questione albanese la quale essa pure aveva un principio di regolamento nei Patti del 1915.

Marinkovic -Allora cosa faccic.;-no?

Grandi -Niente. Mi auguro possiate ancora riflettere su quanto ci siamo

detti.

(l) -Cfr. serie VII, vol. IX, nn. 189, 241. (2) -Cfr. n. 30. (3) -Cfr. n. 216.

(l) Sulle relazioni jugo-albanesi cfr. quanto aveva comunicato Soragna con telespr.1066/447 dell'8 maggio:

282

APPUNTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, SuL COLLOQUIO COL MINISTRO DEGLI ESTERI INGLESE, HENDERSON

Ginevra, 22 maggio 1931.

Henderson ha voluto restituirmi la colazione, invitando con me la Delegazione italiana. Dopo colazione abbiamo avuto un ultimo colloquio. Henderson ha manifestato curiosità ed anche una certa ansia di conoscere i risultati del mio incontro con Briand. Mi ha ringraziato per avergli fatto avere un appunto su tale incontro (v. annesso) (1). Briand lo avrebbe informato stamattina che " le questioni politiche coll'Italia, essendo di natura secondaria possono dirsi ormai definite o nella via di definirsi. Ad ogni modo esse avrebbero ripreso subito per raggiungere un "settlement" al più presto possibile , . Queste parole di Briand hanno fatto rizzare le orecchie al Governo di Londra, il quale teme che un accordo itala-francese possa mettere a dormire la questione navale e lasciare sola la Gran Bretagna di fronte alla Francia (2).

Ho rassicurato Henderson nel modo più formale. • Le cose stanno molto diversamente , -gli ho detto -. " Briand mi ha proposto tre cose: l) di mettere a dormire (en sommeil) la questione navale, 2) di anticipare l'esame delle questioni politiche, 3) di mantenere il contatto tra Rosso e Massigli (3).

« Massigli -L'accordo navale con voi sarebbe reso molto più facile se potesse essere incorporato in un accordo più ampio. I marinai sarebbero certo meno esigenti se l'Italia accettasse di fare con la Francia un patto di mutua garanzia, con cui ci garantissimo reciprocamente la sicurezza delle rispettive comunicazioni con i territori coloniali. II giorno in cui noi fossimo sicuri che, in caso di conflitto con la Germania, non avessimo nulla da temere per il trasporto delle nostre truppe africane, potremmo più facilmente rinunciare alla superiorità che dobbiamo oggi reclamare per sentirei protetti nel Mar del Nord e nel Mediterraneo allo stesso tempo. Questo patto di mutua garanzia potrebbe esser esteso all'Inghilterra con un Patto Mediterraneo a tre.

Rosso -Voi pensate alla Germania, ma noi dobbiamo tener conto della Jugoslavia...

Massigli -Noi vi abbiamo già offerto di aderire al patto franco-jugoslavo. Saremmo anche oggi felicissimi di fare un patto a tre. Questo potrebbe aprire la strada alla collaborazione economica di cui è stato parlato in questi giorni fra Ciancarelli e Coulondre ».

Quest'ultimo ha mostrato di gmd1re un invito a recarsi a Rom::1. Ho rispost0 a Briand: l) che il Governo italiano non può, dato il punto cui sono giunte le cose, dare la precedenza a nessun altro problema che non sia quello navale. Nulla impedisce, come non lo ha impedito sin qui, che le conversazioni su altre questioni procedano parallele. Ma l'accordo navale prima di tutto (l); 2) sono d'accordo per il contatto ulteriore tra Rosso e Massigli e graditissimo un viaggio di quest'ultimo a Roma. Ma in questo caso, e comunque, in ogni caso, Craigie doveva e deve essere presente , .

Henderson mi ha ringraziato. Mi ha confermato ancora una volta che il Governo della Gran Bretagna non farà nulla nella questione navale che non sia prima accettato dall'Italia. Gli ho confermato da parte dell'Italia la stessa attitudine di lealtà. Henderson desidera che la sede dei negoziati, ossia del cosidetto • Comitato di Redazione " non sia spostata da Londra. Ho risposto che non avevo motivi per desiderare il contrario. È evidente che i francesi tentano di spezzare il fronte unico itala-britannico. Si tratta di non prestarsi, né da parte britannica né da parte italiana al giuoco grossolano.

Henderson mi ha messo al corrente del significato effettivo del prossimo convegno che MacDonald e lui Henderson avranno con Bruening e Curtius ai Chequers. • Nessun programma e nessuna intenzione particolare. Ho pensato che date le difficoltà di politica interna del Gabinetto Bruening, questo atto di amicizia formale da parte del Governo britannico poteva essergli utile. In Francia hanno preso la cosa troppo al tragico ".

Venendo a parlare della Conferenza del Disarmo, Henderson prevede un primo periodo di tre mesi di lavoro, cui farà seguito una sospensione in vista delle elezioni politiche di alcuni Paesi • La chiave del successo della Conferenza sta molto nella Francia. Bisogna cercare di persuaderla ad essere ragionevole ".

• Non sarà facile -rispondo -. Ma nel desiderio di avere ragionevole la Francia, bisogna pensare a non scoraggiare interamente i tedeschi. Bisogna rendersi conto che la Germania va aiutata in questo campo, e che sarebbe ingiusto mantenerla nell'attuale situazione ". Henderson mi dice di essere d'accordo. Invece di permettere alla Marina Francese di venir meno agli impegni dell'accordo del l" marzo, e lasciare nello stesso tempo credere che si trattasse di un equivoco dovuto alla Delegazione britannica, Briand aveva il dovere di pesare con tutta la sua autorità e la sua persona. Se egli lo avesse veramente voluto il partito militarista non avrebbe osato affrontare lo scandalo su quel terreno. Ma Briand ha preferito non fare questa fatica. Non si è comportato in modo • fair " come negoziatore.

Parlandomi di Litvinoff Henderson mi ha espresso la sua soddisfazione per l'attitudine del Delegato sovietico. • La presenza dei Soviet a Ginevra è un vantaggio per tutti. I bolscevichi sono della gente impossibile. Io, personalmente, ho avuto ogni sorta di delusione trattando con loro. Anche noi laburisti abbiamo messa molta acqua sui n.ostri entusiasmi per una collaborazione coi Soviet.

Ciò nonostante ho creduto di dover rispondere sottolineando cortesemente le dichiarazioni di Litvinoff •. Henderson ha poi soggiunto: • Domani ci sarà una ripresa della discussione sulle minoranze in Alta Slesia. I francesi ed i polacchi insistono per avere partita vinta su Curtius. Ma io difenderò Curtius dovessi rimanere solo in tutto il Consiglio •. Gli ho dsposto che sarebbe rimasto solo. Henderson mi prega di presentare i suoi saluti più sinceri al Duce.

• Dite a Mussolini che gli sono infinitamente grato per l'interessamento che Egli ha preso alla mia nomina a Presidente della Conferenza del Dism·mo, e per le istruzioni che Egli vi ha dato in tal senso. Ditegli che io non dimentico il mio viaggio a Roma (1), il nostro incontro. Ditegli altresì che tutti, nessuno escluso, hanno approvato in Inghilterra il fatto di essermi recato a Roma a conferire con Lui. Ditegli che sono lieto di continuare con voi, che siete il Suo Ministro degli Affari Esteri, la collaborazione stabilita con Lui··.

(l) -Cfr. n. 278. (2) -Come siamo lontani dalla Conferenza di Londra quando ogni sera la Gran Bretagna e la Francia mi minacciavano di mettersi d'accordo alle nostre spalle! Questi sedici mesi d'azione diplomatica hanno contato qualche cosa. Adesso siamo noi capaci di determinare l'isolamento degli altri. [Nota del documento]. (3) -Il 21 maggio c'era stato un colloquio fra Rosso e Massigli. Si pubblica, del verbale, il passo seguente:

(l) Invece, secondo quanto Briand aveva detto a Henderson, Grandi avrebbe accettato di dare la precedenza al negoziato per Tunisi e per i confini libici su quello per la parità navale (DB, II, n. 358).

283

APPUNTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, SUL COLLOQUIO COL COMMISSARIO PER GLI ESTERI SOVIETICO, LITVINOV (2)

Ginevra, 22 maggio 1931.

Litvinov -Mi dice il suo rammarico per non essere io intervenuto personalmente alle riunioni del Sotto-Comitato, e alla seduta di chiusura della Commissione europea dove si sono adottate le proposte circa il credito agricolo. È rimasto un poco stupito che il Delegato italiano Sen. De Michelis abbia preso l'iniziativa di fare difficoltà sul patto di non aggressione economica presentato dalla Delegazione sovietica (3).

Grandi -Il Sen. De Michelis ha evidentemente tenuto presente alcune

legittime preoccupazioni che il vostro progetto può far sorgere se lo si con

sidera nel campo specifico economico. Trattandosi di un Sotto-Comitato tecnico

la sede di discussione era quindi economica. Del resto il Sen. De Michelis

rispecchia uno stato d'animo, proprio, di questi giorni, delle sfere dirigenti

blica, del verbale, il passo seguente:

« Litvinoff -Mi domanda che impressione io abbia avuto dal suo discorso di lunedì.

Grandi -Buona. Del resto voi stesso dovete avere notato l'interesse suscitato dalle vostre dichiarazioni. L'URSS deve convincersi che le fortezze si conquistano dal di dentro, non dal di fuori. La presenza dell'URSS a Ginevra rappresenta una forza suscettibile di influenzare, in senso favorevole alla Russia, l'attuale equilibrio europeo. Perchè tenersi lontani, e favorire il giuoco dei nemici della Russia? Il nemico principale è la democrazia europea che non vuole perturbazioni di eretici nel tempio democratico di Ginevra.

Litvinoff -L'URSS è su questa strada Litvinoff si compiace particolarmente delle buone relazioni coll'Italia, che egli ha desiderio di sviluppare ognora più».

16 -Documenti diplomatici-Serie VII-Vol. X

dell'economia italiana la quale è rimasta assai malcontenta del recente accordo italo-sovietico, le cui basi sono assai diverse da quelle dell'accordo tedescosovietico. Voi avete fatto all'industria italiana delle condizioni assai meno favorevoli che all'industria germanica.

Litvinov -Può darsi. Può essere che ciò derivi in parte dal fatto che i tecnici russi abituati al mercato tedesco continuino ad avere una certa preferenza per tale mercato, preferenza che è il risultato di quello spirito conservatore ed abitudinario che hanno i tecnici, anche se talvolta un diverso mercato può offrire maggiori vantaggi. Aggiungo che se l'URSS ha fatto un accordo più vantaggioso colla Germania che coll'Italia non dovete darne colpa a noi, bensì ai vostri negoziatori. Non è possibile che essi pretendano da noi degli accordi su condizioni • standard •.

Grandi -Era soltanto per spiegarvi, attraverso il contegno del Sen. De Michelis, il malumore dell'industria italiana.

Litvinov -Ma il mio • patto di non aggressione • ha una pura significazione politica e. non vuole andare più in là. Poiché io ritornerò a giugno a Ginevra personalmente per difendere il mio progetto nel Comitato di coordinamento, vi sarò grato se voi interverrete perché il Delegato italiano abbia un atteggiamento amichevole verso la Delegazione sovietica.

Grandi -Non vi posso promettere che il Delegato italiano vi appoggi. Vi

posso promettere tuttavia che il Delegato italiano lascerà ad altri la fatica di

opporsi e terrà una condotta neutrale. Bisogna vi rendiate conto che una politi

ca di palese ed incondizionata solidarietà fra delegazione italiana e delegazione

sovietica non è possibile. La coscienza italiana non lo permetterebbe. Voi vi

siete lamentato, tre mesi fa, che un membro del Governo italiano nello stesso

giorno in cui mi battevo a Ginevra per determinare la vostra partecipazione

alla conferenza europea, faceva un discorso a Bologna invocando la solidarietà

con la Francia per opporsi al pericolo russo. Si tratta di una mentalità, più

o meno realistica, ma che esiste e di cui bisogna tener conto. I recenti incidenti di Batum non giovano alle relazioni italo-russe. Sono certo che il vostro discorso di lunedì avrà in Italia una ripercussione ottima ed aiuterà quell'azione di sempre maggiore sviluppo dei nostri rapporti politici che il Capo del Governo desidera.

Litvinov -Ho rimproverato severamente le autorità di Batum. La Russia è grande. Non si può arrivare sempre dappertutto. Grandi -Non sopravvaluto questi incidenti. Li ho citati solo per le conseguenze che possono avere. Il nostro Ambasciatore Attolico mi ha informato che state negoziando un trattato con la Francia (1). Litvinov -È esatto. Ma non so se andrà in fondo. Ne dubito molto. Si tratta di un accordo commerciale e di un patto di non aggressione. Ad ogni modo,

ove fosse concluso, il Governo italiano può stare certo che le relazioni italarusse, costruite su basi molto più solide, non cambierebbero per nulla.

Grandi -Non ho queste preoccupazioni. Anzi, al contrario io saluterei con molta soddisfazione un vostro accordo qualsiasi con la Francia. Esso gioverebbe assai alla nostra politica. Quale è infatti la posizione che la Francia ed i suoi satelliti hanno preso nei riguardi delle relazioni italo-russe? La seguente: l'Italia fascista e la Russia comunista sono le due cause di disordine europeo e mondiale. L'alleanza di questi due movimenti politici mette in pericolo la pace democratica di cui la Francia è la custode. In nome della democrazia occorre promuovere una crociata parimenti antifascista e anti-sovietica. Se la Francia, nel bel mezzo della crociata, fa un accordo con voi, ebbene, tutta la sua tesi è per aria e Italia e Russia possono tranquillamente andare oltre, più vicine magari, se questo decidono debba loro convenire.

Litvinov -Non avete torto. Briand ha avuto delle espressioni molto cortesi nel colloquio che ho avuto con lui. Ha dato la colpa di quello che è accaduto in gennaio ai suoi collaboratori. Ma chi ci crede a quell'uomo? Siete tranquillo della Turchia?

Grandi -Perché?

Litvinov -Tefik Rouschdy bey si agita troppo. Gli è venuto in mente che sia stato offerto alla Russia un posto permanente al Consiglio e che io abbia accettato. È una sciocchezza. La Turchia ha una grande voglia di avvicinarsi alla Francia. Bisogna sorvegliarla.

Grandi -Ho visto perfettamente che il Governo turco si è presentato qui come un qualsiasi Stato balcanico che domanda la elemosina del denaro francese. Tefik, lo conoscete. È un uomo che ama agitarsi molto. Circa la vostra partecipazione alla S.d.N. io mi rendo perfettamente conto delle difficoltà di principio che si oppongono all'entrata dell'URSS. Ma credo vi siate reso conto ormai che bisogna essere presenti a Ginevra, se si vuol combattere la S.d.N. Altrimenti, limitandosi a negarla dal di fuori, si è costretti a subirla. Meglio accettarla genericamente e adattarla il più possibile alle nostre necessità !imitandone l'influenza, disturbando il potere dei padroni di casa, evitando insomma il maggior male che essa può farci. Occorre che la Russia riprenda il suo posto di grande Potenza nell'equilibrio europeo.

Litvlnov -Avete ragione. Qui i francesi sono i padroni. Ma noi non possiamo, per ragioni di principio, entrare nella S.d.N. Però cercheremo di essere presenti sia pure in margine, all'azione che qui si svolge. Così ormai pensa il Governo di Mosca.

Grandi -Allora arrivederci a settembre.

Litvinov -A settembre.

Durante il colloquio è entrata la Signora Litvinov. Un'inglese abbastanza

distinta. Ha detto che desiderava conoscermi personalmente e che mi pregava

per il settembre p.v. di essere a pranzo una volta con loro. Ho accettato per

~ettembre (1).

(l) -Cfr. p. 171, nota 2. (2) -Un precedente colloquio Grandi-Litvinov aveva avuto luogo il 20 maggio. Si pub

(3) Allude alla proposta sovietica di impegnarsi a mantenere nelle relazioni commerciali la clausola della nazione più favorita (che avrebbe avvantaggiato la Russia, dato il monopolio di stato del suo commercio estero, e le avrebbe consentito di continuare a praticare il dumping sui mercati forestieri).

(l) Notizie sul miglioramento delle relazioni franco-sovietiche trasmetteva Attolico con telespr. 2386/942 del 5 giugno. Cfr. il tel. 702 di Grandi a Parigi e Mosca del 30 giugno: « Prego V. E. seguire attentamente e tenermi continuamente informato sviluppi attuali rapporti franco-sovietici in relazione inizio trattative commerciali tra Parigi e Mosca >.

(l) Il verbale fu comunicato al re.

284

APPUNTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, SUL COLLOQUIO COL MINISTRO DEGLI ESTERI TEDESCO, CURTIUS

Ginevra, 22 maggio 1931.

Curtius -Partite domani?

Grandi -Sì, parto domani.

Curtius -Anch'io. Briand parte oggi. Doveva farmi visita, ma si è scusato perché ha parlato pet telefono con Lavai ed ha dovuto partire subito per ragioni di politica interna. Del resto, egli ha fatto ieri il suo gran discorso.

Grandi -Non l'ho sentito, e me ne dispiace.

Curtius -Io sono in fondo soddisfatto per lo sviluppo che la questione austro-germanica ha preso al Consiglio, nel senso cioè di limitarsi all'esame degli aspetti giuridici. Temevo, in verità, che la Francia e la Cecoslovacchia tirassero fuori l'articolo 11 del Patto. Da questo sarebbe nato un grande conflitto. Fortunatamente questo è stato evitato e bisogna ora attendere il responso dell'Aja, che sarà una nuova situazione in base alla quale bisognerà esaminare la questione. Ma frattanto bisogna trattare la questione con grande precauzione.

Grandi -Voi avete messo l'Italia in ben difficile posizione. Noi abbiamo seguito una linea assolutamente autonoma ed indipendente. La Francia non sapeva fino all'ultimo momento quale sarebbe stato l'atteggiamento italiano. Io ho rifiutato ogni contatto perché l'eventualità di una coincidenza degli interessi itala-francesi non potes1se dare a Briand l'impressione di un cambiamento delle posizioni italiane. Questa impressione i francesi non l'hanno avuta. La situazione rimane la stessa. Come ho detto a Schubert, ho tenuto a dirvi lealmente subito fin dove potevo andare. Vi ripeto che vi è una cosa che l'Italia non può accettare: l'Anschluss, l'Anschluss come incorporazione dell'Austria nel Reich, di cui la Zollunion è il principio. Ora io spero che fino all'Aja e prima di settembre si possa trovare, da una parte e dall'altra la possibilità di fare qualche cosa di accettabile per tutti. La Francia vuole una vittoria assoluta su di voi. Io no: io non voglio l'Anschluss. Nel mio discorso è detto chiaro che l'Italia farà di tutto per non schierarsi nel campo degli avversari della Germania. È possibile uscire da questa situazione? Cercate a Berlino di trovare modo di uscirne. Sarà, prima di tutti, un bene per la Germania e per la nostra collaborazione futura.

Curtius -Vi ringrazio molto della vostra sincerità. Ve ne sono sinceramente grato. Permettetemi di parlare con altrettanta franchezza. Noi torniamo al punto già toccato nella nostra precedente conversazione. Vi ripeto che, anche nella mia esperienza come ex Ministro dell'Economia, posso assicurarvi che questo progetto è assolutamente limitato ed ispirato ad una questione economica che esclude ogni idea di Anschluss politica. Nel consiglio della Società delle Nazioni ho parlato dei precedenti storici della Zollunion. Non voglio entrare in troppi dettagli storici. Potrei citare una filza di prove per dimostrare che non è provato essere stata la Zollunion tedesca la determinante dell'unità politica germanica.

L'accordo del 1834 non ha preparato l'assimilazione degli Stati tedeschi alla Prussia. Infatti dal 1848 al 1850 vi fu un periodo di estreme difficoltà nel seno della Federazione doganale e nel 1866, cioè dopo 32 anni di unione doganale, vi è stata la guerra fra la Prussia e l'Austria, e l'unione doganale non ha impedito a Stati del sud di essere con l'Austria contro la Prussia. Da questi esempi resta confermato quello >che io vi assicuro formalmente: essere due cose completamente separate l'unione doganale nel progetto odierno e l'Anschluss. Ora non voglio approfondire di più questo argomento, ma vorrei sapere per mia norma, in che consiste e che cosa ha determinato la vostra irriducibile opposizione all'Anschluss, che è, come avete detto, inaccettabile, ed impossibile per l'Italia. Come voi sapete, il trattato di Versailles prevede l'unione dell'Austria con l'assenso unanime del Consiglio della Societd delle Nazioni. Capisco che naturalmente, essendo necessaria questa unanimitd, l'Italia, che è membro permanente del Consiglio, può impedirla col suo veto. Ma Briand stesso ha detto che la questione dell'Anschluss sarà sollevata un giorno davanti al Consiglio. Al nostro Ministero degli Esteri, abbiamo sempre creduto che l'opposizione all'Anschluss era da attendersi soltanto da parte della Francia e della Cecoslovacchia, ma non sapevamo che l'Italia vi si sarebbe opposta anch'essa un giorno per ragioni vitali. Ripeto, nel distinguere nettamente questa questione dall'odierno progetto di unione doganale, gradirei moltissimo che voi mi permetteste tuttavia di sapere, naturalmente se non avete difficoltà a dirmelo, perché un giorno un'eventuale vera Anschluss politica è per l'Italia a tal punto inaccettabile. Se si considera che a Versailles l'eventualità dell'Anschluss è stata considerata possibile, non avrebbe avuto alcun senso il fatto di prevederla nel trattato se a priori si riteneva che essa fosse inammissibile.

Io voglio ben volentieri studiare a Berlino, al mio ritorno, che cosa si può fare nel senso che voi mi avete indicato per aggiustare possibilmente la questione economica attuale. Ma gradirei moltissimo una vostra risposta al quesito che vi ho rivolto.

Grandi -Se permettete vi dirò che il vostro quesito mi sorprende. È un fatto assolutamente naturale che l'Italia non possa accettare l'Anschluss. L'indipendenza dell'Austria, o se volete, la sua autonomia, insomma la sua esistenza come Stato equilibratore o cuscinetto, che lo si voglia chiamare, del centro est europeo ha rappresentato per noi uno dei fatti acquisiti, uno dei risultati della guerra. È vero che il Trattato di Versailles prevede una discussione su questo problema, afferma del pari che niente potrà essere fatto se il Consiglio non è d'accordo. Ammettendo questa riserva assoluta, era implicito che si prevedessero interessi contrari, che al fatto potessero opporsi.

Nessun Governo d'Italia, che io mi sappia, ha fatto mai delle dichia1·azioni contrarie a questo punto di vista. Non si tratta quindi di un atteggiamento nuovo. Anzi, il nostro atteggiamento d'oggi è in certo senso, più moderato, perché io ho detto di credere nella lealtà germanica, quando mi avete dichiarato che l'intesa era solo economica. Ma il Governo fascista non potrà mai mettere il nostro Paese davanti a questa eventualità. Sono in parte d'accordo con voi, se volete, nelle vostre considerazioni storiche. Sadowa e Sédan hanno fatto la Germania...

Curtius -È stata la nazionalità, non l'economia che ha fatto la Germania.

Grandi -D'accordo.

Curtius -Come del resto in Italia.

Grandi -Sì. Infatti l'unità germanica è stata così forte che la guerra e l'azione della Francia non sono riuscite a scuoterla. Ma noi siamo due uomini che parliamo liberamente, senza infìngimenti. Ora bisogna riconoscere che le ripercussioni del progetto di unione doganale nel Reich e in Austria sono state soprattutto di portata politica e in tal senso il progetto è stato accettato con simpatia e favore nei due Paesi. Voi potete dirmi che la fede tedesca non è in dubbio ed io sono pronto a darvene atto. Ma i fatti sono fatti. Vi ringrazio per la vostra franchezza. Ritengo questa conversazione molto utile, ma con altrettanta franchezza devo dirvi che l'Italia non può accettare questo fatto. Mi duole molto. Mi duole che la nostra posizione non possa coincidere su questo punto con voi e che essa invece coincida fortuitamente con quella degli altri. Ma non si può fare soltanto la politica dello svantaggio altrui (Schadenpolitik).

Curtius -Speriamo che si possan trarre fuori da tutto questo delle soluzioni conformi agli interessi di tutti. Non ho gettato la domanda sull'Anschluss a caso, ma perché voi mi avete detto che essa colpisce gli interessi vitali dell'Italia; però scusatemi, voi non mi avete detto quali sono questi interessi. Sono forse insistente, e ve ne chiedo scusa, ma comprenderete la mia insistenza. È forse perché l'Austria cessa di essere questo Stato cuscinetto o equilibratore, come voi dite, che gli interessi dell'Italia sono così gravemente minacciati? Io non lo vedo. O allora perché questi interessi vitali sono in pericolo, per quale ragione? Ecco quello che io vorrei sapere a fondo. Forse oggi non abbiamo tempo di esaurire questa conversazione, vista l'ora tarda, essendo noi entrambi attesi da Henderson. Forse ci potremo vedere più tardi, se volete, ma io gradirei in verità di esaurire questa conversazione.

Grandi -Bene, purtroppo il tempo stringe, ed è spiacevole perché la conversazione è anche per me del più alto interesse ed importanza. Ma se volete, la riprenderemo a settembre, ed io vi potrò forse dare la risposta che desiderate.

285

APPUNTO DEL SENATORE DE MICHELIS PER IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, SUL COLLOQUIO CON IL SOTTOSEGRETARIO ALLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO FRANCESE, FRANCOIS PONCET

Ginevra, 22 maggio 1931.

Il colloquio al quale V.E. mi aveva autorizzato, si è svolto dalle 13,30

alle 15 di oggi (22 maggio).

Sintetizzo quanto è stato detto durante la conversazione; molte dichiara

zioni sono state da me provocate, altre rispondono all'esame di suggerimenti

prospettati al mio interlocutore. Ho preferito questa forma a quella dialogata,

perché rende più chiare le conclusioni cui è giunto l'intervistato.

Il signor François Poncet, che aveva accompagnato alla stazione Aristide

Briand, ha incominciato a parlare della situazione politica francese.

Non si sa quale sarà l'attitudine di • Aristide •. Egli penzola tra le illusioni del suo • entourage • che lo crede forte, più o meno come prima e la propria saggezza che lo renderebbe alquanto scettico. Continua a peccare di quella stessa indecisione alla quale deve attribuire il suo scacco di Versailles. Naturalmente, questa situazione rende meno agile lo svolgimento di conversazioni e trattative con l'estero, ma è difficile che essa abbia a modificarsi di molto da qui al 14 giugno (giorno delle dimissioni del Ministero) anche se dovessero cambiare taluni degli uomini del Gabinetto. Lavai ha incontrato molto favore; è quell'uomo • medio • che soddisfa la • media • dei francesi, ed è da considerarsi come improbabile una di lui sostituzione. François Poncet dice, perciò che le linee generali e le idee che esporrà che sono anche quelle di Lavai, possono essere considerate come la riproduzione esatta dell'opinione dell'attuale Governo francese, resti o non resti • Ari~tide • al Quai d'Orsay.

L'unione tra la Francia e l'Italia è da desiderarsi: perché è indispensabile alla pace europea, perché è utile ai due Paesi, perché può condurre ad una successiva intesa, a tre, colla Germania. La Francia non può avere desideri di egemonia: avrebbe torto. Essa deve dedicarsi a • dirigere • tutto quello che ha ricevuto dal tempo e dai Trattati. Contribuire a migliorare la situazione dell'Italia è contribuire al proprio interesse. L'Anschluss è inammissibile, perché sarebbe il primo passo di un rafforzamento germanico a detrimento di tutti. Esso darebbe alla Germania, politicamente e geograficamente un dinamismo separazionista ed una influenza che metterebbe in pericolo la tranquillità e gli interessi della Francia, ma anche quelli dell'Italia. Dunque l'Italia non può permetterlo.

Come evitarlo? Intendendoci per tempo: circa l'Austria e circa le nostre reciproche cose.

l) Per l'Austria non vi è altra via che ia sua •, neutralizzazione •. François Poncet pur ammettendo con me che l'Anschluss è ormai già in via di attuazione e potrebbe anche essere proclamato da un momento all'altro, ritiene che l'Austria non potrà resistere a lungo di fronte al bisogno estremo, impellente di denaro. Bisognerà allora neutralizzarla e porne la neutralità sotto la garanzia di tutte le Potenze interessate. È difficile che la Germania possa servirle da banchiere per evitare questa soluzione, dovrebbe confermare che ha più denaro di quello che vuole annunciare.

2) Tra noi vi sono da sistemare questioni dirette ed indirette, politiche ed economiche, cioè quelle che toccano noi soli, e quelle che riguardano la nostra posizione di fronte ai paesi danubiani.

Per le prime è da ritenere che la soluzione possa essere meglio ricercata sul terreno economico (1). Se -come è probabile -ci possiamo mettere d'accordo per una • intesa doganale •, se possiamo attirare -come è da ritenersi -a noi Ungheria e Jugoslavia (e l'Austria, prima della neutralizzazione) le intese politiche dovrebbero essere facilitate.

Intanto bisognerebbe lasciare, per ora, da parte il • disaccordo navale • perché esso ha valore se ed in quanto Italia e Francia non sono amiche. Lasciamo che i tecnici godano di meritate ferie.

Esaminiamo la possibilità di un • patto mediterraneo • (partecipe l'Inghilterra) che dia a Italia e a Francia la reciproca sicurezza per le loro comunicazioni terrestri e marittime. Su questo Patto, possiamo esaminare una cooperazione " di grandi lavori in comune •, di comunicazioni stradali, ferroviarie ecc. con equo riguardo ai rispettivi traffici attuali e futuri.

Non sembra impossibile di poter completare questo • patto • con un • patto adriatico •; la Francia dovrebbe in tal senso esercitare le opportune pressioni sulla Jugoslavia, sebbene sia da ritenersi che quest'ultima vi sarà indotta dallo stabilimento di intese commerciali coll'Italia dalle quali le venga assicurato un migliore assetto dei suoi propri interessi economici.

3) Anche le nostre richieste di terre devono essere prese sul serio. I Trattati di pace hanno servito l'Italia meno bene di quello che era equo esigere. Lo stesso errore è stato commesso nei confronti della Germania. È nello stesso interesse della Francia di dare all'Italia le • possibili • soddisfazioni. Non si darà, naturalmente, Tunisi. Ma cerchiamo insieme dove si può trovare lo sbocco. Inoltre si possono • remanier • i mandati: vediamo in quale direzione. L'Italia deve avere in una questione così seria delle idee già mature.

4) La posizione dell'Italia e della Francia di fronte ai Paesi danubiani resterebbe singolarmente facilitata da una azione • comune ed uniforme •. Non conviene continuare il tentativo di farla Francia contro Italia, e viceversa. Se ci intendiamo potremo tenerli in pugno, ove entrambi si agisca in piena lealtà ed in buona fede.

Ogni giorno che passa rende questa soluzione più difficile perché più nessuno, e meno di tutti la Germania, sta con le mani in mano. Bisognerebbe che prima della riunione di luglio della • Commissione di coordinamento • il nostro programma di azione fosse preparato, coordinato, precisato, almeno sul terreno di una sistemazione degli interessi danubiani coi nostri stessi interessi.

Se si vuole lavorare con probabilità di successo occorre essere discreti e solleciti. I • comunicati • bisogna farli soltanto a cose compiute, senza frasi ambigue, e quando non vi sia più pericolo di malintesi.

Il metodo? Da una parte lavorino i diplomatici per conto loro: soprattutto

per le faccende dell'Austria e della Germania. Dall'altra si faccia esaminare

rapidamente, da persone qualificate, tutte le possibilità di una intesa com

merciale-doganale italo-francese (per merci, per gruppi, per voci tariffarie, per

contingenti, per esportazioni in comune ecc.) onde esser pronti a concludere

tra Governi.

Nel contempo, passeggiando tra l'Esposizione coloniale di Parigi e il Foro

romano, in cerca di novità o di reminiscenze qualche uomo bene scelto metta

a punto le posizioni reciproche.

Se nulla di buono potrà scaturire da queste conversazioni Dio provvederà:

se invece -come è da supporre -si potranno intravvedere delle :soluzioni

attuabili e soddisfacenti il momento sarà venuto perché i Ministri degli Esteri

e i Capi dei due Governi si incontrino, giudichino e decidano.

In questo • plan d'action • si dovrà tener conto dell'Inghilterra nel limite della partecipazione effettiva che essa può dare in un eventuale riassetto degli interessi francesi, italiani e centro-europei, tenuto conto della particolare e sempre più palese posizione economica britannica prevalentemente extraeuropea.

(l) Madeleine Hivert-Cappa, moglie di Marinetti e segretaria generale del Comitato di difesa economica franco-italiano, andò a Roma per conferire con Grandi e Bottai.

286

APPUNTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, SUL COLLOQUIO CON IL SOTTOSEGRETARIO ALLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO FRANCESE, FRANçOIS-PONCET

Ginevra, 23 maggio 1931.

Poncet -Vi ha riferito il Senatore De Michelis sulla conversazione (l) avuta con me?

Grandi -Sì. Ho autorizzato De Michelis a continuare a mantenere

questi contatti con voi. De Michelis sarà a Ginevra per la Conferenza del

Lavoro la settimana prossima. Credo che egli si rechi anche a Parigi per

l'Esposizione Coloniale. Egli si manterrà egualmente in stretti rapporti con

me. Siamo d'accordo di mantenere questi contatti al di fuori di ogni tramite

ufficiale, e assolutamente discreti. Se qualcosa di concreto ne verrà fuori, allora

soltanto varrà la pena a parlarne tra persone responsabili e ufficiali.

Poncet -Posso sapere cosa vi ha detto Briand?

Grandi -Niente. Frasi. Voi siete anche un letterato. Conoscete forse

una poesia di D'Annunzio che comincia • Parole, parole, non so cosa vogliono

dire • ...

Poncet -Avete ragione. Siamo tutti stanchi di Briand. Egli ha reso

dei grandi servigi, è un grand'uomo, ma tutta la sua azione politica è generica,

imprecisa, senza base realistica e va riveduta. Oggi la politica estera è cosa

troppo seria perché sia sufficiente di esaurirla in discorsi, i quali commuovono

l'uditorio, ma lasciano il tempo che trovano. Lavai di cui sono il collaboratore

di fiducia, è fermamente deciso a venire ad un accordo con l'Italia nel campo

concreto delle realtà.

Grandi -Non sarà certamente Mussolini a rifiutare un accordo che

egli desidera da tanti anni. Però bisogna uscire dal vago ed affrettarsi. Oggi

il momento è favorevole, ma non potrebbe esserlo più domani. Vi è una parte

sempre crescente dell'opinione pubblica italiana, e soprattutto una grossa parte

della economia italiana, che vedrebbe con favore un accordo con la Germania.

Il Capo del Governo italiano non desidera un accordo di questo genere, ma

bisogna pur che l'Italia un giorno o l'altro scelga tra Francia e Germania. Non

lasciate passare queste settimane favorevoli che seguono l'attuale sessione di

Ginevra.

Poncet -Dopo la Pentecoste, e cioè nella prossima settimana, dopo

aver conferito col Presidente Lavai, riprenderò i contatti con De Michelis a

Ginevra o a Parigi.

(l) Cfr. n. 285.

287

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI

In treno, 23-24 maggio 1931.

I lavori di Ginevra sono finiti. Profitto di questa giornata e di questa notte {}i viaggio per riordinare i miei appunti e fissare alcune idee schematiche e generali. Troverai allegati i resoconti sommari delle mie principali conversazoni coi diversi Rappresentanti degli Stati. Tali conversazioni vanno inquadrate nel • clima • internazionale determinatosi in queste ultime settimane. Esse costituiscono un elemento di controllo delle diverse e in parte nuove correnti politiche, manifestatesi attraverso la stampa nei differenti Paesi, in queste ultime settimane, e che Tu hai seguito giorno per giorno.

Io sono soddisfatto (e lo sono così raramente!) dei risultati di questa sessione. Lo sono soprattutto perchè Tu hai avuto la bontà di comunicarmi che eri contento dell'opera mia. Partendo da Roma mi hai detto: • La sessione che si apre è particolarmente importante, delicata e difficile per l'Italia. Le mie istruzioni di massima sono le seguenti: cercare di fare il possibile per mantenere alla condotta italiana un carattere differenziato da quella francese e, naturalme.nte da quella tedesca. Dare rilievo alla concordanza di vedute fra la politica italiana e quella britannica. Dichiar2-re che la Germania e l'Austria, colla conclusione del protocollo di Unione doganaLe, hanno violato le obbigazioni internazionali, ma esprimere parimenti la fiducia in un ravvedimento da parte dei due Paesi germanici. Confermare l'opposizione italiana a ,qualsiasi tentativo di Anschluss politico austro-tedesco. Se le circostanze non lo permetteranno, ti autorizzo adottare sul posto quella linea di condotta che più assicura la difesa dei nostri interessi •.

Credo, Presidente, di essere riuscito a superare le difficoltà ed eseguire integralmente le Tue istruzioni, e [di avere] raggiunto le linee strategiche che Tu avevi fissato alla mia azione tattica. È impressione generale (confermata dalla stampa internazionale in questa settimana) che l'Italia parte da Ginevra nella condizione di chi ha saputo non soltanto mantenere integre, bensì rafforzare, tangibilmente, le sue· posizioni diplomatiche, ed accrescere il livello del suo prt;stigio internazionale.

Quando Ti scrivevo, domenica scorsa 17 corrente (l), la mia lettera, la nostra azione era appena delineata. Nelle giornate di venerdì e sabato le grandi Potenze si erano limitate ad una azione dimostrativa generica, sul tema obbligato della crisi economica europea. Ciascuna aveva riservato per la settimana prossima l'azione a fondo. Non sapevo ancora sino a qual punto il mio discorso di sabato, che ero riuscito ad inserire con fatica tra la replica di Briand al discorso iniziale di Curtius e il discorso di Poncet (nel quale la Francia illustrava il famoso contro-progetto francese) avrebbe potuto costituire un'unità

differenziata e suscettibile di essere confrontata cogli altri due. Posizione estremamente difficile, la nostra. Bisognava fare la critica del progetto tedesco senza giovare troppo a quello francese, e al progetto francese senza giovare troppo a quello tedesco. Bisognava da ultimo presentare un qualche cosa di esclusivamente nostro. Ma era lecito sperare che il nostro modesto, limitato programma d'azione composto di brandelli di antiche proposte italiane nelle varie Conferenze economiche, ed arricchito soltanto di un elemento nuovo, i nostri limitati accordi coll'Austria e coll'Ungheria, avrebbe potuto reggersi al confronto del progetto tedesco che aveva una ragione di essere nella strapotenza dell'espansione del mercato germanico, e a confronto del progetto francese che aveva una ragione d'essere nella strapotenza dell'espansione del mercato finanziario francese? I nostri accordi coll'Austria e l'Ungheria si erano ridotti, ormai, per le legittime preoccupazioni di danneggiare alcuni rami dell'industria italiana, ad una proporzione così modesta da costringermi ad essere assai guardingo nel parlarne troppo. Scoprirli o costringere la Germania o la Francia a scoprir1i significava correre il rischio di dare l'implicita dimostrazione della loro insufficienza materiale e del loro esclusivo pretesto dialettico. La Gran Bretagna se l'è cavata facilmente con un atteggiamento di neutralità aperta. Potevamo noi fare altrettanto? No. Gli interessi dell'Europa danubiana sono i nostri più importanti interessi. Bisognava difenderli per non rischiare di perderli, o almeno di perdere il diritto di difenderli nel futuro. Per fortuna la paura di tutti nei riguardi della Germania e la diffidenza di tutti nei riguardi della Francia ha giocato in nostro favore. Ciascuno preferisce scegliere in cuor suo un programma modesto ma realizzabile e che garantisca da pericoli dell'uno e dell'altro imperialismo.

D'altra parte la Germania e la Francia avevano ambedue un evidente interesse a non contrastare l'Italia apertamente, nella speranza di averci alla fine ciascuna al proprio fianco. Ecco perchè, malgrado la • mise en scène • francese l'atteggiamento italiano è passato onorevolmente malgrado la sua limitata portata, e ripreso poi da quasi tutti i rappresentanti dei Paesi del Nord, dell'Est e del Sud-Est europeo con favore ed aperta simpatia. Il punto di vista italiano è stato infine accettato e messo in discussione al pari di quello francese. Del progetto francese non è rimasta in fondo che una parte, quella non contrastata nel mio discorso, anzi da noi accettata, e cioè il credito agricolo. Per ottenere l'adesione esplicita dell'Italia il Governo francese ha dovuto rinunciare a Parigi come sede del nuovo Istituto di credito internazionale e non è improbabile che noi possiamo ottenere, all'atto della costituzione della Società, un italiano alla carica di Vice Presidente.

Briand la • vieille crapule • (come lo chiamano gli stessi suoi collaboratori con ironia tutt'altro che rispettosa) ha ottenuto un successo di ribalta, ma in verità un successo assai più apparente che reale. L'atteggiamento dell'Italia, che fino alle mie dichiarazioni di lunedì (l) aveva destato l'ansia e rappresentate la preoccupazione più forte del Governo francese, ha determinato in gran parte questo successo. Nella giornata di lunedì è apparso chiaro, non

soltanto a me, ma all'intero ambiente di Ginevra che la chiave della situazione era in mano dell'Italia. Se l'Italia avesse manifestato un atteggiamento favorevole all'Unione doganale austro-tedesca, questa sua condotta avrebbe influenzato nel senso decisivo la condotta della Gran Bretagna, tendente a favorire la Germania assai più che ad ostacolarla, ma non disposta tuttavia a veder compromesso il suo prestigio di grande Potenza arbitra ed equilibratrice. Ecco perchè l'Italia era, è stata, e sarà ancora, l'elemento determinante della situazione. Le mie dichiarazioni di lunedì, che io non ho anticipato a nessuno, neppure all'Inghilterra, hanno fatto pesare la bilancia in un senso definitivo contro la Germania costringendo la stessa Inghilterra ad una condotta assai

più prudente di quella che era probabilmente nelle sue intenzioni.

Le mie dichiarazioni di lunedì avevano un senso netto e preciso di opposizione a qualsiasi forma di unione politica austro-tedesca, ma contenevano con altrettanta chiarezza alcuni elementi in favore della Germania. Questi elementi danno all'azione futura dell'Italia la più ampia libertà. Questo ha perfettamente sentito il Governo tedesco ed il Governo francese nello stesso tempo. La parola sul definitivo atteggiamento italiano non è stata detta, e non lo sarà che allorquando la Corte dell'Aja avrà pronunciato la sua sentenza. Il Consiglio della

S.d.N. dovrà procedere allora ad un secondo definitivo esame sul progetto di unione doganale austro-tedesco: la questione ritornerà dunque in settembre ed allora, ancora più di oggi, la posizione dell'Italia sarà determinante in un senso o nell'altro. Ecco perchè da parte francese è nato improvvisamente il desiderio, frutto della necessità, di un accordo generale con noi. La politica di Briand basata sul raggiungimento di un'intesa franco-tedesca, lasciando in disparte l'Italia, e che avrebbe in seguito messo l'Italia nella condizione di aderire senza corrispettivi, ha dimostrato il suo fallimento. La politica francese si rende conto, forse per la prima volta dopo la guerra, che un accordo colla Germania non è possibile se non condizionato ad un preventivo accordo con l'Italia. Il metodo di Briand deve necessariamente subire un capovolgimento. La conclusione dell'accordo austro-tedesco ha dimostrato una cosa inaspettata, che cioè la Germania considera la realizzazione dell'Anschluss come il secondo punto del programma nazionalista tedesco, dopo l'evacuazione renana. Sinora l'Europa aveva ritenuto che una volta raggiunto un provvisorio accordo sulle frontiere occidentali, la Germania si sarebbe rivolta ai problemi della frontiera dell'est. L'accordo austro-tedesco dimostra che la Germania ha cambiato strada, e prima di affrontare il conflitto con la Polonia, pensa possibile la realizzazione di quello che sembrava apparire come l'ultimo capitolo del programma tedesco, e cioè l'incorporazione dell'Austria nel Reich. Gli Stati della Piccola Intesa, colti all'improvviso, non hanno reagito come la Francia attendeva e sperava. La Piccola Intesa è fedele alla Francia nel campo politico, ma non è tuttavia decisa a rinunciare ai vantaggi che, specie in questo momento drammatico per la crisi economica, verrebbero ad essa da accordi economici colla Germania. La Francia si rende conto che questi accordi finirebbero un giorno o l'altro per indebolire la stessa base politica del sistema francese.

La Francia da una parte, e gli Stati della Piccola Intesa dall'altra, si sono resi improvvisamente conto che soltanto l'accordo con l'Italia può loro rispar

miare i pericoli politici, e compensare i danni economici di un'intesa fra gli Stati danubiani e la Germania. Solo dall'Italia può venire la salvezza. Ecco lo stato d'animo della politica francese e della politica della Cecoslovacchia, della Jugoslavia e della Rumenia. L'Ungheria, non meno spaventata dei pericoli che deriverebbero da una unione politica austro-tedesca, preferisce per il momento, a titolo provvisorio, un avvicinamento alla politica degli Stati della Piccola Intesa, non rifiutando di fare con essi un fronte unico contro il comune pericolo germanico. In quanto all'Austria essa è pronta a vendersi al migliore offerente, e rassegnata a stare col più forte. Il problema resta quindi esclusivamente un problema di forza. La Germania ha creduto che il momento fosse giunto per posare il problema del sud-est europeo, nell'illusione di trarre profitto da due fatti, la crisi economica ed il contrasto italo-francese. Quest'ultimo avrebbe dovuto garantire l'appoggio o almeno la neutralità dell'Italia. Basta leggere i resoconti dei miei incontri con Curtius (l) per avere chiara la sensazione di quello che è il vero significato e l'effettiva portata del gesto tedesco. • C'era un dato di fatto che noi non prevedevamo, ha detto Curtius, ed era L'opposizione delL'ItaLia. Non abbiamo mai pensato che L'ItaLia avrebbe in definitiva contrastato l'Anschluss •. C'è in questa preziosa ed ingenua dichiarazione del Ministro tedesco tutta la violenza, la grossolana inguaribile incapacità rpolitica della razza tedesca, cui la guerra e la sconfitta hanno nulla insegnato. La seconda dichiarazione di Curtius ripetutasi in tono quasi drammatico • ma spiegatemi dunque le ragioni per cui l'Italia considera l'Anschluss un danno politico ed economico • dimostra, se ce ne fosse ancora bisogno, quanto ho detto più sopra. Se l'Anschluss si facesse, nelle attuali condizioni

o in un tempo relativamente breve, la Germania riprendendo il suo • drang • in direzione del golfo adriatico, continuerebbe a domandarci ancora che non si rende conto perchè ciò potrebbe apparirci sgradito.

L'Anschluss un giorno si farà. L'unità è la legge di molte razze, ma particolarmente è la legge della razza tedesca. Si tratta per l'Italia di ritardare il più possibile il processo fatale. Ritardarlo di una generazione, significa per l'Italia avere il tempo indispensabile a risolvere il problema dell'Alto Adige per superare gli anni critici della crisi economica che affievolisce naturalmente le nostre resistenze, ed assicurarci quel minimo di influenza e di espansione nell'Europa danubiana che ci contrassicuri nel futuro dalla inevitabile ripresa germanica.

Gli Stati danubiani sentono tuttavia che una delle ragioni che rende perplessa l'Italia ad assumere questa posizione antigermanica al sud-est europeo è l'esistenza di un problema itala-jugoslavo. Ecco perchè durante l'ultima riu

nione della Piccola Intesa (così mi hanno confermato Benès (2) e Titulescu) Marinkovich è stato invitato con insistenza a raggiungere un accordo con l'Italia. L'Albania, la Cecoslovacchia ed anche l'Ungheria sono state scoraggiate quando hanno saputo che il mio incontro con Marinkovich, anzichè rappresentare un progresso, costituisce piuttosto un irrigidimento del problema po

litico italo-jugoslavo. Marinkovich è stato esplicito nell'invitare l'Italia ad assumere una posizione direttiva nella politica degli Stati danubiani, ma non ha ceduto tuttava di un palmo nella questione che costituisce il motivo cruciale del problema fra l'Italia e la Jugoslavia, e cioè l'Albania. Ma non un passo è stato fatto su questo terreno, nè certo era il momento questo per l'Italia, per dimostrare al Governo jugoslavo un'attitudine di eccessiva conciliazione. Ci deve pensare la Francia, poichè ne ha interesse in questo momento, a persuadere Marinkovich, e ci dovranno pensare gli Stati della Piccola Intesa. Io non mi sono mosso, e credo di aver fatto bene. Nulla impedirà ai nostri tecnici di prendere contatti coi tecnici jugoslavi, ma dev'essere ben chiaro per il Governo di Belgrado che (almeno per ora) Roma mantiene il principio di condizionare all'a~cordo politico l'accordo economico. È certo che il problema deU'Albania, estremamente delicato e complesso merita, in questo momento

soprattutto, una profonda e meditata riflessione.

Quali sono le effettive intenzioni del Governo francese, e quali saranno i suoi prossimi orientamenti? Briand non è uscito dai soliti motivi generici. L'unica, ed anche troppo manifesta, volontà di Briand è quella di dividerci dall'Inghilterra e di spezzare il fronte unico itala-britannico. In tal senso, e subdolamente, egli ha manovrato con me e con Henderson. Ma la • vieille crapule • s'illude di grosso. Su Briand non c'è da fare assegnamento alcuno. Si tratta dunque di vedere se gli approcci fatti al si sopra di Briand da Lavai attraverso il suo uomo di fiducia, Poncet, inviato da Lavai a Ginevra a controllare l'azione di Briand, hanno un fondamento di serietà e di realtà. Le conversazioni tra Poncet e De Michelis, tra Massigli e Rosso (1), dovrebbero indurre a pensare che Lavai, il quale desidera, e lo fa dire apertamente, sbarazzarsi di Briand, è su questa strada. Le dichiarazioni di Poncet a De Michelis, di Massigli a Rosso, si ricollegano alle dichiarazioni fattemi dall'Ambasciatore de Beaumarchais all'indomani dell'Accordo Navale del 1° marzo (2), il che fa pensare che anche Berthelot (ciò mi è stato del resto accennato da Poncet col quale non ho voluto intrattenermi a fondo) sarebbe oggi persuaso che la strada battuta sinora dal Quai d'Orsay era sbagliata, e che egli concordi col punto di vista espresso da Lavai. Converrà stare un po' a vedere. La cosa può essere interessante ma conosciamo troppo bene i francesi per nutrire la benchè minima illusione al riguardo, anche se il rintocco di campana tedesca abbia costretto questa gente a risvegliarsi dal sonno inquieto. Stiamo a vedere.

Un'altra novità, non priva di significato nei riguardi dell'Italia, è stato

l'intervento e l'attitudine della Russia sovietica. Litvinoff prima di pronunciare

il suo discorso di lunedì è venuto a darmi comunicazione delle linee principali

di esso, domandandomi il mio avviso sull'opportunità di farlo. Io lo ho spinto

naturalmente su questa strada. La proposta di un patto di non aggressione

economica, fatta da Litvinoff, mascherava evidentemente l'intenzione sovietica

di ottenere dall'Europa occidentale una specie di preventiva dichiarazione di

acquiescenza al dumping sovietico. Ma per ottenere questa Litvinoff ha dovuto

fare un discorso conciliante, collaborazionista, borghese, un discorso nel quale H comunismo russo dichiara il diritto del non intervento per gli altri ma anche per se stesso, la coesistenza di regimi antitetici, l'armistizio. Del 'contrasto dottrinario non rimane che un profilo di carattere storico. Al di sopra del concetto universalistico delle dottrine c'è la realtà degli Stati i quali debbono vivere e hanno il diritto di darsi ciascuno i regimi politici che credono. Il discorso di Litvinoff segna un punto di passaggio fondamentale nella politica sovietica. Non è più la Terza internazionale. È la Russia che parla. Il discorso di Litvinoff' che non avrebbe avuto luogo senza l'azione a fondo condotta dall'Italia nella sessione del gennaio u.s. ,per la partecipazione della Russia e della Turchia alla Commissione Europea, è stato considerato a Ginevra come un indiretto successo della politica italiana.

La prossima sessione nel mese di settembre si annuncia non meno importante che l'attuale. La Corte dell'Aja avrà dato il suo verdetto. In base ad

~esso una nuova discussione sorgerà al Consiglio della Società delle Nazioni. Nel mese di luglio si raduneranno a Ginevra i ~vari Comitati coordinatori delle proposte e dell'azione economica decise nella presente sessione. La crisi economica europea e il disarmo sono diventati in questi ultimi due anni i due aspetti fondamentali della politica fra gli Stati, lo strumento, la giustificazione, il pretesto dell'azione diplomatica quotidiana.

L'Italia ha assunto posizione di prim'ordine nell'uno e nell'altro piano. Se la nostra azione diplomatica continuerà ad essere accorta, fredda, tempestiva come lo è stata sinora, credo che qualche cosa di vantaggioso potrà essere realizzato nell'interesse del Regime e del Paese.

Occorre tuttavia che gli organi dello Stato incaricati di coordinare gli interessi dell'economia si sveglino, siano all'altezza del compito, guardino lontano, ,prevedano e non subiscano, abbiano del coraggio e della sensibilità. La nostra azione politica a Ginevra ha aperto la porta. Si tratta ora di non fermarsi tentennanti avanti la soglia. Altrimenti la nostra azione si isterilirà ben presto ~ed avremo quindi gli svantaggi di ieri aggravati dai danni di domani.

(l) Cfr. n. 272.

(l) 18 maggio.

(l) -Cfr. nn. 269 e 284. (2) -Cfr. n. 280. (l) -Cfr. n. 285 e P. 437, nota 3. (2) -Cfr. n. 136.
288

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. POSTA 2920/950. Belgrado, 24 maggio 1931.

Il Littorio Dalmatico del 16 corrente ha riprodotto dal Giornale di Politica e letteratura che si pubblica a Roma (via Torino 107) un articolo • Religione e panserbismo » che termina così: « Oggi di Dusciano non resta che il nome ed accanto a Cossovo prendono posto Lepanto e la Cernaia, né vi san più gli Asburgo che, bisogna rlconoscerlo, erano imperatori di stirpe, e non zingari venturieri con su nel capo una corona sporca di sangue ».

Il facente funzione di Direttore degli Affari Politici, Signor Karovich (in sostituzione di Fotic a Ginevra con Marinkovich) nell'attirare la mia attenzione

su quanto precede mi ha detto ieri 23 maggio che era già stato telegrafato a Rakich perché protestasse presso V.E. (l) per questo rinnovarsi di ingiurie verso Re Alessandro che non cessano malgrado gli affidamenti ed assicurazioni avuti. Ha tenuto a farmi notare che la stampa jugoslava non ha mai in alcuna occasione toccato la persona del nostro Sovrano.

Non ho potuto non riconoscere il fondamento delle sue osservazioni ed ho espresso il mio rammarico per la frase volgare contenuta nella nostra stampa, promesso avrei ancora una volta scritto a V.E. su tale argomento.

Invero non comprendo la necessità da parte dei nostri pubblicisti di toccare in modo offensivo e triviale la persona di questo sovrano, ed in genere di esprimersi in modo scurrile verso la Jugoslavia, quando invece vi sono tanti e seri argomenti di indiscutibile contrasto fra i due paesi e nei quali abbiamo maniera di addurre con serietà e levatura di espressioni le nostre inoppugnabili ragioni senza cadere nel pistolotto finale o nelle volgarità che poi ci mettono nella necessità di esprimere un rammarico ad ogni settimana rinnovando assicurazioni troppo presto smentite dalla poca misura del nostro giornalismo.

289

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, DE VECCHI, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI

(Fondo Ambasciata presso la Santa Sede, busta 7)

L. P. Roma, 24 maggio 1931.

Dopo il mio rapporto di ieri ti prego di fermare la tua attenzione sull'Osser

vatore di ieri a sera (n. 120-21-574 del 24 maggio).

Il discorsetto del Papa « ad un gruppo di dirigenti delle donne cattoliche , risponde chiaramente ai miei duri reclami per i due discorsi precedenti. Con le solite insolenze nega dunque di aver voluto incitare mai l'Azione Cattolica alla resistenza verso lo stato. Sullo stesso motivo, con parole meno ambigue, ma non meno acide, ritorna il giornale nella nota • Leggere per credere • degli • Appunti •.

Al solito lanciano il sasso e poi tentano di ritirare la mano nascondendola dietro la schiena. Non a tutti saranno intelligibili le parole del Papa, ma io le leggo bene.

Nell'altro appunto • Anonimi , si risponde al volantino della cosiddetta

• Azione Guelfa •.

Ma vedrai che si incomincia a negare che il volantino sia stato distribuito a mano ai pellegrini della • Rerum Novarum • e ciò per sottrarsi alla più grave delle accuse che io muovevo loro: che consiste nel non averne consegnata neppure una copia alle Autorità Governative; e poi si condanna il volantino.

Anche qui la ritirata davanti alla nostra offensiva; ma la solita ritarata col solito contegno. Domani vado da Mons. Borgongini e parlo secondo i tuoi ordini di ieri.

La tua brutta caduta di ieri mi ha lasciato addolorato e molto pensieroso

di quanto poteva accadere. Per carità cercatr dei cavalli che non cedano davanti! Gradisci l'espressione della mia devota obbedienza.

(l) In seguito alle proteste di Rakié, Guariglia in un appunto per Ghigi del 29 maggio sottolineò • l'assoluta convenienza • che al Littorio Dalmatico fosse dato ordine • di cessare tali inopportunissime pubblicazioni •·

290

IL PROCURATORE GENERALE DEI SALESIANI, TOMASETTI, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI

Roma, 25 maggio 1931.

Compio il gradito incarico di porgere all'E.V., a nome del Rettore Maggiore e dei Salesiani tutti, i più ,vivi e sentiti ringraziamenti per l'aiuto straordinario che S.E. l'Ambasciatore e il Console d'Italia a Madrid hanno prestato con tanta energia e con tanta efficacia ai Salesiani e alle Suore del Beato Don Bosco che si trovano in quella Nazione oggi in preda de' più feroci comunisti.

Costoro hanno bruciato sei Istituti, tre dei Salesiani e tre delle Suore, e chi sa quanti altri danni avrebbero recato agli stabili e alle persone se i due Rappresentanti la nostra Patria non fossero intervenuti quali potenti difensori dei loro connazionali.

Voglia gradire, Eccellenza, i sensi della nostra gratitudine e far pervenire ai due egregi uomini, che tanto degnamente rappresentano colà l'Italia rinnovellata, una parola di enco::nio insieme colla raccomandazione di continuare a proteggere i figli del Beato Don Bosco (1).

291

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, PATERNO', AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. 1465/221. Addis Abeba, 26 maggio 1931, ore 12 (per. ore 1,45 del 27). Mio telegramma N. 217.

Questo Incaricato d'Affari Britannico è venuto a dirmi che Console Britannico Harrar ricevette al pari di Campini Nota Governatore redatta identici termini.

• La nostra conversazione è caduta sui rapporti attuali tra lo Stato e la Santa Sede e Padre Tomasetti ha decisamente criticato il contegno del Pontefice. Egli ha affermato che il modo di agire del Papa è da giustificarsi in parte col suo carattere piuttosto bizzarro ed in parte con il fatto che in Vaticano hanno trovato ospitalità alcuni sacerdoti,

Governatore della Somalia britannica cui Console comunicò detta Nota ha dsposto dicendosi pronto ritirare propri sudditi al di qua di una zona prossima frontiera inglese. Ho espresso Incaricato d'Affari mia sorpresa per questo atteggiamento remissivo di fronte questione che tocca prestigio Potenza interessata e diritto internazionale. Ciò tanto più che esperienza fatta da stesso Governo britannico in passato gli aveva fruttato gravi estorsioni e uccisione parecchi sudditi britannici. Ho messo al corrente Incaricato d'Affari dei passi da me esperiti; e spero che nelle riunioni annunziate nel mio telegramma sopra citato mi sia possibile aggregarlo meco allo scopo attenuare effetto poco soddisfacente che atteggiamento Governatore della Somalia inglese fatalmente provocherà.

Per parte mia manterrò inalterata linea di condotta prospettata a V.E. (1).

(l) Il doc. fu fatto conoscere alla ambasciata a Madrid. Lo stesso giorno 25 maggio padre Tomasetti ebbe un colloquio con Fani. Del verbale. scritto dallo stesso Fani e che fu inviato in visione a Mussolini il 28 maggio, si pubblicano i passi seguenti:

292

RELAZIONE DEL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA LEVANTE ED AFRICA, GUARIGLIA, PER IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

(Archivio Grandi)

RISERVATA. Roma, 26 maggio 1931.

Per la eventualità che in un tempo più o meno prossimo abbiano a riprendersi con la Francia le interrotte conversazioni per la risoluzione delle questioni connesse con l'applicazione dell'art. 13 del Patto di Londra e con la delimitazione dei confini meridionali della Libia, la Direzione Generale Europa Levante Africa (Ufficio IV), edotta dell'importanza che il problema delle comunicazioni transahariane e transafricane è venuto in questi ultimi tempi assumendo, sino a suscitare sempre più l'interesse degli ambienti coloniali, commerciali, e turistici nazionali ed internazionali, ritiene dover rappresentare all'S. V. la necessità che a noi si impone, al fine di valorizzare le nostre colonie Libiche, sotto tanti altri aspetti ed in confronto ad altre colonie mediterranee avversate dalla natura, di assicurarci in ogni caso nel sistema delle comunicazioni transahariane quel posto al quale la Tripolitania, data la sua felice ubicazione geografica e dati i suoi ,precedenti storici commerciali, giustamente aspira.

In fatto di comunicazioni transafricane la situazione, limitatamente alle grandi vie di penetrazione nord-sud, si presenta attualmente come :segue: a) La Francia, mentre da un lato migliora continuamente, con l'adattamento delle piste già esistenti e con la costruzione di stazioni di rifornimento e

elementi ex popolari, che essendo stati trattati male in passato dai fascisti sono indotti dal risentimento a consigliare male il Pontefice. Ha aggiunto che la maggior parte dei Cardinali non la pensano davvero come il Pontefice e tra questi ha fatto il nome del Cardinale Sbarretti...

Ho osservato al Sacerdote Tomasetti che è un vero peccato che in questo momento in cui il principio religioso viene calpestato così duramente in molti paesi d'Europa, (vedi ad esempio la Russia), in questo momento in cui la cattolicissima Austria non conta piùnulla e nella cattolicissima Spagna vengono saccheggiati e incendiati i conventi e le chiese, non si comprenda in Vaticano come sia interesse precipuo per la Chiesa vivere in perfetto e leale accordo con il Governo Fascista ».

« D'accordo con Ministero Colonie che ha già impartito Mogadiscio conformi istruzioni questo R. Ministero approva linea di condotta adottata da V. S. nei confronti di codesto Governo e di codesto Incaricato d'Affari Britannico circa questione relativa operazioni polizia nell'Ogaden ».

di tappa, le condizioni della viabilità automobilistica attraverso il Sahara fra il sud Algerino e il Niger, e mentre prosegue gli studi relativi alla ferrov·ia transahariana, sta curando anche lo sviluppo delle comunicazioni aeree attraverso il suo impero africano. Già da vari anni la Società Latecoère esercisce la linea aerea Tolosa-Tangeri-Dakar, con scali intermedi in Spagna e nella zona francese del Marocco. Recentemente è stato anche ·presentato alla Camera francese un progetto di legge per l'istituzione di un servizio aereo Algeri-Brazzaville (Congo francese) che dovrebbe allacciarsi al sistema delle comunicazioni aeree già esistenti attraverso il Congo Belga e di quelle già in progetto per unire questa va:sta Colonia all'Africa del Sud. Campi di atterraggio e depositi di carburante già sono in via di sistemazione a Gao (Sahara), Niamey (Niger), Zinder (presso il Lago Tchad), Bangui (Oubangui) e Brazzaville (Congo).

b) L'Inghilterra da parte sua, mentre mediante la ferrovia da Porto Sudan a Karthum, integrata dalla navigazione sul Nilo e dal sistema stradale che irradia dal Lago Alberto, cerca assicurarsi, attraverso il Sudan il monopolio delle comunicazioni e del traffico da e per le provincie settentrionali del Congo Belga, continua a studiare ed a ~Sperimentare un sistema di comunicazioni aeree fra il Cairo e il Capo attraverso il Sudan, l'Uganda, il Tanganica e la Rodesia.

c) Per parte nostra, secondo quanto assicura il R. Ministero delle Colonie, il tracciato Tripoli-Tummo è già in gran parte adattato a pista automobilistica.

La posizione centrale di Tripoli nei confronti di Algeri e del Cairo, sia rispetto al Mediterraneo, sia rispetto al continente africano; il fatto che la via di penetrazione orientale, quella britannica, tende •per un complesso di ragioni connesse con lo sviluppo degli interessi economici e politici inglesi in Africa, a sboccare nel Mar Rosso (Porto Sudan) anziché ad incanalarsi verso l'Egitto ed il Mediterraneo; e che la via di penetrazione occidentale (quella francese) è necessariamente costretta a servire in primo luogo interessi francesi e quindi a troppo spostarsi verso il Niger e le Colonie francesi dell'Africa Atlantica prima di rivolgersi verso l'Africa Centrale, sono tutti elementi che contribuiscono a maggiormente valorizzare il vantaggio già sensibile presentato dalla minore distanza kilometrica fra Tripoli ed il Tchad e quindi fra Tripoli e il CentroAfrica.

Tutti questi elementi favorevoli, che tenderebbero a fare di Tripoli il capolinea ideale per una rapida e sicura via di penetrazione verso il centro del continente nero, :sono però in gran parte svalorizzati e rischiano, in ·mancanza di una oculata azione, e di intese internazionali capa'Ci di salvaguardare i nostri interessi, di venire completamente annullati dal fatto che il retroterra tripolitano, oltre Tummo, è territorio sottoposto alla sovranità altrui, e precisamente alla sovranità della Francia la quale, nel campo delle comunicazioni transahariane, si presenta come nostra concorrente; concorrente e per ·contro favorita dalla importanza sia degli sbocchi ch'essa possiede al nord ed al sud del Deserto, sia dei punti di appoggio che le sue vie di comunicazioni possono trovare nelle grandi oasi sahariane in suo :possesso.

È quindi di grande interesse per l'avvenire della nostra maggiore colonia libica l'evitare che la Francia, traendo profitto dalla sua più vantaggio:sa posizione politico-territoriale nei confronti del Sahara, riesca a svalorizzare com

pletamente la migliore posizione geografica di Tripoli per rispetto delle comu

nicazioni transafricane.

Per evitare questo pericolo la Direzione Generale scrivente, d'accordo in ciò anche col Ministero delle Colonie, ritiene che, addivenendosi eventualmente ad una ripresa di trattative con la Francia, si debba da parte nostra insistere per una esplicita intesa che ci ra:ssicuri su questo punto.

È noto a V. E. che già con Io scambio di lettere Visconti Venosta-Barrère (14 dicembre 1900) la Francia aveva dichiarato • qu'il n'entre pas das ses projets d'intercepter les communications commerciales établies par les voies caravanières de Tripoli vers les régions visées par la susdite Convention • (quelle cioè a sud del confine meridionale libico oggetto della Convenzione anglofrancese del 1899).

Si tratterebbe ora, in sostanza, di ottenere che da parte francese venisse dato un maggiore contenuto a quella dichiarazione e che venisse conseguentemente riconosciuto, sulla base di quella assicurazione, il nostro buon diritto a raccordare il sirstema delle comunicazioni libiche, sia stradali che ferroviarie ed aeree, al sistema di comunicazioni stabilito e da stabilirsi nel Sahara, soprattutto per ciò che concerne il collegamento fra Tummo e il Tchad.

In base ad una intesa di tale natura la Francia dovrebbe consentire:

a) In primo luogo a raccordare, mediante una via camionabile il confine libico a sud di Tummo con quella località presso il Tchad alla quale affluiscono le piste automobilistiche provenienti dal Niger (Via Zinder) e da Fort Lamy (Africa Equatoriale francese).

b) A permettere l'allacciamento con le proprie linee aeree fra il nord e il centro-Africa, di linee aeree nostre provenienti da Tripoli o da Bengasi e dirette verso le regioni equatoriali.

c) A raccordare la propria ferrovia transahariana con la translibica, sempre fra Tummo e il Tchad.

N o i potremo offrire alla Francia ·per la costruzione delle opere necessarie alla sistemazione delle vie Transahariane la collaboraz,ione delle nostre maestranze specializzate in tal genere di lavori e di cui è a ritenersi che essa avrà certamente bisogno; alla costruzione di quei tratti di camionabile o di via ferrata che sono sopratutto di interesse nostro noi potremmo anche offrire il concorso di capitali e di industrie italiane.

In ogni caso, l'interesse nostro a garantirci la libertà di comunicazioni commerciali del retroterra libico verso l'Africa Centrale è tale che, secondo l'avviso della Direzione Generale scrivente, ove ciò si rendesse necessario,, noi non dovremmo esitare, pur di ottenere quella garanzia, a sacrificare in sede di trattative talune delle nostre rivendicazioni di ordine territoriale nel Sahara Orientale.

Tali rivendicazioni, difatti, come appaiono nel. primitivo progetto presentato da S. E. il Capo del Governo all'Ambasciatore di Francia (Nota Italiana del 29 giugno 1929), costituivano un insieme territorialmente e politicamente organico che ci avrebbe consentito, ove fossero state accolte da .parte francese, di avvicinarci sensibilmente al Tchad e di controllare i principali rsbocchi verso il Sudan inglese e francese delle vie carovaniere provenienti dal nord (Libia) e dal nord-est (Egitto).

Venuta meno, in seguito alla irriducibile opposizione del Governo Francese.

la possibilUà di vedere soddisfatte tali nostre rivendicazioni, dobbiamo ricono

scere che la maggior parte dei compensi di carattere territoriale cui la Francia,

rebus sic stantibus, potrebbe essere indotta a consentire, ai confini meridionali

della Libia, non rappresenterebbe per noi un reale vantaggio né politico, né

economico. Le stesse Autorità Militari Coloniali hanno recentemente segnalato,

come è <pur noto a V. E., che l'estendere la nostra sovranità alle sole zone set

tentrionali del Sahara Orientale, prive di risorse ed abitate da poche tribù di

briganti, costituirebbe ,per noi uno svantaggio più che un vantaggio, in quanto

che mentre da tali regioni nulla potremmo ricavare, noi saremmo per contro

obbligati ad impegnare in esse rilevanti reparti di truppa e montarvi la guardia

per la polizia delle zone sahariane sottostanti nell'esclusivo dnteresse della

Francia.

In tali condizioni quindi, sembra alla Direzione Generale Europa Levante Africa (Ufficio IV) che, ove l'E. V. la autorizzasse a seguire tali direttive, pure insistendo su quelle fra le nostre rivendicazioni di ordine territoriale che rappresentino per noi un reale interesse, talune altre, precedentemente oggetto delle nostre aspirazioni, potrebbero invece venire sacrificate nel caso di un eventuale negoziato diplomatico qualora la Francia consentisse, in cambio, a dare soddisfazione alle nostre richieste in materia di comunicazioni transahariane, interpretando in senso assai largo, come sopra è stato esposto, l'impegno da essa assunto a tale riguardo con lo scambio di lettere Visconti Venosta-Barrère del 1900.

Si tratterà di scegliere il momento più opportuno <per inserire la questione della transahariana nei nostri negoziati coloniali colla Francia, i quali ne potranno venire cambiati e da un certo punto di vista forse facilitati.

Ma l'importanza del problema è tale che non è lecito all'Italia astenersi dall'affrontarlo. Su questo punto mi permetto ripetere a V. E. quanto Le scrivevo con mia lettera personale il 25 giugno 1930 (1). Unisco alcune pubblicazioni ·tecniche ed una carta generale dell'Africa, a documentazione dell'importante problema.

(l) Grandi rispose con tel. 578/144 dell'B giugno, del quale si pubblica il passo seguente:

293

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, PATERNO', AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. 1486/225. Addis Abeba, 28 maggio 1931, ore 19 (per. ore 5,15 del 29).

Telegramma di V.E. n. 129 (2). Ringrazio l'E.V. delle Sue istruzioni alle quali conformerò la mia linea di condotta in pieno accordo con Legazione

« Circa minaccia adottare misure doganali rappresaglia nelle nostre Colonie verso .n1erci etiopiche, Ministero Colonie ritiene che tale eventuale provvedimento sarebbe forse

di Francia e Legazione Stati Uniti (l) che già mi hanno espresso loro identità :1tteggiamento e intera adesione. Dato atteggiamento inglese mi permetto far presente la necessità che V.E. insista con la Sua autorità a Londra perché il punto di vista inglese si accosti al nostro, sì da permettere il mantenimento del fronte unico condizione • sine qua non • per affrontare negoziati.

Per quanto riguarda l'espressione • rappresaglia •, usata nel testo francese concordato in riunione delle tre Potenze interessate, debbo precisare che si Lratta di una locuzione adoperata dal Rappresentante Britannico ma che nella mente del Ministro di Francia e mia deve significare soltanto che le Potenze debbono essere fin da ora d'accordo ad applicare nei territori coloniali ed anche in Europa a titolo di • reciprocità • le stesse tariffe che il Governo etiopico deciderà di istituire in Etiopia. La quale cosa è conforme a tutto il regime tariffario mondiale e costituirebbe unica arma pressione, unica contropartita su cui possiamo contare.

Circa l'Accordo Tripartito, V.E. avrà rilevato la sua inserzione nel testo francese concordato. Tale inserzione fu da me richiesta come base del nostro accordo per giungere a quel fronte unico che altrimenti vedrei pericolare. Sono lieto informare V.E. che il Ministro di Francia accolse molto cordialmente tali punti di vista, condivisi pure da Incaricato d'Affari che regge attualmente Legazione di Francia e che ancora mi ha riconfermato l'intenzione francese di mantenersi su tale linea. Il documento contenente l'accenno all'Accordo Tripartito fa parte già dell'incartamento del protocollo firmato nella riunione a tre.

(l) -Non si pubblica, in quanto già ed. in serie VII, vol. IX, n. 112, p. 144, capoverso secondo. (2) -Tel. 529/129 del 25 maggio, relativo ai provvedimenti del Governo etiopico per modificare il regime commerciale vigente con l'Italia, l'Inghilterra e la Francia (cfr. n. 271). Di questo tel., a firma di Fani, si pubblica il passo seguente:
294

APPUNTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, SUL COLLOQUIO COL NUNZIO APOSTOLICO PRESSO IL QUIRINALE, BORGONGINI DUCA

Roma, 29 maggio 1931.

Grandi -L'ho pregata di favorire a Palazzo Chigi, dovendo farle una comunicazione. Ella ha richiesto di essere ricevuto dal Capo del Governo (2). Il Capo del Governo mi incarica di dirle che Egli desidera che il tramite

altrettanto lesivo per nostri interessi che per quelli etiopici, e teme porterebbe in definitiva ad incremento traffici francesi a danno nostri.

Da telegramma V. S. 198 appare che in riunione dei tre rappresentanti Ministro di Francia abbia richiamato trattato tripartito 1906. Tale richiamo è in bocca francese particolarmente interessante ed è bene resti consacrato al verbale per ogni utile eventualità

futura •·

« Da un punto di vista generale il Governo americano crede difficile impedire ad uno Stato povero come l'Abissinia dei tentativi di conquistare una certa libertà in materia di finanzia, allo scopo di ovviare alla attuale grave depressione economica. Quello che gli Stati Uniti vogliono è di non essere in ogni caso messi in condizione di disparità nei riguardi delle altre potenze in Abissinia •.

fra la Nunziatura Apostolica e il Governo sia il Ministero degli Esteri, cor::~

avviene per tutte le Rappresentanze estere accreditate presso la Rcal Corte.

Il Capo del Governo ha fatto talvolta un'eccezione ricevendola direttamente,

per il carattere particolare che di tanto in tanto le relazioni fra Stato Italiano

e Santa Sede avevano assunto.

Egli desidera tuttavia rientrare nella normalità, tanto più che, sul merito

della conversazione da Lei richiesta, il Capo del Governo nulla ha da dirLe,

nè Egli ritiene nulla Ella abbia da dirGli.

Nunzio -Mi rendo conto perfettamente. Venti giorni fa quando ho

sperato di vedere il Capo del Governo avevo, in verità, desiderio di conferire

con Lui sulla situazione incresciosa che si va determinando nei rapporti tra

lo Stato e la Santa Sede. Oggi mi rendo conto che la situazione è molto

difficile. Ho qui, per ordine della Santa Sede, una nota di protesta da conse

gnare al Governo Italiano per i fatti accaduti recentemente.

ALLEGATO.

BORGONGINI DUCA A GRANDI

N. 1796. Roma, 29 maggio 1931.

Il sottoscritto Nunzio Apostolico si pregia di esporre a S. E. il signor Ministro degli Affari Esteri quanto segue:

Tra le varie dolorose manifestazioni avvenute in questi giorni anche in Roma contro l'Azione cattolica è da segnalare che, mercoledì 27 corrente poco dopo le ore 11, una colonna di dimostranti avanzava da piazza Madama, e per le vie delPinnacolo e di Sant'Agostino raggiungeva la piazza di Sant'Apollinare, dove sostava, e al grido di • Abbasso i preti, la Fuci, i Popolari •, aggiungeva quello di • Abbasso il Papa •, alla cui Sacra Persona rivolgeva titoli estremamente ingiuriosi accompagnati da atti sconci. Contemporaneamente veniva lanciata una grandine di pietre, mattoni ed altri materiali presi da un carro che avanzava in via Agonale, contro gli stemmi del Papa e del Cardinal Vicario, esposti sulla porta di quel Palazzo Pontificio e contro le finestre della facciata, frantumando la maggior parte dei vetri del mezzanino e del primo piano, che non si trovavano protetti da persiane. La dimostrazione durò intensa fin quasi a mezzogiorno, quando alla parola d'ordine • A San Gioacchino • si dileguò. L'indegna e lunga gazzarra si compì alla presenza di numerosissima forza pubblica scaglionata innanzi al portone del palazzo, preventivamente chiuso, nella piazza di Sant'Apollinare e nelle vie adiacenti. A San Gioacchino poi, veniva devastata la sala della Sacra Famiglia € venivano ripetute simili ingiurie dirette alla Sacra Persona del Pontefice.

Inoltre, la sera dello stesso giorno, verso le nove, una quindicina di sconosciuti si introducevano, per la porticina di Corso Vittorio Emanuele 178, nel Palazzo della Cancelleria, ove, nei locali del Circolo Parrocchiale di San Lorenzo in Damaso, all'ordine di • dare sotto a tutto spiano • rovesciarono mobili, ruppero quadri e lampadine, e con una sedia colpirono il crocifisso ivi appeso, ed uscirono rovesciando altri mobili del corridoio sottostante.

Di fronte a questi fatti avvenuti in Roma e che sono stati accertati per incarico dell'Em. Signor Cardinale Segretario di Stato, con la più rigorosa inchiesta, il sottoscritto Nunzio Apostolico, per ordine di lui, ha il dovere di elevare presso

S. E. il signor Ministro degli Affari Esteri formale protesta per l'accaduto, richiamandosi all'art. 8 del Trattato Lateranense che è il seguente: • L'Italia considerando sacra ed inviolabile la Persona del Sommo Pontefice, dichiara punibili l'attentato contro di Essa e la provocazione a commetterlo con le stesse pene stabilite per l'attentato e la provocazione a commetterlo contro la Persona del Re. Le offese e le ingiurie pubbliche commesse nel territorio italiano contro la Persona del Sommo Pontefice con discorsi, con fatti e con scritti sono puniti come le offese e le ingiurie alla Persona del Re •; ed all'art. 15 del medesimo Trattato, nel quale è detto che il Palazzo della Cancelleria, benché facente parte del territorio dello Stato italiano gode della immunità riconosciuta dal diritto internazionale alle sedi degli agenti diplomatici di Stati esteri.

Lo scrivente fa considerare a S. E. il signor Ministro degli Affari Esteri d'Italia che la Santa Sede, dopo la composizione della Questione Romana, non ha altra garanzia che le clausole del Trattato Lateranense, con le quali l'Italia si è impegnata alla difesa della Sacra Persona del Sommo Pontefice e alla tutela dei suoi Palazzi, e inoltre che la più piccola esitazione o debolezza da parte dell'Italia su questi punti essenziali verrebbe a scuotere la fiducia e sicurezza dei fedeli di tutto il mondo nella predetta composizione della Questione Romana.

Perciò il sottoscritto Nunzio Apostolico è in dovere di domandare una deplorazione del R. Governo per i fatti sopra narrati e la punizione dei colpevoli a norma delle leggi con provvedimenti disciplinari a carico di quei funzionari, i quali, avendo il dovere di impedire e reprimere gli insulti in parola, hanno mancato di farlo. Trattandosi inoltre di pubblici affronti, avvenuti in Roma, in aperta contraddizione con le clausole del Trattato, la Santa Sede domanda che queste due giuste e doverose riparazioni vengano rese, per ristabilire la tranquillità dei cattolici, di pubblica ragione.

Data poi la gravità dei fatti e la estrema delicatezza della situazione lo scrivente Nunzio Apostolico ha l'incarico di domandare a S. E. il signor Ministro degli Affari Esteri una risposta scritta, che valga a rassicurare la Santa Sede, dentro il termine di 24 ore dalla consegna della presente Nota (1).

(l) Per l'atteggiamento del Governo americano cfr. quanto comunicava De Martino con rapporto 5515/2468 del 23 luglio:

(2) Cfr. p. 469, nota 1.

295

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL SENATORE SCHANZER

(ACS, Carte Schanzer, busta l, fase. 11)

L. P. Roma, 29 maggio 1931.

Ho riflettuto sulla nostra conversazione dell'altro giorno, e tutto sommato credo valga la pena che tu segua la linea che ti eri predisposto nel tuo discorso, sul quale conto moltissimo, senza cioè • andare a fondo • troppo contro l'eventualità dell'Anschluss. Parlerà il Sen. Pitacco su questo argomento. Non vorrei che i nostri amici francesi avessero l'impressione dalla discussione al Senato, e soprattutto dalla parola autorevole tua, che la politica del Governo fascista è una politica di • necessità •. Ciò forse non giova ai negoziati che stiamo faticosamente conducendo, spero con maggiore buon successo che per il passato, con Parigi.

(l) Il 6 giugno Grandi inviò in visione al re alcuni doc. relativi ai rapporti con la Santa Sede. Si tratta probabilmente dello scambio di note del 29 e 30 maggio.

296

APPUNTO DEL VICE DIRETTORE DELL'UFFICIO STAMPA, ROCCO, PER IL DIRETTORE, FERRETTI (l)

RISERVATO. Roma, 29 maggio 1931.

L'Ufficio, che in questi ultimi giorni ha dovuto esaminare numerosissimi

telegrammi-stampa per l'estero, in cui gli incidenti col Vaticano erano pro

spettati spesso in maniera esagerata e tendenziosa, ha avuto occasione di

trarne la facile previsione che una vasta campagna tendenziosa si svilupperà

nella stampa straniera.

Per quanto infatti, parecchi telegrammi siano stati fermati o amputati, la tensione italo-vaticana è giornalisticamente e politicamente argomento ottimo, specie in questa magra estiva che ora incomincia, per pubblicazioni ostili o semplicemente scandalistiche e sensazionali; sicché non è difficile travisare e gonfiare fatti ed incidenti, anche sulla semplice base delle pubblicazioni polemiche di questi giorni, in modo da montare la campagna suddetta.

Se ne hanno i prodromi dalle prime notizie che incominciano ad apparire nei giornali stranieri, nei telegrammi stampa delle RR. Rappresentanze all'estero e dagli acclusi tre telegrammi (2) dai quali appare come gli elementi e le notizie tendenziosi si siano rapidamente diffusi nei paesi più lontani.

Qualche giornalista americano che si mostra generalmente favorevole nel suo servizio (Evans dell'Associated Press) ha fatto presente in via amichevole che a suo avviso professionale gioverebbe forse dare qualche direttiva o informazione di carattere autentico o semi-ufficiale alla stampa internazionale.

Nel far presente quanto precede, l'Ufficio non deve tralasciare di osservare che in paesi prevalentemente ,protestanti come gli U.S.A. ed altri, è prevedibile anche un certo compiacimento in senso ostile alla S. Sede.

Si dovrebbe quindi considerare l'opportunità di indirizzare l'opinione pubblica straniera sotto il duplice aspetto di controbattere e tranquillizzare l'allarme delle sfere cattoliche favorevoli al Pontefice e sfruttare la diffidenza delle correnti anticlericali e protestanti (3).

Cfr. i tell. 552 e 553, pari data, indirizzati a Washington, Londra, Tokio, Angora, Belgrado, Bucarest. Atene, Sofia, Pechino, Stoccolma, Riga, Osio, Copenaghen, Helsingfors, Berna, Aja, Tallin, Capetown, Calcutta, Colombo, Sidney e Nairobi: « Insistere sopratutto sul fatto che S. Sede pretendeva da Governo Fascista soppressione propaganda protestante e libertà di credenze religiose, pretese alle quali si è rifiutato e si rifiuterà ». Tutti e tre i tell. 551, 552, 553 furono firmati o spediti per ordine diretto di Mussolini.

De Ritis, della Italy America Society, scrisse il 12 giugno a Ferretti riferendo sul lavoro da lui svolto nei rapporti con la stampa americana a proposito della « crisi vaticana ». De Ritis diceva anche «che negli ambienti studiosi e responsabili americani l'opera e la condotta e la disciplina del governo fascista verso la crisi economca mondiale è og

getto di vivissimo interesse e ammirazione. La idea che il Fascismo sia una delle più grandi forze storiche dell'epoca moderna penetra e io non tralascio ora occasione per illuminare questo punto » (ACS, Ministero della Cultura Popolare, busta 164, fase. 19 A).

(l) -Copia dell'appunto fu inviata per conoscenza all'Ufficio Santa Sede. (2) -Mancano. (3) -Cfr. il tel. 551 del 30 maggio, ore 24, indirizzato a Parigi, Berlino, Bruxelles, Madrid, Varsavia, Buenos Aires, Rio de Janeiro, Santiago, Praga, Vienna, Budapest, Tirana, Cairo, Montevideo, Bogotà, Tunisi, Algeri, Tangeri, e Ottawa: • Agli organi di tendenze non clericali converrà far notare sopratutto che S. Sede pretendeva da Governo Fascista soppressione libertà di credenze religiose, pretese alle quali Governo Fascista si è rifiutato e si rifiuterà ». Per le reazioni della ambasciata di Parigi a questo e ad altri tell. in materia di stampa, cfr. ASME, Fondo Ambasciata di Parigi, busta 186, fase. l, sottof. S. Sede, 1931.
297

IL MINISTRO A TIRANA, SORAGNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

TELESPR. 1227/532. Tirana, 29 maggio 1931.

La trasmissione a V.E. dell'unito rapporto del Generale Pariani al Ministero della Guerra -rapporto su cui richiamo l'attenzione di V. E. -mi dà l'occasione a qualche considerazione sull'andameLto e la crisi delle trattative, e sulle ripercussioni che questo tempo di arresto può avere sul programma militare italiano in Albania.

Credo di aver bene spiegato al Generale Pariani che le confidenze fattee:li dal Re sono intonate alla doppiezza che il monarca apporta quasi istintivamente in tutte le pratiche che egli tratta, e che, nel caso presente, è perfettamente spiegabile, in quanto il Re conta sempre di poter agire 1sul Generale ed a mezzo del Generale per raggiungere i fini che si propone nelle sue trattative coll'Italia.

Prima di tutto, il Re gli ha presentato le cose come se, al momento di concludere le trattative, io fossi uscito fuori fresco fresco a imporgli il dilemma del rinnovo del Patto.

Ho ricordato a Pariani che, tempo prima di recarmi a Roma nell'ottobre scorso, quando a richieste di un aiuto finanziario non si era neppur accennato, anzi, quando il Re mi parlava della sistemazione del bilancio come di una impresa a cui bastavano le forze del paese (precedente mio rapporto n. 2222/ 1055 del 18 settembre 1930), io avevo già avuto conversazioni col Re stesso circa il rinnovo del Patto; e che il Re si era manifestato favorevole non solo, ma mi aveva detto di tornare coi pieni poteri per il rinnovo, ove S. E .. Mussolini a v es:;:e manifestato un identico punto di vista.... (1)....[prece] dentemente alla udienza di sabato, di cui al mio ultimo telegramma numero 122 del 24 corrente,· credetti necessario di fargli ricordare chiaramente a mezzo di Libohova che io continuavo a discutere e limare le formule soltanto in previsione di una sua accettazione del rinnovo.

L'udienza di sabato non costituì quindi una crisi, se non per le apparenze che volle darvi il Re. Appena mi ero seduto, che egli mi si rivolse con lieto volto, dichiarandosi soddisfattissimo della buona volontà, della larghezza con cui avevo acconsentito agli ultimi ritocchi dei progetti, ed esprimendo l'avviso che ormai tutto potesse ritenersi fatto. In realtà, anche prescindendo dal Patto, mancava ancora parecchio: e cioè la redazione definitiva dei progetti di legge per il prestito e per la costituzione della Commissione di controllo, progetti su cui ero d'accordo con Libohova, ma che dovevano essere completamente definiti e comunicatimi in quanto che costituivano parte integrante degli accordi. Avendo premesso questa osservazione, passai a pregare il Re di rispondermi c:rca il rinnovo del Patto: e il Re mi rispose ad un dipresso come dal capoverso 6 a tutta la pagina due (2) dell'annesso rapporto del Generale Pariani.

A questo punto dissi in tedesco !J.l Re, e lo ripetei in italiano perché fosse tradotto in albanese: • se Vostra Maestà intende, con queste Sue espressioni, farmi comprendere che è Sua intenzione di rinnovare il Patto, perché, visto che siamo a quattr'occhi, non me lo ripete formalmente, chiaramente, incaricandomi, come Ministro d'Italia, di riferire tale suo proposito al Capo del Governo? Non siamo in pubblico: perché adoperare frasi circonlocutorie, come se io dovessi intendere bianco e qualcun altro nero? Chi c'è qui, che, sentendo la vostra real promessa, potrebbe sfruttarla a Vostro danno? ». E proseguii quindi, andando, come ho già detto, sotto la mia responsabilità, al di là delle istruzioni di V. E., promettendo al Re di intervenire direttamente presso il Capo del Governo, perché questi si accontentasse del suo impegno preciso di rinnovare il Patto in un mese futuro da convenirsi.

Ma l'impegno non venne. Anzi, vennero proposizioni più confuse: avrebbe lui, il Re, presentato a S. E. Mussolini, a Roma, proposte di accordi politici più ampi, che certamente avrebbero soddisfatto il Duce.

Risposi, chiedendogli se poteva precisarmi in che sarebbero consistite tali proposte: mi declinò di farlo. Allora gli dichiarai .che, ;per debito d'ufficio, avrei trasmesso a Roma questa parte della nostra conversazione; ma che, per dovere di lealtà, lo avvertivo che ciò non avrebbe fatto alcuna impressione favorevole.

Dopo che, si venne alla conclusione fatale: che mi era giuoco-forza sospendere per ora la questione dell'apporto finanziario. Il Re, benché visibilmente contrariato, non perdette la sua calma, e mi disse che avrebbe rimediato alla meglio il bilancio, con tagli energici; e che, fiisoltasi la questione politica fra lui e S. E. Mussolini, a Roma, si sarebbe poi riparlato degli aiuti finanziari, sui quali l'Albania sperava sempre in seguito di poter contare.

Debbo confessare che in quest'ultima fase, che chiamerò di allontanamento, il Re si portò da diplomatico esperto. Nessuna minaccia oscura o precisa, nessuna forma ricattatoria, nessun accenno ad esagerare la portata del dissapore presente: anzi, la conclusione, non priva di simpatica disinvoltura, che egli si riprometteva, dissipata la nube, di poter fruire di nuovo della buona volontà italiana. Parlandomi di economie, non toccò che di sfuggita alla riduzione delle spese militari, tasto che, nei miei confronti, aveva sapore di ricatto: e invece a due riprese lamentò di dover mettere sul lastrico, colle economie fino all'osso, tanti poveri impiegati civili. Col generale Pariani, 'come V. E. vede, il tasto militare è stato invece toccato, ed ha risonato come una fanfara; del che il Re si è certamente accorto.

Per concludere l'argomento delle trattative, son certo .che V. E. avrà rilevato il sottile sofisma del ragionamento del Re, riassunto fedelmente da Pariani alla fine della pagina due del suo rapporto.

l) Il Re non desidera subordinare l'apporto al rinnovo del Patto; 2) Ma, se si lasciano le cose distinte anziché intimamente connesse, egli rinnoverà a suo tempo il Patto.

Il Re giuoca sul vocabolo connessione. Egli ammette che, rinnovando il Patto ad epoca posteriore (sul che gl.i ho già acconsentito di interporre i miei buoni uffici presso il R. Governo), la connessione in verità non c'è. Viceversa, non vuol darcene una promessa precisa, perché ciò costituirebbe la connessione. Ma chi non vede che connessione vuol dire unicamente • impegno preciso di rinnovare il Patto • e che escludere tanto accuratamente la • connessione • vuol dire escludere di prender l'impegno? E che escluder di prendere l'impegno vuol dire contemplare la possibilità di sottrarsi al rinnovo? Il Generale Pariani si dice, per conto suo, convinto che il Re rinnoverà il Patto, anche senza prometterlo. Potrà darsi; ma io la responsabilità di simili convinzioni non me la prendo. Per lo meno, ciò vuol dire rimandare a fra qualche tempo la battaglia ora ingaggiata, e a condizioni peggiori: cioè col prestito

apporto già in corso. Passo all'ultima parte del rapporto Pariani: la defalcazione possibile dal bilancio albanese di forse 2 milioni di franchi oro, e la sostituzione con altrettanti passati direttamente dal nostro bilancio della Guerra.

Questione veramente delicata, e che affronto con peritanza: perché mette in luce il contrasto logico perpetuo che esiste fra la politica di penetrazione e di predominio in Albania, e la politica di Alleanza: quel contrasto che esiste, in sostanza, fra la dichiarazione degli ambasciatori del '21 e il Patto di Amicizia, da un lato, ed il Trattato d'Alleanza dall'altro. La prima politica vuol dire

stringere, dissolvere. insinuarsi, creare titoli internazionali e pratici di dipendenza: la seconda vuol dire parità, soccorso gratuito e senza titoli, sviluppo delle forze nazionali, dei sentimenti patriottici, e, di conseguenza, neutralizzazione degli sforzi della prima politica. Con quella, teniamo il cappio al collo dell'Albania; colla seconda, tiene essa il cappio al collo a noi. Io stringo il Re coll'apporto; e il Re stringe Pariani colla minaccia del disarmo. Colla conseguenza ineluttabile che, se le ragioni dell'efficienza militare dell'Alleata avranno il rapido sopravvento che i militari (fissi alla loro unica meta) ritengono indispensabile, ciò avverrà inferendo un colpo alla politica della subordinazione della Albania all'Italia. Giacché, quest'anno vorrebbero 2 milioni; l'anno venturo, con nuove difficoltà di bilancio, e ragionamenti identici agli odierni, altri due: e così, attraverso le necessità della collaborazione militare, la linfa vitale

fluirà liberamente nelle vene del regime di Zog.

In realtà, la vita e le cose umane non si conducono a base di logica matematica, ma con un sapiente dosaggio dei varii ingredienti, e colla combinazione pratica di correnti che ripetono origini contrastanti e magari contraddittorie. In altre parole, noi diplomatici -per cui, ad esempio, l'esercito albanese ingrandendosi costituisce il più grave imbarazzo e l'incognita più pericolosa per avvenimenti, come la morte del Re, assai più probabili forse che la guerra -possiamo tuttavia far la parte dovuta anche ai requisiti militari, e lavorare ad onta di questi impacci. Quella gioventù albanese, a cui gli organizzatori italiani stanno infondendo per forza sentimenti nazionalisti, che prima non esistevano, disciplina e coscienza di forza collettiva qualche anno fa ignota, noi diplomatici la sopportiamo e perfino l'ammiriamo, pensando che, se un giorno anche vicino 'Potrà crearci seri imbarazzi per la nostra politica interna in Albania, potrà tuttavia -se non è soverchio ottimismo il pensarlo -rivolgersi ardente verso il Kossovo irredento. Ma ai militari il senso squisito della responsabilità e la coscienza dell'intangibilità dalle mète non consente tali accomodamenti, anche se temporanei: alla prima difficoltà, si minacciano le

dimissioni. Noi diplomatici, per la politica di penetrazione, non abbiamo fissa la data del 1933: e siamo quindi in condizioni di evidente inferiorità, quando suggeriamo di attendere, di negoziare, di lasciar sbollire le minacce, di lasciar la gente a misurare faccia a faccia le difficoltà.

.Prego V. E. di non volere ravvisare alcuna intenzione ironica in quanto dico. Riconosco lealmente al punto di vista del Generale Pariani tutto il suo peso. E, siccome credo sia mio dovere di assumere la responsabilità di dare il mio avviso, così ritengo che la miglior forma di conciliazione fra le • esigenze • militari e le esigenze del nostro prestigio e di una politica (in questo attimo concretata nel rinnovo del Patto) prescritta dal Capo del Governo, sia un periodo, anche breve, di attesa, in cui il Generale Pariani mostri di acconciarsi ireddamente a marcare il passo nelle cose riflettenti l'organizzazione militare.

Giacché, chi· poteva non supporre che, al primo momento di tensione, il Re avrebbe fatto giuocare la molla delle spese militari? E se tale minaccia non ci prende alla sprovvista, perché cederle immediatamente?

Il Generale P ariani accenna alla possibilità che l'Albania trovi (anche in minor misura) altrove il danaro. Dichiaro che qui non mi risulta alcun benché minimo elemento in proposito e che apporti dovuti a consuete operazioni finanziarie con gruppi non politici paiono sempre da escludersi per le ben note ragioni di insolvenza. In ogni modo, prego V. E. di raccoglier€ ogni elemento che potesse far sospettare di qualche intervento finanziario di carattere politico e trasmetterlo subito, come filo conduttore a scoprire qualcosa che mi sfuggisse ma di cui, ripeto, non trovo qui indizii.

ALLEGATO.

PARIANI A SORAGNA E GAZZERA (l)

N. R. P. 138. Tirana, 25 maggio 1931.

Questa mattina, dopo la consueta firma, S. M. Re Zog mi ha intrattenuto per circa un'ora sulla situazione finanziaria albanese.

L'argomento principale è stato quello relativo al noto apporto finanziario da parte del R. Governo italiano e, a tale proposito, il Re mi ha detto quanto segue:

• Le trattative erano giunte quasi alla conclusione quando il Ministro d'Italia mi disse che le istruzioni da lui ricevute mettevano, come condizione per la concessione del prestito, la rinnovazione del Patto di Tirana (scadente, come è noto, nel novembre p.v.).

Ho dovuto rispondere al Ministro d'Italia di non poter considerare come interdipendenti le due questioni, inquantoché verrei da tutti accusato di aver proceduto al rinnovo del Patto politico in seguito ad un compenso finanziario.

È stato questo un errore già commesso in passato e che ha costituito il miglior appiglio agli attacchi degli avversari.

D'altra parte è da tener presente che il Patto di Tirana è stato, in certo qual modo, sorpassato dal Trattato di Alleanza: ad ogni modo non ho mai espresso opmwni contrarie a rinnovarlo e certo non farò mai cosa che possa recare dispiacere al Capo del Governo italiano. Desidero solo che tale questione non sia discussa in questo momento, per evitare che essa, posta in relazione alla concessione dell'apporto finanziario, sia sfruttata a mio danno.

Nel prossimo mese di settembre mi recherò a Roma e questo mio viaggio, che avrà evidente carattere di amicizia, non potrà certo · chiudersi con un atto che comunque possa essere interpretato come menomazione dell'amicizia stessa. Sul rinnovo del Patto e su altre questioni, desidero conferire personalmente con

S. E. Mussolini, con la ferma intenzione di fargli cosa grata, poiché intendo che il caposaldo di tutta la nostra azione politica sia quello di rafforzare sempre più, in modo da renderla indissolubile, l'amicizia fra i due Paesi.

L'Albania ha bisogno del nuovo aiuto finanziario italiano, ma è necessario che questo non si presti troppo a speculazioni ed attacchi da parte avversaria.

Già vengo accusato di cedere il Paese all'Italia ed il rinnovo del Patto di Tirana, che è dalla massa ritenuto di mio esclusivo interesse personale, non farebbe che far vibrare più forte le già numerose voci a me contrarie e questo non può essere nei desideri del Governo italiano.

Ad ogni modo, sia accordato o non l'apporto finanziario, ciò non deve portare il minimo turbamento alle relazioni politiche fra le due Nazioni.

Qualora l'aiuto non fosse concesso, cercherò di risolvere la situazione con l'applicazione di riduzioni nelle spese impostate nel bilancio albanese, in modo da renderle corrispondenti alle entrate. Naturalmente sarà necessario realizzare delle economie in tutti i rami del bilancio stesso (un totale di circa 4 milioni) e quindi anche nella parte relativa alle Forze Armate (per un'aliquota di 2 milioni circa) •.

In sostanza dal discorso emergerebbe: l o -che il Re non desidera subordinare la questione dell'apporto finanziario a quella del rinnovo del Patto di Tirana; 2° -che, per contro, se si lasceranno le due cose distinte tra loro anziché intimamente connesse egli rinnoverà, a suo tempo, il patto stesso.

Per conto mio sono convinto che in seguito a quanto ha detto egli rinnoverà il Patto non ora ma prima della sua scadenza.

Qualora d'altra parte egli dovesse venir meno alla sua parola sarebbe il caso di cambiare decisamente atteggiamento, pretendendo quanto egli ha promesso o troncando ogni aiuto.

Ritengo opportuno soggiungere che vi è il complesso degli elementi grecofili

(capitanati da M. Konitza, Frasrli Frasheri da un lato, e da K. Kotta dall'altro)

che, in unione agli elementi jugoslavi, francesi, inglesi ed anche americani, fanno

di tutto per influire in ogni senso affinché l'apporto finanziario non sia accettato

da parte albanese.

Non vi è dubbio che l'Albania ha bisogno dell'aiuto finanziario e che quindi

o troverà altrove il danaro (anche in minore misura) o cederà alle condizioni che le vengono dettate. Ma non credo che il cedimento sia immediato. Intanto è certo che attraverseremo un periodo di leggiera tensione, nel quale saranno certamente discusse e compromesse anche le questioni militari.

Data questa situazione, se noi abbiamo interesse a non ritardare la messa in

efficienza dell'Esercito albanese potremmo, nell'attesa che siano definite le que

stioni politiche, accordare un maggior aiuto all'Esercito (2.000.000 di franchi oro

in più, in sostituzione di quelli che verrebbero diffalcati dal bilancio albanese).

Se per contro, non abbiamo tale interesse e cioè il fattore tempo non ha

valore preminente, potremmo anche mantenerci fermi in un contegno intran

sigente.

In questo caso però proporrei di rivedere tutto il programma di attività mi

litare, per metterlo in relazione alla linea generale di condotta stabilita, inquan

toché il ritmo dato all'organizzazione militare risponde al concetto di dare all'Eser

cito albanese la necessaria efficienza bellica entro il 1933 come è stato previsto

nell'apposita Convenzione.

Ritengo doveroso far presente che, qualora detto programma dovesse subire radicali trasformazioni, la mia presenza in Albania diverrebbe incompatibile.

(l) -Nell'originale manca una pagina. (2) -Cfr. l'allegato, dal cap. 6 fino al cap. 8 della p. 468.

(l) Il documento fu inviato per conoscenza anche al capo di stato maggiore dell'esercito, Bonzani.

298

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, DE VECCHI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

L. P. Roma, 29 maggio 1931.

Ho il dovere di segnalarti che stamane alle ore 10,30 mentre mi accingevo a recarmi in Vaticano per la solita udienza del Venerdì, il Cardinale Segretario di Stato, d'ordine del Santo Padre, mi ha mandato Monsignor Tardini della Segreteria di Stato, per pregarmi di desistere dalla visita.

Questo passo Monsignor Tardini ha spiegato: sia come conseguenza dei rapporti che corrono fra la Santa Sede ed il R. Governo, sia perché il Capo del Governo da tempo ha creduto opportuno di non ricevere più Monsignor Nunzio Apostolico (1).

Di quanto sopra ho data immediata diretta comunicazione telefonica al Capo del Governo, il quale, anche ieri mattina, mi aveva direttamente telefonato per chiedermi se non vi fossero novità.

299

APPUNTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, SUL COLLOQUIO COL NUNZIO APOSTOLICO PRESSO IL QUIRINALE, BORGONGINI DUCA

Roma, 30 maggio 1931.

Grandi -Ho voluto vederLa stamane per dirle che ho letto attentamente la nota che Ella ieri sera mi ha rimesso per ordine della Santa Sede (2). Sono molto dolente di doverLe dichiarare che prima ancora di entrare nel merito di essa, ritengo tale Nota irricevibile da parte del Ministero degli Esteri italiano. Il Governo Italiano non può accettare termini perentori da chicchessia. A meno che, beninteso, la Santa Sede inviando questa nota non abbia avuto in mente di servirsi di essa come mezzo indiretto per aggravare la situazione.

Nunzio -(Si contorce, sospira. Mi informa che questi tristi avvenimenti gli hanno procurato un grande mal di stomaco, mi spiega che la Nota non contiene termini perentori in quanto che il termine perentorio si riferisce solo ad una dichiarazione rassicurante da parte del Governo Italiano il quale d'altra parte ha tutto il tempo avanti a sé per adottare le sanzioni necessarie).

Grandi -È molto interessante quello che Ella mi dice, ma io non posso entrare nel merito della Nota prima che essa non venga modificata in formél accettabile. Del resto, io non Le domando di effettuare tale modificazione. Mi limito solo ad informarLa che tale nota è inammissibile ed offensiva perché

Borgongini Duca aveva chiesto a Grandi il 23 aprile di ottenere una udienza da Mussolini. Il 25 maggio, non avendo ricevuto risposta, scrisse direttamente a Mussolini ripetendo la richiesta.

contiene una intimazione e in tal senso sarò costretto a risponderLe per iscritto.

Nunzio -Mi lasci pensare, riflettere. Occorre che io consulti la Santa Sede. Mi rendo conto della delicatezza della cosa. Se, eventualmente, io Le telefonassi di considerare quel periodo relativo ai termini di ventiquattro ore come abolito, ad esempio, potrebbe essere una soluzione.

Grandi -Una soluzione accettabile a me come privato cittadino, ma non a me, come Ministro degli Affari Esteri. Ella capirà ·che le carte hanno il loro valore letterale.

Nunzio -Quando posso tornare da Lei?

Grandi -Sono a Palazzo Chigi tutta la giornata.

Nunzio -(Sulla porta nell'atto di congedarsi) Ma dove andremo a finire? Che Iddio ci aiuti....

Grandi -Non abbia timore, Monsignor Nunzio. Tutte le volte che Chiesa e Stato hanno combattuto l'una contro l'altro, il Papa ha finito col perderei e Iddio per guadagnarci. Io da buon cattolico, Ella da servitore di Iddio non abbiamo dunque motivi per nutrire un pessimismo così nero....

(l) Sul colloquio cfr. MARTINI, op. cit. p. 141.

(2) Cfr. n. 294, allegato.

300

APPUNTO DEL CAPO GABINETTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GHIGI, PER IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

Roma, 30 maggio 1931.

Il Nunzio Apostolico ha telefonato chiedendo di parlare al telefono con

V.E. Gli ho detto che V.E. avrebbe potuto riceverlo quando desiderasse, e che io avrei potuto trasmetterle le sue comunicazioni.

Monsignor Borgongini Duca mi ha pregato di riferire a V.E. che egli non è in grado, per ordini presi dai suoi superiori, di fare la modificazione richiestagli, anche • per ciò che è avvenuto stamane • (1).

301

NOTA VERBALE DEL MINISTERO DEGLI ESTERI ALLA NUNZIATURA APOSTOLICA PRESSO IL QUIRINALE (2)

N. 2176. Roma, 30 maggio 1931 (3).

In relazione alla nota di codesta Nunziatura Apostolica del 29 c.m. numero 1796 (4), il R. Ministero degli Affari Esteri ha l'onore di comunicare che non può prendere in considerazione la nota stessa a causa della inammissibile ed offensiva intimazione in essa contenuta.

(-4) Cfr. n. 294, allegato.

4?0

(l) -Cfr. n. 302. (2) -La nota fu redatta da Grandi sul testo preparato da Mussolinl (Archivio Grandi).13) La nota fu consegnata alla Nunziatura alle 18,15.
302

IL NUNZIO APOSTOLICO PRESSO IL QUIRINALE, BORGONGINI DUCA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

N. 1798. Roma, 30 maggio 1931.

Questa mattina gli agenti della Polizia si sono recati nella sede della Gioventù Cattolica Italiana nel Palazzo Pontificio di Via della Scrofa 70, e, « per ordine del superiore Regio Governo •, hanno intimato lo scioglimento della medesima Gioventù Cattolica Italiana (1).

Risulta inoltre alla Santa Sede che contemporaneamente a Roma e in varie altre città d'Italia si è proceduto da parte del Governo allo scioglimento delle Associazioni della Gioventù Cattolica maschile e femminile, della Federazione Universitaria Cattolica e delle Universitarie Cattoliche Italiane.

Il sottoscritto Nunzio Apostolico, per ordine dell'Eccellentissimo Signor Cardinale Segretario di Stato, considerando che tali Associazioni fanno parte delle organizzazioni dipendenti dall'Azione cattolica italiana e che la medesima Azione cattolica italiana è legalmente riconosciuta dallo Stato italiano in forza dell'art. 43 del solenne Patto Concordatario, firmato e ratificato da ambe le Parti Contraenti, protesta altamente presso S.E. il Signor Ministro degli Affari Esteri contro l'unilaterale intervento del Governo italiano a sciogliere le Associazioni che sono tra le più vitali dell'Azione Cattolica Italiana.

303

NOTA VERBALE DELLA NUNZIATURA APOSTOLICA PRESSO IL QUIRINALE AL MINISTERO DEGLI ESTERI

N. 1799. Roma, 30 maggio 1931.

In ordine alla Nota Verbale di codesto R. Ministero degli Affari Esteri in data di oggi n. 2176 (2), la Nunziatura Apostolica si trova nella doverosa necessità di replicare che il termine di 24 ore apposto nella Nota N. 1796 non voleva essere e non era una intimazione offensiva ed inammissibile, ma soltanto la domanda, non già di provvedimenti immediati, sì bene di una parola rassicurante, parola di cui faceva sentire urgente il bisogno l'aggravarsi degli avvenimenti onde la domanda stessa sembrava dovesse apparire anche a codesto Mini:stero non soltanto giustificata ma resa purtroppo necessaria.

Questa Nunziatura Apostolica deve pure prendere atto che tale parola rassicurante non è stata ancora data.

17 -Documenti diplomatici-Serie VII-Vol. X

(l) -In ACS, Segreteria particolare del Duce, fase. Direttorio PNF 242/R, sottof. l, inserto C, cfr. numerosi tell. dei prefetti, del 30 e 31 maggio, con notizie sullo scioglimento dei gruppi giovanili cattolici. Cfr. anche DE FELICE, Musso!ini, pp. 257 e 259. (2) -Cfr. n. 301.
304

APPUNTO PER IL CAPO GABINETTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRIGI

Roma, 31 maggio 1931.

Il Ministro Sandicchi ha letto a S.E. De Vecchi le due note giunte ieri. sera (1).

S. E. De Vecchi ne ha tratto l'impressione di una ritirata da parte della Santa Sede; nell'udienza che spera avere domani da S. E. il Capo del Governo incoraggerà a proseguire sulla linea di fermezza. La sua impressione è confermata dalla misura della nota comparsa sull'Osservatore Romano (2) e nella quale è affidata ai Vescovi, e per quel che riguarda Roma al Vicario Apostolico, ogni autorità sull'Azione Cattolica. La nota suona infatti come decentramento avvenire e ringraziamento per il passato.

Il Ministro Sandicchi ha inviato a S.E. De Vecchi copia delle due Note.

305

APPUNTO DEL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI

(Ed. in DE FELICE, Mussolini, p. 260)

[Roma], l giugno 1931.

a) Il regime fascista vuoi vivere in pace -se possibile -con tutti gli

Stati, ivi compreso lo Stato della Città del Vaticano;

b) del ,complesso dei Trattati lateranelliSi, due non hanno dato luogo a in

convenienti all'atto della Joro applicazione, il Trattato vero e proprio e la con

venzione monetaria;

c) del concordato, articoli importantissimi come H matrimonio e l'inse

gnamento (oltre a tutto H resto) sono stati applicati ,senza incidenti;

d) un solo articolo -il 43 -del Concordato ha dato e darà luogo a con

troversie: è su questo articolo, quindi, che bisogna chiarire le idee e le posi

zioni ,pratiche;

e) la decisione del Papa, di mettere l'A.C. alla diretta dipendenza dei Ve

scovi (3), può offrire l'occasiol)e per conversazioni, il cui fine dovrebbe essere

una Convenzione o accordo suppletivo circa l'interpretazione dell'articolo 43;

f) nell'attesa ,sarebbero so.spese le polemiche giornalistkhe e occorrerebbe

che il Pontefice non le rianimasse con discorsi a suoi visitatori;

g) le misure di scioglimento delle organizzazioni giovanili cattoliche, adot

tate dal Governo, si imponevano anche per evitare fatti più gravi: nel loro

eomplesso gli incidenti non hanno avuto grande ampiezza né come danni alle perrsone, né eome danni a1Ie cose; ma sono rstati tuttavia fortemente signiHcativi come rivelatori di uno stato d'animo profondo e diffuso, contrario ad ogni organizzazione od immissione del clero nella vita politica e sociale della Nazione.

(l) Cfr. nn. 302 e 303.

(2) Vedila in G. DALLA ToRRE, il.zione cattolica e fascismo, Roma, 1964, p. 96.

(3) Cfr. n. 304.

306

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AGLI AMBASCIATORI AD ANGORA, ALOISI, A BERLINO, ORSINI BARONI, A LONDRA, CHIARAMONTE BORDONARO, A MOSCA, ATTOLICO, A PARIGI, MANZONI, E AI MINISTRI A BELGRADO, GALLI, A BUDAPEST, ARLOTTA, A PRAGA, PEDRAZZI, E A VIENNA, AURITI

D. Roma, l giugno 1931.

(Per tutti) -Le recenti riunioni del Consiglic;> della Società delle Nazioni e del Comitato economico Pan-Europeo hanno avuto come oggetto principale ·la questione del progetto di unione doganale austro-tedesca che ha occupato la maggior ,parte delle sedute mostrando chiaramente attraverso le dtsquisizioni economiche 'Che intorno ad essa Si iSOnO fatte, il IS:UO rc,a:rattere eminentemente politiCO.

Tale questione 'che da parte nostra era stata attentamente esaminata in tutti i suoi aspetti e in tutte le sue ripercussioni sia politiche ~che economiche sugli interessi italiani ci aveva posti in una situazione abbastanza delicata di fronte alle posizioni di reciproca intransigenza assunte in precedenza tanto dalla Francia quanto dalla Germania. Anche a prescindere dal modo eon .cui le trattative austrotedesche si erano svolte, senza doè tener .conto deHa ~convenienza per ambedue le parti di preavvisare il Governo italiano di quanto si veniva fra di esse negoziando (dimostrazione questa evidente, se pur non necessaria, dello spirito che anima la politica tedesca verso di noi e della dedizione austriaca alla volontà di BeTilino) rstava il fatto sostanziale ~che il progetto di unione doganale fra la Germania e ~l'Austria era destinato a ~colpire gravemente i nostri interessi economici ed immediatamente e più ancora in un avvenire non tanto lontano mentre le possibilità che esso apriva nel campo politico erano di natura da destare in noi non minori preoccupazioni. Non potevamo quindi fare a meno di combatterlo decilsamente ed ape~rtamente quali rChe fossero le assicurazioni ,che la Germania poteva offrire per i nostri particolari interessi economici e rche rin realtà essa ci offrì, a ~cose fatte, in maniera vaga e generica quando si accorse di aver battuto una rstrada falsa non soltanto nei riguardi internazionali, ma anche e specialmente in quelli dei rapporti itarlo-tedeschi.

Ma non potevamo neanche per ostacolare lo Zollverein schierarci addirittura dalla parte del progetto francese, il quale non soltanto aveva anch'esso uno sfondo poiitico corrirspondente alle direttive di Parigi tendenti ad assicurare la prevalenza delrla Francia nel quadro di una collaborazione economica generale da essa contrattata ma si basava su principi da noi sempre combattuti quali i sistemi preferenziali, ed allettava in modo particolare l'Austria con dei vantaggi creditizi offerti a spese di tutti e contrari al nostro scopo di attirare sempre più quello Stato e i suoi vicini nell'orbita della influenza italiana.

In tali condizioni si manifestava particolarmente utile una stretta collaborazione coll'Inghilterra, inspirandoci alla situazione stabilita a Locarno, la quale ci mette in grado, quando sia conveniente e necessario, di esercitare una pressione moderatrice nei conflitti franco-germanici. Senonché l'Inghilterra, malgrado avessimo precisamente richiesta la sua attenzione prima di Ginevra, alla necessità di assumere una tale funzione con quell'energia, e con quella decisione che la gravità della questione comportavano, sembrava riluttante a prendere una parte molta attiva nella discussione del progetto austro-tedesco, desiderando piuttosto di metterne in seconda linea l'aspetto politico, e di trattarlo precipuamente dal punto di vista giuridico e da quello economico. Le difficoltà interne attuali della Gran Bretagna, la debole situazione del Gabinetto laburista, e più ancora forse la preoccupazione logica del Governo inglese di non lasciare completa mano libera in Europa alla invadente politica francese e di rafforzare per quanto possibile la situazione economica se non anche politica della Germania erano le ragioni determinanti di questo atteggiamento che sboccò nella proposta del signor Henderson di chiedere il parere consultivo delIa Corte dell'A,ja.

Prima di partire per Ginevra, seguendo le direttive date da S.E. il Capo del Governo avevo perciò cercato di rafforzare la condotta che avremmo dovuto seguire colà con due altri elementi che nel nostro pensiero dovevano essere destinati a marcare il nostro atteggiamento di opposizione allo Zollverein e a dare per lo meno la sensazione che vi fosse qualche altro modo di tentare di appianare le difficoltà economiche dell'Austria e dei Paesi danubiani attuando una più diretta e prossima collaborazione tra quegli Stati e la stessa Italia con accordi basati su fattori complementari delle loro economie e sulle tradizioni per così dire storiche dei comuni organismi che regolavano i traffici dell'antico Impero austro-ungarico e che la guerra distrusse.

In questo ordine di idee avevo:

l) preso iniziativa di convocare la Commissione di controllo dell'Austria, allo scopo di sottoporre al suo esame la questione dello Zollverein per le ripercussioni che essa potrebbe avere sulla situazione finanziaria dell'Austria, in rapporto col prestito garantito internazionalmente;

2) avevo fatto condurre rapidamente a termine dagli esperti austriaci e dai nostri le note trattative che eransi iniziate da quasi un anno prima coll'Ungheria e poi coll'Austria per la conclusione di accordi bilaterali, ma concatenati, fondati sull'organizzazione di speciali facilitazioni di credito, di traspovto e di transito, e concepiti in modo da evitare le difficoltà derivanti dai sistemi preferenziali e dalla clausola della nazione più favorita. Gli austriaci, sempre pronti a profittare di quelle circostanze che permettano loro di trarre partito dalla loro caratteristica odierna situazione, si erano prestati di buon grado a stringere positivamente tali accordi. Da parte loro però come da parte nostra, si era dovuto subordinarli alla riserva dello statu quo anteriore al progetto dello Zollverein, cioè del mantenimento dell'attuale sistema delle rela

zioni commerciali austriache. Era evidente infatti che l'Austria non poteva

impegnarsi con noi senza tale condizione, quando pochi giorni prima aveva

negoziato con la Germania sulla base proprio del mutamento del detto sistema,

come era evidente pure che noi non potevamo essere disposti ad impegnarci

a dare ad un'Austria doganalmente unita alla Germania le stesse facilitazioni

che eravamo pronti a dare ad un'Austria economicamente indipendente.

Il Governo tedesco naturalmente fu contrariato da queste nostre iniziative

che gli fecero chiaramente comprendere quale sarebbe stato il nostro atteggia

mento a Ginevra, e forse anche gli dettero la sensazione dello sbaglio commesso

nella politica internazionale e persino dell'errata condotta tenuta nei nostri

particolari riguardi.

Esso rimproverò anche all'Austria le trattative definite all'ultimo momento

con noi, accorgendosi probabilmente di non avere saputo nemmeno esattamente

conoscere e valutare la psicologia austriaca.

Fin dalle prime riunioni di Ginevra apparve però chiaro come la nostra

azione così impostata era l'unica che poteva offrire il modo di superare almeno

per il momento le difficoltà che la situazione presentava.

Mentre infatti da una parte la Delegazione inglese accentuava ancor più il suo desiderio di non dare alla discussione l'ampiezza che la gravità della questione avrebbe richiesta, né di lasciare troppo da essa trasparire le divergenze di carattere politico, la Delegazione francese si recava a Ginevra immediatamente dopo lo scacco subito dal suo Capo Briand nelle elezioni presidenziali che avevano in parte costituito una manifestazione contraria alla politica estera da lui seguita. Vi fu quindi nel primo momento una tendenza quasi generale ad impostare le discussioni in un'atmosfera di falsa tranquillità e di falsa equanimità che sarebbe andata anche oltre i limiti della consueta atmosfera ginevrina. Senonché l'argomento era troppo· serio e le folate di vento tempestoso che giungevano da Parigi e da Berlino troppo impetuose per poter mettere pienamente in atto questo proposito. E la discussione avvenne necessariamente lo stesso in tutta la sua importanza politica, malgrado le divagazioni teoriche ed il linguaggio tipico della Società delle Nazioni.

Ciò servì in realtà alla Delegazione italiana per esporre la sua tesi con quella nettezza e decisione che in altre condizioni le sarebbero state più difficilmente consentite e ci conveniva prender tra francesi e tedeschi, opponendoci con risolutezza al progetto austro-tedesco, tanto dal punto di vista politico che da quello economico, mostrando al tempo stesso gli inconvenienti dei piani francesi e dei sistemi preferenziali, e mettendo in evidenza quanto aveva già fatto l'Italia con l'Austria e con l'Ungheria nel senso di indicare una terza via più logica e più naturale.

Le discussioni si sono quindi bensì chiuse con l'accettazione della proposta iniziale britannica di sottoporre il quesito giuridico alla Corte dell'Aja, ma esse hanno avuto per noi il vantaggio:

l) di avere messo in evidenza il lato politico dello Zollverein;

2) di avere mostrato i difetti del progetto francese;

3) di avere affermato un'azione indipendente dell'Italia consona ai suoi

particolari e diretti interessi verso i paesi danubiani;

4) di avere ottenuto una accettazione austriaca della competenza della Commissione di Controllo ad esaminare le conseguenze eventuali dello Zollverein sulla situazione finanziaria austriaca;

5) di avere provocato una formale dichiarazione austriaca che nulla sarà fatto di più sulla via del progetto austro-tedesco prima che la Corte dell'Aja e quindi il Consiglio si siano pronunciati;

6) di avere esplicitamente affermato anche da parte nostra che il parere della Corte dell'Aja costituirà un importante ma non il solo elemento di giudizio e che quindi il Consiglio della Società delle Nazioni rimarrà sempre libero delle sue definitive decisioni.

(Per Parigi) -Col Signor Briand ho avuto, durante il mio soggiorno a Ginevra, un solo colloquio privato, di cui Le trasmetto qui il resoconto (1).

Ella vedrà che la nostra conversazione non ha avuto un contenuto di speciale interesse, ma ha servito a Briand per ripetermi ancora una volta le sue favorevoli intenzioni e disposizioni che rimangono però sempre generiche e non hanno mai avuto finora un principio di realizzazione pratica. Lo stesso Briand nel suo ultimo discorso ha ancora accentuato -per evidenti scopi di politica interna ed internazionale -questo che può forse chiamarsi un suo personale • stato d'animo •, mettendo in evidenza più di quanto non corrispondesse alla realtà delle cose la coincidenza dell'atteggiamento italiano e di quello francese durante l'ultima riunione di Ginevra, per trarne auspicio di maggiore sviluppo dei nostri rapporti.

Si è ripetuto così ciò che avvenne all'indomani della conclusione dell'accor

do navale, quando il signor de Beaumarchais venne appunto da me per espri

mermi le stesse disposizioni e le stesse intenzioni francesi, ed io mi affrettai

a dichiararmi pronto a riprendere subito l'esame delle questioni tuttora con

troverse fra noi e i francesi con lo scopo di giungere sollecitamente ad una

soddisfacente intesa. Senonché, a poche settimane di distanza, l'accordo navale

si mutava unicamente per colpa francese in disaccordo, e tutto rimaneva, come

-è naturale, sospeso.

Ritengo superfluo dire a V.E. che le nostre reali e sostanziali buone dispo

.sizioni per un'ampia discussione colla Francia delle questioni pendenti riman

gono sempre immutate, ma che tranne le frasi del signor Briand con cui questi

cerca di approfittare delle congiunture più favorevoli ai rapporti itala-francesi

che si presentano di tanto in tanto nella politica internazionale, non c'è finora

traccia alcuna di un serio e pratico convincimento del Governo francese circa

l'opportunità di addivenire a dei seri ed equi accordi con noi e tanto meno circa

l'entità delle difficoltà da superare e dei sacrifici di fare a questo scopo.

(Per Londra) -Si tratterà ora per l'Italia di iniziare una serrata ed effi

cace azione per trovare una base più larga e degli scopi più vasti agli accordi

bilaterali e concatenati già iniziati allo scopo di opporre una vantaggiosa situa

zione di fatto ai progetti germanici ed a quelli francesi che valga a neutraliz

zare possibilmente anche gli effetti dello Zollverein ove per deprecata ipotesi

questo fosse permesso dalle future deliberazioni della Corte dell'Aja e del Consiglio della Società delle N azioni.

Su di questo mi riservo di tenere al corrente a suo tempo V.E. e per ora quindi l'accenno che vi faccio è destinato alla Sua esclusiva personale conoscenza, ma Ella potrà trovare in quanto precede utili elementi di chiarimento per Sua norma di condotta e di linguaggio.

Non è certo da farsi troppe illusioni sulla linea che adotterà il Governo britannico nei riguardi dell'azione germanica, la quale a Ginevra non ha subito che un tempo di arresto.

La situazione generale e le preoccupazioni inglesi di aiutare in certo modo la Germania sembrano dover persuadere l'Inghilterra a non assumere -rebus sic stantibus -un atteggiamento intransigente e a perseverare in un desiderio di conciliazione che in definitiva non giova che alla Germania. Il prossimo convegno dei Chequers segnerà forse un nuovo passo per questa via.

Ma in ogni modo occorre che V.E. non tralasci alcuna occasione per far comprendere nettamente costì che l'Italia non potrebbe acconsentire allo sviluppo dell'azione germanica sia dal punto di vista giuridico, che da quello economico, ritenendo che ne sarebbero lesi gravi suoi interessi.

Il Governo Italiano inspirandosi ai principi dei Trattati di Locarno, intende rimanere vicino a quello Britannico per continuare ad esercitare l'azione moderatrice più adatta ad evitare che si determinino in Europa tendenze pericolose per la pace e per il benessere economico dei popoli. Ma deve far presente che è necessario tale azione non degeneri invece in una ricerca a tutti i costi di soluzioni conciliative e transitorie le quali possono finire col costituire unicamente manifestazioni di debolezza.

(Per Berlino) -Noi dunque ci siamo trovati costretti unicamente per colpa della Germania e della sua incomprensione del fattore politico italiano a prendere un atteggiamento ancora più risoluto e netto di quello che avremmo potuto assumere se le circostanze precedenti fossero state diverse. Un atteggiamento

che in sostanza ha assai giovato alla Francia, e ciò proprio quando da questa ci avrebbero dovuto dividere le delusioni dell'Accordo navale e quelle delle altre pendenze politiche. Forse su questo la Germania aveva contato per averci almeno neutrali nella faccenda dello Zollverein e per giunta gratuitamente. Ma il calcolo politico esige la perfetta conoscenza dei fattori psicologici e soprattutto l'esatta valutazione proporzionale delle singole questioni. Alla Germania tutto ciò manca ed è sempre mancato. Essa non comprende come per certe questioni di carattere generale quali ad esempio le riparazioni e il disarmo, i nostri interessi ci potranno portare più vicini ad essa ma che anche su questi punti occorrerà da parte tedesca quella franchezza e quelle eque preliminari intese dirette alla garanzia degli interessi reciproci (e non soltanto di quelli tedeschi) che sole possono indurci ad una collaborazione veramente amichevole con la Germania su questi punti.

Nella questione dello Zollverein, sia in se stessa sia come preludio all'Anschluss, i nostri interessi invece sono direttamente minacciati e toccati, e la Germania non può assolutamente illudersi di aver a buon mercato il nostro

consenso (e tanto meno agendo di sorpresa) quale che possa essere in certi momenti la gravità dei dissensi italo-francesi.

Invio qui accluso a V.E. il resoconto di due colloqui da me avuti col dott. Curtius a Ginevra (1). Da essi appare chiarissima l'incomprensione tedesca. Che un Ministro degli Affari Esteri tedesco venga a chiedere al suo collega italiano le ragioni per cui l'Italia è contraria all'Anschluss o è frutto dl una inammissibile ingenuità o risultato di un atteggiamento diplomatico che per voler essere inutilmente abile risulta ugualmente ingenuo.

Ad ogni modo quale che sia il vero pensiero di questo continuatore della politica di Stresemann senza la genialità dell'uomo che l'aveva iniziata, sta in fatto che la conclusione dell'accordo austro-tedesco ha dimostrato una cosa inaspettata, che cioè la Germania considera la realizzazione dell'Anschluss come il secondo punto del programma nazionalista tedesco, dopo l'evacuazione renana. Sinora l'Europa aveva ritenuto che una volta raggiunto un provvisorio accordo nelle frontiere occidentali, la Germania si sarebbe rivolta ai problemi della frontiera dell'est. L'accordo austro-tedesco dimostra che la Germania ha cambiato strada e prima di affrontare il conflitto con la Polonia, pensa possibile la realizzazione di quello che sembrava apparire come l'ultimo capitolo del programma tedesco, e cioè l'incorporazione dell'Austria nel Reich.

A questo il Governo italiano sarà costretto ad opporsi con tutti i mezzi

di cui dispone, pur cercando, come a Ginevra, di mantenere il più possibile

una linea indipendente da quella francese. In attesa delle definitive decisioni

del Consiglio della Società delle Nazioni l'Italia dovrà lavorare a cercare

una via pratica ed efficace per contrapporre delle intese economiche d'altro

genere a quelle che la Germania vuole intempestivamente inaugurare con

l'Austria con un disegno politico evidente.

Tutto quanto precede è però destinato alla esclusiva personale conoscenza

di V.E.

Considero per il momento inopportuno che V.E. ne faccia oggetto di con

versazioni con codesto Governo, poiché tali colloqui non potrebbero presentare

una certa utilità che quando il Governo tedesco riconoscesse veramente l'errore

commesso e soprattutto riuscisse a comprendere che l'appoggio o l'opposizione

dell'Italia in questa come nelle altre questioni sono cose che occorre con

mezzi acconci ricercare oppure evitare.

Siamo ancora lontani da ciò nell'attuale momento.

(Per Mosca) -Si tratterà ora per l'Italia di iniziare una .serrata ed efficace

azione per trovare una base più larga e degli scopi più vasti agli accordi

bilaterali e concatenati già iniziati e ciò per opporre una vantaggiosa situa

zione di fatto ai progetti germanici ed a quelli francesi, che valga a neutraliz

zare possibilmente anche gli effetti dello Zollverein ove per deprecata ipotesi

questo fosse permesso dalle future deliberazioni della Corte dell'Aja e del

Consiglio della Società delle Nazioni.

Su di questo mi riservo di informare a suo tempo V.E. e per ora quindi

l'accenno che vi faccio è destinato alla Sua esclusiva personale conoscenza,

ma Ella potrà trarre da quanto precede utili elementi di chiarimento per la sua condotta ed anche per norma di linguaggio con codesto Governo allo scopo di illustrare senza equivoci la posizione dell'Italia e le nostre direttive politiche generali.

V.E. troverà, però, modo di far comprendere a Litvinoff come noi ci siamo trovati costretti, unicamente per colpa della Germania e della sua incomprensione del fattore politico italiano, a prendere un atteggiamento ancora più risoluto e netto di quello che avremmo potuto assumere se le circostanze precedenti fossero state diverse, un atteggiamento che ha in sostanza assai giovato alla Francia, e ciò proprio quando da questa ci avrebbero dovuto dividere le delusioni dell'accordo navale, e quelle delle altre pendenze politiche. Forse su queste la Germania aveva contato per averci almeno neutrali nella faccenda dello Zollverein e per giunta gratuitamente. Ma il calcolo politico esige la perfetta conoscenza dei fattori psicologici e soprattutto l'esatta valutazione proporzionale delle singole questioni. Alla Germania tutto ciò manca ed è sempre mancato. Essa non comprende come per certe questioni di carattere generale quali ad esempio le riparazioni ed il disarmo i nostri interessi

ci porteranno necessariamente vicino ad essa, ma che anche su questi punti

occorrerà da parte tedesca non trascurare quella franchezza e quelle eque pre

liminari intese dirette alla garanzia degli interessi reciproci (e non soltanto di

quelli tedeschi) che sole possono indurci ad una collaborazione veramente

amichevole con la Germania su questi punti.

Nella questione dello Zollverein, sia in se stesso sia come preludio all'Ansch

luss, i nostri interessi invece sono direttamente minacciati e toccati, e la Ger

mania non può certo illudersi di averé a buon mercato un nostro consenso (e

tanto meno agendo di sorpresa) quale che possa essere in certi momenti la

gravità dei dissensi italo-francesi.

Tutto questo sarà bene che il signor Litvinoff sappia chiaramente anche

per le eventuali orecchie tedesche.

Per quanto concerne più particolarmente la partecipazione della Russia

al Comitato paneuropeo, il discorso di Litvinoff ha prodotto in generale buona impressione ed è sembrato inspirato ad un certo spirito di collaborazione coi paesi capitalisti, prescindendo dalla diversità dei regimi, ed avendo per scopo di aiutare l'Europa ad uscire dalla presente gravissima crisi. Certo è trasparita anche evidente la preoccupazione dell'URSS di assicurarsi in sede di Ginevra una assicurazione contro eventuali velleità di blocchi economici antisovietici, e di azioni collettive anti-dumping. Anzi Litvinoff ha chiesto esplicita promessa in questo senso, a cui gli altri si sono sottratti, pur facendo dichiarazioni che in realtà possono considerarsi assai soddisfacenti per questa prima comparsa della Russia sovietica alla ribalta ginevrina. Se non altro si è potuto stabilire che una collaborazione sovietico-capitalista per salvare l'Europa è non solo realizzabile, ma anche desiderata dalle parti contrarie perché giovevole alla salvezza ed alla prosperità del nostro continente. In ciò è consistita la reale importanza dell'intervento della Russia a Ginevra ed il Governo italiano che l'ha facilitato più e meglio di ogni altro e della stessa Germania, non può che felicitarsene. Noi però comprendiamo d'altra parte assai bene i limiti che

la politica per così dire di Litvinoff trova nelle condizioni interne e nei principi:

sociali del suo Paese e quindi non chiediamo alla Russia delle cose impossibili

almeno per ora.

Non dubito che Litvinoff riconoscerà con V.E. come ha riconosciuto con

me a Ginevra nei nostri colloqui privati l'utilità di mantenere le relazioni con

l'Italia su queste basi realistiche che hanno già dato notevoli frutti.

(Per Angora) -Per quanto riguarda più specialmente la Turchia ritengo

che essa possa essere soddisfatta della sua partecipazione al Comitato Paneuro

peo, anche se nella questione del credito agricolo essa non abbia p.otuto otte

nere quanto desiderava malgrado il nostro esplicito ed amichevole appoggio.

È da sperare che la questione possa del resto essere ripresa in un secondo

tempo quando apparirà più chiara a tutti l'utilità della collaborazione turca

al risanamento generale economico dell'Europa, e V.E. potrà assicurare for

malmente Tewfik Roussdi bey che il Governo italiano continuerà a dare opera

assidua in questo senso dentro e fuori Ginevra t::on quella sincera amicizia che

presiede ai nostri rapporti politici.

I colloqui che ho avuto col Ministro degli Affari Esteri turco a Ginevra

non hanno avuto alcun particolare interesse. L'unica cosa degna di nota è stata

l'informazione da lui datami che la Grecia avrebbe notificato alla Turchia

l'intenzione di procedere alla costruzione di circa venti mila tonnellate di

nuovo naviglio da guerra. In seguito alle costruzioni greche la Turchia e

quindi la Russia si preparano a seguire l'esempio della Grecia costruendo eguale

quantità di tonnellaggio (1).

(Per Belgrado) -Si tratterà ora per l'Italia di iniziare una serrata ed efficace azione per trovare una base più larga e degli scopi più vasti agli accordi bilaterali e concatenati già iniziati, e ciò per opporre una vantaggiosa situazione di fatto ai progetti germanici ed a quelli francesi, che valga a ne~tralizzare possibilmente gli effetti dello Zollverein ove per deprecata ipotesi questo fosse permesso dalle future deliberazioni della Corte dell'Aja e del Consiglio della Società delle Nazioni.

In queste nostre direttive potrebbe certamente aver molto valore il tener conto del così detto • pro~etto Marinkovic • che pur essendo stato, a quanto si dice, approvato nell'ultima riunione della Piccola Intesa, non è poi venuto a Ginevra alla luce della ribalta.

Forse ciò è stato determinato da qualche opposizione francese nel desiderio di evitare che venissero in discussione delle altre proposte tuttora non ben maturate. Fatto è che anche con me privatamente, Marinkovic si è tenuto assai sulle generali, come Ella vedrà dall'accluso resoconto di un colloquio che ebbi con lui il 21 maggio (2).

Ad ogni modo perché le idee esposte da Marìnkovich possano essere da noi prese in esame, occorre che lo studio di esse sia concomitante con la buona volontà jugoslava di giungere ad una sostanziale modifica dell'attuale situa·

zione dei traffici itala-jugoslavi, anzi che sia a tale modifica subordinato. Ma su di questo argomento occorrerà procedere con mezzi più energici che si stanno ora esaminando per stabilire le più adatte direttive alla nostra pro:ssima azione. Per ora sarà bene che V. E. non entri costà in ·conversazioni neanche generali a tale proposito, in attesa di mie precise istruzioni.

Quanto alle conversazioni politiche, ella potrà pure constatare dall'accluso resoconto che siamo giunti realmente ad un punto morto. Occorrerà quindi anche su questa materia conservare per ora il silenzio, e non lasciarsi trascinare involontariamente a discussioni né con codesto Governo, né con i Rappresentanti esteri costì accreditati, né con altri elementi politici locali.

Ho rilevato infatti dal suo telegramma n. 249/137 del 14 maggio scorso (1), che colloqui del genere di quelli che Ella ha avuto con codesto Ministro d'Inghilterra potrebbero presentare l'inconveniente di favorire una confusione di idee che, tendenziose o meno, può nuocere alla nostra situazione ed alla nostra futura azione. Le considerazioni di Henderson sopra l'utilità di un accordo itala-jugoslavo analogo alla Dichiarazione del '21, ma senza esplicito riferimento alla Dichiarazione stessa, non possono che essere o inspirate al desiderio di sollevare il Governo britannico dagli impegni assunti verso di noi nel '21 o giustificate da una scarsissima conoscenza, da parte di Henderson, del problema itala-jugoslavo nei riguardi dell'Albania, di cui per suo chiarimento, Le ho tracciato i .precedenti giuridici e politici nel mio dispaccio del l o aprile scorso (2). Ella rileverà dal riassunto del mio ultimo colloquio con Marincovich a Ginevra, che per quanto concerne il Governo di Belgrado, le posizioni jugoslave sono molto più avanzate e coordip.ate all'attuale realtà delle cose di quelle sulle quali continua ad aggirarsi Henderson e sulle quali non ci conviene assolutamente seguirlo, per non mettere [n discussione la famigerata Dichiarazione del '21 che è documento definitivo, specie nei riguardi dei firmatari la cui efficienza occorre da parte ,nostra non indebolire costi

tuendo esso un'importante nostra riserva in caso di azione, della quale è bene

non parlare e non discutere, per ora e fino a che ciò non sarà dimostrato vera

mente vantaggioso.

(Per Budapest, Vienna e Praga) -Si tratterà ora per l'Italia di iniziare una serrata ed efficace azione per trovare una base più larga e degli scopi più vasti agli accordi bilaterali e concatenati già iniziati e ciò per opporre una vantaggiosa situazione di fatto ai progetti germanici ed a quelli francesi, che venga a neutralizzare possibilmente anche gli effetti dello Zollverein ove per deprecata ipotesi questo fo:sse permesso dalle future deliberazioni della Corte dell'Aja e del Consiglio della S.d.N.

(Solo Praga e Vienna) -Su di questo mi riservo di informare a suo tempo

V.S. e per ora quindi l'accenno che vi faccio è destinato alla Sua esclusiva personale conoscenza, ma Ella potrà trarre da quanto precede utili elementi di chiarimento per la sua condotta ed anche per norma di linguaggio con codesto Governo allo scopo di illustrare senza equivoci la posizione dell'Italia e le nostre direttive politiche generali.

(Solo Praga) -Allo stesso scopo Le trasmetto l'accluso riassunto di una

conversazione da me avuta con Benès a Ginevra (1).

(Solo Vienna) -Allo stesso scopo Le trasmetto gli acclusi tre riassunti di

conversazioni da me avute con Schober (2).

(Solo Budapest) -A questo scopo mi propongo appena possibile definire

gli accordi con l'Austria e di iniziare subito a Belgrado i passi necessari per

far comprendere a quel Governo la convenienza di affrontare seriamente il

problema dei traffici italo-jugoslavi non soltanto considerati in se stessi, ma

allo scopo di inserirli, dopo averne radicalmente mutate le condizioni oggi

per noi sfavorevoli, nel quadro generale degli accordi che da tempo andia

mo progettando e studiando. Il signor Marinkovich nell'ultima riunione della

Piccola Intesa espose un suo piano di accordi economici danubiani con la

partecipazione e sotto la direttiva dell'Italia, i quali avrebbero dovuto costi

tuire un blocco di interessi vicini e diretti da opporre tanto ai progetti austro

tedeschi quanto a quelli della Francia, che in realtà non ha legami imme

diati con l'economia dei Paesi danubiani. Per quanto risulta, tale piano di

Marinkovich incontrò l'approvazione della Piccola Intesa e specialmente della

Romania, ma di esso non si parlò poi a Ginevra forse pel desiderio della Fran

cia di non allargare inutilmente la discussione colà.

Ora però a me sembra che converrebbe riprendere in esame tali idee

jugoslave, le quali potrebbero offrire il vantaggio di giungere a. quanto era

stato fin dall'anno scorso da noi progettato senza incontrare l'opposizione

della Francia. Non dovrebbe infatti essere difficile di convincere quest'ultima

che soltanto un tale progetto, riunendo i consensi dei principali diretti inte

ressati, tpotrebbe ·Costituire una realtà concreta tale da contrastare o almeno

da ritardare l'Anschluss economico e quello politico.

Mi riservo di tenere al corrente V. S. degli sviluppi dell'azione italiana

in questo senso, ma su tutto quanto precede è bene che Ella intrattenga per

sonalmente e confidenzialmente fin d'ora il Conte Bethlen, al quale Ella dirà

che ho tenuto a fargli subito esporre il mio pensiero sulla recente sessione

ginevrina e sui compiti che mi sembra indicarci la situazione attuale allo scopo

di prendere in tempo i provvedimenti necessari a consolidare le nostre po

sizioni in previsione dei possibili sviluppi dell'azione tedesca tanto a Ginevra

che fuori.

La S. V. dirà poi al conte Bethlen che sono stato molto lieto di tenermi in contatto col Conte Karoly che ho fatto sempre, come questi gli avrà riferito, dettagliatamente informare dell'azione della delegazione italiana. Per quanto riguarda la partecipazione della Russia al Comitato paneuropeo, credo che lo stesso Conte Karoly abbia potuto attenuare le sue preoccupazioni giacchè il discorso di Litvinoff ha fatto buona impressione, ha dato modo agli altri Paesi di prendere atto delle buone intenzioni della Russia di collaborare al risanamento economico dell'Europa prescindendo dalla diversità dei regimi sovietico e capitalista. Quanto vi sia di possibile e di vero in tutto questo e se

(2l Cfr. nn. 267, 277 e p, 428, nota l.

e fino a qual punto Litvinoff possa imporre nel suo paese le sue direttive generali di politica ad uso ginevrino è certo assai difficile dire ma resta ad ogni modo il fatto che la Russia sovietica ha fatto il primo passo per riprendere moralmente il suo posto in Europa, dalla quale la si voleva escludere perfino geograficamente. Bisognerà ora fare attenzione che i suoi progressi su questa v'ia non siano troppo rapidi nè che tendano a servire 'interessi contrari

ai nostri.

(l) Cfr. n. 278.

(l) Cfr. nn. 269 e 284.

(l) -Questa notizia, secondo un appunto di Grandi del 22 maggio, era la sol<. di un certo interesse « delle molte cose inutili che questo pagliaccio mi ha raccontato in questi giorni •. (2) -Cfr. n. 281. (l) -Cfr. n. 265. (2) -Cfr. n. 178.

(l) Cfr. n. 280.

307

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

"T.ELESPR. RR. 50. Belgrado, l giugno 1931.

Mio telespresso riservatissimo n. 43 del 6 maggio u.s.

Da fonte estremamente confidenziale apprendo che l'informatore arrestato a suo tempo per essere in relazione con questo R. addetto militare Col. Amari sarebbe stato in questi giorni condannato a morte dal Tribunale della Difesa dello Stato che ha tenuto dibattimento segreto (1). Finora nella stampa nulla è comparso (2), e la sentenza per impiccagione non è stata eseguita, domanda di grazia essendo stata inoltrata a Re Alessandro. Le relazioni dell'informatore ·col Col. Amari sarebbero state provate oltreché per la testimonianza dell'arrestato anche perché egli sarebbe stato in possesso di qualche questionario la cui provenienza sarebbe stata accertata.

La serietà della persona che mi ha dato questa informazione i dettagli

che mi sono stati dati e la precisione di alcune circostanze dovrebbero far

ritenere per certa la notizia di cui sopra, la cui gravità non sfuggirà a V. E.

Finora da parte di queste autorità non mi è stata fatta la menoma allu

sione al fatto, ed il Col. Amari non ha notato alcun cambiamento esteriore nel

contegno delle autorità militari verso di lui.

Io non posso dal canto mio che deplorare la leggerezza del Col. Amari

dopo la lezione avuta dal suo predecessore (3), e le raccomandazioni che gli

avevo fatte al suo arrivo, e le assicurazioni che egli mi aveva dato.

Se alla di lui attività si aggiunge quella dei due suoi colleghi della ma

rina e dell'aviazione, non è da stupirsi (a parte la triplicata probabilità di

incidenti analoghi) la atmosfera di sospettosità che li circonda, i divieti agli

ufficiali di frequentarli, la stessa vigilanza su ogni altro membro della lega

zione, il permanere di una atmosfera di inquietudine e di sospetto su di ogni

nostro movimento anche il più innocente, mentre ogni possibilità di utile risul

tato della mia azione anche in questioni secondarie è avvelenata dal ripetersi

di simili incidenti.

Io non posso prevedere se e quando dalle autorità jugoslave ci sarà faUo cenno dell'incidente toccato al Col. Amari. Se il silenzio tenuto fin'ora dovesse continuare difficile sarebbe trovare la spiegazione, se non nel timore che possa esservi più grave materiale in nostr~ mani contro l'addetto militare jugoslavo,

o con una acquiescenza e tolleranza che però avrebbe davvero dell'inverosimile.

Ma in ogni caso pare a me dopo QUanto occorso al Col. Visconti, la minaccia di quello che può accadere per il Col. Amari, e quanto ho segnalato precedentemente circa gli inconvenienti politici, sociali e personali derivanti .dalla costante permanenza di tre addetti militari a Belgrado, che ripeto ancora una volta e ripeterò fino alla sazietà rappresentano un vero inutile sperpero per finalità comuni e compiti analoghi che finiscono col sovrapporsi, sia il caso che V. E. risolva una volta per sempre questo problema d'accordo con le, altre amministrazioni militari per certo, ma facendo tuttavia prevalere un superiore punto di vista politico ed una superiore necessità che metta fine una buona volta ad una situazione che non può non avere le sue ripercussioni sulla azione della rappresentanza diplomatica, e sui rapporti generali dei due Paesi (1).

(l) -L'informatore jugoslavo, un impiegato del ministero della guerra di nome Nova.kovié, teneva i contatti col maggiore Sangiorgio, addetto militare aggiunto. Novakovié J'u giustiziato il 9 giugno. (2) -La stampa diede la notizia il 6 giugno. (3) -Allude al colonnello Visconti Frasca (cfr. serie VII, vol. VIII).
308

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, ALL'AMBASCIATORE A MADRID, DURINI DI MONZA

T. 560/65. Roma, 2 giugno 1931, ore 13.

Mi riferisco telegramma R. Console Barcellona circa pubblicazione Solidariedad Obrera ingiuriosa per S. M. il Re (2). Prego V. E. richiamare tutta attenzione codesto Governo su inaudito linguaggio giornale catalano insistendo affinché siano adottate opportune misure. Prego riferire telegraficamente (3).

309

MALAGOLA CAPPI AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI

Belgrado, 20 maggio-Zagabria, 2 giugno 1931.

Avendo io detto al Re che S. E. Mussolini mi aveva incaricato di dirgli che l'incontro in Italia era possibile, egli se ne è mostrato molto contento e subito si-è parlato del programma del viaggio, stabilendolo in via generale:

Venezia -Bologna -San Marino. Da San Marino si farebbero le gite a Rimini, Ravenna, Forlì, Assisi, Firenze -poi ritorno per Bologna, Venezia, Dolomiti circa 20-25 giorni -tra il 20 Luglio ed il 15 agosto.

• Je suis impatient de me rencontrer avec M. Mussolini, surtout si, comme j'espère, la rencontre de nos Ministres à Genève améliorera les conditions politiques, car je suis vraiment persuadé qu'il faut changer de politique pour le bien de nos pays. Naturellement il y a des questions capitales sur les quelles il faudra d'abord s'accorder pour balayer le terrain, et sur ces points capitaux il faut ne pas etre trop intransigeants, et avoir la bonne disposition réciproque pour faire quelque concession.

Avant le départ de Marinkovich je lui ai donné des dispositions bien prédses qu'il soumettra à M. Grandi et j'attends avec impatience une dépeche. En .attendant nous pourrons faire notre projet de voyage •.

Durante la colazione si è sempre parlato del viaggio ed il Re ha mostrato grande entusiasmo all'idea di venire in Italia e sopratutto di potersi incontrare çon S. E. Mussolini.

Belgrado, 24 maggio (1).

Ho portato al Re il programma del viaggio e dopo averlo esaminato mi ha detto:

• Mais il y a une chose très désagréable. J'ai reçu une dépeche de Marinkovich qui me dit de avoir parlé avec M. Grandi (2) et de n'avoir abouti à rien; il dit meme que l'on peut considérer d'avoir eu un résultat négatif.

J'ai vraiment eu une grande désillusion, car j'avais beaucoup d'espoir que l'on aurait fait un pas en avant •.

Il Re è poi tornato sull'argomento della necessità dell'accordo.

... • c'est une nécessité, nous devons ou tòt ou tard, nous mettre d'accord.

Vous comprenez que s'accorder avec l'Italie, ça veut dire changer com

plètement, bouleverser absolument toute ma politique.

La politique de maintenant est basée sur la possibilité d'une guerre,

c'est la politique des traités d'alliance pour se défendre en cas d'attaque, c'est

la politique de l'armement.

Sans doute, c'est une bonne politique, à laquelle, données les conditions

actuelles, nous sommes forcés, mais il y en a une bien meilleure.

La politique de maintenant c'est une ,politique négative et ruineuse, une

politique.qui détruit les richesses de nos pays, une politique qui nous force

à employer des milliards, qui s'en vont, la plus part à l'étranger, pour les

armements.

Au contraire, la politique que nous pourrions faire, si nous étions en accord avec l'Italie, serait une politique positive, une politique créatrice de richesses, de développement commerciai et industrie!; nous pourrions réduir nos dépenses pour les armements, sans compter l'énorme bénéfice que nous aurions par la tranquillité et la confiance, une fois écarté le danger de la

guerre en Europe, car après tout nous n'avons d'autres ennemis témibles,

excepté l'Italie, et l'Italie n'en a pas d'autres excepté nous.

Si nous continuons, disons le gros mot, à etre des ennemis le jour vien

dra qu'une guerre sera inévitable, meme avec la plus bonne volonté de

l'éviter, car nous serons dans un tel état d'excitation que nous serons à la

merci de quelque fou àalmatien ou croate, qui, sans pouvair l'éviter, donnera

le feu à la poudre, paur un rien du tout.

La guerre serait inévitablement mondiale, ou au moins européenne, et ça

serait le dernier caup de grace paur toute l'Europe, et avec quel résultat bon

Dieu!

Admettans le cas que l'Italie se bat et gagne la guerre, qu'est-ce qu'elle

pourrait en avoir?

Tout au plus elle pourra naus prendre taute la Dalmatie.

Admettons que la Yougaslavie gagne, naus paurrans avoir l'Albanie, l'Istrie

et Trieste. Mais l'Albanie, comme je vaus l'ai déjà dit, je ne la voudrais pas en cadeau, l'Istrie ne vaut pas grande chose, et Trieste nous ne la pourrions pas tenir à cause de la pression allemande, car les allemands voudraient s'en emparer pour avoir leur port sur la Méditerranée. Et aussi si naus pourrians la garder elle ne naus donnerait que des dépenses et des saucis, car naus avans déjà assez avec Sussak, Split, et Tneste serait pour nous un port passif, camme du reste il est maintenant passif pour l'Italie. Donc, croyez moi, le jeu ne vaudrait pas la chandelle -ni pour vous, ni pour nous.

Expansions, colanies, nous n'en voulons pas, nous sommes un petit pays,

naus n'avons pas des ambitians de ce genre, et nous avons encore une grande

partie du pays à coloniser chez nous.

Les avantages qui nous pourrons venir de l'accord layal, seraient mille

fais plus avantageux paur les deux pays qu'une guerre gagnée...

Vaus comprenez dane que je devrais changer absalument toute ma pali

tique: ça serait un complet bauleversement, et je le ferais avec enthousiasme;

mais, pour le faire, je devrais avoir des garanties d'un accord durable et défi

nitif.

Une des questions capitales, est la question de l'Albanie. L'Italie a fait le traité de Tyrana paur protéger et défendre l'indépendance et l'intégrité de l'Albanie. Mais sur ce paint je suis camplètement d'accord, et j'ai déclaré aussi publiquement exprès que je suis pret mai meme à garantir l'intégrité et l'indépendance de l'Albanie.

Maintenant j'attends le retour de Marinkovich et espérons que les choses ne soient pas si noires comme sa courte dépeche me le m o n tre ».

Zagabria, 2 giugno 1931 .

• ... mon cher, je suis vraiment et sincèrement désolé et péniblement déçu, car Marinkovitch m'a répété que après avoir communiqué à M. Grandi mes propositions ils se sant séparés avec un résultat tout à fait négatif et sans meme la promesse de réprendre la discussion.

Je vaus prie de dire à M. Mussalini que je suis vraiment désolé de ça, car je croya,is vraiment que la rencontre de Genève aurait pu débarrasser le terrain des questions capitales, et faciliter notre rencontre à laquelle je tiens énormément.

Vous comprenez que, pour nous, la question de l'Albanie est une question très importante, car l'Italie forme une vraie base militaire contre nous en Albanie, ce qui est camme une flèche dans notre 'corp. Comment pourrions nous laisser que l'Italie tienne là bas une tete de pont contre nous?

C'est une question importante et douloureuse. Dites, dites à M. Mussolini qu'il essaye de se mettre à ma piace et qu'il pense ce que lui méme, à ma place, pourrait faire! Quelque fois en politique il faut faire comme ça ».

Ho chiesto al Re se restava nel proposito di fare il viaggio in Italia.

• Je voudrais partir ce soir meme s'il y avait l'espoir et la possibilité de se mettre dans la bonne vaie de l'accord, mais si je suis sur de m'entendre déclarer qu'il n'y a absolument rien à faire pour nous accorder alors je trouve que mon voyage est inutile.

Vous savez, pour moi ce n'est pas si facile de quitter le pays, car je dois prendre un tas de dispositions, nommer un régent ecc.; je veux bien le faire, et avec plaisir, si j'ai l'espoir de me mettre sur le bon chemin.

Si dane M. Mussolini me propose de nous mettre ensemble de bonne volonté à étudier cette plaie et à vouloir l'opérer pour la guérir, en prenant tou:;; les deux, en bons chirurgiens, nos couteaux, et éouper san:s pitié, je suis pret à partir le plus tòt possible; mais si nous devons endolorir la plaie sans enlever l'infection, alors je trouve l'opération inutile, si on sait auparavant qu'il n'y a pas d'espoir de guérison.

Dites à M. Mussolini que quant à moi je suis disposé à donner toutes les garanties possibles et plus amples et qu'il me trouvera avec les plus bonnes dispositfons, car je suis persuadé que à l'accord on doit arriver fatalement car là est le bien de mon pays (après tout, disons-le, je suis payé pour ça, pour faire autant que je peux le bien de mon pays) et vous pouvez aussi l'assurer de·ma ,part, que je suis absolument sur de pouvoir faire accepter cet accord à tout le pays et à tous les partis.

Du reste il n'y aura pas un meilleur moment de s'accorder, que l'actuel, dans le quel il n'y a pas de parlements qui commenceraient avec des interpellances à ne plus en finir. La chose maintenant ne dépend que de nous deux, et je suis persuadé que M. Mussolini, qui a dans toutes les choses une perception si nette et si lointaine et claire, doit sans doute voir les énormes avan· tages de l'accord.

Une fois l'accord établi, n'importe quel régime pourra venir, s'il ne s'agit pas d'un régime de fous, on ne pourra que me donner raison et le garder intact.

Si je pourrais dane penser que une rencontre avec M. Mussolini pourrait avoir des possibilités positives, je partirais ce soir plutòt que demain, car il y a aussi des questions urgentes qui demandent une solution, et que je serais content d'arranger en Italie; la question des fabriques d'automobiles en Yougoslavie, dont nous avons déjà parlé, et aussi une autre affaire très importante pour les mines de la Bucovine, que, si je ne peux pas arranger en Italie, je devrais arranger avec Krupp.

De notre projet de rencontre je n'en ai parlé à personne, car avant de prendre une décision définitive, je vous prie de demander à M. Mussolini si notre rencontre a des possibilités d'avoir un bon résultat.

Dites lui de ma part, comme j'ai été desolé du résultat de la rencontre de nos Ministres à Genève, et répétez encore de ma part, toute ma bonne disposition et ma bonne volonté.

Vous viendrez après me donner sa réponse et alors nous prendrons nos accords définitifs •.

(l) -Nel consiglio dei ministri del 10 giugno, su proposta di Mussolini «si stabilisce di diminuire gli aqdetti militari a Belgrado » (ACS, verbali del consiglio dei ministri). Il tenente colonnello Amari alla fine di gennaio del 1932 fu sostituito col tenente colonnello Franceschini. (2) -Tel. 1517/48/21 del 30 maggio. In riferimento a questo tel. Guariglia scrisse il seguente appunto: « Per il Gabinetto. Mi pare che sia il caso di fare qualche più energica rimostranza a Madrid, in attesa che la Catalogna diventi uno stato a sè! •. In seguito. a questo ,appunto fu trasmesso il tel. pubblicato nel testo. (3) -Per la risposta cfr. n. 310. (l) -Un accenno alla conversazione di questo giorno in HOPTNER, op. cit., p. 76. (2) -Cfr. n. 281.
310

L'AMBASCIATORE A MADRID, DURINI DI MONZA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. 1558/138. Mad1·id, 3 giugno 1931, ore 14 (per. ore 18,30).

Telegramma di V. E. 65 (1).

Già ero intervenuto presso Sottosegretario di Stato per gli Affari Esteri che assicurò avrebbe sollecitato procedimento conveniente contro Solidariedad Obrera, ma sono scettico al riguardo anzi convinto che il Governo non potrà agire seriamente contro giornale, tanto più che Governatore Civile Barcellona era avvocato della Confederazione Generale del Lavoro di tendenze sindacaliste anarcoidi potentissima in Catalogna e ostilissima al Governo.

Ieri ricevetti lettera privata da Lerroux in relazione mia protesta di cui

mio telespresso 469 del 29 maggio, ma dal contenuto poco soddisfacente.

Pur rendendomi conto gran difficoltà in cui si dibatte debole Governo attuale, che è pure attaccato con violenza da oratori e fogli estremisti, rispondendo oggi a signor Lerroux ne approfitto per insistere nuovamente che siano adottati provvedimenti contro foglio citato (2).

Ricevo numerosi telegrammi protesta da parte associazioni operaie per esecuzione Schirru.

311

IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

R. R. 2168/1211. Vienna, 3 giugno 1931.

Ringrazio V.E. del Suo dispaccio in data 30 maggio n. 2174 E.L. Ufficio II (3).

Le istruzioni già inviatemi dall'E. V. i resoconti dei giornali sui discorsi

dell'E. V. 'in Ginevra e sul corso delle riunioni tenutevi, nonché le deduzioni

logiche che da tali premesse e dalla considerazione della situazione così euro

pea come italiana avevo tratto m'avevano consentito, già prima di ricevere il dispaccio cui rispondo, di seguire qui una linea di parola e di azione conforme a quella ora tracciatami da V. E. E poiché tanto Schober quanto Schiiller si trovavano a Ginevra, ne avevo sopratutto intrattenuto Seipel, che, malgrado il suo stato di salute punto buono, rimane una forza ed è anche un appoggio per noi, e potrà darci un suo più efficace concorso quando, sia prima sia più proba· bilmente dopo le vacanze estive, si avrà qui un nuovo gabinetto in cui forse egli potrà meglio far valere il suo peso.

Ora appunto avevo tra l'altro esposto a Seipel (l) i principi della nostra politica, nei riguardi del progetto di unione doganale in specie e dell'Austria in genere, che ci portavano a non parteggiare né per la soluzione francese né per quella tedesca bensì a seguire una politica nostra la quale, basandosi sui risultati già conseguiti nelle trattative per lo speciale accordo itala-austriaco, mirava ad estenderne la portata. Seipel mi si è mostrato consapevole delle ragioni di una nostra politica autonoma, ha. approvato i nostri accordi con Schiiller e ha manifestato anche egli la convinzione che, più delle non effettuabili soluzioni francesi e tedesche, quella italiana, concreta e utile benché ristretta, potesse appunto mediante il suo ampliamento avviare lentamente ma sicuramente l'Austria a quel miglioramento della sua situazione economica che non avrebbe come per miracolo potuto essere di colpo sanata seguendo le proposte di Berlino o di Parigi. Nelle mie eventuali future conversazioni, le istruzioni di V. E. mi saranno di utile norma, ma credo di dover avvertire fin da ora che Schiiller parlandomi stamane dei nostri negoziati si è manifestato consapevole della nostra effettiva buona volontà di estenderli, ha mostrato consentirvi pienamente e mi ha ripetuto augurarsi che Brocchi possa essere presto in grado di tornare

qui e riprendere i suoi colloqui con lui. Io spero che, malgrado l'azione della

Francia e della Germania a Vienna le quali pur disponendo di mezzi diversi ci

sono qui entrambe pericolose concorrenti, se noi .persevereremo nella strada

iniziata, con decisione e rapidità potremo conseguire risultati soddisfacenti per

la nostra politica in questo stato. Occorrerà però seguire attentamente la situa

zione e intervenire tempestivamente. Questo paese è tra quelli in cui lo stato

di cose è meno stabile, in cui meno che altrove può prevedersi quello che

avverrà l'indomani e ogni nuovo giorno può serbare una sorpresa, e in cui la

politica, mossa principalmente non da ideali ragioni, bensì dal sùbito pratico

tornaconto, può rapidamente mutare di rotta secondo soffi il vento dell'im

mediata opportunità.

Per quanto riguarda del resto gli effetti della nostra azione in Ginevra su

questa opinione pubblica, essi, come V.E. avrà rilevato dai resoconti stampa

di questa Legazione, sono stati assai soddisfacenti. Occorreva evitare due peri

coli: quello di risvegliare sentimenti antitaliani in seguito alla nostra oppo

sizione all'unione, e quello di farci rimproverare di non sapere uscire da un

contegno puramente negativo. Entrambe le difficoltà sono state superate. Mentre

la misura e il tono dei discorsi di V.E. a Ginevra hanno qui evitato qualsiasi

risentimento, il nostro programma avvalorato dai risultati già conseguiti ha

provato come anche noi mirassimo a facilitare la ricostituzione economica austriaca e per una via che, differendo da quella francese e da quella tedesca, era l'unica la quale potesse realmente essere seguita e con effetti concreti e utili.

Prima di porre termine a questo rapporto, fatte le brevi considerazioni generali su esposte, desidero chiarire qualche punto particolare. Dai miei colloqui in questo Dipartimento Esteri risulta che i primi accenni al progetto di unione doganale furono fatti a-Schober quand'egli si recò l'anno scorso a Berlino. È da ricordare che il suo viaggio a Berlino avvenne dopo quello a Roma e che questo aveva destato preoccupazioni non solo in Francia ma anche in Germania in quanto si temeva che in realtà l'Austria si fosse legata con noi più che non apparisse. Pur non volendo asserire che il progetto di unione doganale sia stato concepito dalla Germania in seguito al viaggio di Schober in Italia, non credo poter escludere che, quantunque quel progetto fosse già in mente del governo tedesco, esso abbia avuto le sue prime ufficiali manifestazioni in quella epoca a cagione di quel viaggio e dei timori che ne erano derivati a Berlino. Mi conferma in questa supposizione il fatto che i Tedeschi sono più decisamente tornati alla carica quando Curtius ha restituito nel marzo scorso la visita a Schober, cioè dopo che le voci di speciali accordi economici dell'Austria con l'Italia si erano diffuse e, nell'incertezza del loro reale contenuto, nuove preoccupazioni erano sorte. Del resto è convinzione di questo stesso Dipartimento Esteri che il timore di giungere troppo tardi quando l'Austria si fosse irrimediabilmente legata a noi e non potesse in più favorevoli tempi essere attratta nella sfera economica germanica, abbia spinto Berlino a precipitare gli eventi. La conferma di tale convinzione si è poi vista nell'articolo fatto pubblicare tempo fa nella • Neue Freie Presse • (mio telespr. n. 951 del 24 aprile 1931) dal precedente ministro di Germania conte Lerchenfeld, il quale è stato tra i più attivi istigatori di Schober. Sarà bene tener presente tutto ciò alla ripresa delle conversazioni di Brocchi con Schi.iller, giacché è supponibile che la Germania non vorrà dare senz'altro partita vinta.

Circa i riassunti dei tre colloqui di V.E. con Schober (1), osservo che alla fine del primo questi ha dichiarato all'E.V. che Curtius gli aveva detto proporsi la prossima volta parlargli di altra cosa e che Schober me ne aveva informato. Invece Schober non mi ha fatto alcun cenno di quello che Curtius a sua volta gli abbia accennato o inteso accennargli.

Quanto alle conversazioni di Schober a Ginevra, ho saputo per una indiscrezione che prima ch'egli vi si recasse si era qui assai preoccupati sulle domande imbarazzanti che avrebbero potuto essergli colà rivolte e sulle sue possibili risposte compromettenti. Onde gli uffici competenti del Dipartimento Esteri gli prepararono una specie di catechismo, in cui erano contenute tutte le prevedibili più diaboliche richieste che avrebbero potuto essergli rivolte e tutte le risposte più ortodosse che egli avrebbe dovuto dare. E sotto l'usbergo di questi volanti fogli di carta Schober ha affrontato Ginevra (2).

(l) -Cfr. n. 308. (2) -Il giornale incriminato fu poi denunziato alla magistratura spagnola. Così assicurò Lerroux a Durini (telespr. da S. Sebastiano, 11 agosto). (3) -Si tratta probabilmente del n. 306.

(1) Cfr. n. 279.

(l) -Cfr. nn. 267 e 277. (2) -Annotazione marginale del documento: • Visto da S. E. il capo del Governo •.
312

L'AMBASCIATORE A LONDRA, CHIARAMONTE BORDONARO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

R. R. 2440/1237. Londra, 4 giugno 1931.

Al consueto pranzo diplomatico che ha avuto luogo ieri sera al Foreign Offi.ce per il genetliaco del Sovrano, ho avuto occasione di intrattenere il Signor Henderson dell'interessante dispaccio riservato del 1° corrente n. 2204 (1), che avevo ricevuto col corriere da V. E. poche ore prima.

Astenendomi naturalmente dal far cenno a tutte le considerazioni di carattere riservato che mi sono state comunicate per mia esclusiva personale conoscenza, sullo svolgimento dei recenti lavori di Ginevra intorno alla progettata Unione doganale austro-tedesca, ho creduto non dover perder tempo nel chiarire quale è il pensiero di V.E. e del Governo fascista sul delicatissimo argomento. E ciò in vista della imminente visita dei Ministri tedeschi a Londra e dei possibili affidamenti che essi potrebbero ricevere in questa occasione da parte inglese.

Come V.E. giustamente osserva, la tendenza del Governo inglese è pericolosamente conciliativa, nel senso che pur di non creare imbarazzi si vuoi cercare di carezzare tutti e di non urtare nessuno. L'Unione doganale austrogermanica, l'eventualità dell'Anschluss non è considerata qui che di riflesso sotto il suo aspetto più importante, che è quello politico. Bisognerà fare costante opera di persuasione sulla quale non mancherò di insistere perché i dirigenti della politica estera britannica si convincano che è nell'interesse

generale della pacificazione europea l'impedire che una unione sia pur apparentemente economica, sia destinata a turbare profondamente l'equilibrio che si vuole stabilire.

Henderson ha risposto ieri sera alle mie osservazioni che è anche lui d'avviso che non sia possibile fermarsi a soluzioni conciliative e transitorie come quelle ultimamente adottate a Ginevra e che bisogna mettersi d'accordo per la più sana via d'uscita.

Ha aggiunto, e mi riservo di farmi chiarire meglio il suo concetto in una più opportuna occasione, che desidererebbe estendere ad altri paesi quello che la Germania e l'Austria intendono fare.

In una recente conversazione che ho avuto anche con questo Ministro d'Ungheria, il barone Rubido Zichy, il quale è notoriamente un absburgico del vecchio regime, mi ha parlato con insistenza della desiderabilità di una unione tra l'Austria e l'Ungheria di cui potrebbe farsi promotrice l'Italia, ma

della quale egli stesso riconosceva le non poche difficoltà di attuazione (2).

(l) -Cfr. n. 306. (2) -Lo stesso giorno, 4 giugno Coppola pubblicò un articolo favorevole alla restaurazione ·asburgica.
313

PROMEMORIA PER L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, DE VECCHI (l)

(Fondo Ambasciata presso la Santa Sede, busta 7)

Roma, 4 giugno 1931.

Mercoledì 3 Giugno, alle ore 10,30, mi sono recato in Segreteria di Stato a consegnare a Monsignor Pizzardo due pacchetti ed un piego che la Nunziatura di Madrid, pel cortese tramite del nostro servizio dei corrieri diplomatici, desiderava far pervenire al Cardinale Segretario di Stato ed a Monsignor Pizzardo. Quest'ultimo mi ha accolto con molta premura e cordialità, mostrandosi oltremodo accorato per gli avvenimenti di questi ultimi giorni. Mi ha detto che pregava caldamente la Provvidenza affinché non si andasse all'irreparabile e mi ha pregato di collaborare affinché si arrivasse ad una soluzione soddisfacente per entrambe le parti: aggiungendomi che tale era ed era stato il desiderio del Pontefice, che aveva sempre impartito alla Segreteria istruzioni di collaborare con noi nella massima cordialità. Abbiamo discusso a lungo, sempre molto cortesemente ed amichevolmente, su questo ultimo punto, in quanto che ho affermato che tra tale desiderio del Pontefice e molti dei Suoi atti avevo riscontrato una discordanza, ma che, ad ogni modo, mi era molto gradito di ascoltare le dichiarazioni così incontranti che mi faceva adesso Monsignor Pizzardo e che mi affrettavo ad assicurarlo della mia sincera corrispondenza ai suoi desideri di cordiale collaborazione. Il colloquio è durato fin oltre l'una, e ci siamo lasciati con la promessa di mantenere i contatti per vedere di poter dare la miglior piega possibile agli avvenimenti.

Subito dopo colazione, son venuto in Cancelleria per riferire quanto sopra a S.E. l'Ambasciatore; avendo però saputo che nel frattempo si era recato da

S.E. il Capo del Governo per poi andare al Senato, sono subito andato a Palazzo Madama dove ho potuto metterlo a giorno, alle ore 17, della conversazione avuta con Monsignor Pizzardo. S.E. l'Ambasciatore mi ha allora incaricato di recarmi al Vaticano per riferire a Monsignor Pizzardo come, in seguito alla visita che Monsignor Tardini aveva nella mattinata fatta a S.E. il Conte de Vecchi, S.E. il Capo del Governo gli aveva dato incarico di allacciare le discussioni in merito col Cardinale Segretario di Stato. Dovevo quindi farmi dire quando il Cardinale Pacelli sarebbe stato disposto a riceverlo (possibilmente nella stessa giornata di domani).

« Recentemente vi mandai l'eco vaga circa una persona influentissima dell'Ambasciata. Ora posso precisare: è il sig. Pietro De Stefani, consigliere dell'Ambasciata italiana, colui che qui passa per essere quello che fa tutto. Ebbene posso assicurarvi (e mi guarderei bene di formulare una simile precisazione a carico di un uomo, fosse un usciere e non un consigliere) che egli aiuta le speranzelle di qui. In buona fede, voglio sperare. In ognimodo è lui che va affermando che una rottura sarebbe un guaio per il Fascismo, e simili proposizioni. Tutto il suo parlare è, diciamo, strano. Svela la sua ammirazione per quelMons. Maglione, nunzio di Parigi, un prete furbo e niente più, beatificatore di Briand-Locarno, e benedicente l'esercito francese in Corsica.

Qui si fa grande bluff di tale contegno del De Stefani, dicendo che se cosi parla il factotum dell'ambasciata italiana, che diranno gli altri? •.

Monsignor Pizzardo ha accolto la notizia con viva soddisfazione, ha chiamato subito Monsignor Tardini, al quale, in mia presenza, ha fatto telefonare al Cardinale, il quale però mi è sembrato un po' freddo, o almeno molto circospetto, chiedendo se S.E. l'Ambasciatore avrebbe portato le risposte alle note (l) già inviate sugli ultimi avvenimenti dalla Santa Sede. Ho risposto che non avevo nè quindi potevo dare in merito alcuna delucidazione. Mi è stato allora detto che il Cardinale si sarebbe domattina fatto possibilmente sostituire nella funzione del Corpus Domini per essere libero, e che alle nove e mezza avrebbe telefonato direttamente a S.E. il Conte de Vecchi per fissargli l'appuntamento che, con tutta facilità, sarebbe stato immediato.

Ritornato alle ore 18,30 al Senato, ho riferito a S.E. l'Ambasciatore il risultato di questo secondo colloquio, rientrando poscia in Cancelleria.

Rincasato alle ore 20,30, ho saputo che nel frattempo Monsignor Tardini mi aveva cercato per telefono. Poco dopo, infatti, tornava a telefonarmi, fissandomi appuntamento per la sera stessa alle ore ventuna e mezzo a casa mia.

Venuto a tale ora, Monsignor Tardini mi ha detto che, essendosi dopo il nostro colloquio, recato col Cardinale Pacelli da Sua Santità, questi aveva dato le seguenti istruzioni: • S.E. l'Ambasciatore di Sua Maestà il Re d'Italia sarà sempre il benvenuto al Vaticano, ma occorre che porti una risposta scritta alle due note della Nunziatura rimaste finora inevase •. Ho fatto chiaramente comprendere a Monsignor Tardini che una tale risposta rimetteva tutto in alto mare; egli ne ha convenuto, ma mi ha detto che queste erano le istruzioni categoriche del Santo Padre. Si raccomandava a me perché presentassi la cosa nel miglior modo possibile a S. E. l'Ambasciatore, mentre dal canto suo si riprometteva di tentare ancora di fare recedere nella mattinata di giovedì il Papa dal suo proposito.

Siamo così rimasti che io avrei atteso a casa mia fino alle nove e mezzo del domani una sua comunicazione: che se questa non fosse venuta dovevo allora comunicare quanto sopra a S.E. l'Ambasciatore.

Giovedì, 4 Giugno, avendo atteso inutilmente fino alle ore nove e trentacinque una comunicazione di Monsignor Tardini, mi sono recato all'Ambasciata dove ho tutto riferito a S.E. il Conte de Vecchi, consegnandogli, per maggiore esattezza, il presente promemoria.

(l) Autore del promemoria è, con ogni probabilità, Pietro De Stefani, consigliere dell'ambasciata presso la Santa Sede. Cfr. quanto detto in una informazione anonima dal Vaticano, datata 8 luglio e trasmessa da Mussolini a Grandi (Archivio Grandi):

314

IL PREFETTO DI BOLZANO, MARZIALI, A ...

L. R.P. 4 giugno 1931.

Il Senatore Tolomei mi manda copia di un discorso che avrebbe dovuto pronunciare al Senato, accompagnandolo con la lettera di cui accludo copia. Il Senatore Tolomei si riscalda a freddo! Fortupatamente per l'Alto Adige ·egli dice -certo in buona fede -molte cose inesatte.

Gli ho risposto con la lettera di cui pure accludo copia.

ALLEGATO I.

TOLOMEI A MARZIALI

Roma, l giugno 1931.

Eravamo d'intesa, se ben ricordo, che in occasione delle Sue venute a Roma m'avrebbe qualche volta preavvisato per uno scambio di idee. Ma ciò non è avvenuto.

Ho avuto testè (sia detto in via personale, riservata) un lungo colloquio col Ministro Grandi, per sincerarmi dei presunti impegni dopo la visita di Schober, nella politica dell'Alto Adige.

Tutte le voci correnti lassù, di marcia indietro, di contegnò riservato, per evitare ripercussioni all'esterno, non hanno fondamento. Anzi si desidera a Roma una politica di frontiera energica, il momento essendo ad essa favorevole.

Ho ritirato il discorso, di sapore forte, per non dire aspro, che avevo pronto per dimani, in sede di bilancio degli Esteri, sul tema • Alto Adige e politica latina •. L'ho ritirato dopo il colloquio con Grandi e dopo l'assicurazione avuta ch'egli mi assisterà fino in fondo.

Inutile soggiungere che ci siamo trovati pienamente di accordo nel ritenere Marziali guida ed artefice egregio per una forte politica di frontiera.

Intanto questi giorni Ella riceverà direttamente dal Ministero degli Esteri le 15 mila lire occorrenti, da mettere a disposizione di Drigo, mano mano che gli accorreranno, per finire il lavoro delle scritte in tutte le valli.

Credo che Le perverranno, inoltre, informazioni esplicite per potersi regolare

con tutta energia nel richiamare al dovere quei signori del Museumverein, e per

diramare tosto ai Comuni gli ordini occorrenti all'applicazione del Decreto sui

cognomi, rispettivamente al primo Elenco, intanto.

Il resto dei Provvedimenti verrà poi, grado, grado.

La linea concordata con Grandi è quella che risulta dal testo del mio Discorso, che Le comunico. Esso del resto, vedrà la luce, per desiderio del governo, in una sua Rivista; sarà modificato soltanto in quanto, dopo le assicurazioni avute, cade il sospetto ivi più volte enunciato, delle influenze schoberiane; cade quindi il sapore di dura critica ch'esso avrebbe assunto in Senato.

Nondimeno glielo mando così come stava, e vi segno in rosso tutto il • non fatto ancora • che riscote la piena approvazione del Ministro degli Esteri. Egli è vero che dove trattasi di linee generali la decisione spetta al Capo del Governo e Ministro degl'Interni, ma io posso non ritenere che coi suoi giovani ed illuminati collaboratori di Palazzo Chigi e di Bolzano egli non sia per trovarsi completamente d'accordo.

ALLEGATO II.

MARZIALI A TOLOMEI

3 giugno 1931.

Ho ricevuta la Sua lettera e la copia del discorso che Ella aveva in animo

di tenere in Senato.

La ringrazio vivamente della Sua cortesia e sopratutto delle lusinghiere

parole con cui Ella, nella lettera, ha avuto la amabilità di accennare alla mia

persona.

Ho letto attentamente il discorso, e non posso nasconderLe che ne ho pro

vato un vivo disappunto perché le severe critiche all'opera del Governo Fascista

e di chi lo rappresenta quassù non mi sembrano meritate.

Ella non può disconoscere che nei tre anni circa di mia permanenza in questa

Provincia molti e notevoli passi sono stati fatti nell'opera di penetrazione, ed

oggi si lavora in un'atmosfera di italianità che è davvero ben diversa da quella che si respirava qualche anno fa. Non si corre, ma si cammina.

In politica non si possono fare passi da giganti quando le questioni sono intimamente collegate ad altre ben più gravi di politica estera, e solo Chi ha sotto gli occhi il panorama completo del mondo e deve stabilire le direttive della politica Italiana, può giudicare della opportunità e della tempestività di provvedimenti che pur sarebbero desiderati dal nostro sentimento di patriottismo e dal mio temperamento personale piuttosto dinamico e realizzatore.

Sono stato due volte a Roma ma per brevissimo tempo, ·ed una volta sono venuto anche a casa Sua per visitarLa e parlarLe come eravamo rimasti di accordo; non riuscii a vederLa e me ne rammaricai, perché avrei potuto discutere con Lei quei problemi ai quali Ella accenna.

Ella sa con quale passione di italiano, di combattente, di mutilato e di fascista io lavori quassù, e vorrà scusarmi se Le ho espresso con tutta sincerità il mio pensiero. Chi non conosce la cordialità sincera ed affettuosa dei nostri rapporti, leggendo il discorso trae subito la convinzione di una lotta esistente fra noi, ed ha l'impressione èhe io, esecutore degli ordini del Governo, cloroformizzi l'Alto Adige, mentre all'estero organizzano scenate antitaliane imprecando alla tirannia di Roma ed al tiranno che l'applica (che sarei poi io).

Mi auguro di incontrarLa prestissimo per poterLa persuadere con dati di fatto della erronea valutazione di certe questioni, perché non Le nascondo che gli apprezzamenti fatti dall'amico Tolomei, anche se non espressi in Senato, mi pesano e mi addolorano assai.

(l) Si tratta del n. 294 allegato e del n. 302.

315

IL MINISTRO DELLE COLONIE, DE BONO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

(ASMAI, Fondo AA. PP., cart. 11, fase. 92)

TELESPR. R. 44462. Roma, 5 giugno 1931.

Le notizie, che sulla situazione bancaria in Abissinia mi pervengono via via da codesto R. Ministero, e quelle altre, che sullo stesso argomento trasmette ora il R. Ministro al Cairo, con i suoi noti rapporti 1697 e 1699 del 22 maggio scorso (1), inducono (come cotesto Ministero ha più volte dichiarato) a considerare sempre più necessaria ed urgente la creazione del progettato Istituto Commerciale Italiano in Addis Abeba; dal quale soltanto (come bene avvertiva il R. Ministro Paternò) potrebbero venire soddisfatte, nell'attuale stato di cose, le esigenze finanziarie connesse ai nostri interessi economici e politici in Abissinia.

La riorganizzazione della Banca d'Abissinia dovrebbe avvenire attraverso i

tentativi che va compiendo il Governo etiopico per costituire la nuova Banca

di Stato; ma il disaccordo fra le Potenze fa ritenere che essa non sarà nè facile,

nè ad ogni modo prossima. Al riguardo può dirsi che le cose stiano al punto di

prima.

Dato tale stato di cose, e poiché la nostra azione, per ciò che riguarda la

nuova organizzazione bancaria, non può procedere isolata, a noi non resta che

seguire attentamente gli sviluppi della situazione, e frattanto insistere perché il nostro punto di vista sia tenuto in considerazione, ed i nostri interessi adeguatamente tiOddisfatti.

E appunto in rapporto con la crisi bancaria dell'Impero -e per conservare e sviluppare quelle attività e quei servizi accennati dal Ministro Paternò, oltre che per il più vasto scopo di facilitare la nostra penetrazione economica in Etiopia che urge, come dicevo in principio, affrontare e risolvere il problema della creazione in Addis Abeba di un istituto commerciale italiano.

Il R. Ministro al Cairo propone di procedere alla pura e semplice estensione in Etiopia di .filiali della • Banca Coloniale di Credito • (l): propo·sta che, in certo modo, sta di fronte all'altra, del Ministro Paternò, di creare, in Addis Abeba, una succursale della • Società Coloniale Italiana •. A rigore, secondo il Ministro Cantalupo, le due iniziative non si escludono: ma è chiaro che una duplicità di Enti, di natura quasi identica, non sarebbe, sotto alcun rapporto, ammissibile, e si risolverebbe quasi fatalmente nel danno e nella fine di entrambi. Ricordo che nello scorso anno (vedi mio telespresso N. 46064 dell'8 agosto) io ebbi a dichiararmi in massima favorevole ad una eventuale estensione di attività della Banca coloniale di credito in Etiopia, ferma restando la nostra partecipazione alla creazione della futura Banca di Stato. Ma oggi escluso che, come ho detto, le due cennate iniziative possano coesistere bisogna scegliere fra l'una e l'altra: e dico subito che io trovo più pratica e di più facile attuazione la proposta Paternò per la creazione della succursale della

• Società Coloniale Italiana • : la quale ha già rapporti di affari ed esplica la sua attività in Etiopia, ed ha più spiccato quel carattere commerciale che toglie od attenua ogni tinta politica alla istituzione. E ciò, secondo me, può, fra l'altro, diminuire le difficoltà ed agevolare il successo dell'iniziativa. Il mio, in ogni modo, è un semplice avviso; e l'E.V., nella propria competenza, potrà meglio giudicare quale fra le due proposte sia preferibile, e se convenga proprio abbandonare, in favore della più recente, le pratiche ed i contatti già avviati per concretare la prima.

Come, infatti, ho già accennato alla E.V. nel mio precedente telespresso

N. 43947 del 15 maggio, io ho interessato della questione la Camera di Commercio Coloniale, il cui Presidente è pure Presidente della' Società Coloniale dell'Eritrea e Consigliere del Credito Italiano. E dal Senatore Carminati ho ricevuto il promemoria, di cui accludo copia (2), nel quale si subordina la realizzazione del programma ad un finanziamento non inferiore a cinque milioni di lire, oltre a Lire 400.000 annue per spese generali.

Esagerate quali sono, tali proposte non sono certo accettabili.

• Non ho bisogno di far notare a V. E. che ci troviamo ad una svolta cruciale <lella situazione: occorre agire senza ulteriore indugio, ed adattandosi alle circostanze. Occorre prevenire di fatto la istituzione di filiali in Etiopia della Banca d'Indocina: la particolareorganizzazione delle nostre Agenzie che già compiono da tempo parzialmente operazionibancarie ci mette nella situazione di potere approfittare per primi della cessazione di fatto del monopolio della Banca di Abissinia, non peranco sostituita da alcuna altra Banca».

I-a penetrazione in Etiopia della Banca Coloniale di Credito non ebbe poi luogo.

Ora, poiché non è possibile rinunziare al nostro progetto, rendesì indispensabile cercare assolutamente il modo, insistendo nella stessa via o battendone altra, per riuscire nell'intento.

E qui è necessario che io dica a V.E. come, a mio avviso, qualunque nuova e più forte azione debba essere svolta al riguardo non possa che partire da codesto R. Ministero. Io ho fatto sinora, per mio conto, quanto era in me, interessando qualche Istituto in più diretto contatto con questo Ministero ma una azione di più larga portata, ed eventualmente una destinazione di fondi per lo scopo da raggiungere, non possono rientrare tra i compiti di questa Amministrazione, che specificamente limitate ha le sue attribuzioni, e più limitate ancora, e anzi scarsissime, le disponibilità del proprio bilancio.

L'importanza dell'obbiettivo e la necessità di provvedere a che il progetto venga subito realizzato, m'inducono a fermamente confidare nel consenso e nell'attivo, autorevole interessamento della E.V.; da cui, frattanto, resto in attesa di un cortese cenno di riscontro e di assicurazione.

(l) Non si pubblicano.

(l) Già in esercizio in Eritrea. Grandi emise parere favorevole alla proposta di Cantalupo e scrisse a De Bono con telespr. dell'8 giugno (ASMAI, ibidem):

(2) Del 21 maggio, che non si pubblica.

316

IL MINISTRO A TIRANA, SORAGNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. PER CORRIERE RR. 1613/564. Tirana, 5 giugno 1931 (per. l'8).

Oggi ebbi una nuova intervista col Re, preparata da visite preliminari di Ekrem Libohova e del Colonnello Sereggi. Col Generale Pariani H Sovrano ebbe pure a discorrere nuovamente della questione del Patto, sul che il G~nerale mi ha anche rimesso il promemoria che qui allego.

Dissi al Re che venivo da lui perché volevo chiarire definitivamente il dubbio, rimasto nell'animo suo (a quanto mi riferivano Sereggi, Libohova e Pariani) che si intendesse di connettere, come un mercato, la concessione dell'apporto col rinnovo del Patto. Ciò non era affatto vero; e gli potevo dichiarare che, se anche non fosse mai esistita la questione del rinnovo del Patto, noi avremmo ugualmente trattato-come abbiamo fatto -col massimo amichevole buon volere la concessione dell'aiuto finanziario all'Albania; mentre, se anche l'Albania non ci avesse mai chiesto l'aiuto finanziario, noi avremmo posto ugualmente sul tappeto la questione politica del rinnovo del Patto. La connessione dei due affari era quindi puramente fortuita, per il fatto che il Patto scade proprio l'anno in cui è stato chiesto l'apporto, anzi, le supreme risoluzioni sui medesimi affari venivano a coincidere nello stesso periodo (e non per colpa nostra).

Da questa coincidenza temporale veniva però a formarsi una connessione psicologica inevitabile; nel momento in cui il Governo Italiano, e S.E. Mussolini personalmente intervenendo, si impegnavano a concedere all'Albania, e special

mente per le istanze di lui, Capo dello Stato, un così straordinario e generoso aiuto finanziario, il sentire che, proprio in questo momento, egli si rifiutava ad accedere alla soluzione dell'altro affare -il Patto -secondo i desideri chiaramente espressi, produceva una reazione tale, da ingenerare istantaneamente una ripulsione assoluta ad addivenire al sopradetto atto di generosa amicizia. Questa era la situazione, che nessuno sforzo di diplomazia poteva modificare.

Il Re mi espresse allora, con molto calore, che egli comprendeva perfettamente tale punto di vista, che lo condivideva e che, se egli si fosse davvero rifiutato di rinnovare il Patto, noi avremmo avuto perfettamente ragione di ritirarci dai nostri impegni relativi all'apporto, perché sarebbe stato un atto poco amichevole. Ma questo pensiero era completamente alieno da lui; personalmente, mi aveva espresso già tempo fa il concetto che il rinnovo non era necessario; ora, cessava di insistere su tale pensiero, perché non avrebbe mai voluto far cosa che spiacesse al Duce. Soltanto, desiderava che io portassi alla conoscenza personale di S.E. Mussolini la sua preghiera, che, nè pubblicamente, nè privatamente, la soluzione della questione del Patto non venisse connessa coll'apporto finanziario.

Per quanto concerne la connessione pubblica, gli risposi, ho già manifestato il mio pensiero, e lo ripeto lealmente: comprendo che la contemporaneità dei due atti pubblici spiaccia a Vostra Maestà, perché i malevoli potrebbero gridare e sussurrare che con l'apporto Vostra Maestà ha venduto il rinnovo. Aggiungo anzi che la cosa non piace neppure a me e, credo, neppure al mio Governo, quasi che avessimo pagato con un enorme • baksheesh • un atto molto semplice, che non innova nulla nelle nostre relazioni, e che anche noi preferiamo invece come dovuto alla spontanea volontà di Vostra Maestà. Perciò riconfermo a Vostra Maestà che mi rivolgerò a S.E. Mussolini come un onesto avvocato della causa di Vostra Maestà su questo punto, e la perorerò come meglio posso.

Per quanto concerne poi la connessione privata, col dovuto rispetto mi permetta di pensare che siamo in pieno bizantinismo. Ella mi ha già detto abbastanza, per farmi comprendere che il Patto sarà rinnovato: soltanto, me lo dice con delle perifrasi. Ci vorrebbe tanto, a quattr'occhi, per parlarsi chiaro? E finii per invitarlo a dichiarare che cosa avrei dovuto esattamente far sapere al Capo del Governo.

Mi rispose di far sapere al Capo del Governo che, conchiuso l'apporto, aveva l'intenzione di abboccarsi con Lui, in settembre, in Italia e di • regolare con Lui la questione del Patto secondo i desideri del Capo del Governo •. Ove non gli fosse possibile di incontrarsi con S. E. Mussolini, l'avrebbe regolata con me a Tirana, sempre colle stesse intenzioni. Sulla bilancia, in contrappeso al Patto d'Amicizia, egli non metteva e non poteva mettere una questione di denaro: metteva la politica della sua vita, il suo regime, l'avvenire dell'Albania, le speranze delle provincie irredente, l'amicizia più che preziosa, indispensabile, dell'Italia. Potevamo crederlo tanto sciocco da esitare, di fronte ad una simile posta? Potevo io supporre che egli avrebbe agito in modo da scontentare il Duce dell'Italia e sollevare le sue ire? E non era del resto in nostro potere in ultima analisi, nel momento • della sua libera decisione •, momento che per forza è assai vicino, di sospendere l'apporto, come ora di non darlo?

Pressatolo ancora in vari modi mi aggiunse che egli • avrebbe risolto la questione con piena soddisfazione di S.E. Mussolini • senza intavolare nuove discussioni, senza nuove negoziazioni, senza procrastinazioni: ma per un atto della propria volontà e della propria iniziativa, non per una subordinazione all'apporto finanziario.

Il Re è quindi ormai sceso sul terreno di una distinzione, direi, casuistica, fra 1impegno e promessa. Non impegno, ma promessa, o meglio assicurazione che la sua volontà avrebbe coinciso col desiderio del Duce. Vi è disceso per la prima volta, e ciò ha il suo valore.

Ora, esprimo a V.E. il parere che non convenga alla nostra dignità di pressarlo di più, ma che stia al R. Governo di decidere, e al Capo del Governo, al quale Re Zog si è rimesso per tramite mio, di dire un si o un no.

V.E. sa che io non sono un entusiasta del Re Zog; i grattacapi e il fastidio che mi ha dato, specie in quest'ultimo faticoso bizantineggiare, mi hanno portato ai limiti della pazienza. Tuttavia, questa è la bestia che abbiamo aggiogato per tirare il carro della nostra politica albanese; e, se non vogliamo o non crediamo opportuno o non possiamo liberarcene almeno per ora, bisogna anche rassegnarci ad alternare il pungolo e lo zucchero, tollerare bizzarrie e scatti, accomodarci al possibile della sua tortuosa mentalità, e qualche volta, chiudere gli occhi, e fidarsi di lui.

Dal novembre scorso, al giorno d'oggi, l'idea del Patto e del rinnovo, contro di cui il Re (dopo una fittizia acquiescenza) si era impuntato, e non senza l'intervento malefico di estrat\ei consigli,. ha lentamente progredito, e siamo venuti alle dichiarazioni odierne. Egli ha sentito la pressione continua e crescente della volontà del Governo, ed ha promesso, per la prima volta, di capitolare, se pur negando che capitolazione vi sia e trasformandola in una prossima libera decisione. Egli chiede ora direttamente al Duce che sia dato credito alla sua promessa-promessa contorta, ma sempre promessa-. Sono d'avviso che, tutto ben considerato, gli si faccia il credito che egli domanda.

Non credo che egli oserà venirvi meno. Pron.,to a tutte le bugie, quando queste non portino seco conseguenze gravi per lui, egli non può nascondersi (anzi, mi ha detto chiaramente che non se lo nasconde) che uno scarto così grave lo perderebbe infallibilmente nello spirito del Duce. La sua posizione in Paese non è così solida come egli finge di credere; la sua posizione internazionale è povera cosa. Il rinnovo del Patto, poi, non comporta per lui alcuna vera difficoltà, come ebbe ad esprimersi confidenzialmente ieri con Sereggi e Libohova; benché gli sia, se fatto al momento stesso dell'apporto, estremamente ostico. Re Zog non è uomo fuso in un sol metallo: accanto alla capacità brigantesca a delinquere ed a certe bassezze morali e finanziarie che sono proprie dell'ambiente vecchio turco -bizantino -orientale in cui è nato e vissuto, vi sono in lui certe gelosie d'onore, certi puntigli di dignità, certe sensibilità nervose quasi donnesche, che tengono più o meno bene il posto di ciò che da noi si chiama propriamente onore, dignità, sensibilità morale. La forma bizantina delle sue promesse e dei suoi impegni per il rinnovo del Patto, risponde appuntino a questa femminea sensibilità nervosa, che egli scambia per dignità, e che sfodera proprio dove non vi è alcun bisogno; quanto alla sua invincibile ostilità alla contemporanea conclusione dei due affari, confesso che è molto più ragionevole. Gli è ben vero che questa coincidenza è conseguenza del suo tergiversare e del suo procrastinare, ed è colpa della sua mentalità tortuosa ed indecisa: ciò non toglie che il calice sia amaro eia ingoiarsi, che gli ripugni

fortemente, ed io non mi sento di consigliare V.E. di avvicinargli a forza la mano alla bocca, perché non ce lo perdonerebbe più, e sarebbe in definitiva un cattivo punto per noi.

Debbo far infine rilevare a V.E. che, in definitiva analisi, la nostra politica in Albania si fonda, per una gran parte, sulla fiducia nella lealtà del Re: diciamo meglio, nella fiducia che gli avvenimenti ed i suoi interessi lo porteranno sempre, nei grossi affari, alla lealtà. Noi gli diamo armi, cannoni, un esercito nelle mani: gli è fargli un certo credito. E glielo facciamo, questo credito, per riscuoterlo in un momento brusco, al momento di forti tensioni internazionali, magari di una guerra, cioè quando è più facile mancare alla parola e sottrarsi agli obblighi, magari sperdendosi e giovandosi della confusione. Val quindi la pena di fargli un credito analogo in questo periodo, in cui egli rimane faccia a faccia con noi; direi quasi, che sarà una utile prova. Se, per dannata ipotesi, il Re mancasse alle sue promesse e ricominciasse in settembre le 'sue tergiversazioni, sarebbe un monito tale da esserci molto utile ed istruttivo per regolare la nostra politica avvenire.

Non mi soffermo qui a riportare per esteso a V. E. le dichiarazioni fattemi dai confidenti del Re -Sereggi, Libohova, Abdurraman Krossi, Musa Juka -sulla certezza che il Re è deciso a rinnovare il Patto, e sul carattere di spontaneità ch'egli intende dare alla cosa; sono elementi pur di qualche valore, ma secondarì.

Concludo pregando V. E. di volermi telegraficamente trasmettere le decisioni superiori. Vi è una certa urgenza, perché non vorrei che le ragioni del contrasto avessero a trapelare; anzi, mi meraviglio che finora non siano uscite dal ristretto cerchio che ne è partecipe.

Inutile che aggiunga che questa grande parentesi, se parentesi e non arresto sarà, non tocca per nulla i negoziati e le intese sulle modalità dell'apporto, che verranno concluse a parte.

ALLEGATO.

PARIANI A SORAGNA

Tirana, 3 giugno 1931.

Con riferimento al mio foglio N. 138 Ris. Pers. in data 25 maggio u.s. (l) ed a conferma di quanto ho espresso circa la rinnovazione del Patto di Tirana, informo che in successivi discorsi il Re mi ha rinnovato le sue dichiarazioni e che cioè non lo si deve ritenere capace di far atto che possa recare dispiacere a S. E. il Capo del Governo Italiano, dal quale non ha avuto che aiuti e manifestazioni di cordiale amicizia.

Il Ministro della Corte Reale, O n. Ekrem Libohova; il l o Aiutante di Campo, Colonnello Zef Sereggi; il padrino del Re, On. Abduraman Mati; il Ministro degli Interni, On. Musa Yuka, nel riferirmi i discorsi tenuti col Re sono stati concordi nell'esprimere l'esplicito parere che il Re intende rinnovare il Patto d'amicizia, ma che desidera farlo come suo atto spontaneo.

Per conto mio ho messo chiaramente in evidenza che, dopo le dichiarazioni avute in proposito, non riterrei di poter rimanere ulteriormente in Albania, qualora, a suo tempo, non venisse mantenuta tale promessa.

(l) Cfr. n. 297, allegato.

317

L'AMBASCIATORE A LONDRA, CHIARAMONTE BORDONARO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. 1595/313. Londra, 6 giugno 1931, ore 20,30 (per. ore 1,30 del 7).

Telegramma di V.E. N. 546/155 (1). Sino da lunedì scorso feci passo Foreign Office per rifiuto permesso Ahmed Scerif es Senussi recarsi nel Sudan. Sollecitai in seguito risposta personalmente con Henderson. Promessami da un giorno all'altro non mi è però finora pervenuta. Mi risulta d'altra parte che prima di prendere una decisione Foreign Office ha voluto richiedere parere Alto Commissario d'Egitto. Confido peraltro che per quanto tardiva risposta sarà conforme nostro desiderio (2).

318

APPUNTO DEL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA LEVANTE ED AFRICA, GUARIGLIA, PER IL CAPO GABINETTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRIGI

Roma, 6 giugno 1931.

La prego di attirare tutta l'attenzione di S.E. il Ministro sulla nota inglese relativa al riconoscimento della annessione dell'Assir da parte dell'Hegiaz e sul progetto di risposta che sottometterei alle Colonie (3).

La questione è assai importante perché investe tutta la nostra politica nel

Mar Rosso, le conversazioni di Roma del 1927, e in generale la situazione

giuridica internazionale degli Stati Arabi del Mar Rosso, cui noi siamo diretta

mente interessati (4).

319

IL NUNZIO APOSTOLICO PRESSO IL QUIRINALE, BORGONGINI DUCA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI (5)

N. 1806. Roma, 6 giugno 1931.

Il 29 maggio u.s. avevo l'onore di consegnare nelle mani dell'E.V. la mia Nota n. 1796 (6), nella quale, dopo aver esposto i fatti dolorosi avvenuti qui in Roma nei giorni precedenti, ossia gli insulti alla Augusta Persona del Sommo

Pontefice, con grida ingiuriose lanciate per le vie contro di Lui, sfregio allo stemma pontificio sotto gli occhi della immobile forza pubblica in piazza di Sant'Apollinare, ed invasione da parte di una quindicina di dimostranti del palazzo extraterritoriale della Cancelleria, domandavo una deplorazione del

R. Governo e misure disciplinari contro i colpevoli. Dato poi che le garanzie offerte dal Trattato Lateranense sembravano ai cattolici scosse da avvenimenti così gravi, chiedevo alla E. V. una parola rassicurante nelle 24 ore.

Tale termine è trascorso inutilmente; anzi, durante le 24 ore, il R. Governo, con azione unilaterale, per mezzo dei suoi agenti, ha sciolto mediante misure di polizia, in Roma e in tutta Italia, le organizzazioni giovanili dipendenti dall'Azione Cattolica Italiana, con aperta opposizione all'art. 43 del Concordato; sicché fui costretto a protestare lo stesso giorno 30 maggio con la Nota n. 1798 (1), che si richiamava alla solennità del patto bilaterale, per tali misure evidentemente violato.

L'E.V. mi vorrà permettere di aggiungere che l'unilateralità delle misure era tanto più palese, in quanto esse venivano adottate mentre Ella era a colloquio con me e non mi diceva nulla delle medesime, anzi aveva l'incarico di farmi sapere, da parte di S. E. il Capo del Governo, che egli non aveva da dirmi alcunché.

Anche questa Nota, che pure toccava un accordo per la Santa Sede essenziale, sancito con un atto solenne dei due Poteri, divenuto altresì legge dello Stato, non ha avuto finora alcuna risposta.

Sono quindi nel dovere, tanto per l'una quanto per l'altra Nota, di tornare ad insistere presso l'E. V., facendoLe considerare che, secondo le norme internazionali, da Lei certo ben conosciute, gli insulti alla persona di un Sovrano, come pure gli sfregi ai suoi stemmi e alle sue sedi extraterritoriali, vengono riparati senza indugio, appena accertati i fatti; e ciò in forza delle sole consuetudini vigenti tra gli Stati, anche a prescindere da speciali trattati, come quello Lateranense, che ha impegnato l'Italia alla difesa dell'onore del Sommo Pontefice e alla tutela dei palazzi Apostolici. Solo con tali riparazioni, i Governi, nel cui territorio si sono verificate le offese, scindono la propria solidarietà con gli elementi irresponsabili che le hanno commesse o lasciate commettere. Né d'altra parte si può credere che fatti così gravi, avvenuti a Roma sotto gli occhi delle Autorità, e dalla Santa Sede verificati, prima di essere denunziati alla E.V., non siano stati ancora accertati da cotesto R. Governo. Parimenti una protesta, che afferma la violazione di un solenne patto, non può restare senza una risposta, a meno che il tacente non voglia manifestare con ciò il proposito di non dare spiegazioni del suo atto unilaterale

e di non curarsi delle rimostranze dell'altro contraente.

Per queste due ragioni, ho ricevuto l'incarico dall'E.mo Cardinale Segretario di Stato, di rivolgermi alla E.V., come ho l'onore di fare con la presente, per sapere quali siano le intenzioni del R. Governo in congiunture così delicate, e come debba essere interpretato il suo silenzio.

Tengo presente che alla prima mia Nota cotesto R. Ministero rispondeva di non poterla prendere in considerazione a causa della inammissibile ed offensiva intimazione in essa contenuta (l); tuttavia questa Nunziatura Apostolica ha già replicato (2) in merito che il termine di 24 ore, come apparisce chiaro dal testo, era diretto non ai provvedimenti che si domandavano, bensì ad una dichiarazione rassicurante, della quale sentivasi urgente bisogno dato l'aggravarsi degli avvenimenti; onde la domanda non solo non era offensiva ed inammissibilie, ma pienamente giustificata e necessaria.

Quanto poi alla circostanza da Lei espostami a voce la mattina del 30, nell'ultimo colloquio da me avuto con l'E.V., che cioè nei sette anni, da che Ella travasi in cotesto Ministero, non Le era mai capitato simile precedente, anche in caso di aspri dissidi, credo utile di ricordarLe che il 30 novembre del 1929, in seguito ad una pubblicazione dell'On. Lando Ferretti, io Le inviavo, per ordine dell'E.mo Cardinale Pietro Gasparri, allora Segretario di Stato, una Nota, che riporto in Allegato (N. l) (3). In essa così dicevo: • Il sottoscritto Nunzio Apostolico, per incarico dell'E.mo Cardinale Segretario di Stato, solleva formale protesta contro siffatte affermazioni ingiuriose e chiede adeguata e pubblica riparazione nel termine di 48 ore, trascorse inutilmente le quali egli ha l'ordine di lasciare il suo posto ». E tale Nota, 'pur contenendo una più grave clausola di quella odierna, ebbe subito soddisfazione: un comunicato della Stefani dichiarava non autorizzata la pubblicazione del Ferretti, ed in data del lo dicembre, S.E. il Capo del Governo dava una cortese risposta (Allegato N. 2).

V. E. vorrà consentire che, se per un semplice articolo offensivo di giornale si ebbe allora immediata riparazione, nè sembrò inaccettabile un vero e proprio ultimatum di 48 ore, molto a maggior ragione al presente, per ingiurie tradotte in atto con violentissime dimostrazioni in Roma, il

R. Governo avrebbe dovuto dare pronta riparazione, e non rifiutarsi di dare almeno, una parola rassicurante nello spazio di 24 ore, per calmare il vivo allarme di tutti i cattolici sulla situazione del Santo Padre (4).

(l) -Del 29 maggio, ore 24: richiesta al Governo inglese di rifiutare l'ingresso nel Sudan ad Ahmed Scerif. (2) -Il Governo inglese aderì alla richiesta italiana (cfr. p. 517, nota 2). (3) -Il progetto si riferisce probabilmente alla nota 222751!91 del 25 giugno con la quale il Governo italiano invitava quello inglese a rinviare il riconoscimento dell'annessione dell'Assir da parte dello Hegiaz. L'ambasciata inglese rispose il 24 luglio aderendo all'invito italiano. (4) -Sui problemi relativi alla politica italiana in Arabia cfr. le considerazioni di Sollazzo contenute in un rapporto datato Gedda 28 giugno. (5) -Cfr. MARTIN!, op. cit. p. 143. (6) -Cfr. n. 294, allegato.

(l) Cfr. n. 302.

320

APPUNTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, SUL COLLOQUIO CON L'AMBASCIATORE DI GERMANIA A ROMA, SCHUBERT

Roma, 8 giugno 1931.

Von Schubert -(È il primo incontro che ho con l'Ambasciatore tedesco dopo la sessione di Ginevra) esprime il suo rincrescimento per l'attitudine presa dall'Italia nella questione dell'unione doganale austro tedesca, pur riconoscendo che da parte del Governo italiano si è cercato di spiegare un'attitudine il meno sgradevole possibile per la Germania.

18 -1Jocttmenti diplomatici-Serie VII-Vol. X

Grandi -• Per voi non deve essere stata una sorpresa la mia attitudine

di Ginevra in quanto che ve l'ho preannunciata sin dal giorno in cui per

incarico del vostro Governo mi deste comunicazione dell'accordo doganale "·

Von Schubert -• È vero. Però io ho sempre sperato che il Governo italiano si sarebbe persuaso che l'accordo non era lesivo dei suoi interessi. Neppure oggi io posso comprendere le ragioni che spingono l'Italia ad adottare questa linea contro la Germania. Curtius mi ha messo al corrente delle due conversazioni avute con voi (1). Anche egli non riesce a comprendere le ragioni per cui l'Italia ritiene necessario opporsi all'Anschluss, che non è vietata dai Trattati, ma la cui procedura di esecuzione è affidata al Consiglio della Società delle Nazioni •.

Grandi -• L'Anschluss, avete detto, non è vero •.

Von Schubert -• Sì. L'Anschluss. Molto vi sarebbe da dire a tale ri

guardo. Nè è il caso di fare dei misteri tra noi. Qui non siamo a Ginevra.

L'atteggiamento italiano mi ha reso molto perplesso. L'unione politica fra

la Germania e l'Austria è una cosa fatale. Essa avverrà in un giorno più o

meno lontano. Capisco che essa non può e non deve avvenire se non d'accordo

con l'Italia. Me ne rendo conto. Questa è la strada che bisogna seguire , .

Grandi -• Per ora la strada che il Governo tedesco sta per seguire non

è destinata ad altro che a legare nuovamente insieme gli ex-alleati della

guerra, e a perdere così i frutti dei dieci anni di politica dopo la guerra. Io

non ho consigli da dare al Governo tedesco. Ogni paese sceglie la strada che

più conviene ai propri interessi. Non so, in verità, se il Reich ha scelto la

strada giusta •.

Von Schubert -• Io vado a Berlino e intendo parlare chiaro al Governo.

Spero, al mio ritorno, poter continuare la nostra conversazione su questo

argomento •.

Grandi -• Sta bene •.

(l) -Cfr. n. 301. (2) -Cfr. n. 303. (3) -Per questo allegato e per il successivo cfr. serie VII, vol. VIII, nn. 202 e 209, allegato. (4) -Questo doc. n. 323 fu inviato da Grandi in visione al re.
321

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, CHIARAMONTE BORDONARO (2)

TELESPR. R. U. 220611. Roma, 9 giugno 1931.

(Solo per Londra) -Teleg. per corriere di V.E. n. 336 del 20 maggio. (Per tutti gli altri) -Seguito telespresso di questo Ministero N. 219081 del 28 maggio 1931. Richiamo la particolare attenzione dell'E.V. sul contenuto del telespresso, qui unito in copia, in data 22 maggio (3) del R. Ministro al Cairo. Malgrado che quanto V. E. mi ha riferito con la sua comunicazione del 20 Maggio lasci prevedere che rimarranno con ogni probabilità infruttuosi

. (l) Cfr. nn,. 269 _e 284. Con tel. 1713 del 15 giugno Orsini Baroni comunicò che Curtms aveva n versato su von Schubert la responsabilità di averlo male informato: sulla base di queste informazioni egli, Curtius, « era autorizzato a ritenere che a Ginevra né

S. E. Grandi né il Capo del Governo italiano avrebbero lasciato in asso la Germania».

e ad Addis Abeba.

nostri nuovi tentativi per indurre codesto Governo a trattare con una pm

ampia visione politica la questione della liquidazione della Banca d'Abissinia

e della partecipazione del capitale inglese alla progettata Banca di Stato etiopi

ca, ritengo opportuno che l'E.V. svolga nuovamente presso il Foreign Office,

bteressando anche personalmente il Signor Henderson, le argomentazioni che

dovrebbero indurre cotesto Governo, come inducono quello italiano ad un

maggiore interessamento nella grave questione di cui si tratta.

Il R. Governo, in adempimento a quello spirito di amichevole collaborazione che si è felicemente instaurato fra i Governi italiano e britannico nella loro azione politica in Etiopia, crede dover notare ancora una volta, con rincrescimento che il grave problema della riorganizzazione finanziaria dell'Etiopia è ridotto da cotesti uomini di Governo ad una questione di carattere puramente finanziario, od almeno che i lati politici della questione stessa non riescono a prevalere, e di conseguenza a vincere le difficoltà finanziarie opposte sia dalla Tesoreria britannica, sia dalla City.

Ora, come ha dichiarato il Signor Collier al R. Ministro al Cairo, se le potenze maggiormente interessate in Etiopia non interverranno nella istituzione di una Banca ed in genere nella riorganizzazione finanziaria dell'Impero, si verificherà il fallimento di esso con conseguenze di portata imprevedibile. È evidente che il R. Governo non può non considerare con preoccupazione tale eventualità; e ritiene che uguale dovrebbe essere la preoccupazione del Governo britannico, essendo troppo numerosi gli interessi italiani e britannici nell'Impero che potrebbero essere compromessi da una catastrofe finanziaria, la quale, disorganizzando l'Etiopia, avrebbe anche inevitabili ripercussioni nelle confinanti colonie italiane e britanniche.

È ugualmente da deprecarsi l'altra eventualità che cioè si lasci al solo capitale francese di intervenire nella costituzione della Banca di Stato e nella riorganizzazione finanziaria dell'Impero. Tale intervento francese, ad esclusione di quello italiano e britannico, significherebbe in pratica la • main-mise • francese sulle risorse fondamentali etiopiche e quindi sull'esistenza dell'Impero.

Il R. Governo crede quindi di dover ancora una volta esortare il Governo britannico a considerare il grave problema con una più realistica visione dei suoi stessi interessi: se l'atteggiamento agnostico di codesto Governo dovesse continuare, noi dovremmo studiare in qual modo migliore cercare di ovviare, per nostro conto, ai danni che ci deriverebbero da una catastrofe finanziaria e da una eventuale disorganizzazione dell'Impero, onde tutelare per quanto possibile i nostri interessi.

Attendo conoscere l'esito dei nuovi passi svolti da V.E. presso il Foreign Office e personalmente con il Signor Henderson, al quale mi sembra opportuno venga da V.E. prospettata la questione di cui si tratta (1).

" Il Sig. Murray mi ha detto che egli è personalmente altrettanto preoccupato quantonoi della situazione, ma che tutti gìi sforzi fatti anche recentemente quando Barton era a Londra, sono stati infruttuosi nè tali da lasciar sperare che possano prendere una migliorepiega.

L'investire dei car>itali nella nuova Banca di Stato Etiopica è certamente un cattivo affare per tutti. D'altra parte i Governi come tali non possono intervenire direttamente se non sono assicurati del controllo della Banca, controllo che il Governo Abissino vuole invece a tutti i costi conservare nelle sue mani>.

(2) -Il documento fu inviato per conoscenza anche ai ministeri delle finanze e delle colonie, al governatore della Banca d'Italia, all'ambasciata a Parigi e alle legazioni al Cairo (3) -Non si pubblica. Ma cfr. n. 315.

(l) Cfr. quanto rispose Chiaramonte Bordonaro con telespr. 2605!1312 del 15 giugno:

322

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, DE VECCHI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI (l)

R. s. N. Roma, 9 giugno 1931.

Oggi alle ore 10,55, dopo di essermi fatto precedere dal Consigliere De Stefani in Segreteria di Stato per chiedere udienza, ho portata al Cardinale Pacelli la nota verbale (2) che V.E. si era compiaciuto consegnarmi ieri a sera. Il Cardinale mi ha accolto con una accorata cordialità. Ho voluto leggergli personalmente il contenuto della nota anche per trovar modo di entrare in discorso sugli avvenimenti degli scorsi giorni seguendo fedelmente la impostazione data dal R. Governo. Dopo di aver udito il tenore della nota il Cardinale mi ha domandato se non avessi difficoltà a consegnargliela ancora alla presenza di Monsignor Borgongini. Non ho esitato a dire che ero ben lieto di aderire a questo suo desiderio il quale mi procurava anche il piacere di rivedere Monsignor Nunzio che non vedevo da tempo. Il Cardinale disponeva subito che Monsignor Borgongini dalla Nunziatura venisse chiamato ed intanto continuava il nostro colloquio. Egli ha tenuto a manifestarmi tutto il dolore da lui provato nei giorni scorsi ed una certa delusione nel non trovare nella nota quanto meno una riprovazione dei fatti avvenuti. Gli ho risposto che avevo provato altrettanto dolore e che per parte mia tale dolore era senza rimorsi. Non soltanto infatti avevo previsto tutto quanto è avvenuto; ma l'avevo anche predetto a Monsignor Borgongini, al Cardinale Gasparri, allo stesso Cardinale Pacelli mio interlocutore ed al Santo Padre. Queste mie previsioni si erano fondate sulla conoscenza completa di uomini, di circostanze, dei riflessi politici che taluni atteggiamenti determinano in tali ambienti. Avrei voluto tempestivamente intervenire con un apporto di serenità; ma ciò mi era stato impedito dalla comunicazione fattami il 29 maggio con l'invito di sospendere le mie visite (3), invito che aveva avute varie spiacevoli conseguenze. Osservavo a commento della nota che il R. Governo era ben fermo sulle sue posizioni; ma che come impressione affatto personale mi sembrava che la insistente richiesta della Santa Sede di avere per lo meno una parola di riprovazione dei fatti avvenuti potesse soltanto avere qualche eventuale possibilità di esito ad augurabile conclusione di trattative condotte ai termini dell'articolo 44 del Concordato per giungere ad un testo interpretativo dell'articolo 43, il quale di questi giorni era venuto in discussione. Aggiungevo che per intanto mi sembrava dovesse essere più che sufficiente il riconoscimento del R. Governo, chiaramente contenuto nella nota, che qualora offese verso il Sommo Pontefice siano avvenute queste debbano trovare la loro sanzione nella legge e cioè nel Codice Penale e nell'articolo 8 del Trattato del Laterano. Il Cardinale appariva addolorato, ma sinceramente desideroso di pace. Mi

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diceva che la sospensione dei rapporti avvenuta venerdì 29 maggio non era dovuta a fatto suo; ma a decisione del Santo Padre presa in seguito all'esame della situazione e soprattutto al fatto che il Nunzio non era stato più ricevuto dal Capo del Governo da vari mesi e quando da oltre un mese aveva chiesto di ufficio attraverso il Ministro degli Affari Esteri una regolare udienza (1). Il Cardinale sottolineava nettamente questo ultimo punto. Teneva poi a rispondere ad una osservazione da me fatta nei giorni scorsi alle varie persone attraverso le quali non ho mai lasciato né perdere né illanguidire i contatti: che cioè egli mi aveva fatto comprendere che riteneva essere il fascismo molto compromesso e vicino a finire la propria missione di governo. Egli spiegava che infatti il venerdì 22 maggio mi aveva più di una volta domandato se il Governo era sicuro di se stesso e se si sentiva forte, ottenendo da me la risposta che aveva ottenuto; ma che una tale domanda aveva mossa semplicemente per farmi conoscere che circolavano qua e là vociferazioni di pericolo.

Ad una tale spiegazione ho voluto subito rispondere che avevo rilevate simili domande; ma non tanto per lagnarmene, quanto perché quelle fornivano una riprova, assai autorevole se pure non necessaria, della poco pia illusione e dei conti fondamentalmente sbagliati di vari elementi dirigenti della Azione Cattolica, i quali in quei giorni andavano cantando il Miserere al Fascismo. Che d'altra parte le domande dell'Eminentissimo Cardinale non costituivano la sola conferma ufficiale di un simile illusorio stato d'animo dei nemici del Regime annidati nella Azione Cattolica. Un'altra prova altissima e non equivocabile di simili deplorevoli dicerie e della loro origine mi era stata precedentemente fornita dal documento che tempo addietro Monsignor Borgongini mi aveva letto per ordine del Santo Padre, dichiarandomene l'Augusta ed Apostolica paternità. Tale documento, ed il Cardinale poteva quando volesse rileggerlo, dice testualmente così: • Il fascismo ha già perduto moltissimo e perde ogni giorno di più. Ascoltate questo consiglio che vi diamo da amici •. Il Cardinale, a simile dimostrazione si accontentava di soggiungere sorridendo: • Però il consiglio vi è stato dato da amici •. -" Certamente, replicavo, ma ciò rendeva tanto più necessario prendere i provvedimenti contro coloro che hanno date informazioni tali da provocare i consigli da amico del Santo Padre e le domande non meno amichevoli del Cardinale Segretario di Stato •.

Il colloquio si andava svolgendo in una cordialità che aveva ritrovata la antica dimestichezza quando sopraggiungeva Monsignor Borgongini.

È stato per me del massimo interesse l'osservare negli atteggiamenti reciproci e di ambedue nei miei confronti questi due uomini posti l'uno di fronte all'altro: Borgongini e Pacelli. Il Cardinale non dice al Nunzio di avere già veduta, esaminata e discussa con me la nota del R. Governo. La prende dalle mie mani nelle quali è ancora materialmente e la consegna al Nunzio. Con un imbarazzo verso di me, che assisto impassibile e quasi assente alla scena, dice al Nunzio: • Ecco la nota di risposta alle sue tre (2), Monsignore. Ho voluto, anche secondo i desideri del Santo Padre, chiamarla perché venisse

consegnata dall'Ambasciatore in presenza di lei che ha presentato le tre note, le quali non avevano fin qui ricevuta risposta: vediamone ora il contenuto ".

E Monsignor Borgongini tenendo in mano la nota: • La ringrazio, Eminentissimo, e. ringrazio il Santo Padre di avermi voluto dare questa prova •. A questo punto ho pensato di dovermi svegliare per quel tanto che era necessario nel momento, salvo riprendere subito dopo l'atteggiamento più comodo alla osservazione e deduzione, e sono intervenuto nel dialogo: • Sono veramente lieto che la nota sia stata consegnata alla presenza di Monsignor Borgongini. Si esegue così il desiderio del Santo Padre, desiderio che è evidentemente duplice. Da una parte di far avere anche a Monsignor Nunzio la risposta alle note da lui presentate; e dall'altra di averla da me; in quanto fin da Venerdì 29 maggio sono stato pregato di ritornare a visitare il Cardinale Segretario di Stato soltanto quando sia latore della risposta che ora ho consegnata. Eccoci dunque in perfetta armonia! •.

Monsignor Borgongini, chiestone il consenso al Cardinale, ha data lettura ad alta voce della nota e tosto dopo, quasi a conclusione, ha commentato: • Ma non c'è una parola di deplorazione! •.

• Maggior deplorazione, ho replicato, di accingersi a passare nelle R. Carceri gli eventuali responsabili dei fatti lamentati, quando tali fatti siano accertati, non è possibile fare», Ho ripetuto qui il commento già fatto al Cardinale insinuando ancora che la eventuale possibilità di avere qualche soddi

sfazione sopra un simile terreno si potrebbe verificare quando siano avviate e conchiuse trattative per la interpretazione da darsi all'articolo 43 del Concordato.

A questo punto il Cardinale entra completamente nel nostro campo e sì percepisce chiaramente che Monsignor Borgonginl resta in un campo diverso. Mi dice il Cardinale Pacelli, segnando ben chiaro che si tratta di un suo personale modo di vedere ed insistendo perché non lo riferisca neppure a l mio Governo fino a quando egli non ne abbia avuta esplicita autorizzazione, che gli sembrerebbe opportuna la nomina di una commissione paritetica per la interpretazione da darsi all'articolo 43 del Concordato. Il Nunzio, evidentemente imbarazzato, è reticente davanti ad un simile contegno, cerca timidamente di resistere dirigendo al Cardinale i più languidi sguardi con le palpebre semi abbassate. Io mostro di non accorgermi di nulla ma in realtà rimane per me sempre più interessante e significativo il contegno di questi due prelati messi l'uno di fronte all'altro. Evidentemente il Cardinale vorrebbe camminare ed il Nunzio invece è incaponito, ostinato nel cercar di ottenere dal R. Governo, prima di trattare nel merito qualunque divergenza, la soddisfazione delle deplorazioni o delle scuse che ha richieste invano colla nota 1796 del 29 maggio, la cui risposta, invero esplicita, lo ha portato alla ritirata poco seria della nota 1798.

Trasparisce chiaramente in tutto ciò qualche cosa di personale, di puntiglioso, o quanto meno una passione caratteristica e diversa da quella generica di un legato che cerchi di ottenere semplicemente la sistemazione di una vertenza nell'interesse del proprio Sovrano o del proprio Governo. Compiuta la più diligente osserva:::ione àur:mte il colloquio, col conforto di impressioni precedenti e di informazioni successive, sono ora in grado di affermare con sicurezza che il contegno di Monsignor Borgongini in questi scorsi giorni è stato ed è tuttavia il più avverso al R. Governo. I suoi consigli nei continui e diretti rapporti col Papa, anziché di moderazione e prudenza, sono sempre stati in questi ultimi tempi di resistenza e di provocazione. La nota 1796 del 29 maggio, come ho già avuto occasione, signor Ministro, di farle presente a voce, non è stata redatta dalla Segreteria di Stato di Sua Santità, ma bensì dal Papa in sola collaborazione e dietro il solo consiglio di Monsignor Borgongini. Il misero fallimento di tale inabile nota, rilevato anche nel consesso dei Cardinali da un gruppo di porporati amici del Governo, ha punto sul vivo Monsignor Borgongini. Il suo risentimento si è veramente esasperato dopo la dichiarazione di V.E. che non aveva nulla da dirgli; alla quale dichiarazione succedeva invece lo scioglimento dei Circoli Giovanili dell'Azione Cattolica; facendo fare a lui la massima delle cattive figure, tanto da indurlo a provocare all'oggetto una pubblica protesta del Papa.

Il dispetto di non essere ricevuto da mesi dal Capo del Governo e di non aver avuto risposta alla richiesta ufficiale di una udienza, gli ha chiara-· mente demolita tutta una impalcatura di vendita di fumo che consisteva, come ho già riferito altre volte a V.E. ed a S.E. il Capo del Governo, nel dare ad intendere di poter ottenere dal Capo del Governo e talvolta anche da Lei, signor Ministro, in via personale e senza sforzo tutto quanto poteva desiderare. Attribuendo il crollo di questa sua impalcatura ai rapporti dell'Ambasciatore e ad

un mutato atteggiamento del Ministro degli Affari Esteri, Monsignor Borgongini non soltanto ha redatta col Papa la nota 1796, ma ha anche indotto il Pontefice alla determinazione contemporaneamente presa della sospensione di rapporti con l'Ambasciatore. Nel colloquio a tre tutto questo giuoco di Monsignor Borgongini si scopriva: sia dalle domande che a me venivano mosse e dal contegno tenuto nei miei rapporti, sia dalla osservazione e dal confronto del Nunzio col Cardinale. Sono stato pertanto tratto a vagamente insinuare con qualche frase lanciata qua e là nel colloquio anche per segnare che una certa ritorsione era già avvenuta, che se fosse stato tenuto in tutto il giorno 29 un diverso contegno dalla Santa Sede, si sarebbe forse potuta evitare la estrema misura dello scioglimento dei Circoli Giovanili e che la ripetizione di simili atti imprudenti avrebbe certamente portato ad ulteriori misure da parte dello Stato Fascista che in simili frangenti non può difendersi se non attaccando.

Monsignor Borgongini, alla presenza del Cardinale, mi domandava con insistenza e con palese risentimento: " Ma perché da un mese, da che ho richiesto udienza al Capo del Governo attraverso il naturale tramite del Ministro degli Affari Esteri, non ho ancora avuta risposta di sorta? ».

• lo non lo so; ma probabilmente, ho risposto, perché il Ministro degli Affari Esteri non ha voluto darle risposta che le suonasse meno gradita. Ella aveva avuto affettuoso consiglio da me di non chiedere udienza al Capo del Governo, il quale no;: avrebbe potuto concederla perché ha desiderato che j rapporti con la Santa Sede fossero legittimamente tenuti per il natur2.le trRmite del Ministro degli .I'J.ffar' E~teri, come io li tengo per il tramite legitt'r:.o (1~1 C:1rr'i'18lf: Se:~rcta'·'o dì StDto ".

Qui Monsignor Borgongini, raccontandomi, e non per la prima volta, presunte confidenze di V.E. che ho creduto opportuno di neppur rilevare, soggiungeva di considerare necessario di mantenere contatti diretti col Capo del Governo in quanto le questioni che egli aveva occasione di trattare erano in prevalenza di politica rinterna. Insisteva poi, entrando con me nel merito dei fatti degli scorsi giorni, sugli ordini che, secondo lui, avevano avuti i fascisti di fare le dimostrazioni e sul contegno passivo tenuto dalla truppa.

I rapporti fatti da Borgongini al Pontefice in completa armonia col Cardinale Marchetti, Vicario di Roma, su questo argomento, debbono essere stati veramente gravi ed allarmanti, non so se più per paura o più per malanimo. Ho risposto alle osservazioni del Nunzio che il Governo non soltanto evidentemente non aveva provocate dimostrazioni di sorta; ma le aveva al massimo compresse. Che se qualcosa di men che lodevole era avvenuto, ed io non lo sapevo, ciò era da attribuirsi alle evidenti provocazioni degli elementi antifascisti della Azione Cattolica, nonchè, oltre a tutto il resto che era ben noto, agli stessi discorsi del Santo Padre. Tali discorsi non erano certamente adatti a conciliare, meno che mai quando apparivano una sfida non soltanto al Fascismo ma anche allo Stato ed un eccitamento, specialmente per i giovani della Azione Cattolica, a disubbidire allo Stato stesso. Così era avvenuto per i due discorsi nei quali si ricordava che la prudenza era una virtù ben da poco se non accompagnata dalla fortezza e si diceva ai giovani studenti della Federazione

Universitaria Cattolica (Fuci) che soltanto li avrebbe potuti sciogliere chi li aveva costituiti in associazione. Di fronte a simili fatti, aggiungevo, la ragione politica non poteva non consigliare un rallentamento di pressione alla reazione che venivano a sollevare nel Fascismo. Il resto l'aveva fatto la piazza, e disgraziatamente la piazza quando si scatena, compie l'azione di un torrente che esce dagli argini. Quanto al contegno della Forza Pubblica il minor intervento, qualora vero perché a me non per nulla noto, doveva essere considerato dalla Santa Sede come provvidenziale per la prudenza avuta, in quanto la reazione fascista era stata così frammentaria e così decisa nella sua spontaneità, che qualora la Forza Pubblica avesse dovuto affrontarla brutalmente di colpo, non avrebbe potuto contenerla se non facendo uso delle armi; lo che non doveva essere neppure desiderato dalla Santa Sede. Perché, e ciò doveva essere da me esplicitamente riconfermato, era ben sicuro che in tutta questa, che veniva ad essere presentata davanti al mondo come la più spietata perse

cuzione, il sangue non si era veduto neppure colato dal naso di qualche ragazzo colpito dal primo sole dell'estate.

Monsignor Borgongini insisteva tenacemente che in Vaticano era corsa nientemeno che la fondata voce di un assalto entro le mura per devastare i locali dell'Osservatore Romano. Che egli stesso, venendo in quel giorno in Vaticano per conferire col Santo Padre, aveva vestito il suo abito più solenne da Nunzio perché, se aggredito per via, si potesse così luminosamente provare che non la persona di Borgongini o di un ignoto prete era stata colpita, ma la figura del Nunzio di Sua Santità.

Ho risposto, sorridendogli serenamente e bonariamente in faccia, che per le mura Vaticane non c'era stato e non ci sarebbe mai alcun pericolo e ciò dovevano saperlo anche lui e tutti in Vaticano senza bisogno di alcuna mia dichiarazionè; e che per il Nunzio, di qualunque veste vestito, di pericolo ce ne era stato ancor meno. Che molte volte avevo visto in faccia il pericolo e che potevo assicurare nel modo più formale essere tutt'altra cosa.

Al Cardinale, il quale ha tenuto sempre un contegno senza paragone assai più conciliante, ho risposto che, poiché egli lo desiderava, consideravo come affatto sua personale la proposta di una commissione paritetica per la interpretazione dell'art. 43 del Concordato e che pertanto non l'avrei neppure riferita al mio Governo; ma che così a prima vista ed in via altrettanto personale dovevo manifestare la mia impressione che il R. Governo, qualora venisse nella idea di conversazioni ai termini dell'art. 44 del Concordato per chiarirne l'articolo 43, dovevo arguire che avrebbe preferito di condurre tali conversazioni e giungere alla conclusione in via diplomatica. Ad ogni modo, ritornando in Vaticano il 12 corrente per la solita udienza del venerdì, qualora il Cardinale non avesse ritenuto opportuno di chiamarmi prima, questi avrebbe potuto riparlarmi di ogni cosa con più calma, a ragione pienamente veduta e ad istruzioni da lui prese. Esprimevo la sicurezza ben radicata in me che ad una favorevole conclusione si sarebbe giunti affermandomi anche personalmente disposto a qualsiasi sacrificio affinché i molti benefici apportati dal Trattato e dal Concordato del Laterano alle due Alte Parti non vadano dispersi.

Durante tutto il colloquio, da frasi colte qua e là quando veniva letta la nota del R. Governo e quando formulavo le proteste verbali, ho avuta la precisa impressione che il Pontefice non abbia alcuna intenzione di desistere dal parlare, protestare e strillare in pubblico; magari confidandosi, come ha fatto il 6 corrente, cogli impiegati ed operai della Ditta Tanfani e Bertareni. Anzi ho saputo poi con assoluta sicurezza che al Cardinale Serafini, il quale gli parlava del disappunto del Governo per questi continui discorsi, Egli rispondeva manifestando l'intenzione di dedicare a simile esercizio oratorio non meno di tre ore al giorno e per tutta la vita. Ciò corrisponde alla dichiarazione fatta a me due anni addietro che Egli si disponeva a fare la diplomazia aprendo le finestre e gridando in piazza San Pietro.

Prima di chiudere il nostro colloquio e davanti alla continua pressione di Monsignor Borgongini, che tentava scendere alla casistica sui fatti dei giorni scorsi ho opposta la narrazione degli episodi di Pola e delle pubblicazioni del Giornale del Popolo di Lugano conchiudendo che nel campo dei fatti mi sembrava ormai vano scendere perché, per quanti egli potesse raccontarmene, io ne avevo per lo meno altrettanti e non IT.eno scandalosi da raccontare a lui. Che pertanto mi pareva un lavoro vano e sopratutto il meno adatto a conciliare e quindi il più nocivo.

Il colloquio, durato circa due ore, aveva termine verso le 12,50 ed io lasciavo molto cordialmente Cardinale e Nunzio che salivano tosto dal Santo Padre a mostrare la nota del R. Governo.

All'uscita in anticamera ho incontrato il Cardinale Pietro Gasparri il quau; ha tenuto a mostrarmi, in presenza del Cardinale Pacelli, di Monsignor Borgongini e degli Ambasciatori del Cile e dell'Argentina, la più affettuosa cordialità, dicendomi a voce alta in modo da farsi ben sentire da tutti: • Rallegramenti, caro Ambasciatore, vivissimi rallegramenti • (1).

(l) Cit. in DE FELICE, Mussolini, pp. 255, 264.

(2) -Cfr. n. 323. (3) -Cfr. n. 298. (l) -Cfr. p. 469. nota l. (2) -Cfr. nn. 294 allegato, 302 e 319.
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NOTA VERBALE DELL'AMBASCIATA PRESSO LA SANTA SEDE ALLA SEGRETERIA DI STATO (2)

Roma, 9 giugno 1931 (3):

La R. Ambasciata d'Italia, per incarico del suo Governo, ha l'onore di comunicare alla Segreteria di Stato quanto segue, in merito agli avvenimenti che sono stati oggetto delle note della Nunziatura Apostolica nn. 1796, 1798 e 1806 ( 4).

Gli incidenti lamentati dalla Nunziatura Apostolica sono stati provocati dalle notizie divulgate sull'atteggiamento dell'Azione Cattolica, specie nelle due sedute preparatorie all'Assemblea Generale dell'Azione stessa.

Lo stesso giorno 9 De Vecchi si incontrò anche con mons. Tardini. Cfr. MARTINI, op. dt., p. 143.

«l) Il ritardo nella risposta è dovuto al fatto che furono ordinate accurate indagini in tutta Italia per stabilire la vera entità dei fatti e fissarla nelle sue proporzioni, evidentemente e faziosamente alterate, come quando si è accennato a 'persecuzioni cruente ' quando

è notorio che non si ebbero nè morti, nè feriti, nè incendi, nè devastazioni c.i qualche

rilievo. 2) Ciò premesso il R. Governo non ha nessuna difficoltà a manifestare il suo ramma

rico e a esprimere la sua deplorazione per 12 offese arrecate al Sommo Pontefice e per

gli altri incidenti, per i quali sanzioni verso i responsabili sono già in corso. Le manifestazioni dovunque e specialmente a Roma furono improvvise, di gruppi divisi, non tacilmente controllabili.

3) Per ciò che concerne lo scioglimento di tutti i gruppi gwvanili, non controllati dal Regime attraverso il P.N.F. e l'O.N.B., trattasi di una misura di ordine pubblico interno previamente giustificata nel diritto e nel fatto, poiché tali associazioni -munite di tessere, distintivi, uniformi, bandiere, gridi di raccolta -avevano assunto aspetto di vero e proprio partito, con carattere anti-fascista, anche per il fatto che tra i dirigenti moltissimi provenivano da un partito politico già soppresso. (Vedi inno cantato in una processione a Busto Arsizio).

4) Il R. Governo deve a sua volta protestare nella maniera più energica contro taluni discorsi nei quali l'Italia è stata additata al mondo intero, come una terra dove imperversa la persecuzione religiosa, coll'aggravante del divieto di una processione tra

dizionale e ciò allo scopo di sollevare contro il regìrrn: le popolazioni specialmente rurali.

Il R. Governo deve anche protestare perché incidenti di mediocre importanza, hanno servito a provocare una specie di plebiscito di stranieri i quali hanno spesso manifestato giudizi ingiusti e ingiuriosi, nei r1guardi del Governo, della Rivoluzione fascista e del popolo italiano. Deve anche segnalare l'atteggiamento nettamente sedizioso di taluni dirigenti dell'Azione Cattolica.

5) Il R. Governo si trova dinanzi a una di quelle situazioni che l'articolo 44 del Concordato contempla: è quindi disposto ad esaminare -specie dopo il passaggio dell'Azione Cattolica alle dirette dipendenze dei Vescovi -i problemi che l'articolo 43 del Concordato ha posto e ai quali bisogna dure una conveniente soluzione».

Le accurate indagini che sono state ordinate in tutta Italia hanno portato ad accertare che le manifestazioni, dovunque, e specialmente a Roma, sono state improvvise, di gruppi divisi, non facilmente controllabili. Dovunque si è trattato di giovani che, dando libero impulso ai propri sentimenti patriottici, sono stati portati, nell'ambito del territorio nazionale, a pubbliche manifestazioni. Risulta che non si ebbero in nessun luogo morti, nè feriti, nè incendi, nè devastazioni di luoghi adibiti al culto.

Per quanto concerne in particolar modo le grida ingiuriose per la Persona del Pontefice, le R. Autorità stanno proseguendo nelle più severe ricerche, allo scopo di procedere immediatamente nei con!ronti di quegli individui che venissero accertati colpevoli di tale reato, a norma del Codice Penale e dell'articolo 8 del Trattato Lateranense.

Parimenti sono in corso rigorose indagini per accertare le violazioni segnalate nei riguardi dei Palazzi Pontifici e punire in quanto possibile le colpe e le responsabilità che si fossero verificate in quelle contingenze.

La R. Ambasciata d'Italia deve peraltro far seriamente rilevare alla Segreteria di Stato come, date le immunità diplomatiche di cui fruiscono i Palazzi Pontifici in Roma, non può assolutamentE' essere ammesso, in virtù anche delle norme di diritto internazionale, che in detti Palazzi abbiano sede associazioni prettamente nazionali e come tali soggette in tutto alle leggi italiane.

Per ciò che riguarda i provvedimenti dell'Autorità politica italiana, oggetto della nota 1798 in data 30 maggio della Nunziatura Apostolica, la R. Ambasciata deve anzitutto comunicare che il R. Governo non ha disposto lo scioglimento dell'Azione Cattolica, ma bensì delle Associazioni giovanili.

Il provvedimento, d'ordine pubblico interno, è stato motivato dalla circostanza che tali associazioni, munite di tessere, distintivi, uniformi, bandiere, grida di raccolta, e dirette da elementi provenienti in grandissima maggioranza dal disciolto partito popolare, pur presentandosi come emanazione dell'Azione Cattolica, svolgevano in fatto, in piena ed aperta violazione dell'art. 43 del Concordato, attività politica nettamente antifascista, così che, sotto la copertura dell'Azione Cattolica si erano costituiti veri e propri centri politici che esplicavano attività non solo contraria alle leggi italiane ma agli stessi fini dell'Azione Cattolica.

Su questi fatti il R. Governo aveva, da due anni a questa parte, ripetutamente attirata l'attenzione della Santa Sede senza peraltro alcun risultato.

La R. Ambasciata d'Italia deve infine elevare formale protesta per la maniera con la quale i recenti avvenimenti sono stati presentati dalla Santa Sede alla pubblica opinione in guisa tale da additare al mondo intero l'Italia come una terra dove imperversa la persecuzione religiosa, provocando così in Paesi esteri giudizi ingiusti ed ingiuriosi nei riguardi del Governo, della Rivoluzione fascista e del Popolo italiano e determinando all'interno del Regno atteggiamenti faziosi da parte di taluni sacerdoti e cittadini.

Fra le varie manifestazioni della Santa Sede in tale senso la R. Ambasciata si limita per ora a ricordare:

-i discorsi del Sommo Pontefice -quali riportati dall' Osservatore Romano del 1°-2 giugno e del 4 stesso mese (l); -la diffusione di uno di quei discorsi in numerose allocuzioni private e nelle Chiese, durante funzioni religiose;

-la proibizione delle tradizionali pubbliche processioni del Corpus Domini, processioni che soltanto da quando il Governo fascista è al potere hanno potuto svolgersi solennemente in tutto il Regno, senza alcun incidente e con l'intervento delle Autorità civili.

Quale esempio delle ripercussioni che l'atteggiamento della Santa Sede ha potuto determinare, basterebbe ricordare l'avvenuta distribuzione in Busto Arsizio, ad opera di don Giuseppe Rigamonti, parroco di San Michele, e di altre persone, di una preghiera -di cui si acclude il testo -che ha carattere nettamente sedizioso (2).

Tali manifestazioni sono nello spirito e nei fatti in aperta contraddizione colle clausole del Trattato del Laterano, e sono altresì atti di avversione allo Stato italiano e al Regime fascista al quale la Santa Sede non riconosce il merito dell'assoluto rispetto e della efficace protezione di cui la Religione e la Chiesa cattolica sono e saranno ovunque circondate nel Regno.

Per questi fatti, manifestazioni ed atteggiamenti, -che vanno dall'invitare le opinioni pubbliche di Paesi esteri ad illecite ingerenze nelle cose interne dell'Italia, fino a provocare nell'animo delle popolazioni del Regno atteggiamenti contrari allo Stato e al Regime, -e più per lo spirito che li anima, la

R. Ambasciata d'Italia, per incarico del suo Governo, rinnova la sua più alta e categorica protesta.

(l) Questo e il doc. n. 330 furono inviati da Grandi in v1s1one al re.

(2) -Cfr. MARTINI, op. cit. pp. 143-144. (3) -A margine appunto di Ghigi: c rimessa da S. E. il Ministro all'ambasciatore presso la Santa Sede il giorno 8 giugno 1931 ». Si pubblica qui il seguente " Appunto per la risposta. di Mussolini, che si riferisce alla nota verbale pubblicata nel testo:

(4) Cfr. nn. 294, allegato, 302, 319.

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IL MINISTRO AD ATENE, BASTIANINI, AL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA LEVANTE ED AFRICA, GUARIGLIA

L. P. [Atene], 9 giugno 1931.

Ieri sera ho ascoltato alla radio la Conferenza Baldacci nella quale l'oratore niente ha risparmiato alla Grecia per esaltare l'Albania. Penso che avrebbe potuto assolvere questo compito senza fracassare i vetri greci e non sono sicuro che ciò non abbia delle conseguenze perché stavolta la suscettibilità di questa gente, affetta un poco da mania di persecuzione, è stata duramente e in varie riprese urtata.

Ieri i giornali di qui attaccavano Ciarlantini per talune osservazioni da lui fatte in un articolo di Augustea e che invero non meritavano una reazione, ma tant'è e questo ti dice quanto e come qui siano suscettibili.

La stampa italiana in generale tratta male la Grecia o non parlando di certe cose che qui potrebbero piacere o parlando -spesso con scarsissima conoscenza -di problemi minoritari che urtano ferocemente la Grecia. Ho già segnalato due mesi fa quattro o cinque giornali di provincia, italiani, che avevano scritto cose contro la Grecia a favore dei bulgaro-macedoni provocando qui commenti assai duri per l'Italia. Adesso mi viene segnalato un illustre ignoto che su l'Ambrosiano avrebbe pubblicato articoli di colore su Atene e sulla Grecia concludendo che questo paese gli fa pena.

Quattro giorni fa l'Etnos ha segnalato un articolo apparso su la Domenica del Corriere dove si dicevano enormità gravi e fra l'altro che la popolazione dell'Attica è costituita di arabi, armeni, albanesi, turchi, slavi, e da qualche greco.

In queste condizioni, caro Guariglia, mi pare che si perda tempo e si creino equivoci. Se il Governo fa una politica di amicizia e la stampa italiana, sia pure per ignoranza, ne fa una per suo conto non perfettamente uguale a quella del Governo, io non so che pesci pigliare in acque così... avare fra scogli così... insidiosi. E ti prego di venirmi in aiuto in qualche modo invitando quelli che vogliono toccare argomenti balcanico-levantini a tener presente che l'Italia in Grecia fa una sua politica ormai ben definita. Ma i giornalisti italiani sono così poco intelligenti e duri a comprendere fino a questo punto?

Ti ringrazio per le tue parole molto gentili e molto gradite (1).

(l) -Cfr. DALLA TORRE, op. cit., pp. 97-100, 104-109. (2) -Una parte della preghiera, cantata da un gruppo di donne la sera del 31 maggio, è ed. in DE FELICE, Mussolini, p. 252.
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L'AMBASCIATORE A BERLINO, ORSINI BARONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. 1649/385. Berlino, 10 giugno 1931, ore 19,15 (per. ore 22).

Discorso Briand ha prodotto cattiva impressione in questo Ministero Affari Esteri, anche per momento in cui è stato fatto nel quale a Cancelliere e Curtius sarebbe stato utile, per considerazioni politica interna, che prendessero radlce opinione pubblica speranze nate visita Chequers.

Quanto alle proteste Briand riunione • Elmi d'acciaio • Breslavia, Direttore Generale Koepke mi ha detto che questa Ambasciata di Francia si è informata presso il Ministero Affari Esteri riunione per mezzo Addetto Stampa. È in base a rapporto di questi che Briand ha parlato assai vivacemente ad Ambasciatore di Germania a Parigi, che avrebbe risposto che " Elmi d'Ac

ciaio • è associazione politica nella quale Governo non ha presa. Koepke aggiungeva che Governo polacco non aveva fatto alcuna rimostranza ufficiale, soltanto Ministro di Polonia ne aveva parlato a Segretario di Stato, mentre Ministressa Polonia aveva detto a lui, Koepke, non meravigliare che, continuando da parte tedesca simili dimostrazioni, Germania finisca trovarsi in guerra con la Polonia. Koepke concludeva che secondo lui e Segretario di Stato questa sarebbe ora per Governo tedesco prendere all'estero linea di condotta decisa, chiara e particolarmente più intima verso l'Italia. Gravi problemi premono su Berlino su Roma nell'interesse reciproco. Germania non è in grado attendere risolversi crisi elezione nuovo Presidente. Curtius con la sua incerta condotta con idea fissa volere addomesticare Francia sta in realtà mettendo Germania sola di fronte quei problemi. Koepke attende arrivo Schubert per indurlo d'intesa con Biilow parlare chiaro Cancelliere rapporti italatedeschi, onde smuoverlo attitudine assunta e studiare quale passo iniziale possa essere compiuto a Roma.

Ho ascoltato queste parole mantenendomi riservato, non volendo autorizzare mio interlocutore interpellarmi cosa si potrebbe fare. Ma V. E. se crede, parlando con Schubert prima della partenza di questi, può tener conto· tale stato d'animo.

(l) Michalacopoulos aveva protestato presso Bastianini per gli artcol' ddla stampa italiana, con una lettera del 6 maggio.

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APPUNTO DEL SEGRETARIO DEL PNF, GIURIATI, SUL COLLOQUIO CON L'AVVOCATO PACELLI

(ACS, Segreteria particolare del Duce, fase. Giuriati 242/R)

[Roma], 10 giugno [1931].

Ho premesso che non avevo alcun mandato e che non ero a cognizione delle trattative in corso. Eguale premessa ha fatto il P. per quanto riflette il mandato.

P. si è lamentato perché di mano in mano che si manifestavano gli inconvenienti segnalati da noi, non sono stati fatti presenti in via diplomatica o in via ufficiale. Si sarebbe evitato di giungere agli estremi e di creare ur.o stato d'animo esasperato nel Papa.

Ho risposto che io non posso sapere se sono 2.vvenute le segnaìazioni diplon1atiche; che però gli inconvenienti, cioè gli sconfinamenti dell'A.C. SO!lO stati messi in rilievo dalla stampa col solo risultato di suscitare irose risposte nella stampa cattolica.

Si è poi parlato di politica (io ho escluso dl trattare qualsiasi problema religioso). Ho detto che la Santa Sede in tutti i paesi retti a regime socialdemocratico scstic;c i governi e combatte quindi le correnti politiche vicine, più o meno, al Fascismo. P. ha risposto che la Chiesa così deve fare per salvare il maggior numero di anime. Gli ho allora domandato se questo metodo abbia condotto a salvare un più grande numero di anime in Spagna.

Mi ha ripetuto le solite proteste perché insegnamo a odiare ai giovani. Gli ho risposto che non si educano soldati insegnando soltanto ad amare e a perdonare le offese o a sfuggire le provocazioni: noi abbiamo bisogno (P. ne

lla convenuto) di educare soldati. Ha però soggiunto che l'odio non ha bisogno

di essere insegnato.

Da un altro punto di vista, ho detto che se il Papa si fosse proposto di

lavorare a favore dei residuati massonici dentro e fuori del Fascismo non

avrebbe potuto lavorare meglio. P. ha abilmente evitato di rispondere.

Ha accennato a certi inconvenienti: i Guf senza assi:stenza religiosa, i

premilitari che perdono la messa. Ho risposto che se si fosse trattato di questo,

non avremmo avuto difficoltà a provvedere. Ma che non occorreva per questo

intraprendere una organizzazione come era diventata l'A.C., intollerabile per

le forme che usava, per le persone che la guidavano e per la estensione che

aveva preso.

P. mi parlò dei tentativi fatti inutilmente per ottenere che il Duce visitasse il Papa. Crede che questa visita risolverebbe ogni contrasto e impedirebbe ogni contrasto per l'avvenire. Si disse disposto in qualsiasi momento a servire di tramite diretto e riservato presso il Papa, quando fosse sconsigliabile ricorrere alle vie diplomatiche.

• Ella non ha che da chiamarmi •.

327

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, CHIARAMONTE BORDONARO

T. 589/165. Roma, 11 giugno 1931, ore 23.

Suo telegramma 313 (1).

Questo Ambasciatore britannico ha recentemente fatto ripetuti passi presso questo Ministero per sollecitare sorveglianza ex Re Afganistan Amanullah, che Gran Bretagna accusa maneggi antibritannici, invocando solidarietà europea contro simili agitatori. Nello stesso spirito noi chiediamo codesto Governo rifiuti Ahmed Scerif permesso recarsi Sudan; e mi stupisce Foreign Office non possa fare a meno dell'avviso Alto Commissario Egitto per adottare una decisione conforme ai nostri desideri ed al comune :nteresse italiano e britannico (2).

328

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, MANZONI

TELESPR. R. 220829/603. Roma, 11 giugno 1931.

A telespressi di cotesta Ambasciata 2545/1426, 2692/151 e 2804/1579, rispettivamente del 6, 14 e 19 maggio (3).

Ringrazio V.E. per quanto mi ha riferito sul colloquio avuto col Conte di St. Quentin da un funzionario di cotesta Ambasciata. Non risultando chtsia stato fatto in detto colloquio, sarà bene far rilevare alla prima favorevole occasione al Quai d'Orsay che anche l'Italia sente, e non da ora, la necessità della solidarietà fra le Potenze coloniali islamiche per frenare quanto nel nazionalismo mussulmano vi possa essere di xenofobo e particolarmente di antieuropeo. Non può quindi il R. Governo che compiacersi che tali siano anche gli intenti del Governo della Repubblica, e si augura che dalla uniformità delle direttive e dalla collaborazione sia dei due Governi che, là dove le rispettive Colonie siano confinanti, delle Autorità locali, abbiano a giovarsi, non solo le due Potenze interessate che ne avranno facilitato il compito di civilizzazione che le incombe, ma anche le stesse popolazioni islamiche, la ignoranza delle quali è sovente sfruttata da agitatori senza scrupoli.

Le recenti agitazioni antitaliane hanno confermato che il mondo islamico è spiritualmente uno; e che ogni sua parte risente e vibra per avvenimenti che si verifichino anche in una limitata zona di esso.

È bastato che una campagna di calunnie, imbastita dal nostro antico e sempre attuale nemico Ahmed Scerif, ora residente alla Mecca, e praticamente organizzata dal noto Scekib Arslan, più pericoloso perché pratico non solo della mentalità orientale ma anche di quella occidentale, si accendesse nel maggior centro islamico odierno, il Cairo, perché in pochi giorni se ne risentissero le ripercussioni in tutti i paesi mussulmani da Tangeri ad Aden, dalla Siria all'India.

Ed un'altra verità tale recente agitazione ha confermato: che movimenti

del genere, se pur diretti inizialmente contro una Potenza coloniale, assu

mono, nello svilupparsi, carattere xenofobo e colpiscono in definitiva gli interessi

di tutte le Potenze coloniali islamiche. È sintomatico a questo riguardo quanto

ha riferito il R. Console Generale a Beirut (v. rapporto del R. Console Gene

rale suddetto n. 434 del 5 corrente direttamente inviato per conoscenza a codesta Ambasciata) sulla trasformazione del movimento antitaliano in Siria in movimento antifrancese.

Le due constatazioni suaccennate non possono che rassod2.re nelle Potenze coloniali islamiche il senso e le necessità della solidarietà di fronte all'estremismo nazionalista che ha accesi fautori in tutti i paesi dell'Islarn, c che predemina in alcuni di essi ed è da augurarsi che la linea politica del Governo della Repubblica in materia sia pienamente intesa ed attuata anche dagli Agenti francesi periferici per alcuni dei quali può sorgere il dubbio eli connivenze e di intese con notabilità islamiche antltaliane e perciò anche antieuropee (" telespressi di questo Ministero n. 215316 del 30 aprile, n. 216925/477 del 17 maggio e n. 218722 del 25 maggio, con cui si trasmettevano rapporti del

R. Console a Gedda). È in tale amichevole spirito di solidarietà che lascio a

V.E. di far verbalmente osservare al Quai d'Orsay -in relazione al contenuto della sua nota di risposta dell'li maggio circa i fatti di Tripoli di Soria che se il R. Governo ha notato l'efficacia dell'azione repressiva delle Autorità

rrancesi (e vivamente si duole che Agenti di polizia siano rimaste vittime nel compimento del loro dovere) non ha potuto però non rimarcare come, al primo dilagare delle false voci e delle calunnie, compiacentemente raccolte da quasi tutta la stampa locale, nessuna azione preventiva sia stata dalle Autorità locali ordinata che valesse ad impedire il loro diffondersi, con l'ammonire convenientemente ed eventualmente sospendere quei giornali che più lavorano all'eccitazione degli animi. La stampa quotidiana in Siria, in parte del resto controllata, è sovente oggetto di misure di rigore da parte delle Autorità locali, ma nella recente occasione queste, con una assai limitata visione dei loro stessi interessi, hanno atteso per infrenarla che si verificassero manifestazioni di piazza e che la campagna assumesse un carattere non solo antiitaliano, ma antifrancese. Se un'opportuna azione preventiva fosse stata svolta a tempo, non sarebbe forse stata più necessaria la repressione violenta, e si sarebbero probabilmente evitate le vittime che oggi si hanno da lamentare.

Anche ora che l'agitazione in Siria, se pur non cessata, si è calmata, i giornali libanesi e siriani continuano nelle pubblicazioni calunniose ed eccitatrici, il R. Console Generale a Beirut ha dovuto al riguardo richiamare in data 13 maggio l'attenzione di quell'Alto Commissario (v. rapporto del R. Console Generale a Beirut n. 491/164 in data 19 maggio direttamente inviato a V.E.).

Un'ultima osservazione circa le dichiarazioni del Conte di St. Quentin; questi è sotto l'impressione che l'agitazione islamica sia stata provocata da · qualche atteggiamento nostro non troppo prudente, quale quello di proclamare apertamente la guerra ai senussiti », Sarà bene far conoscere alla prima occasione al Conte di St. Quentin che tale proclamazione di guerra formale o no,

non v'è mai stata. Le zavie senussite erano divenute in Cirenaica i centri nascosti della ribellione contro di noi, ad esse facevano capo i predoni del Gebel ed a mezzo di esse si rifornivano di armi, di viveri etc. La necessità di instaurare in tutto il territorio coloniale di nostra sovranità l'ordine pubblico, e di rendere il Gebel cirenaica altrettanto pacifico quanto le altre zone della nostra colonia libica ci ha imposto di chiudere dette zavie e di adottare verso taluni senussiti misure di rigore, ma nessuna dichiarazione di guerra vi è stata al senussi:smo o ai senussiti. Non abbiamo chiuso le zavie senussite quali centri religiosi, ma perché divenute basi d'azione dei predoni cirenaici.

Tanto in omaggio alla realtà dei fatti (1).

< La solidarietà delle Potenze colcniali islamiche che codesto Governo ha dichiarato essere direttiva costante della sua politica (v. telespresso di questo Ministero N. 220829/603dcll'll corrente) trova ora modo di praticamente manifestarsi. Il R. Governo confida che le

Autorità francesi dei territori adiacenti alla regione di Cufra agiscano in modo da impedire la formazione di nuclei senussiti a noi ostili in prossimità dei nostri territori e in

genere che le mene del lVIohamed-el-Abed ed eventudmente di altri notabili senussiti contro di noi siano prontamente represse ».

Con successivo telespr. 225153/744 del 15 luglio a Parigi Grandi chiedeva che il governo francese opponesse un rifiuto alla richiesta di Ahmed Scerif <;li trasferirs~ in Siria. Manzoni rispose con tel. posta 4318/2437 del 3 agosto: Ahmed Scenf aveva chiesto di trasferirsi non in Siria ma in Algeria o Tunisia. « Il Governo francese, non tanto perché abbia da temere da lui, non avendo la setta senussita troppa importanza in Algeria

o in Tunisia, ma specialmente avendo tenuto conto dell'agitazione antitaliana di cui Ahmed Scerif è stato uno dei promotori ha opposto un rifiuto alla sua richiesta •.

Con altro docl!meni.o Manzoni comunicò:

(l) -Cfr. n. 317. (2) -Con tel. 1660/329 del 12 giugno, Bordonaro comunicò che il Foreign Office aveva dato disposizioni per impedire a Ahmed Scerif di recarsi nel Sudan e in Egitto. (3) -Cfr. n. 275.

(l) Con telespr. 221885/635 del 19 giugno Grandi comunicava a Parigi la notizia di contatti di Ahmed Scerif con le autorità coloniali francesi dello Uadai e concludeva:

329

IL MINISTRO DELLE COLONIE, DE BONO, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI (l)

L. RR.UU. 4155. Roma, 11 giugno 1931.

Oggetto: Vita o morte della Colonia Eritrea.

L'« oggetto » da me dato a questa lettera ha forse una forma troppo sensa

zionale; ma, purtroppo, è quella che risponde a realtà.

Come V.E. sa perfettamente, allorché l'Eritrea fu occupata, si riteneva

di poter fare con il vicino Impero etiopico una politica che ci permettesse, in

breve tempo, di rendere la nostra colonia lo sbocco unico, o per lo meno

principale, dell'Abissinia, non solo, ma anche di parte del Sudan, allora, egi

ziano. Con questo il protettorato e lo sfruttamento dell'Etiopia ne dovevano

venire come naturale risultato.

Invece nessuno dei sogni fatti si è realizzato; si sono avuti scacchi militari

con conseguenti dolorose umiliazioni e la nostra colonia primogenita ha tirato

avanti vivacchiando, tollerata dai passati governi ed essendoci prodiga di

meravigliosi soldati che non hanno mai negoziato il loro sangue per la gloria

d'Italia.

Il Governo fascista ha portato anche là, come ovunque, il suo alito di

vita. Il tempo del governatorato Gasparini ha segnato indubbiamente un'era

di movimento e di progresso; ma tutto ciò che questo bravo Governatore

ha iniziato non ha avuto fine, nè continuità alcuna, con tutte le deleterie

conseguenze dall'inazione.

Colpa dei Ministri delle Colonie, dei Governatori succeduti al Gasparini?

Niente affatto. Colpa unica la mancanza di denaro.

Recriminare è inutile quando non è dannoso; ma se recriminazione deve esservi è questa: non si doveva permettere di iniziare un piano se non si era sicuri di poterne andare in fondo.

Ma adesso non si può più rimanere fermi; o si marcia nel senso che specijiche?·ò qui di seguito, o :;i muoTe. O si fa quel che è necessario, o ci si rassegna alla perenne passività di quel lembo di terra là nel lontano Mar Rosso; su cui sventola la nostra banàiera.

Noi abbiamo occupato l'Eritrea nel 1885. Da quell'epoca ad oggi Inghilterra e Francia, esse pure confinanti con l'Abissinia e la prima stabilitasi nel Sudan, hanno avuto per primo e principale scopo quello di :sviluppare le reti ferroviarie per incanalare il commercio verso i porti di loro traffico.

« La Concentrazione, in una delle sue recenti adunanze, ha deciso di fare tutto il possibile per suscitare focolari ;::ttivi di propaganda antifascista anche fra gli arabi della Libia. '

Non risponde d'altra parte a verità che la Concentrazione abbia intenzione di organizzare a Parigi un Congresso delle ' Popolazioni oppresse dall'Italia '.

La Concentrazione avrebbe in questi giorni richiesto al comitato di Damasco documenti e fotografie che dovrebbero attestare le pretese ' atrocità ' italiane e che dovrebbero fra l'altro servire per un'esposizione antifascista che l'associazione dei giornalisti « Gio· vanni Amendola' vorrebbe preparare per l'anno venturo in una città non ancora designata>.

Con ciò si è avuto Gibuti con la linea Addis Abeba-Gibuti e si è avuta la ricca rete anglo-egiziana che ha dato eccezionale vita ai due grandi porti di Port Sudan e Suakim.

Noi che cosa abbiamo fatto in cambio di 46 anni di occupazione?

I Governi precedenti hanno messo assieme 310 km. di strada ferrata, con la quale non si è riusciti a congiungere il porto di Massaua col confine etiopico. Ma, ahimé: ben poco si è fatto anche in regime fascista, e, sotto un certo

punto d'aspetto, si è fatto anche peggio.

Consenziente H Ministero delle Colonie, il Governatore Gasparini ha fatto subito fare i lavori per prolungare l'esistente ferrovia di Cheren fino ad Agordat, colla ferma intenzione -come era naturale -di prolungarla poi fino al Setit, cioè al confine con l'Abissinia.

Questa ferrovia doveva avere per primo scopo quello di servire gli impianti di Tessenei in costruzione e che senza di essa non avrebbero potuto avere nè vita, nè sviluppo. Secondo: raggiungere il confine abissino e anche congiungersi a Cassala con la ferrovia del Nilo.

Con ciò era da sperare che, essendo la via dell'Eritrea la più breve per giungere al mare tanto dal Sudan come dall'Interland etiopico settentrionale, si sarebbe a poco a poco riusciti ad attirare il traffico dalla nostra parte e a dare vitalità al porto di Massaua. Ma i fondi vennero sul più bello a mancare, i lavori furono sospesi e il poco di buono che era stato fatto cadde in rovina. Non mando a V.E. le fotografie che testificano il tanto lavoro e i tanti denari sciupati; fanno piangere il cuore.

Le notissime condizioni della nostra finanza mi hanno indotto a non

chiedere nulla; anzi gli stremenziti bilanci delle 4 colonie sono ancora stati

decurtati.

Se oggi mi decido a scrivere a V.E. questa lettera è perché un fatto nuovo

si presenta che può decidere -senza eufemismi -della vita, o della morte

della Colonia eritrea.

Gli studi per lo sfruttamento del Lago Tzana da parte di capitali americani

sono alla fase conclusiva. L'Ing. Roberts della White Engineering Corporation

dovrà ora riferire sulla via più breve ed economica per giungere al mare.

Questa via è indubbiamente quella di Massaua, se, si capisce, si avrà unn

ferrovia che vi adduca.

L'Ing. Roberts, che al riguardo ha avuto un colloquio col Ministro Paternò,

non si è sbilanciato apertamente, ma si è mostrato molto benevolo ascoltatore.

Se noi ultimiamo la nostra ferrovia, già in parte costruita, e la prolun

ghiamo fino al confine etiopico caveremo di conseguenza la camionabile di

Gondar, anch'essa indispensabile per i traffici del Lago Tzana.

Si potrebbe, benissimo, facendo questo, abbandonare l'idea della strada

Assab-Dessiè, alla quale ci è convenuto di fare la réclame, ma che in sostanza

a noi non apporterebbe reali e valutabili benefici.

So che l'E.V. non è amico delle ferrovie; ma in Eritrea non è possibile

dare alle camionabili lo sviluppo che si dà in Libia; la ferrovia è più economica

per costruzione e per esercizio; eppoi le ferrovie in colonia sono sempre una

grande affermazione di sviluppo e di valorizzazione.

La spesa: sessanta milioni. Ed occorre averli subito, la cosa è urgentissima. O prendere o lasciare. Gli americani, se devono dare la preferenza alla nostra via, vogliono avere la prova che si fa, si fa bene e si fa in fretta.

Vengano in qualunque maniera, anche in forma di prestito. Con un

respiro di molti anni la colonia potrà pagare.

Bisogna essere miopi, ciechi addirittura per non capire che il capitale

impiegato in questa impresa darà vantaggi ed interessi da compensare ad

usura la spesa.

Vantaggi materiali, ma essenzialmente morali e politici.

Io le notizie sulle quali mi sono basato per scrivere la presente le ho

avute dal Governatore dell'Eritrea e dal Ministero degli Esteri. S.E. Grandi

è del mio pensare; ma io gradirei tanto che V.E. lo interpellasse al riguardo.

Siamo anche in un periodo di entente cordiale con il Negus, approfittia

mone saggiamente.

Approfittiamone per la nostra politica mondiale e per la nostra politica coloniale, che non ha ancora preso la vera via che sia consona alla idea fascista.

Va da sé che io non muoverò un dito col Ministero delle Finanze se

non sarò sicuro del successo, mercè la volontà ferma di V.E.

Creda l'E.V. che non ho nè drammatizzato, nè esagerato, ma, per usare una frase d'uso, siamo ad una svolta della storia per ,la Colonia Eritrea. O si fa e veramente ci si afferma, o è come perdere tutto.

P.S. -Prego vivamente S.E. Grandi di dare subito a S.E. il Capo del Governo l'appoggio di cui ha bisogno la proposta contenuta nella presente.

(l) Jl documento fu inviato per conoscenza anche a Grandi.

330

IL NUNZIO APOSTOLICO PRESSO IL QUIRINALE, BORGONGINI DUCA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI (l)

N. 1811. Roma, 12 giugno 1931.

La Segreteria di Stato di Sua Santità ha ricevuto la Nota Verbale del 9 giugno 1931-IX (2), inviata per incarico di codesto R. Governo dalla R. Ambasciata d'Italia presso la Santa Sede, in risposta alle tre Note di questa Nunziatura Apostolica N. 1796, 1798, e 1806, rispettivamente del 29, 30 p.p. maggio e 6 giugno (3).

Con tale Nota Verbale la R. Ambasciata d'Italia si riferisce ai gravi incidenti lamentati dalla Santa Sede nella mia prima e terza Nota, cioè agli insulti avvenuti in Roma contro il Sommo Pontefice con grida, sfregio agli stemmi ed ai Palazzi Pontifici, uno dei quali sede extraterritoriale; quindi

viene a parlare dello scioglimento delle Associazioni giovanili dell'Azione Catto

lica di che si occupavano la seconda e la terza mia Nota. Infine passa ad

elevare formale protesta per l'atteggiamento assunto dalla Santa Sede innanzi

all'Italia ed al mondo in seguito ai fatti avvenuti, atteggiamento che, secondo

la R. Ambasciata d'Italia, sarebbe, nello spirito e nei fatti, in aperta contraddi

zione con le clausole del Trattato del Laterano.

A tutto ciò, per ordine dell'E.mo. Signor Cardinale Segretario di Stato,

ho l'onore di rispondere con la presente.

Innanzi tutto questa Nunziatura Apostolica ringrazia codesto R. Ministero

per non aver insistito sulla Nota Verbale N. 2176 del 30 p.p. maggio (1).

Inoltre ho l' incarico di significare alla E. V. che la Santa Sede prende atto con soddisfazione di quanto afferma la R. Ambasciata d'Italia, • che le R. Autorità stanno proseguendo nelle più severe ricerche, allo scopo di procedere immediatamente contro i colpevoli di grida ingiuriose per la Persona del Pontefice a norma del Codice Penale e dell'art. 8 del Trattato Lateranense. Parimenti che sono in corso rigorose indagini per accertare le violenze segnalate nei riguardi dei Palazzi Pontifici e punire in quanto possibile le colpe e le responsabilità che si fossero verificate in quelle contingenze •.

Tuttavia la Nunziatura Apostolica deve rilevare che ancora non è :stata detta dal R. Governo alcuna parola di deplorazione per gli avvenimenti così dolorosi, come ho avuto l'onore di domandare con la Nota N. 1796 e di tornare a domandare con l'altra N. 1806. In questa facevo insistenze presso l'E.V., chiedendo, non solo « misure disciplinari contro i colpevoli », ma anche • una deplorazione del R. Governo »; ed aggiungevo che « secondo le norme internazionali,

dall'E.V. certo ben conosciute, gli insulti alla persona di un Sovrano, come pure gli sfregi ai suoi stemmi e alle :sue sedi extraterritoriali, vengono riparati senza indugio, appena accertati i fatti ». E i fatti, da parte della Santa Sede, come Le scrivevo, erano stati verificati, prima di essere denunciati.

L'opinione pubblica italiana ha già deplorato tali eccessi, e di tale deplorazione si è fatto eco nel • Popolo d'Italia » N. 133 del 5 giugno, l'On. Arnaldo Mussolini, nell'articolo « Settori religiosi e politici » ove diceva: • Oggi vi sono state manifestazioni chiassose ed eccessive, che si devono deplorare •. Ma tale deplorazione non è del Governo. L'E.V. comprenderà nel Suo fine intuito che la dignità stessa dei reciproci diplomatici esige una tale deplorazione.

La R. Ambasciata aggiunge che le lamentate manifestazioni si verificarono

• -nell'ambito del territorio nazionale, e che non si ebbero in nessun luogo nè morti nè feriti, nè incendi, nè devastazioni di luoghi adibiti al culto •. V. -E. vorrà agevolmente concedermi che queste circostanze non possono essere motivo di scusa per gli autori delle dolorose manifestazioni, anche perché, se maggiori violenze non si verificarono, ciò fu in massima parte per la calma, la disciplina e il patriottismo dei cattolici, i quali non hanno reagito alle provocazioni degli elementi del disordine.

Che se la R. Ambasciata, con tale inciso, avesse voluto fare un confronto con le luttuosissime vicende di Spagna, quasi per lamentare che la Santa

Sede abbia usato minore energia col Governo Spagnuolo per maggiori insulti, dovrei rispondere che ciò non è vero e che non regge il confronto, perché le estreme violenze di Spagna sono state provocate dai comunisti contro un Governo appena stabilito e colto alla sprovvista, il quale, alle energiche proteste della Santa Sede, ha immediatamente separato le proprie responsabilità da quelle dei facinorosi, e in un paese, dove si è scatenata una crisi paurosa, che tutte le forze del bene e la Chiesa tentano faticosamente di arginare, perché non sbocchi nel bolscevismo. In Italia invece il Governo è perfettamente e saldamente organizzato, capace di fronteggiare tutte le situazioni, specialmente nella Capitale, ed è impegnato, per un solenne Trattato, alla difesa della religione e del suo Augusto Capo in tutto il territorio nazionale, e in particolar modo • nella Città Eterna, sede vescovile del Sommo Pontefice, centro del mondo cattolico •. La riparazione poi alle ingiurie, verificatesi nel Regno di Italia, ha subito ritardi, così da non essere stata ancora portata a compimento.

Nemmeno può essere di scusa, per gli autori dello sfregio alla Cancelleriu, la circostanza rilevata dalla R. Ambasciata che cioè • data la immunità di cui fruiscono i Palazzi Pontifici in Roma, non può ammettersi, in virtù anclw delle norme del diritto internazionale, che essi siano sede di associazioni prettamente nazionali e che sono soggette in tutto alle leggi italiane ', perché, come è ben noto all' E. V., la particolarità e la -sostanza della felice soluzione della Questione Romana, contenuta nel Trattato Lateranense, voluto da ambe le Parti, sta nell'aver supplito alla piccolezza dello Stato Pontificio con l'assegnazione alla Santa Sede, nel territorio nazionale, di alcune sedi extraterritoriali: tra queste sono le Basiliche Patriarcali, ove esistono da secoli le rispettive parrocchie (come nella Cancelleria la Parrocchia di San Lorenzo in Damaso) con le dipendenze di uffici, pie unioni e associazioni, in conformità di quanto si verifica in tutte le 'Parrocchie d'Italia e del mondo. Di tali istituti, come di tutte le persone, anche di cittadinanza italiana, esistenti nei luoghi extraterritoriali, la Santa Sede, con lo stipulare il TraHato, ha preso la piena responsabilità di fronte all'Italia. E l'Italia ha sottoscritto con pienezza di consensi questa soluzione della Questione Romana.

Per quanto poi riguarda il Circolo parrocchiale di San Lorenzo in Damaso, la Santa Sede non ha nulla da rimproverarsi, perché esso esiste in quelb parrocchia, come esistono circoli della Gioventù Cattolica in tutte le parrocchie d'Italia in forza dell'art. 43 del Concordato, il quale fu stipulato da ambe le Parti ed è pure legge dello Stato.

Infine la R. Ambasciata afferma che • gli incidenti lamentati dalla Nunziatura Apostolica sone stati provocati dalle notizie divulgate sull'atteggiamento dell'Azione Cattolica, specie nelle due sedute preparatorie dell'Assemblea Generale dell'Azione stessa ». Ho l'onore di dire che ciò è purtroppo perfettamente vero, non ad altro mirando le divulgazioni del " Lavoro Fascista , che ad eccitare gli animi contro le organizzazioni cattoliche come del resto aveva preveduto lo stesso signor Ambasciatore d'Italia, il quale la mattina del 25 maggio, venuto in Nunziatura a parlarmi della prossima pubblicazione dei

• verbali segreti » sul « Lavoro Fascista •, mi preannunziò che • ora si passava alle misure e che non era escluso che vi sarebbero state anche delle legnate •. Ciò però che la Nunziatura Apostolica deve aggiungere in piena coscienza, si

è che tali verbali sono stati ad arte contraffatti da delatori non veritieri, per

creare diffidenze ed allarmi contro gli stessi dirigenti dell'Azione Cattolica,

quasi si fossero dipartiti dalla linea fermamente tracciata dal Santo Padre e

consacrata nel Concordato, di mantenersi fuori della politica.

Passando poi alla seconda parte della Nota Verbale, la R. Ambasciata

comunica anzitutto che il R. Governo non ha disposto lo scioglimento della

Azione Cattolica, ma bensì delle Associazioni Giovanili. Con tale dichiarazione,

la R. Ambasciata intende riferirsi alla mia Nota N. 1798 del 30 maggio. Ora,

in tale Nota, io non ho affermato lo scioglimento dell'Azione Cattolica, bensì

delle • Associazioni, della Gioventù Cattolica Maschile e Femminile, della

Federazione Universitaria Cattolica e delle Universitarie Cattoliche •, e, per

incarico della Santa Sede, protestavo perché tali Associazioni, facendo parte,

anzi essendo la parte più vitale delle organizzazioni dipendenti dall'Azione

Cattolica Italiana, legalmente riconosciuta dallo Stato in forza dell'art. 43 del Concordato, che è un patto bilaterale, non poteva il Governo procedere allo scioglimento unilaterale, senza violare il Patto.

• -Il provvedimento, d'ordine pubblico interno •, prosegue la R. Ambasciata • -è stato motivato dalla circostanza che tali associazioni, munite di tessere, distintivi, uniformi, bandiere, grida di raccolta, e dirette da elementi, provenienti in grandissima maggioranza dal disciolto partito popolare, pur presentandosi come emanazione dell'Azione Cattolica, 'SVolgevano in fatto attività politica nettamente antifascista • e ciò contro le leggi italiane e gli stessi fini dell'Azione Cattolica. V. -E. vorrà ammettere che le tessere lascio da parte le uniformi, perché l'Azione Cattolica non ne ha mai avute -i distintivi, gli emblemi, gli stendardi sono i caratteri esteriori di qualsiasi aggruppamento, anche il più indiscutibilmente innocuo, come per es. delle confraternite, delle pie unioni di tante denominazioni, delle aggregazioni dei terz'ordini francescani, carmelitani ecc. e che fioriscono per ambo i sessi in tutte le parrocchie della Chiesa Cattolica; e in nessuna parte del mondo si è mai veduto in tali aggruppamenti, solo perché hanno tessere, pagelline, nastri, medaglie, stendardi e simili, un partito politico.

Quanto poi alla • attività nettarnente antifascista " attribuita all'Azione Cattolica e nominatamente alle dette Associazioni, innanzi tutto ho l'incarico di rispondere che tale accusa non è vera; basterebbe tener presente il fatto che l'Azione Cattolica ha sempre sostenuto e sostiene, contro i suoi avversari, la così detta compatibilità, ossia la possibilità ed ?pportunità di appartenere contemporaneamente alle proprie associazioni e a quelle del Regime; il che dimo·stra all'evidenza che l'Azione Cattolica non ha avuto e non ha ostilità per esso, ma vivo desiderio di collaborazione.

L'accusa invece contenuta nella Nota Verbale della R. Ambasciata C:· gratuita, ossia non dimostrata; nè il Signor Ambasciatore ha mai citato :fatti concreti, per quanto pregato dalla Segreteria di Stato di specificarli, per ·esempio con la Nota del 29 dicembre 1929, N. 3038/29 (l) dell'E.mo Cardinale

Pietro Gasparri, allora Segretario di Stato. Ai quali inviti non fu mai data risposta adeguata, limitandosi il signor Ambasciatore a generiche affermazioni, sempre ribattute anche con solenni atti del Sommo Pontefice, il quale ha più volte dichiarato e fatto dichiarare che l'Azione Cattolica non deve fare politica, e che, ove esistessero nell'Azione Cattolica avversarì del Regime, basterebbe designarli con buone prove all'Autorità Ecclesiastica, la quale non mancherebbe di provvedere nel modo più energico.

Non è possibile ammettere che le rimostranze del R. Governo siano state fatte, come dice la R. Ambasciata • ripetutamente, da due anni a questa parte , , perché due anni or sono lo Stato ratificava l'art. 43 del Concordato, e non l'avrebbe fatto, se l'Azione Cattolica avesse dato prova di attività politica e di antifascismo, pur avendo fin da allora quei dirigenti, quei distintivi, quelle tessere e quegli emblemi che la Nota della R. Ambasciata ora lamenta.

Invece sta di fatto che la sorte dell'Azione Cattolica era già da tempo unilateralmente decisa, almeno fin dal 21 aprile u.s., quando l'On. Giuriati pronunciava il suo discorso a Milano, ove, accennando all'art. 43 del Concordato, faceva comprendere che l'Azione Cattolica si opponeva alla totalitarietà del Regime Fascista. Tale discorso aveva luogo più di un mese prima che il

• Lavoro Fascista , pubblicasse i verbali -come ho detto -contraffatti delle riunioni preparatorie dell'Assemblea Generale dell'Azione Cattolica, ed alcuni giornali affermassero che si avevano le prove di un complotto dell'Azione Cattolica contro il Regime.

Siccome poi l'Azione Cattolica è intimamente legata al clero e alla Gerarchia, l'aver dato credito alle accuse di antifascismo e di complotto, è stato fare il giuoco di elementi che sono ostili tanto alla Chiesa quanto allo Stato, ed hanno interesse a mettere l'una e l'altro in contrasto per distruggere l'unità spirituale degli Italiani, raggiunta con le auspicate convenzioni lateranensi.

E che d'altra parte tali elementi influiscano indubbiamente sulla presente dolorosa situazione, apparisce dal fatto che le deplorate misure di scioglimento sono state applicate non solo alle Associazioni maschili, ma anche alle femminili e perfino alle pie unioni di puro culto, come le Figlie di Maria e le Congregazioni Mariane domenicali che esistono da secoli in tutte le parrocchie del mondo, e così si è gettato lo scompiglio in tutte le parrocchie d'Italia e fra le più pacifiche popolazioni; mentre al contrario si sono lasciate intatte ciò che rende più penosa la situazione -le associazioni di og:1l genere àei Protestanti in Italia, pur non facenti capo al Regime.

L'On. Arnaldo Mussolini, nello scritto sopra citato del " Popolo d'Italia , , ha affermato che • l'art. 43 del Concordato va precisato ". Se questa è l'intenzione del Governo, la Santa Sede non ha difficoltà ad entrare, anche in conformità all'art. 44 del Concordato, in conversazione per raggiungere un'amichevole e rapida soluzione. Tuttavia l'E.V. comprenderà facilmente che, come il Concordato fu discussa e firmato a parità di condizioni, così anche questa convers:ctzione, per essere onestamente accettabile, dovrebbe avvenire a parità effettiva e non in una posizione giuridica di inferiorità, quale sarebbe per la Santa Sede lo stato di fatto creato da provvedimenti che ella considera come unilaterali ed illegali.

Nella terza parte della Nota Verbale, la R. Ambasciata protesta per l'attitudine assunta dalla Santa Sede dopo gli avvenimenti. Ho l'incarico di far presente all'E.V. che tali proteste non hanno motivo di essere.

Non la protesta per la proibizione delle processioni all'aperto; perché essendo queste una espressione di giubilo, e sentendosi il clero ed i cattolici sotto il peso di ingiuste misure, più ingiustamente applicate, non possono ragionevolmente tali manifestazioni aver luogo. Bisogna anche aggiungere, che, dovendo partecipare alle processioni il clero e tutto l'insieme dei fedeli, che costituiscono la parrocchia, divisi nei varì gruppi, erano da temersi incidenti ed accuse per la gioventù che in qualsiasi modo avesse partecipato per le vie a simili manifestazioni. Né la presenza degli agenti dell'ordine sembrava dare sufficiente garanzia contro irriverenze e violenze, come purtroppo era avvenuto di dover lamentare nei giorni scorsi. Prego V.E. di considerare queste ragioni e di escludere che tale proibizione abbia comunque avuto il carattere di una rappresaglia, della quale anche il sospetto sarebbe alla Santa Sede molto offensivo.

Non le proteste per i discorsi del Sommo Pontefice; perché tali discorsi erano un dovere apostolico, di fronte alle dolorose dimostrazioni avvenute in Roma ed alle misure unilaterali del Governo, onde non si avesse a credere, dai fedeli d'Italia e di tutto il mondo -poiché l'Azione Cattolica è in tutte le Nazioni -che egli accettasse i fatti compiuti. Il Santo Padre, anche questa volta -come aveva scritto nella lettera all'E.mo Arcivescovo di Milano, il 26 aprile u.s. -• fu posto nella morale necessità, vogliam dire nel dovere di coscienza di dire apertamente, quello che il ministero pastorale da Lui richiede ". E per tale ragione i discorsi del Sommo Pontefice furono distribuiti ai fedeli. D'altra parte, tali discorsi del Sommo Pontefice, pur essendo improntati a profonda tristezza, come lo esigeva la gravità delle ingiurie subite, non sono disgiunti da paterna bontà e da viva speranza che si ottenga presto un gran bene. Il Santo Padre mai ha detto che l'Italia è • una terra dove imperversa la persecuzione religiosa " per quanto le misure che da tempo si vengono adottando contro l'Azione Cattolica meritino una simile qualifica. Sicché sono nel dovere di respingere questa affermazione e la relativa protesta della R. Ambasciata, e di scagionare la Santa Sede per gli atteggiamenti faziosi -se si fossero verificati in Italia -come pure per la distribuzione di una preghiera in foglietto volante a Busto Arsizio (1), che è composta da un autore il quale ignora pure la grammatica, preghiera che, non .portando alcun vestigio di approvazione ecclesiastica, deve ritenersi proibita anche a norma dei sacri canoni.

Da ultimo, quanto all'intervento delle « opinioni pubbliche dei paesi esteri", è mio dovere fare osservare all'E.V. che, essendo il Santo Padre Sommo Pontefice di tutta la Chiesa Cattolica, sparsa per il mondo è ovvio che tutti i fedeli del mondo siano interessati alle sue sorti, e che perciò un conflitto tra la Santa Sede e l'Italia non può e non potrà mai considerarsi

C:27

come un semplice affare mterno dell'Italia. Dall'altra _l)arte 10 Stato italiano ha riconosciuto questa supernazionale posizione del Pontefice, ammettendo l'esistenza di un Corpo diplomatico dei paesi esteri, accreditato presso di lui.

L'E.V. vorrà considerare, dopo quanto è detto, se l'allarme dei cattolici italiani, ed esteri sia dipeso dalle parole del Santo Padre, così piene di fiducia nell'aiuto di Dio e per una felice soluzione, o non piuttosto dai fatti avvenuti ed univen;almente deplorati, nonché dalle insinuazioni e dalle minacce contenute nel comunicato del Direttorio del Partito Nazionale Fascista, il quale, in data 3 corrente dichiarava nella maniera più esplicita che è fermamente deciso a non tollerare che, sotto qualsiasi bandiera, vecchia o nuova, trovi rifugio l'antifascismo residuato e sin qui risparmiato; ed ordinava ai dirigenti dei 9.000 fasci d'Italia di inspirare la loro azione a questa direttiva, ricordando che i caduti per la rivoluzione fascista esigono che essa sia difesa inflessibilmente contro chiunque ed a qualunque costo.

(l) -Cfr. MARTINI, op. cit., pp. 144 e 147. (2) -Cfr. n. 323. (3) -Cfr. nn. 294 allegato, 302, 319.

(1) Cfr. n. 301.

(1) Cfr. serie VII, vol. VIII, n. 284.

(l) Cfr. p. 514, nota 2.

331

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO A TIRANA, SORAGNA

T. 594/107 e 595/108. Roma, 13 giugno 1931, o1·e 24 (1).

Suo telegramma per corriere 564 (2). S.E. il Capo del Governo dà le seguenti istruzioni:

Non vi può essere alcuno né in Italia ne m Albania che possa trovare di buon gusto la connessione più o meno pubblica dell'apporto finanziario e del rinnovo del Patto. Nessuno vi avrebbe pensato e tanto meno il Governo fascista così geloso della dignità dei rapporti che esso tiene col Governo albanese ed ai quali vuoi dare un carattere ed un contenuto quanto più alto e nobile sia dato concepire. Se siamo arrivati a questa connessione di date ciò non è attribuibile a noi. Noi già manifestammo al Re Zog il nostro desiderio del rinnovo del Patto sin dal settembre scorso quando nessuno parlava di apporto e bastava ascoltarci fin da allora per non trovarsi in questa situazione.

Ad ogni modo se il Re si impegna o promette di non lasciar trascorrere l'ultimo giorno di vita del Patto senza avere rinnovato questo strumento politico, il Governo fascista per rompere questo cerchio e per dimostrare che non ammette neppure l'idea di un mancamento di fede del Re arriva a con.3entire con Lei che possa accordarsi questo credito alla parola del Re, prendendo atto che egli si mette in una via nella quale non gli rimane che Pclempiere l'impegno o perdere la sua situazione di fronte all'Italia. È evidente

il) Questa è l'ora eli trasmissione ùèl te!. 595/108. II te!. 594/107 fu trasmesso all" ore 23.

t~) Cfr. n. 3J G.

infatti che si viene a creare un'occasione precisa per un definitivo scandaglio

su quello che deve essere in avvenire l'assegnamento da fare sopra del Re

e l'eventuale orientamento italiano a favore di lui. È bene che qualcuno intorno

al Re sia cosciente di questo ·carattere che intendiamo dare alla prova che

potrà essere decisiva per molti aspetti.

Inoltre, lasciando nel vago il viaggio del Re in Italia perché non vi

credo e perché non lo vedrei con piacere prima del rinnovo del Patto, aggiungo

che deve essere bene specificato che il nostro intendimento, nel momento in cui

diamo al Re questa opportunità di rinnovare il Patto per sua spontanea

elezione, è che non si abbia a parlare se non di questo e non di alcun altro

Patto simile ma non identico, di questo Patto senza alcuna aggiunta variante

od omissione.

Con che non intendiamo chiudere le orecchie a qualunque offerta che il

Re vorrà farci per nuove combmazioni politiche che esamineremo sempre

dopo che egli abbia rinnovato questo Patto attuale puramente e semplice

mente. Ho sempre il dubbio che queste maggiori combinazioni servano infatti

a girare il Patto attuale e sono perciò sicuro che firmato il rinnovo puro e

semplice tutte queste idee svaniranno. Ad ogni modo non è male affermare

chiaramente che non siamo alieni dall'esaminare qualunque proposta a condi

zione che sia preceduta dal rinnovo integrale. Di questa immutabilità del Patto

la S.V. dovrà fare espressa menzione nel rimetter al Re la dilazione che noi

gli consentiamo per un rinnovo non contemporaneo all'apporto ma sempre ante

riore al 26 Novembre 1931.

Qualora questa immutabilità da Lei chiaramente pronunciata non venga in alcun modo contestata neppure con un atteggiamento che ancorché tacito possa apparire ambiguo, e ne siano messi al corrente i maggiori Consiglieri del Re in modo che nessuno possa metterla minimamente in dubbio alla ripresa delle trattative da qui a Novembre, la S.V. è autorizzata a dar corso agli atti definitivi per la concessione dell'apporto sulla base delle direttive fin qui concordate pur con quegli adattamenti che la S.V. nel suo prudente criterio crederà di poter adottare (1).

332

IL MINISTRO DELLA GUERRA, GAZZERA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

N. 199 S.TRETTAMENTE PERSONALE. Roma, 13 giugno 1931.

Riferendomi al nostro colloquio di ieri, reputo opportuno inviarti copia del sunto dell'udienza che S.E. il Capo del Governo ha recentemente conces:c:o al Generale Pariani.

Tale documento mi è giunto ieri stesso.

Sottopongo al Tuo giudizio anche l'idea che Tu faccia venire a Roma il Generale Pariani, per uno scambio di vedute, atte a dissipare qualsiasi motivo di malcontento.

Un'eventuale visita del Generale sarebbe anche opportuna per altre questioni che personalmente mi interessano.

ALLEGATO.

UDIENZA

AVUTA DA S. E. IL CAPO DEL GoVERNO IL 14 MAGGIO 1931-ANNO IX

Per prima cosa S. E. il Capo del Governo mi chiese notizie sulla salute di Re Zog. Risposi che, mentre l'aspetto che il Re aveva al suo ritorno da Vienna era quasi allarmante, in breve tempo ha avuto un miglioramento assai forte e ciò non solo fisicamente ma anche moralmente.

Per ora il Re si attiene alle prescrizioni dei medici: poi andrà al mare indi, probabilmente, in montagna ed è da ritenere che la crisi sarà completamente superata e che per l'autunno il Re potrà essere completamente ristabilito.

Situazione militare. -Metto al corrente S. E il Capo del Governo sul nuovo passo che sta compiendo l'organizzazione militare albanese. La nuova organizzazione è basata essenzialmente sui seguenti punti:

-ingranamento nell'Esercito della Milizia Premilitare, -diminuzione delle unità effettive per consentire un aumento delle unità quadro, -utilizzazione delle unità quadro per l'istruzione dei militi nonché dei richiamati alle armi, -organizzazione di bande (copertura-guerriglia) per completare l'efficienza bellica del Paese.

Vantaggi che si ottengono: a) uniformità di addestramento bellico, b) maggior facilità di mobilitazione, c) qualche economia nelle spese complessive.

Per attuare questo passaggio, oltre allo studio delle sedi, etc. è stato disposto, per aumentare i quadri, che tutti i Capicomune e primi Segretari comunali, che non abbiano oltrepassato i 40 anni, frequentino la Scuola Ufficiali di Complemento nonché un corso speciale istituito per i Capicomune stessi per abilitarli a svolgere le loro mansioni. A questi Capicomune vengono impartite anche istruzioni per quanto riguarda la mobilitazione, la copertura di frontiera, la costituzione di bande, la Milizia, l'organizzazione sportiva, nonché nozioni d'igiene, pronto soccorso, etc.

Situazione interna del Paese. -Vi è molta miseria ed un certo malcontento dovuto ad un malessere generale perché gli organi amministrativi non funzionano come dovrebbero e danno un senso di disorganizzazione.

Naturalmente parte (anzi la massima parte) della colpa viene gettata sull'Italia, che viene accusata di curare solo la politica ed il problema militare e di disinteressarsi di tutto il resto.

In sostanza gli albanesi non sanno per loro conto che cosa fare, ma lamentano che neppure noi, che pure facciamo tanti sacrifici in Albania, abbiamo un programma che, a parte i problemi politici e quelli militari, tenda nettamente allo scopo di riorganizzare economicamente e moralmente il Paese.

Il Re stesso, che pure ha volontà, iniziativa e spirito pratico, è più portato cJlo sfruttamento di occasioni che ad interesse dei programmi inquantoché non ba, né si sente, la necessaria competenza.

In sostanza questo Paese, che non può chiudere il suo bilancio annuale pareggiando le uscite alle entrate, e che ogni anno ha anche un forte sbilancio fra importazioni ed esportazioni, è destinato al sicuro fallimento, senza il nostro aiuto, che deve essere duplice: apporto annuale, almeno per consentire il pareggio fra entrate ed uscite; sviluppo della produzione nazionale albanese (prodotti agricoli, etc.) fatto in modo da assicurare lo sbocco dei prodotti stessi sui nostri mercati.

Il problema albanese appare ora nella sua massima sintesi e si può riassumere nella semplice questione: se si vuole che l'Albania viva oppur no.

Nel primo caso, stabilito quanto si desidera sacrificare per tale scopo, occorre intervenire decisamente, perché le necessità del nostro apporto e del vincolo commerciale sono più forti di qualsiasi atto procedurale, segreto o palese.

Nel secondo caso bisognerebbe invece rivedere quanto si fa, perché riterrei la nostra azione attuale, ed i conseguenti sacrifici, inadatti allo scopo.

In ogni caso, occorrerebbe definire il programma.

Decisa la via dell'aiuto, è necessario che accanto al vincolo economico si sviluppino anche i vincoli culturali e spirituali.

I vincoli culturali si stanno formando con l'invio degli studenti albanesi in Italia: è necessario però curarli maggiormente e creare loro un ambiente di cordiale assistenza, cosa che ora sembra non avvenga tanto che molti, ritornando in Albania, vi riportano impressioni non sempre favorevoli.

I vincoli spirituali possiamo attenerli dando vita al sentimento irredentista Kossovese.

Attualmente si trovano in Albania circa 60.000 rifugiati Kossovesi, che vivono dispersi e slegati e di cui nessuno veramente si occupa.

In questi ultimi tempi alcuni capi si sono riuniti con l'intenzione di creare un nucleo Kossovese a tinta irredentista ed hanno anche preso contatto con me. Sinora mi sono limitato ad ascoltarne le intenzioni ma riterrei opportuno seguire questo lavoro che potrebbe creare una vera muraglia insormontabile tra Albania e Jugoslavia.

Tale lavoro dovrebbe avere 2 scopi: ostacolare l'opera di snazionalizzazione che la Jugoslavia ha energicamente intrapreso nel Kossovo; dar vita in Albania al pm·tito irredentista per svolgere azione stimolante per quanto riguarda le terre albanesi soggette alla Jugoslavia, prendendo anche contatti con gli autonomisti macedoni (bulgari e rumeni) nonché eventualmente con gli irredentisti montenegrini.

Infine ho rappresentato a S. E. il Capo del Governo la necessità che il Re si crei presto una famiglia.

In Albania, chi per consenso, chi per paura, tutti lo ubbidiscono, e, pur riconoscendcne i difetti, vedono in lui l'unico uomo che può tenere le redini del Paese. Ma tutti si preoccupano dell'eventuale sua scomparsa perché nessun nome, né in famiglia né fuori, si può fare per la sua successione.

Q~·.indi tutti pensano che il Re dovrebbe accasarsi per anìinare la dinastia con un erede. Il Re è uomo intelligente, attraente nei modi, e che fisicamente si presenta assai bene: in sostanza è persona che produce subito viva simpatia.

Per me (esclusa per ragioni varie una soluzione albanese) la Regina deve essere ibliana. Occorre però che essa sia di alta discendenza per essere indiscutibilmente molto al di sopra di tutti, e che riunisca in sé spiccate doti di fascino (gioventù e bellezza) bontà, cordialità ed energia.

Essa deve in sostanza costituire una luce verso la quale gli albanesi dovranno sentirsi orientati per la loro vita. Per conte mio non c'e che casa Savoia che possa dare questa Regina, ed essa dovrebbe essere scelta nel ramo più alto ritenuto possibile.

S. E. il Capo del Governo, dopo aver chiesto alcuni chiarimenti su questioni relative alla situazione militare ed a quella interna, disse:

a) che per il noto apporto finanziario non sono state sostanzialmente poste condizioni che possano sembrar contropartite, solo egli ritiene indispensabile che venga rinnovato il Patto di Tirana che scadrà nel novembre p v.;

b) di prendere pure contatti, però senza impegni, con gli esponenti irredentisti; c) per quanto riguarda il matrimonio di far pronunciare decisamente Re Zog: poi si vedrà.

Concluse dichiarandosi molto contento dell'opera che gli ufficiali organizzatori svolgono in Albania, opera che egli segue sicuro che i frutti che darà saranno, a suo tempo assai redditizi.

(l) Il documento reca la seguente annotazione: • visto e approvato da S. E. il ·Capo del Governo e da S. E. Grandi >.

333

IL PRESIDENTE DEL SENATO, FEDERZONI, A [MUSSOLINI?]

L. R. s. N. Rorna, 13 giugno 1D31.

È ritornato da me Don T. [omasettil che mi ha raccontato quanto segue:

Ieri il Papa ha ricevuto (V. Osservatore di ier sera) il card. Sbarretti, il quale gli ha fatto conoscere il pensiero unanime della Congregazione del S. Uffizio circa l'opportunità di affidare al card. Gasparri l'incarico delle trattatì1:e per una definizione amichevole della nota controversia.

Il Papa è rimasto molto turbato per la comunicazione, evidentemeate ina-· spettata; ha riflettuto un momento, e poi ha detto che, prima di compiere uu atto simile, egli vorrebbe una manifestazione chiara degli intendimenti del Governo, ossia, almeno, una lettera, sia pure di carattere riservato, contenente una deplorazione degli incidenti avvenuti e l'impegno di far tutto il possibile per impedire che essi fossero per rinnovarsi.

Il Papa ha aggiunto che tale letie1·a non dovrebbe esseTe pubblicata.

Ho compreso perfettamente dalle parole di Don T. che i cardinali Gasparri e Sbarretti desidererebbero che il Governo acconsentisse alla richiesta del Papa, per la speranza di poter poi arrivare a una rapiàa conclusione delle trattative nel senso di una eliminazione, essi confidano, definitiva di cose e persone nocive ecc.

Ho riferlto e non commento.

Al Tomassetti, pur senza 'coraggiarlo troppo per non troncare un collegamento che può avere qualche eventuale utilità, non ho mancato di far notace che mentre il Papa accenna a porre una simile condizione l'Osservatore Romano continua nel suo più che astioso atteggiamento.

Faccio sapere quanto sopra anche al Ministro Grandi.

334

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, DE MARTINO

T. 607/255. Roma, 15 giugno 1931, ore 17,30.

Telegramma di V.E. n. 397 (1). In linea di massima nostro atteggiamento di fronte al problema sollevato da situazione tedesca si ispira ai concetti oeguenti: Solidarietà di fatto che esiste nella vita economica dei diversi paesi europei dovrebbe consigliare a tutti attitudine di benevola comprensione delle difficoltà in cui si dibatte Germania che è interesse comune di aiutare a superare attuale crisi. Ove venisse proposto di rivedere problema delle riparazioni Governo italiano si lascierebbe guidare da tale sentimento di solidarietà. Esiste però interdipendenza di fatto se non di diritto fra riparazioni e debiti di guerra per cui riconosciamo che interessamento americano rappresenta fattore indispensabile per soluzione crisi. Ci rendiamo conto in pari tempo della difficoltà e forse della impossibilità per Governo federale di far accettare da opinione pubblica americana una politica di riduzione dei debiti di guerra se debitori europei non mostreranno sicuro proposito di seguire politica di pace e di collaborazione. Questa prova potrà essere fornita da riduzione armamenti e pertanto importa che prossima Conferenza disarmo conduca a risultati positivi se si vuole contare su interessamento e collaborazione del Governo americano.

Quanto precede unicamente per orientamento di V.E.

335

L'AMBASCIATORE A LONDRA, CHIARAMONTE BORDONARO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. 1697/336. Londra, 15 giugno 1931, ore 21,12 (per. ore 3,40 deL 16).

Cessazione mandato per l'Irak. Mio telespresso 1300 del 12 corrente.

Cadogan non è stato a Ginevra, come mi era stato detto, ma fuori Londra ed ho potuto avere stamane lunga conversazione con lui. Ha detto che cessazione mandato per l'Irak, che avrebbe dovuto essere discussa Commissione Permanente dei mandati sessione autunno, è stata invece posta ordine del giorno sessione attuale, a richiesta Governo britannico, e che Alto Commis.sario britannico Irak si reca personalmente Ginevra illustrare rapporti Potenza :11andataria in appoggio domanda di ammissione Irak Società delle Nazioni anno venturo.

Ho esposto chiaramente punto di vista itz:li&no su modalità che ;:c· :·e<gioni di principio devono precedere ce~sa:c:o:·;," C)U<>lsiasi mandato a vverkr'

(l l Te!. 1653/397 dell'll giugno con cui De Martino cornunicava il senso di una c<Jrri · ::pendenza da Roma del New Yorf:: Herald 'TTibune, s~condo la quale l'Itali3 era favr)"'t \:;1 ad un occordc sul dise1rn1o con1c n1.tzzo per uttencrc una diminuzione dei debiti di gut..!rrL

dolo che tale punto di vista sarà sostenuto rappresentante italiano Commissione permanente dei mandati. Ne ha preso nota sollevando note obbiezioni soprattutto per il fatto che Commissione Permanente dei Mandati è continuamente edotta stato di fatto esistente nell'Irak e non potrebbe ottenere più esaurienti ragguagli da un'apposita inchiesta che fosse fatta sul luogo con grande perdita di tempo e col pericolo di sollevare malumori locali d'ordine interno.

In seguito alle mie argomentazioni mi è sembrato non del tutto alieno prendere in considerazione eventuale soluzione che stabilisse per l'avvenire procedura da seguirsi per cessazione mandato in modo che caso Irak non possa essere invocato come precedente. Quanto a salvaguardia interessi italiani con un trattato analogo a quello stipulato a mezzo di convenzione fra Inghilterra Irak e Stati Uniti, non l'ha esclusa, ma mi ha spiegato che tale convenzione era stata resa necessaria per il fatto che Stati Uniti non fanno parte della Società delle Nazioni, i cui membri godranno tutti della maggiore tutela propri interessi in seguito approvazione ed entrata in vigore regolamento giudiziario Irak.

Opportuni sondaggi fatti in questi giorni mi inducono, se non ad escludere, a ritenere per lo meno molto difficile che nostre opposizioni cessazione mandato per l'Irak possano essere messe in relazìone con una nostra domanda contropartita, ed in ogni caso perché un'azione diplomatica da parte mia in questo senso possa essere decentemente impostata bisognerebbe che offerta generica partisse dallo stesso Governo britannico, il che è molto improbabile.

Tanto per sfruttamento petroli Irak quanto per concessioni in Albania questo Governo si trincera dietro interessi Società private, che soltanto indirettamente hanno connessioni con il Governo e sulle quali Governo stesso non può quindi avere decisiva influenza.

A meno che un opportuno suggerimento, il quale potrebbe essere fatto da Ginevra, non induca Governo britannico ad offrire esso stesso contropartita per abbandono nostra resistenza verso cessazione mandato per l'Irak, ritengo fermamente che nostra iniziativa sarebbe destinata a sicuro fallimento, esponendoci ad un rifiuto che sarebbe anche malamente interpretato.

336

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO DELLE COLONIE, DE BONO

TELESPR. R. 221444/579. Roma, 16 giugno 1931.

La nota di codesto Ministero n. 44530 del 5 corrente (l) si è incrociata col telespresso di questo Ministero n. 220568/543 del 9 detto.

Da quest'ultima comunicazione V.E. avrà potuto rilevare la completa concordanza da parte di questo Ministero sui concetti espressi dalla E.V. circa la necessità vitale per la Colonia Eritrea e per la nostra azione politica in Etiopia

di far giungere al più presto la ferrovia di Agordat fino al Setit; nonché che questo Ministero si è spontaneamente, già dichiarato disposto ad appoggiare nel modo più efficace presso la Finanza i passi che cotesto Ministero tenterà per ottenere i fondi necessari.

Circa le richieste da rivolgersi alla Finanza, lascio a V.E. di formularle tali che esse abbiano se non la probabilità, almeno la possibilità di essere, nell'attuale momento, accolte, se non completamente parzialmente, ed attendo di riceverne comunicazione per sviluppare a mia volta in appoggio ad esse quegli argomenti di politica estera che consigliano di far del tutto perché possano al più presto iniziarsi i lavori per il suddetto prolungamento della Ferrovia di Agordat.

(l) Non si pubblica; ma cfr. n. 329.

337

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO A PRAGA, PEDRAZZI

D. R. P. 2370. Roma, 16 giugno 1931.

Ho letto con molto interesse il Suo telegramma n. 68 del 4 giugno corrente, relativo alla Sua conversazione col dott. Benès circa 'l'ultima riunione di Ginevra.

La questione degli argomenti giuridici da far valere presso la Corte dell'Aja per contrastare il progetto di Accordo austro-tedesco sta formando oggetto di studio da parte di questo Ministero ed in proposito Le ho già telegrafato a parte per Sua norma di linguaggio con codesto Governo.

Ma quale che sia per essere il corso di questa procedura all'Aja ed a Ginevra, il problema della sistemazione dell'Austria si è ormai imposto alla attenzione dell'Europa e costituisce per noi -direttamente interessati -una delle maggiori questioni politiche del momento. Il dott. Benès ha ripetuto a

V.S. quanto mi aveva detto a Ginevra circa la convenienza di procedere ad una vera e propria neutralizzazione dell'Austria (1). Tali idee non sono nuove e neanche di esclusiva invenzione del dott. Benès, poiché in Francia se ne è parlato a varie riprese, ed anche questo Ambasciatore francese me ne ha recentemente accennato. Nel rispondere a Benès a Ginevra io mi son tenuto sulle generali, come Ella avrà potuto constatare dal resoconto del mio colloquio che Le ho trasmesso ma è esatta l'impressione da lui riportata se non di un mio consenso per lo meno delle mie favorevoli disposizioni a considerare seriamente la questione, poiché tale era appunto la sensazione che io desideravo dargli.

Io mi rendo infatti perfettamente conto di tutte le giuste considerazioni espostemi da V.S. nei riguardi dell'enorme vantaggio che deriverebbe alla Cecoslovacchia dalla neutralizzazione dell'Austria, e dalle ripercussioni che una tale sistemazione avrebbe per la politica francese e per quella dei suoi clienti nell'Europa Orientale. Ringrazio anzi V.S. di avermi riferito il Suo

19 -Documenti diplomatici-Serie VII-Vol. X

pensiero non soltanto con perfetta chiarezza, ma anche con quella imparzialità e franchezza che dimostrano come Ella non si lasci influenzare dallo • spiritus loci » e mantenga la sua visione politica nella sfera indipendente che dovrebbe essere propria a tutti i nostri rappresentanti all'estero.

Naturalmente però nel giudicare della questione Ella si limita al campo dei rapporti italo-cecoslovacchi, e quindi gli inconvenienti che riscontra giustamente nell'idea di una neutralizzazione dell'Austria le appaiono maggiori appunto perché non messi in rapporto colla situazione generale e con quella italiana di fronte alla politica dei vari altri Stati interessati alla questione. Io desidero pertanto di chiarirLe il mio pensiero in proposito, data la grande importanza che l'argomento ha in se stesso e per i nostri rapporti colla Cecoslovacchia affinché ella possa tenerne presente anche gli aspetti generali estranei a questi ultimi.

L'attuale momento politico è caratterizzato evidentemente dalle preoccupazioni unanimi per la crisi economica, le cui proporzioni sono reali ed inquietanti e le cui conseguenze possono avere un'enorme influenza sulle direttive politiche dei vari paesi europei. Ma pur sentendo tutto il dovere di collaborare ad un'opera di risanamento destinata ad evitare catastrofi anche in ordine sociale, nessuno ha la possibilità di fare astrazione dal giuoco della politica internazionale, anzi ognuno cerca di approfittare a proprio vantaggio dello scompiglio che i fattori economici portano ora nelle direttive politiche.

Il progetto dello Zollverein austro-tedesco è tipico sotto questo punto di vista, poiché esso, sotto il manto delle necessità economiche, tende naturalmente a scopi politici, e coi vantaggi che può presentare per altri Paesi la sua applicazione e la sua eventuale estensione, attira l'attenzione di alcuni di questi ultimi (che hanno vissuto iìn qui nell'orbita francese) verso la Germania e verso la possibilità di intese economiche con essa più profittevoli e più naturali di quelle che consiglierebbero i soli calcoli politici. Se la crisi economica europea potesse risolversi mettendosi sulla via indicata dalla Germania, è evidente che essa si risolverebbe a tutto ed esclusivo vantaggio di questa, e che il risultato assumerebbe di per se stesso un carattere spiccatamente politico. Per noi le conseguenze sarebbero assai gravi, poiché, lesi irrimediabilmente nei nostri interessi economici da una organizzazione dei traffici e della produzione dell'Austria e dei paesi danubiani orientata prevalentemente verso la Germania, lo saremmo anche nei nostri interessi politici per il difetto di armi da opporre alla ripresa del cammino tedesco nella direzione dell'est, o per lo meno per la mancanza di solidi argomenti, atti a negoziare una nostra partecipazione che non fosse in condizioni di assoluta inferiorità.

Di qui la nostra opposizione al progetto austro-tedesco, e di qui la linea di condotta che ho adottata a Ginevra, pur cercando di renderla il più possibile indipendente dall'atteggiamento francese coincidente con questo solo nel suo fine ultimo, siccome ho dettagliatamente spiegato a V.S. col mio precedente dispaccio (l) illustrando del resto per quanto possibile questo concetto anche nel mio recente discorso al Senato.

:E logico ed è naturale che alla Francia giovi la fondamentale opposi

zione dell'Italia all'Anschluss economico e politico e le conseguenti nostre diret

tive di intransigenza imposteci soprattutto dal contegno della Germania la

quale ha creduto e crede ancora possibile avere il nostro assentimento alle varie

sue mene senza tener conto dei nostri interessi, senza negoziarlo e nemmeno

chiedercelo. È logico anche che la Francia ed i suoi clienti tentino ora, come

ogni volta che si appalesa una certa coincidenza fra la nostra e la loro poli

tica, di esagerarne l'aspetto e di trarne delle sproporzionate illazioni a proprio

vantaggio e con lo stesso scopo della Germania, cioè quello di accaparrarsi a

buon mercato un nostro consenso più generale alla politica francese senza tener

conto di altri nostri interessi con questa contrastanti.

Ma appunto perciò nell'attuale situazione politica dell'Europa complicata dalla generale crisi economica e dato il giuoco che si fa dalle varie rparti per approfittarne ciascuna a suo esclusivo vantaggio, l'idea della neutralizzazione è una di quelle che ci può permettere di avere qualche buon mezzo di negoziato allo scopo di assicurare la salvaguardia degli interessi italiani sia nei riguardi della Germania che in quelli della Francia. Consentendo per ora a studiare seriamente tale posizione politica, noi potremmo metterei in grado di premere tanto sull'una che sull'altra parte nel senso per noi più utile a seconda dello sviluppo degli avvenimenti internazionali e così preparare il raggiungimento del fine ultimo più consono ai nostri interessi. Questo e non altro è per ora il mio programma, il quale come Ella vede, è di carattere essenzialmente elastico quale è richiesto dalle presenti contingenze internazionali eminentemente mutevoli attraverso cui occorre guidare bordeggiando la nave della politica estera italiana.

È certo d'altra parte che la Cecoslovacchia come in generale la Piccola Intesa si trova nei nostri riguardi nella stessa posizione della Francia, cioè che essa è lieta della condizione in cui noi ci troviamo di dover o p porci all'Anschluss e di trovar convenienza nello studiare come rimedio a questo una idea tendente alla neutralizzazione dell'Austria. È certo anche che la Cecoslovacchia cercherà anche essa di profittare a buon mercato delle nostre favorevoli disposizioni di massima, imposteci come ho detto dalle circostanze verificatesi in Europa. Ma è pure evidente che da un lato un eventuale nostro negoziato con la Piccola Intesa non potrebbe essere che dipendente dal negoziato con la Francia ed a questo subordinato, mentre dall'altro un nostro eventuale negoziato con la Germania su di un tale argomento non ci farebbe necessariamente schierare contro tutta la Piccola Intesa, poiché fra gli Stati che la compongono la Germania esercita una notevole forza di attrazione economica. E ciò è dimo

stratC> ad abundantiam dalle esitazioni che si sono verificate tanto in Jugoslavia quanto in Romania e nella stessa Cecoslovacchia di fronte al progetto austrotedesco, che in realtà è stato osteggiato dalla Piccola Intesa più nei suoi pericoli che nel suo contenuto economico, da cui invece trasparivano possibilità di ulteriori intese.

Da quanto precede V.S. rileverà dunque come io consideri per ora l'idea della neutralizzazione dell'Austria come una di quelle che possano offrirei nelle difficilissime condizioni attuali una possibilità di manovra.

Quale utilità definitiva essa poi potrebbe rappresentare per noi ove fosse effettivamente realizzata, è questione che dipende essenzialmente dalle condizioni e dal momento della sua eventuale realizzazione.

E ciò a prescindere dalla maggiore convenienza che vi potrebbe essere per noi in un avvicinamento dell'Austria all'Ungheria, il quale però rimane ora ed è destinato forse a rimanere nel campo delle ipotesi teoriche per le note ed intuitive difficoltà che trova oltre tutto tanto nella situazione interna ungherese quanto in quella austriaca.

La politica italiana fin dall'indomani della pace ha dovuto rendersi conto dell'evidente interesse per noi di lasciare in piedi quel tanto che restava dallo sfasciamento dell'Impero austro-ungarico e che si è convenuto di chiamare Austria per mettere una barriera fra noi e la Germania, ed un fattore politico indipendente in mezzo agli altri eredi dello stesso Impero, sia nostri amici che nostri nemici. E perciò abbiamo dovuto circondare di cure questo tronco mutilato cercando di farvi spuntare qualche foglia che fosse indizio di una sua perdurante vitalità.

Eredi noi stessi dell'antica Austria-Ungheria, abbiamo cercato di presentare al mondo la piccola Austria come facente parte di tale eredità, mentre essa in fondo non era che l'oggetto di essa rimasto inutile dopo la ripartizione. Per rinvigorire questo corpo stremato dalle mutilazioni avremmo dovuto però usare altri mezzi più energici o saltare il fosso a piè pari ed avvicinarlo, unirlo anzi più decisamente a noi economicamente e politicamente. Circostanze diverse lo hanno impedito: le condizioni della nostra stessa economia, le perduranti correnti di contrasto esistenti tra i due Paesi ed alimentate dai nostri avversari (e voglio indicare con ciò la Francia e la Germania ambedue interessate a tener da noi lontana l'Austria ed ambedue spinte a soffiare perciò sul fuoco della questione dell'Alto Adige) la situazione politica generale e la forza rinascente dell'idea germanica.

Ora però queste correnti, che hanno lavorato e lavorano ad evitare che l'Austria si metta completamente nella nostra orbita possono ricevere nuovo vigore dai fattori economici incombenti e preoccupanti.

Ci occorre dunque preparare una seconda trincea dietro la prima linea avanzata (che del resto non avevamo mai potuto occupare) costituita dall'idea di legare a noi intimamente e definitivamente l'Austria. Tale seconda trincea, che in altro senso è da considerarsi un minor male, potrebbe appunto consistere nella neutralizzazione di quello Stato, ciò che significherebbe in realtà la sua morte politica e l'imbalsamazione e la conservazione del suo cadavere. Anche ciò può presentare un vantaggio per noi, evitando che le poche forze che un'Austria politicamente viva conserverebbe pur sempre, vadano ad accrescere le forze altrui.

Questo è quanto mi sembra sia da tener presente nelle circostanze attuali che, npeto, sono assai difticill per no1 e potrebbero produrre delle conseguenze dannosissime agli interessi italìam se non si cercasse da parte nostra di portarvi dei rimedi con un senso pratico di reaìtà e di possibilità, senza correre ostmatamente dietro a degll scopi cne 11 corso mutevole di avvenimenti p1u forti della nostra volontà può dimostrare illusori e senza chiudere gli occhi

di fronte ai pericoli maggiori che possono derivare dal desiderio di evitarne

dei minori.

Per quanto riguarda più specialmente l'azione di V. S., Ella dovrà quindi

limitarsi per ora ad ascoltare le elucubrazioni del dr. Benès non senza però

mostrarvi genericamente interessamento e simpatia.

(l) Cfr. n. 280.

(l) Allude probabilmente al n. 306.

338

IL MINISTRO DELLE COLONIE, DE BONO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

N. 64642 R. Roma, 17 giugno 1931.

A telespr. 220685 del 10 giugno 1931.

Ringrazio V. E. per la comunicazione fattami della corrispondenza inter

venuta con la R. Ambasciata a Parigi a proposito delle manifestazioni isla

miche antitaliane (l); nel corso della quale codesto Ministero ha molto oppor

tunamente precisato che nessuna dichiarazione formale di guerra ebbe mai

luogo da parte dell'Italia contro i Senussi che il R. Governo ha sempre consi

derato come ribelli e non come belligeranti.

Senza voler vedere in quanto si è verificato in Oriente, ai danni dell'Italia, il risultato di un intrigo internazionale vero e proprio, e pur riducendolo nei limiti di una campagna abilmente organizzata dalla Senussia, con l'aiuto di agitatori panislamici, e in ispecie, di Scekib Arslan, è certo che durante l'agitazione, vi è stata da parte delle autorità locali in Siria, e, ora, di quelle inglesi in India, a quanto rilevo dal telespresso di codesto Ministero n. 221054 del

12 corrente (2), una tendenza a considerare gli avvenimenti che si svolgevano a nostro danno con una certa indifferente compiacenza. Il che rende molto opportuno il richiamo fatto da V. E. a una migliore comprensione dei doveri della solidarietà europea; e alla considerazione dei danni che si ripercuotono su tutte le Potenze occidentali aventi interessi in paesi islamici da queste campagne in cui si viene sfogando l'odio antieuropeo e lo spirito xenofobo dei popoli orientali.

339

L'AMBASCIATORE A LONDRA, CHIARAMONTE BORDONARO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

TELESPR. 2641/1330. Londm, 17 giugno 1931.

Telespresso di V. E. N. 221054/C del 12 corr. E.L.A. IV (2). Sir Robert Vansittart mi ha detto oggi che il Foreign Office farà tutto il possibile, per mezzo del Ministero dell'India, per sedare l'espandersi del movi

mento islamico antiitaliano, che dopo essersi calmato altrove, sembra volere ora accendersi in India, e del quale peraltro non è qui giunta notizia.

Nel pregarmi di mandargli un appunto scritto sulla questione, che gli manderò subito, Sir Robert mi ha fatto rilevare lo scarso effetto che hanno di questi tempi in India gli ordini emanati da Londra e le difficoltà spesso insormontabili, come nel caso dell'Inghilterra stessa, di impedire o frenare un movimento di lnicottaggio, quando esso ha per basi -false o vere che siano -ragioni di fanatismo.

Quanto al telegramma Reuter dal Cairo (1), non mi risulta esservene altro all'infuori di quello da me segnalato col telegramma stampa del 26 maggio u. s. che -come V. E. giustamente osserva -non conteneva accuse di atrocità contro l'Italia a Cufra. Una smentita da parte della Reuter stessa non avrebbe quindi a mio avviso ragione di essere.

Si potrebbe più opportunamente curare la diffusione per mezzo della Reuter nei paesi arabi e in India, di un telegramma che semplicemente desse notizia del fatto che • vari abitanti di Cufra, allontanatisi prima e durante le nostre operazioni militari, hanno chiesto di ritornare alle loro case avendo ricevuto lettere del tutto rassicuranti dalle famiglie rimaste a Cufra •, dove la situazione è perfettamente normale (2).

(l) -Cfr. nn. 275 e 328. (2) -Inviato alle Colonie e a Londra, col quale Grandi invitava il governo inglese a far cessare la campagna antitaliana dei mussulmani in India per le presunte atrocità commesse in occasione della occupazione dell'Oasi di Cufra. La campagna, « essendo in fondo di carattere xenofcbo ed antieuropeo, è anche interesse del Governo britannico di sedare •·
340

IL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA LEVANTE ED AFRICA, GUARIGLIA, A [DAMPIERRE?] (3)

Roma, 18 giugno 1931.

Vous m'avez parlé hier d'un artide publié par la Sera.

Je me suis empressé de le lire, mais, en meme temps il m'est tombé sous

les yeux le numéro du Populaire que vous trouverez ci-joint et qui, à vrai dire,

me semble bien autrement offensif pour notre Gouvernement et pour notre

Pays.

Nous traitons ces choses avec le mépris qu'elles méritent, d'autant plus

que nous connaissons par coeur la réponse que la presse en France jouit de la

liberté la plus complète et que le • socialisme • n'est pas le Gouvernement

Français. Chez nous, au contraire, le Fascisme est bien le Gouvernement

Italien.

Pourquoi devrions nous alors ne pas laisser, de notre còté, un peu, un tout petit peu de liberté à la presse italienne? Notre Ambassade à Paris devrait employer tout son temps à protester auprès du Quai d'Orsay, et je crois qu'elle a mieux à faire, camme d'ailleurs la Palais Farnèse aussi (1).

(l) -Del quale si parlava nel _telespr. di cui alla nota precedente. (2) -II telespr. ministeriale 231687 del 13 settembre del 1931 osservava: La campagnaantitaliana dei mussulmani per la repressione del movimento ribellistico in Libia • è stata provocata nello scorso a:orile ad iniziativa di Ahmed Scerif es Senussi, dimorante alla Mecca e dal noto fuoruscito siriano, Scekib Arslan. residente a Ginevra, ...ma può considerarsi fallita •. (3) -Annotazione a margine: c Visto da S. E. il Capo del Governo •.
341

APPUNTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, SUL COLLOQUIO CON L'AMBASCIATORE D'INGHILTERRA A ROMA, GRAHAM

Roma, 19 giugno 1931.

Sir Ronald Graham mi dà lettura di una lettera indirizzatagli da Henderson, dove Henderson lo prega di ringraziarmi calorosamente per le parole pronunciate al Senato al suo indirizzo durante la recente esposizione di politica estera, che egli ha particolarmente apprezzato, specie nella parte che si riferisce all'arbitrato e al disarmo. Henderson ha aggiunto di ripetermi come egli abbia apprezzato la collaborazione che, per ordine del Capo del Governo, la delegazione italiana ha dato, insieme con la Gran Bretagna durante le ultime riunioni di Ginevra. Henderson non condivide il mio pessimismo sulle sorti dell'accordo navale. Egli spera ancora, ma ad ogni modo conviene attendere che il Governo francese faccia il primo passo.

Graham mi dà quindi confidenziale lettura di alcuni telegrammi dell'Ambasciatore britannico a Berlino in cui la situazione finanziaria tedesca è dipinta come drammatica se non disperata. Mi dà inoltre lettura di un gruppo di telegrammi del Foreign Office dove lo si informa delle conversazioni tra Mac Donald ed Henderson, Briining e Curtius nel recente convegno dei Chequers. Secondo le notizie del Foreign Office, Bri.ining e Curtius hanno espresso il loro avviso che dentro un anno si potrà forse domandare all'America di modificare il suo atteggiamento in materia di debiti, al che Mac Donald ed Henderson hanno risposto che prima di due anni, ossia delle nuove elezioni presidenziali, non è il caso di sperare una modificazione da parte americana nella questione dei debiti. I Ministri tedeschi hanno • emphasized » la situazione interna della Germania, i Ministri britannici hanno dichiarato di con

siderare la si~uazione tedesca con molta simpatia, ma hanno altresì insistito che nulla si può fare per la Germania se non col concorso di tutte le Potenze interessate. Henderson ha suggerito a Bri.ining e Curtius di portare la questione delle riparazioni tedesche al Comitato economico di Ginevra. Curtius non sarebbe stato di questo parere. Il telegramma del Foreign Office conclude che la conversazione dei Chequers pur essendo stata interessante non ha portato a conclusioni di alcuna importanza effettiva. Del disarmo non si è parlato.

Grandi -Domando a Graham se egli pensa che effettivamente Mac Donald ed Henderson restituiranno la visita a Berlino.

Graham -Mi risponde con un certo imbarazzo che egli crede di no.

Passando ad altro argomento Graham mi domanda se posso dirgli nulla della nostra attuale situazione con la Jugoslavia e se il mio ultimo incontro con Marinkovich abbia avuto qualche pratico risultato.

Grandi -Nessuno. Non credo che per ora vi sia da sperare nulla. La condotta di Marinkovich è inesplicabile. Egli ha fatto una completa ritirata su tutto quello che mi aveva dichiarato nel settembre scorso.

Graham -Mi riferisce alcune informazioni pervenutegli dalla Legazione britannica presso la Santa Sede secondo le quali l'Imperatrice Zita sarebbe stata ricevuta recentemente dal Pontefice cui avrebbe prospettato l'intenzione del giovane Arciduca Otto di tentar~ quanto prima un • putsch » in Ungheria per la restaurazione monarchica degli Absburgo.

Grandi -Non ho notizie circa questa udienza e non so neppure se essa sia avvenuta. L'Imperatrice Zita è ospite in Italia ed il R. Governo non ha motivo alcuno per sospettarne l'attività. Ad ogni modo ritengo di poter escludere senz'altro che da parte dei legittimisti ungheresi si pensi alla restaurazione monarchica in questo momento. Lo stesso Conte Appony ha dichiarato recentemente che il problema non è attuabile per l'Ungheria. Il regime che fa capo al Conte Bethlen ha dichiarato di esservi contrario. Ritengo assolutamente infondate voci del genere.

Graham mi domanda se ho notizie della situazione interna austriaca e quale sia stata l'accoglienza che il Governo italiano ha fatto all'intervento della Banca d'Inghilterra.

Grandi -Il Governo italiano ha considerato utile e tempestivo l'intervento della Banca d'Inghilterra così come ha considerato inabile e un po' grossolano il modo con cui il Quai d'Orsay ha tentato di ricattare il Governo di Ender provocandone automaticamente la caduta. Non vorrei che la condotta del Quai d'Orsay finisse col dare un altro punto di vantaggio alla Germania. La posizione dell'Italia nella questione austriaca è molto chiara. L'Italia si oppone nettamente all'Anschluss doganale economico o politico che sia. Ma nello stesso tempo non può vedere con favore l'azione francese che tende a fare dell'Austria un'altra vassalla di Parigi. Il Capo del Governo italiano pensa che allo stato dei fatti è necessario un intervento di carattere internazionale per soccorrere l'Austria, vale a dire un nuovo prestito magari con la partecipazione della stessa Germania. Le condizioni della finanza italiana non sono facili ma pur tuttavia il Governo italiano è disposto a fare un nuovo sacrificio sulla stessa proporzione di quello fatto nel 1922. Ma il prestito deve essere esclusivamente internazionale senza privilegi politici per nessuno e con un impegno

da parte austriaca che potrebbe essere la conferma di quello assunto dall'Austria per il prestito di ricostruzione del 1922. A questo in fondo mirava il Governo italiano quando ha fatto una diecina di giorni fa al Governo di Londra e di Parigi la proposta che il Comitato di Controllo si riunisse d'urgenza a Vienna allo scopo di dare l'immediata sensazione del carattere internazionale del soccorso all'Austria. Ci rendiamo conto del motivo che ha jndotto la

Francia a rifiutare la riunione del Comitato di Controllo non ci rendiamo viceversa conto del perché lo abbia rifiutato il Governo britannico. A tale proposito non debbo nascondervi una certa preoccupazione da parte del Governo italiano nel constatare l'appoggio, per troppi segni manifesto, che il Governo di Londra attraverso il disinteresse e la neutralità assunta, dà al programma della Germania verso il sud-est europeo, cioè verso l'unione austro-tedesca. Il Governo italiano ha sperato fino all'ultimo momento che il Governo della Gran Bretagna si sarebbe, sia pure in forma diversa, associato agli altri firmatari del Protocollo del 1922 per un'azione se non collettiva almeno concordata davanti al Tribunale della Corte dell'Aja. L'assenza inglese rinforzerà la attitudine tedesca e finirà col portare un serio pregiudizio alla tesi sostenuta dalla Francia, dall'Italia, dalla Cecoslovacchia, e sino ad un certo punto anche dalla Gran Bretagna nelle ultime riunioni di Ginevra. Particolarmente per l'Italia la cosa è spiacevole perché il diverso atteggiamento britannico avrà come conseguenza automatica un maggiore riavvicinamento tra la tesi italiana e quella francese, cosa che l'Italia ha cercato sinora accuratamente di evitare. Spero che l'appoggio dato dalla Gran Bretagna alla Germania potrà servire al Governo di Londra per dare degli efficaci consigli al Governo tedesco e persuaderlo a non insistere su una linea di condotta che danneggiando direttamente gli interessi italiani, finirebbe col portare fatalmente l'Italia nella necessità di prendere una posizione più decisa di quello che abbia fatto finora nei confronti delle questioni europee che interessano la politica tedesca.

(l) Con tel. 1972/279 del 3 luglio Manzoni osservava: " Non si fanno rilievi circa atteggiamento nostra stampa, ma mi domando se sono state lanciate opportunamente certe sue puntate antifrancesi e se non sarebbe invece preferibile un atteggiamento sereno e neutrale tra Francia e Germania •.

342

IL MINISTRO DELL'EDUCAZIONE NAZIONALE, GIULIANO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

(Copia)

N. 204 GAB. R. Roma, 19 giugno 1931.

Con riferimento ai telespressi n. 318 C e 324/35 in data 30 aprile u.s. comunico che la richiesta della S. Sede per l'allontanamento dall'insegnamento dei Prof. Giuseppe Saitta della R. Università di Pisa e Mariano Maresca della R. Università di Pavia, non può essere accolta, in quanto non ricorrono nel caso in esame gli estremi per l'applicazione dell'art. 5 del Concordato.

Invero è pacifico che all'articolo predetto non sia da dare effetto retroattivo. E anche se, come si afferma nella nota della Nunziatura Apostolica, il Governo abbia dato affidamento di prendere in considerazione richieste dirette ad una applicazione retroattiva dell'articolo citato nei casi più gravi e nei quali sia necessario un pronto intervento -il che peraltro non risulta a questo Ministero -non appare in alcun modo che si verifichino nei riguardi dei due professori Saitta e Maresca le condizioni predette, in quanto essi tengono con piena dignità la loro cattedra, godono della stima generale e non danno comunque motivo a rilievi (1).

(l) In questo senso fu preparata una lettera, che peraltro non risulta spedita, di Grandi a Borgongini Duca.

343

IL MINISTRO A TIRANA, SORAGNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. 1755/126. Tirana, 20 giugno 1931, ore 17,30

(per. ore l del 21).

Re Zog, al quale ho comunicato decisioni di S.E. il Capo del Governo (l) improntatA a sì grande fiducia, mi ha incaricato di ringraziarLo profondamente per avere tenuto conto con tanta generosità del suo desiderio di tener distinto nella forma e nel tempo intervento finanziario dalla rinnovazione deì patto politico. Mi ha poi spontaneamente dichiarato che egli si rende perfettamente conto di tutte le conseguenze disastrose per il suo Paese e per se

stesso personalmente se, giunto il momento di tenere fede al proprio impegno, egli cercasse di sottrarvisi e di provocare il risentimento dell'Italia.

Ho messo al corrente Mussa Juka, Sereggi e Libohova delle conversazioni avute col Re, degli impegni da lui presi e delle gravi conseguenze inerenti. Libohova del resto ne è pure testimonio. Parlerò a giorni anche con Abdul Raman Mathi. Tutti sono concordi dichiararmi loro certezza che il Re è ora sinceramente rassegnato rinnovare il Patto, e che si è espresso in tali termini con loro che non vuole né oserebbe mancare impegni.

344

IL CONSOLE GENERALE A MONACO DI BAVIERA, CAPASSO TORRE, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI

(ACS, segreteria particolare del Duce, fase. Hitler 442/R; ed. in R. DE FELICE, I rapporti tra fascismo e nazionalsocialismo ecc., pp. 152-155)

Monaco di Baviera, 20 giugno 1931.

Il Signor Hitler in questi ultimi due mesi è stato frequentemente lontano da Monaco e vi ha fatto solo brevi apparizioni che non gli consentivano molta disponibilità di tempo. Pertanto ho potuto incontrarlo solo ieri l'altro, giovedì. Parlando di varie cose, non ho mancato di riferirgli, nella forma dovuta e senza che egli potesse pensare di ricevere consigli, quanto V.E. ebbe a dirmi nel colloquio che mi fece l'onore di concedermi a Roma nell'aprile scorso, e cioè come V.E., che seguiva con molto interessamento il crescente sviluppo del suo partito, non si rendesse bene conto del fatto che egli perseguisse ancora oggi il proposito di dirigere il suo movimento da Monaco, anzi che da Berlino, e come nel proposito suddetto l'E.V. riscontrasse piuttosto un pericolo per lui che un vantaggio. E non ho omesso di riferirmi alla secessione berlinese di Stennes, e a possibili ripetizioni del fenomeno.

Il Sig. Hitler si è mostrato compiaciuto dell'osservazione, dicendomi che questa era una nuova prova dell'interessamento benevolo di V.E. nei riguardi del Socialnazionalismo germanico, ma mi ha confermato, con preghiera di trasmetterle alla E.V., le ragioni per cui egli crede di non trasferire a Berlino la sede centrale del partito.

Egli, anzitutto, ha voluto sgombrare il terreno del « caso • Stennes, dicendo che si trattava di una situazione interna di partito, che doveva, come egli si attendeva da tempo, venire a maturazione ed escludendo che sullo Stennes abbiano avuto influenza, almeno notevole, i nemici politici e l'atmosfera ambientale berlinese.

Il Signor Hitler, messosi ormai, salvo forse cogliere improvvise non prevedibili possibilità, sul terreno della conquista legale del potere, continua a ritenere che a Berlino, dove egli conta troppi avversari, soprattutto da parte delle autorità prussiane, non potrebbe trovare quella calma di lavoro necessaria a rafforzare ed estendere la sua organizzazione. Egli sarebbe colà continuamente sottoposto ad attacchi, inchieste, perquisizioni, mentre a Monaco egli lavora quasi indisturbato. Per lui una prova di quanto asserisce sta nel fatto che qui a Monaco ha potuto creare la nuova sede del partito, che è indubbiamente la più bella e meglio organizzata di tutti i partiti tedeschi. Berlino -dice Hitler -non è Roma. In Roma alitano le tradizioni e la cultura di 2000 anni: Berlino, invece, è una grande città per metà americanizzata e per metà « kulturlos • (sic!) e senza tradizioni. Le tradizioni, se pur vi sono, risiedono a Potsdam, non a Berlino. Quando andrò a Berlino -egli ha aggiunto sarà per rimanervi, ma ora non mi sento di ripetere l'errore commesso dallo

« Stahlhelm • quattro anni sono.

Parlando d'altro, il Sig. Hitler mi ha dato dello sviluppo del suo partito

particolari interessanti e abbastanza convincenti a base di cifre e dati statistici.

Egli si dichiara sicuro che, ripetendosi oggi le elezioni, conquisterebbe 200 seggi

al Reichstag. Intanto si prepara per le elezioni quanto mai importanti e sinto

matiche del Landtag prussiano, nella prossima primavera. Egli conta sul capo

volgimento della situazione in questa Dieta,' grazie al verdetto elettorale, e

dichiara che l'iniziativa dello « Stahlhelm » diretta ad ottenere lo scioglimento

prematuro della Dieta medesima, è stata una mossa sbagliata e destinata all'in

successo, perché non ha tenuto alcun conto del fatto previsto dalla costituzione,

che il plebiscito promosso a tale scopo dovrebbe raggiungere, per essere vitto

rioso, la cifra dell'SO% degli elettori iscritti, cifra impossibile a raggiungere.

Dell'attuale situazione di Brtining, il Sig. Hitler ha dato ancora una volta

un giudizio sommario sulla sua precarietà che, per essere stato troppo spesso

ripetuto dal Settembre scorso ad oggi, non mi sento di condividere in pieno,

soprattutto dopo i contatti presi a Londra col Sig. Mac Donald i quali hanno

certamente rafforzato all'interno la posizione del Cancelliere.

Circa la tattica da lui seguita, il signor Hitler mi ha riaffermato quanto

io ho già esposto nei miei rapporti a S.E. il Ministro degli Esteri, e che, cioè,

egli non può arrivare al potere che a traverso vie legali. Tentare un colpo di

mano con la violenza -egli ritiene -sarebbe follìa perché i suoi uomini,

pur essendo fedelissimi e pronti a un suo cenno, si troverebbero di fronte non solo alla Polizia, ma alla Reichswehr, entrambi • strumenti ciechi com

posti di mercenari • (Soldnertruppen) che sparerebbero senza pietà.

Quanto ai frequenti eccidii dei suoi fedeli, susseguitisi negli ultimi tempi

dappertutto, il signor Hitler li proclama dolorosi, ma necessari e li saluta con

entusiasmo. Egli mi ha dichiarato di dover contenere a fatica i suoi uomini dalla

voglia di prender vendetta, mentre basterebbe un suo cenno per far saltare le

teste dei caporioni rossi.

L'impressione che si ricava, ogni volta, a mesi di distanza, dalla parola

di Hitler è quella di una crescente forza e calma di giudizio, non senza che, a

momenti, alcuni scatti improvvisi, certi giudizi sommari su avversari e fian

cheggiatori e la tendenza eccessiva a previsioni rosee e precise lascino un po'

disorientato e incerto l'ascoltatore. Voglia credere, Eccellenza, alla mia inalte

rabile fedeltà di gregario (1).

(l) Cfr. n. 331.

345

APPUNTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, SUL COLLOQUIO CON L'AMBASCIATORE DEGLI STATI UNITI A ROMA, GARRETT

Roma, 22 giugno 1931.

Sabato u.s. ho pregato Mr. Garrett di venire a Palazzo Chigi per parlargli dei « Cavalieri di Colombo » questione sulla quale egli aveva richiamato in due precedenti colloqui la mia attenzione, dichiarando beninteso che egli parlava a titolo puramente personale e non come Ambasciatore americano.

Ho detto a Mr. Garrett precisamente quanto segue:

« Vi ho promesso d'interessarmi della questione dei ' Cavalieri di Colombo ' i cui campi sportivi sono stati chiusi in applicazione del recente provvedimento emanato dal Governo fascista che comprendeva e comprende tutte le organizzazioni giovanili non facenti capo alle istituzioni del Regime, riconosciute con leggi dello Stato. Voi mi avete dichiarato che riconoscevate perfettamente legittimo il punto di vista del Governo italiano e cioè che da parte nostra nessuna prevenzione è nutrita contro l'Associazione dei Cavalieri di Colombo sebbene non possiamo dimenticare che recentemente da parte di questa Associazione sono state fatte pubbliche dichiarazioni che suonano ingiuria ed offesa allo Stato italiano e alle sue leggi. Se i Cavalieri di Colombo hanno, come voi mi affermate l'intenzione di conformarsi alle leggi italiane, il Governo fascista sarà ben lieto di permettere ad essi di continuare la loro attività. In caso contrario è evidente che il Governo fascista non può tollerarne la permanenza in Italia. Voi mi pregaste di far ricevere il signor Hearn, rappresentante in Italia dell'Associazione americana suddetta, sicuro che egli sarebbe stato perfettamente d'accordo e consenziente a tale linea più che giustificata e legit

tima del Governo italiano. Il Capo del Governo cui ho riferito le nostre conversazioni ha incaricato il Sottosegretario all'Educazione Nazionale, On. Ricci, -di sistemare ogni cosa col signor Hearn. Allo scopo di preparare l'incontro con

S.E. Ricci ho pensato utile che il Comm. Rocco dell'Ufficio Stampa del Ministero degli Esteri avesse un preventivo incontro coll'Hearn. Il signor Hearn, in due successive conversazioni, ha dichiarato essere sua intenzione non sottrarre i Cavalieri di Colombo a quelle che sono le leggi e comunque le direttive del Governo fascista.

Sabato improvvisamente si è presentato a Palazzo Chigi certo Ing. Galeazzi, latore di una lettera dell'Hearn. In questa lettera l'Hearn dichiara preferire che d'ora in avanti i contatti fra l'Associazione dei Cavalieri di Colombo e le autorità del Governo siano tenute pel tramite dell'Ing. Galeazzi che sembrerebbe essere l'uomo di fiducia dell'Hearn, ma soprattutto appare uomo di fiducia dell'Azione Cattolica. L'Hearn aggiunge nella lettera e l'Ing. Galeazzi ha confermato verbalmente che a differenza di quanto egli aveva prima creduto di poter comunicare al Comm. Rocco, egli non si sente in grado di entrare in trattative con le autorità del Governo italiano se non in seguito a esplicita autorizzazione del Papa sotto la cui protezione i Cavalieri di Colombo si trovano essendo stati dal Papa chiamati in Italia. Stando le cose a questo punto io credo, caro Ambasciatore, di dovervi parlare francamente. Il Governo italiano ha tradizioni di ospitalità come nessun Governo del mondo. Ma non può evidentemente permettere che Associazioni straniere esercitino qualunque genere di attività anche raccomandabilissima, in modo da essere sottratte alle leggi dello Stato. Poiché la presenza dei Cavalieri di Colombo in Italia ha giustificato durante gli ultimi incidenti tra lo Stato italiano e la Santa Sede, una reazione psicologica in certe correnti cattoliche degli Stati Uniti d'America, è evidente che la loro presenza in Italia è nociva, e potrà esserlo maggiormente domani, a quelle buone relazioni tra masse italiane e masse americane che il Governo di Washington e il Governo di Roma fanno di tutto per mantenere e facilitare. Nella fattispecie le organizzazioni sportive dei Cavalieri di Colombo sono quelle che hanno permesso alle scuole medie private (leggi facenti capo a organismi ecclesiastici) di eludere le organizzazioni sportive facenti capo all'Opera Balilla, e quindi, in sostanza, esse non facilitano quel controllo che lo Stato fascista ha il dovere di esercitare sull'educazione fisica e intellettuale della gioventù italiana. È assai meglio, nell'interesse comune, togliere di mezzo questo equivoco. Il Governo italiano non si rifiuterà di trattare nel modo più equo quelle condizioni materiali che possano tranquillizzare dal punto di vista materiale gli imprenditori delle organizzazioni sportive dei Cavalieri di Colombo. Ma io credo di far cosa vantaggiosa alle relazioni itala-americane pregandovi di collaborare con me perché l'associazione dei Cavalieri di Colombo rinunci a qualsiasi genere di attività in Italia.

Garrett -Quanto mi dite mi dispiace, ma io vi ripeto che ho parlato soltanto perché sollecitato da Mr. Hearn e non per incarico avuto dal Governo americano. Posso aggiungere che sabato il signor Hearn è venuto a trovarmi all'Ambasciata e mi ha pregato di non interessarmi p m della questione dei Cavalieri di Colombo. Questa è quindi l'ultima volta che io ve ne parlo.

Grandi -Il passo di Hearn presso di voi è la conferma che la Santa Sede dirige tutte le mosse dei Cavalieri di Colombo e si è affrettata ad impedire qualsiasi intesa tra i Cavalieri di Colombo e le autorità del Governo. Ciò conferma, in conclusione, la necessità che l'equivoco sia tolto una volta per sempre. Il mondo è grande e i Cavalieri di Colombo possono rivolgere altrove le loro nobili intenzioni filantropiche.

La conversazione ha proseguito su altri argomenti su cui riferisco in altro appunto (1). Garrett congedandosi mi ha detto che egli si trova attaccato violentemente in America sia negli ambienti cattolici i quali pretendono da lui addirittura un intervento a difesa della Santa Sede, ma soprattutto da certi americani antifascisti sobillati da italiani fuorusciti, residenti in America, i quali accusano Garrett del suo mancato intervento a favore dell'anarchico Schirru, cittadino americano. • Io non vi ho mai parlato • dice Garrett,

• di questa questione perchè sono . troppo amico del vostro Paese e troppo rispettoso dei diritti sovrani dello Stato italiano per permettermi di accennare, col Governo italiano, anche di sfuggita, a queste questioni. Ne parlo a voi come amico soltanto oggi, per raccontarvi un po' delle mie... pene di Ambasciatore • (2).

(l) Per la lettera di Hitler a Mussolini dell'8 giugno cfr. DE FELICE, op. cit., pp. 151-152.

346

APPUNTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, SUL COLLOQUIO CON L'AMBASCIATORE DEGLI STATI UNITI A ROMA, GARRETT

Roma, 22 giugno 1931.

Mi domanda se posso dirgli nulla dell'accoglimento da parte del Governo italiano dell'offerta del Presidente degli Stati Uniti d'America relativa alla proroga per un anno di tutti i debiti tra Governi. Garrett non ha ricevuto ancora nulla dal suo Governo e conosce la notizia attraverso i giornali.

Grandi -Stamane soltanto sono venuto in possesso dei telegrammi del nostro Ambasciatore a Washington col resoconto della comunicazione avuta da Stimson. Oggi stesso sarò ricevuto dal Capo del Governo per ricevere le istruzioni.

Garrett -Ma non potete dirmi il vostro avviso personale?

Grandi -Il mio avviso personale non va oltre una constatazione e cioè che il gesto degli Stati Uniti d'America non potrà trovar se non una accoglienza favorevole sotto ogni punto di vista da parte del Governo e del popolo italiano. Il Presidente Hoover ha realizzato quello che dal 1922 ad oggi è stato il pensiero costante del Capo del Governo italiano. Questa accoglienza la quale non può [non] essere apertamente favorevole non può tuttavia far dimenticare l'entità del sacrificio a cui l'Italia andrebbe o andrà incontro. L'eccedenza fra

debiti e riparazioni tedesche ammonta per l'Italia a 200 milioni di lire, somma tutt'altro che trascurabile per il nostro bilancio soprattutto nelle attuali con.<J.izioni nor. facili per alcuno. La Germania non è il solo paese che sta male in Europa. Ciò nonostante l'Italia ha sempre considerato il problema delle riparazioni da un punto di vista più ampio, generale e comprensivo (l). Vi è tuttavia un punto, a mio avviso, determinante, sul quale io vi pregherei di portare sin d'ora l'attenzione del signor Stimson e del Governo di Washington. Gli avvenimenti della settimana scorsa in Austria, la caduta del Gabinetto

.Ender e la nomina del nuovo Governo hanno finito col rappresentare di fatto una vittoria del partito pangermanista e indirettamente di quello socialista. Per la prima volta in Austria è stato eletto un Governo su una base di intesa politica con la Germania. Il Governo di Berlino ha esplicato secondo attendibili informazioni pervenute da Vienna una intensa attività tra i circoli politici della capitale austriaca per dare alla crisi governativa la soluzione che essa ha avuto. Siamo quindi davanti a un programma d'azione politica da parte della Germania e dell'Austria ben determinato e che non può lasciare indifferente l'Italia. Noi siamo disposti ad andare incontro alla difficile situazione economico-finanziaria della Germania, ma dev'essere ben chiaro che da parte tedesca deve manifestarsi la stessa buona volontà che gli Stati creditori hanno dimostrato e dimostreranno. Noi non vorremmo che le somme in riparazione tedesche che noi ci prepariamo a sacrificare servissero in definitiva a rendere più attivo ed efficace il programma espansionistico politico ed economico della Germania verso il sud-est, cioè che in pratica noi aiutassimo la Germania ad un'azione politica diretta sostanzialmente contro i nostri interessi. Questo ho l'obbligo di dirvi per chiarire sin d'ora la posizione quale si presenta a un primo esame (2). Garrett -Non avete sostanzialmente torto. Si è quindi passato ad esaminare le modalità dell'arrivo di Stimson in Italia. Stimson desidera che il suo viaggio abbia carattere esclusivamente privato. Egli vuole vedere tranquillamente il nostro Paese che non conosce. Nessuna cerimonia, manifestazione, discorsi o banchetti. Stimson vuole soprattutto avere la possibilità di incontrare il Capo del Governo. L'Ambasciatore d'America darà un pranzo di carattere intimo all'Ambasciata la sera del 9

o del 10. Io darò una colazione probabilmente 1'11 e possibilmente in una Villa romana dei dintorni. Lo stesso sarà fatto nelle visite che Stimson farà successivamente a Berlino, Parigi e Londra.

Prima di congedarsi Garrett mi ha domandato notizie sullo stato delle trattative fra noi e la Santa Sede. L'ho ragguagliato intorno all'ultima fase di esse non tacendogli che il violento discorso del Papa di sabato sera rischia nuovamente di compromettere una situazione che andava calmandosi.

(l) -Cfr. n. 346. (2) -Il doc. fu inviato in visione al re. (l) -Il 20 giugno 1931 Stimson disse a De Martino • avere appreso che gli articoli di Gayda riflettevano il pensiero di V. E. • (tel. 1762/415, Washington 20 giugno 1931). (2) -Cfr. quanto comunicava Manzoni con tel. 1768/244-245 del 21 giugno: egli aveva detto all'ambasciatore americano a Parigi « che la proposta americana portava sollievo alle economie statali, ma ben poco e soltanto di riflesso alla crisi generale, per la cui soluzione era necessario far rinascere la fiducia politica. Se la Germania avesse continuato agitare questione Anschluss od altre, il risultato della proposta Hoover sarebbe stato verosimilmente irustrato >.
347

IL MINISTRO DELLE COLONIE, DE BONO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

TELESPR. 45076. Roma, 22 giugno 1931.

Suo 221444 (1). Grazie. Senonchè, prima di fare passi con la Finanza, i quali avrebbero certamente incontrato le rocce De Bellisiane (2) ho voluto esporre la questione in termini espliciti a S.E. il Capo del Governo con la lettera 4155 (3) comunicata -in via riservatissima -anche a S.E. il Ministro degli Esteri.

Nessun responso dal Capo del Governo. Sicché sono andato da Lui per

avere questa risposta.

Niente; non ci sono quattrini!

Conscio della vitale necessità della cosa, ho detto al Capo del Governo

della possibilità per questo Ministero di contrarre un prestito dai 60 ai 100 milioni, con ammortamento in 30 anni a tasso onesto. Il Capo del Governo è propenso a questo ed attende, da me, le proposte concrete ed il relativo piano finanziario, cosa che farò certamente entro il mese. Mi riservo ulteriori, precise e pratiche informazioni.

348

IL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI, AGLI AMBASCIATORI A BERLINO, ORSINI BARONI, A LONDRA, CHIARAMONTE BORDONARO, A PARIGI, MANZONI, E A WASHINGTON, DE MARTINO (4)

T. 650. Roma, 23 giugno 1931, ore 21,20.

(Per Parigi-Londra-Berlino): Ho telegrafato al R. Ambasciatore in Wa

shington quanto segue:

(Per tutti) : Prego V.E. far conoscere al Governo degli Stati Uniti d'Ame

rica che ho esaminato proposta Presidente Hoover per sospensione totale du

rante un anno del pagamento dei debiti fra Governi.

Tale proposta importa notevoli sacrifici per l'Italia, ma io, dopo matura

riflessione, ho deciso di dare ad essa la mia cordiale accettazione di principio.

Mi riprometto di fare in seguito pervenire a codesto Governo alcune mie os

servazioni intese ad una applicazione insieme equa e pratica, come è certo

nei propositi del Presidente Hoover, della felice iniziativa di codesto Governo.

Mi auguro che l'iniziativa del Presidente Hoover, il cui alto significato morale è stato perfettamente inteso dal popolo italiano, possa aprire un periodo di più efficace collaborazione fra le nazioni, tanto più necessaria in questo momento di generali difficoltà, ed alla vigilia della Conferenza del Disarmo.

(l) -Cfr. n. 336. (2) -Allusione al ragionere generale dello Stato, De Bellis. (3) -Cfr. 329. (4) -II telegramma a Washington fu pubblicato dai giornali del tempo.
349

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T.u. 1807/426. Washington, 23 giugno 1931, ore 23,33 (l) (per. ore 10 del 24).

Pergo comunicare a S.E. il Capo del Governo. Ho comunicato al Segretario Stato il testo con traduzione del telegramma odierno di V.E. n. 265.

Il Signor Stimson mi ha pregato di far pervenire all'E.V. l'espressione del suo apprezzamento. Egli considera la risposta italiana come assai soddisfacente. Egli ritiene di poter escludere che le osservazioni che V. E. si ripromette far pervenire si possano riferire ad un abbinamento con la questione della unione doganale austro-tedesca. Tale abbinamento, egli disse, avrebbe come risultato niente altro che la distruzione della proposta del Presidente Hoover. Questi ha ottenuto il consenso dei parlamentari americani e di questa pubblica opinione sulla sola base possibile e cioè quella di una proposta disinteressata intesa a salvare da una catastrofe la Germania e ciò nell'interesse generale. L'abbinamento con una questione specifico interesse politico europeo produrrebbe un immediato capovolgimento della presente situazione favorevole di opinione pubblica e parlamentare di questo Paese. La reazione sarebbe immediata e porterebbe al reciso netto disinteressamento americano.

Ho risposto al Segretario di Stato che circa la questione dell'Anschluss non ho avuto alcuna comunicazione da Roma e che non mi risulta più di quanto ho letto nelle corrispondenze dei giornali. D'altra parte, ho aggiunto, i termini del telegramma del Capo del Governo non mi sembra comprendano la questione dell'Anschluss. Tuttavia ho voluto, a titolo personale, esporre al Signor Stimson alcuni dei noti motivi di interesse italiano nella questione stessa. Le mie osservazioni non ebbero alcun risultato ed ho rpotuto rilevare, anzi, che su questo punto il Segretario di Stato è recisamente intransigente.

Senza entrare in merito al problema egli ha insistito sulla incompatibilità assoluta della proposta americana, a carattere generale umanitario, con qualsiasi specifico interesse politico ed ha insistito sulla grave impressione che questa opinione pubblica ne risentirebbe. Stimson mi aggiunse che Garrett gli aveva telegrafato in proposito. Egli aveva risposto a Garrett per telegrafo, ma preferiva di non dirmi il contenuto di tale risposta.

Per conto mio, ignorando i termini effettivi della controversia e limitandomi alla considerazione della situazione locale americana, desidero segnalare, come è mio dovere, che se responsabilità di un ritiro della proposta Hoover dovesse in definitiva fatalmente essere attribuita all'Italia, noi avremo molta

strada da percorrere prima di riconquistare il terreno perduto. Più di una volta è accaduto che questo Popolo a mentalità pratica e positiva sia stato trascinato da impulsi sentimentali (1).

(l) Il testo reca ore 11,33. Si tratta con ogni probabilità di un errore, poiché il tel. risponde al numero 348 (che fu trasmesso a Washington con n. di protocollo particolare 265), trasmesso alle ore 21,20. L'ora di trasmissione 11,33 non è possibile anche tenendo conto della differenza di fuso orario.

350

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO DELLE COLONIE, DE BONO

TELESPR. R.U. 222424/613. Roma, 23 giugno 1931.

Telespresso di codesto Ministero n. 43968 del 20 maggio.

Questo R. Ministero ha esaminato col maggiore interesse quanto S.E. Astuto ha riferito col suo telegramma 1058 del 15 maggio circa la proposta dello Stupak di creare a Massaua una base commerciale sovietica, e quanto in merito osserva l'E.V. nel sopracitato telespresso.

Premetto che questo Ministero si astiene dal considerare la questione sia dal punto di vista dell'economia dell'Eritrea e della influenza che un incremento notevole del commercio sovietico potrebbe avere nei riguardi delle esportazioni dalla Metropoli in Colonia, sia dal punto di vista degli inconvenienti di ordine politico interno che potrebbero derivare dalla istituzione di una Agenzia commerciale sovietica a Massaua. Sull'uno e sull'altro argomento è competente a decidere codesto Ministero al quale incombe la responsabilità sia di tutelare, nel miglior modo, la economia dell'Eritrea e l'incremento dei traffici fra la Colonia e la Madre Patria, sia di garantire l'ordine nella Colonia evitando gli effetti di una propaganda sovietica anti-colonialista e disorganizzatrice.

Dal punto di vista della politica estera, questo R. Ministero osserva:

a) Nessun fatto nuovo è intervenuto che consigli di modificare quelle direttive generali circa una collaborazione commerciale itala-sovietica nel Mar Rosso che furono esposte nel telespresso di questo Ministero del 3 marzo 1930,

n. 207673/136;

b) La proposta sovietica di istituire a Massaua una base commerciale per il Mar Rosso e l'Oceano Indiano può dal punto di vista politico presentare per noi alcuni lati vantaggiosi.

Gli agenti commerciali dell'URSS non hanno attualmente nel lVrar Rosso che una sola base tutt'altro che adeguata alle necessità di un vasto traffico: Hodeida.

Secondo notizie recentemente pervenute a questo Dicastero i loro tentativi per crearsi altre basi in Egitto e nell'Hegiaz non hanno, pel momento, con

«Persona che non vuole essere nominata ha visto stamane Hoover, il quale era agitato e manifestamente irritato contro Fr:o:ncia e Italia. Il Presidente rilevò che la Francia secondo qualche giornale, vorrebbe stabilire un abbinamento con la repressione da parte della Germania della agitazione per la revisione delle frontiere; e Italia con l'Unione doganaleaustro-tedesca...

Naturalmente questi pensieri del Presidente Hoover mi sono stati riferiti in via del tutto personale e non (ripeto non) avevano carattere di comunicazione a me destinata. Si rende tuttavia necessario e urgente di dare qui un orientamento alla stampa ed alla opinione pubblica».

ctotto ad alcun risultato dato l'atteggiamento ostile assunto a tale riguardo, assai probabilmente in seguito a pressioni inglesi, dai governi egiziano ed hegiazeno.

Non è d'altra parte da ritenersi che l'Inghilterra consenta ai Sovieti di crearsi basi commerciali nel Sudan o in Aden. Per seguire quindi l'incremento dei propri traffici i Sovieti -se esclusi anche da Massaua -potrebbero indursi ad impiantarsi più stabilmente in Hodeida cercando di migliorare le condizioni materiali di quel porto e di fare di quel centro marittimo un grande emporio commerciale, ciò che, oltre a danneggiare economicamente Massaua, potrebbe avere ripercussioni nei riguardi della nostra situazione nello Yemen.

Con l'istituzione a Massaua della base commerciale sovietica per il Mar Rosso e l'Arabia noi possiamo invece continuare a giuocare la pedina russa in funzione anti-britannica, il che, se mantenuto in certi limiti, non può che esserci vantaggioso per evidenti ragioni di equilibrio di influenze nel Mar Rosso e per allontanare la eventualità di accordi diretti fra la Gran Bretagna e lo Yemen.

Inoltre, spostando il centro di attività sovietica dallo Yemen a Massaua, noi da un lato contribuiamo ad allentare in certo modo i legami fra gli Agenti sovietici e lo Yemen, e dall'altro ci mettiamo in grado di controllare da Massaua l'azione economico-politica sovietica sia nello Yemen che negli altri Paesi del Mar Rosso.

c) A questi vantaggi di ordine politico bisogna tuttavia opporre alcune considerazioni che consigliano di non accettare senz'altro la proposta sovietica di cui si tratta.

Ho detto che noi dobbiamo cercare di giuocare ,la pedina russa in funzione anti-britannica sullo scacchiere politico del Mar Rosso, ma che tale delicato giuoco può esser fatto solo entro certi limiti. Ragioni di opportunità politica generale infatti ci consigliano a non dare l'impressione al Governo di Londra che noi ci prestiamo benevolmente a favorire la politica anti-britannica dei Soviety in una zona dove gli interessi dell'Impero britannico sono vitali. Converrà quindi far chiaramente apparire quella che è poi la realtà delle nostre intenzioni, che cioè se noi permettiamo ai Soviety di commerciare nella nostra Colonia, non ammettiamo che essi vi costituiscano un centro per sviluppare la loro propaganda politica, nè verso di noi nè verso altre Potenze coloniali.

Questo Ministero ritiene in conclusione che la proposta per l'istituzione dell'Agenzia Commerciale sovietica a Massaua non debba essere senz'altro accolta; ma che d'altra parte non si debba opporre allo Stupak un rifiuto, ma cercare invece di indurlo ad incanalare a Massaua i traffici sovietici attraverso persone od enti nazionali. A questo proposito S.E. Gasparini mi ha informato che si è recentemente riusciti ad ottenere che tutto il traffico dei prodotti petroliferi sovietici per i Paesi del Mar Rosso, Yemen compreso, sia affidato alla Società Coloniale di Credito, a condizione che questa non si interessi allo smercio nel Mar Rosso dei prodotti similari dei trusts petroliferi americani ed inglesi.

Ritengo che qualche cosa di analogo si potrebbe tentare di concludere

anche per i traffici delle altre merci sovietiche di esportazione; si tratta in

somma di mantenere ferma la linea di condotta adottata dal Governatore dell'Eritrea, il quale ha permesso i traffici sovietici, ma ha però preteso che essi si svolgano attraverso nostri connazionali. Che i Soviety abbiano un proprio Agente in Massaua si può consentire, un tale Agente non dovrebbe essere di nazionalità russa, ma persona o Ente di nazionalità italiana.

Ove lo Stupak non accettasse tale soluzione, converrà non dargli una risposta definitiva, ma fargli intendere che la questione potrà essere riconsiderata.

Mi sarà gradito avere partecipazione delle istruzioni che codesto Ministero invierà in proposito al Governatore dell'Eritrea (1).

(l) De Martino aveva telegrafato alle 19,50 (tel. 1806/425), comunicando:

351

L'AMBASCIATORE A PARIGI, MANZONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

L.P. Parigi, 23 giugno 1931.

Nel colloquio odierno con Berthelot, questi mi ha detto varie cose interessanti. Alcune han fatto oggetto dei telegrammi che giungeranno a V.E. domattina. Altre le trascrivo qui non volendo affidarle che al corriere.

Relazioni italo-francesi. Ne ha parlato a proposito della nostra proposta per le finanze austriache. Si arriverà al controllo internazionale delle finanze austriache, ha detto; ed in questa come in tutte le operazioni che le disastrose situazioni finanziarie dell'Austria e della Germania avranno come conseguenza sicura, la piazza di Parigi dovrà assumere la maggior parte. Ma poichè si

deve pensare anche alle situazioni politiche si arriverà anche alla • neutralizzazione » dell'Austria. Questo è un progetto che non può dispiacere all'Italia, che ha verso l'Anschluss lo stesso interesse nostro. Potrà aiutare la realizzazione dell'amicizia coll'Italia. Io ho già un piano ben preciso in proposito. Attendo che si realizzi l'accordo navale per svilupparlo: dovrà essere largo, con larga soddisfazione all'Italia, e completo.

Proposta Hoover. Berthelot Ia attribuisce alla necessità di salvare i forti interessi americani in Germania e ci vede anche un calcolo elettorale di Hoover al riguardo dei voti degli americani tedeschi. Ma ammette che è un principio

c Questo R. Ministero esprime il parere che non convenga che da parte di codesta

R. Legazione si svolga un'azione intesa ad individuare i commercianti italiani che hanno stretto rapporti d'affari coi Sovieti per cercare di esercitare su di loro, direttamente od indirettamente, pressioni atte a controbattere la propaganda commerciale sovietica in Egitto.

Astraendo da ogni considerazione di carattere politico generale circa i rapporti italo sovietici, questo Ministero ritiene con V. S. che sia vano cercare di battere costì, con 1·az1one prospettata, la concorrenza russa, dato che tale azione forzatamente limitata [nonJ 11ervtreooe a rrenare sensiDilmente, più e meglio delle difese doganali cui è già ricorso codesto Governo il dumping dei sovieti.

Aggiungasi che l'azione di cotesta R. Legazione, che non tarderebbe a essere nota, non si concilierebbe con l'atteggiamento da noi tenuto ci;-ca i traffici sovietici nel Mar Rosso •·

brusco, a scenario americano, verso la soluzione di tutte le difficoltà della situazione europea e della crisi mondiale: inizio che, quale sia il suo contenuto, equo o no, va accolto con favore salvo a modellarlo ed aggiustarlo. Berthelot riconosce però che più che la parte economica è quella politica, in concomitanza con l'economica, che occorre sistemare per far rinascere in Europa e nel mondo quella fiducia che è necessaria per dare assetto tranquillo al mondo. Ma la parte • politica • va trattata molto delicatamente e non sempre

apparentemente, fin quando il tutto non è ben maturo. Io ne ho telegrafato a V.E. la sera del 21 dopo avere avuto i primi colloqui col signor Flandin e col signor Edge circa la proposta Hoover di cui in quel momento si conosceva solo un sunto. Credo poter confermare il concetto che qui si darà denaro solo su garanzie politiche oltre quelle materiali finanziarie: si ha la ferma sensazione che Americani ed Inglesi sono molto, anche troppo per gli Inglesi, impegnati in operazioni di credito in Austria ed in Germania, per farvi fronte da soli: avranno sicuramente bisogno dell'intervento francese e la situazione finanziaria francese è tale che la finanza francese non solo è indispensabile ma dovrà assumere la parte maggiore, almeno i tre quinti, delle operazioni; quindi si dovrà ammettere il suo legittimo desiderio di garanzie politiche.

V.E. vede come si presenta la concezione francese da queste premesse. La solida e larga situazione finanziaria sarà una base su cui si opererà di fronte alle disastrose situazioni tedesca ed austriaca, di fronte alla non florida situazione finanziaria inglese ed agli impegni inglesi in Europa, di fronte agli impegni americani in Germania, per sostenere le tesi francesi e gli interessi francesi sia economici che politici. Si sente però contemporaneamente l'importanza dell'accordo politico con l'Italia al punto da avere già piani precisi

in proposito. Nei quali, secondo la odierna affermazione dell'autore [vole] Berthelot, è fatta all'Italia una adeguata soddisfazione. (Dopo quattro anni di esperienza non posso più dire altro che: « Vedremo, se son rose fioriranno , ).

(l) La risposta del ministero delle colonie non si è trovata. Con rapporto 3673/1201 del 16 novembre 1931 Cantalupo segnalò la oenetrazione commerciale sovietica in Egitto, con particolare riferimento al dumping dei tessuti di cotone e alla concorrenza che ciò rappresentava per le importazioni dall'Italia, tanto che vari commercianti italiani intendevano rifornirsi di merce sovietica. A questo rapporto Guariglia rispose con telespr. r. 202507 del 27 gennaio 1932, del quale si pubblica il passo seguente:

352

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, DE MARTINO

(Ed. in DB, II, n. 86)

T. PRECEDENZA ASSOLUTA 656/268. Roma, 24 giugno 1931, ore 21.

Suo telegramma 426 (1), e mio 267.

V.E. può assicurare a codesto Governo che la piena e cordiale adesione dell'Italia alla proposta Hoover non è subordinata a riserve di carattere politico (2). La nostra adesione è stata da S.E. il Capo del Governo formulata in termini non dissimili da quelli usati dal primo Ministro britannico. Osser

vazioni di cui si parla riguarderanno unicamente modalità di realizzazione dell'iniziativa americana.

V.E. ha pertanto opportunamente risposto al signor Stimson. Per quanto concerne la questione dell'accordo austro-tedesco, è evidente che vasta parte dell'opinione ·pubblica italiana, conscia degli svantaggi e dei pericoli sia economici sia politici che tale progettata unione presenta per l'Italia e per l'Europa, si sia preoccupata che ad una Germania liberata dagli oneri finanziari e sola a non avere il bilancio in forte passivo si renda assai più facile la realizzazione di quel progetto.

Di queste preoccupazioni ed apprensioni si sono fatti eco vari giornali stranieri che sono giunti fino a parlare di riserva italiana.

Ma il R... Governo pienamente rendendosi conto che la iniziativa del Presidente Hoover, di ordine economico e mondiale, non può essere abbinata o subordinata ai problemi di politica europea, per quanto importanti non ha pensato di formulare riserve di questo genere.

V.E. vorrà quindi adoperarsi per chiarire opportunamente e valorizzare nel modo migliore la nostra adesione che costa all'Italia, già in condizioni di grave inferiorità in seguito ai trattati di pace, e specialmente nell'attuale momento, dei sacrifici, ma che è stata pronta e spontanea, pienamente conseguente alle direttive segnate fin dal 1923 dal Capo del Governo fascista, e in tutto consapevole delle necessità del momento e dell'importanza morale e pratica del gesto americano.

Sarà utile altresì che V.E. accenni al generale favorevole atteggiamento della stampa italiana, che dà il maggiore e più simpatico rilievo alla iniziativa del Presidente Hoover ed all'adesione del Governo fascista.

(1) -Cfr. n. 349. (2) -Le riserve di carattere politico, sospettate dal governo americano, erano che l'Italia intendesse subordinare, come è noto, l'accettazione della proposta Hoover al divieto dell'unione doganale austro-tedesca. Cfr. in proposito DB, Il, nn. 78 e 83. Dopo la stesura del tel. che si pubblica nel testo, Grandi ebbe lo stesso giorno 24 un colloquio in proposito con
353

APPUNTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, SUL COLLOQUIO CON L'AMBASCIATORE D'INGHILTERRA A ROMA, GRAHAM

Roma, 24 giugno 1931.

Grandi -Metto Graham al corrente degli avvenimenti di questi ultimi giorni, soffermandomi ad illustrargli la portata dell'accettazione da parte dell'Italia

l'ambasciatore americano Garrett su richiesta del segretario di Stato Stimson. Grandi dichiarò a Garrett :

< È più che giustificato... che, senza determinare connessioni di sorta tra questo problema di carattere esclusivamente europeo e l'altro molto più vasto e mondiale della sospensione dei debiti e delle riparazioni, l'opinione pubblica italiana abbia espresso ed esprimala speranza che anche da parte tede~ca si faccia un gesto di solidarietà europea inteso a togliere gli allarmi destati dal progetto dell'unione doganale austro-tedesca. Essendo questotuttavia un problema esclusivamente europeo, la trattazione di esso sarà riservata in sede competente che non è naturalmente quella dell'esame della proposta del Presidente Hoover, che, ripeto ancora una volta. l'Italia accetta senza riserve, pur non nascondendosi, accanto ai vantaggi, i sacrifici che tale accettazione comporta al Bilancio dello Stato Italiano •.

Un primo progetto, minutato da Rosso, di risposta alla proposta Hoover subordinava l'assenso italiano a una garanzia contro l'unione doganale austro-tedesca. Tale progetto reca l'annotazione: «Superato •. Un successivo progetto di risposta ha solo un generico accenno alla questione dell'unione doganale austro-tedesca, accenno che risulta pot soppresso.

della proposta Hoover che deve essere intesa senza condizioni o riserve di alcun genere. A tal proposito consegno a Graham una copia del telegramma

n. 656/268 trasmesso all'Ambasciata d'Italia a Washington (l) (con qualche lieve correzione di forma, ma tale nella sostanza) pregando l'Ambasciatore britannico di comunicarlo nel testo integrale al Foreign Office. In tale telegramma è contenuta la illustrazione esatta del pensiero italiano sulla questione.

Graham -Non mi nasconde le sue preoccupazioni sulla portata e gli effetti della proposta Hoover e sugli inconvenienti a cui essa darà luogo nella .sua applicazione. Non è evidentemente possibile, per molte ragioni osteggiare

o fare difficoltà alla proposta americana. Il semplicismo degli americani, ed il metodo miracolistico con cui essi procedono non permettono quell'esame analitico e necessario della complicata rete dei problemi europei. Bisogna quindi accettare. • Ma non credo che notevoli difficoltà saranno evitate quando si passerà all'applicazione pratica della proposta. Mi rendo perfettamente conto delle preoccupazioni evidenti sorte in Italia per cui il sacrificio dell'Italia, che è veramente notevole possa in realtà rinforzare la Germania rendendo più facile l'attuazione del suo programma, ormai proclamato senza reticenze politiche o diplomatiche, dell'incorporazione dell'Austria nel Reich •.

Grandi -A proposito di ciò desidero molto brevemente confermarvi la posizione dell'Italia con preghiera di portare su di essa l'attenzione del Governo britannico. L'Italia, come la Gran Bretagna, hanno sempre sentito il dovere di opporsi a qualsiasi tentativo di egemonia europea, persuase che la pace dell'Europa non è altro che un problema di equilibrio tra Potenze. Per questo abbiamo fatto la guerra alla Germania, e per lo stesso principio Gran Bretagna ed Italia si sono trovate sin dai primi anni del dopo-guerra l'una a fianco dell'altra per resistere ad un nuovo tentativo di egemonia politica e militare, quella della Francia. Perciò l'Italia ha sempre lealmente ed onestamente favorito tutte le iniziative destinate a sollevare la difficile situazione della Germania. Così il Governo fascista ha veduto con simpatia il nuovo orientamento della politica britannica di quest'ultimo anno inteso ad un maggiore riavvicinamento con la Germania. Ci rendiamo anche conto che l'inattesa mossa tedesca diretta a realizzare, sia pure gradualmente il programma di unione tra la Germania e l'Austria, abbia trovato la Gran Bretagna neutrale, se non addirittura, per il fatto stesso di esser neutrale, favorevole. l.VIa nello stesso tempo, io prego vivamente il signor Henderson di rendersi pienamente conto della situazione difficile in cui è venuta a trovarsi improvvisamente la politica dell'Italia di fronte all'inattesa mossa tedesca che viene a ferire direttamente i nostri interessi politici ed economici al nord ed all'est delle nostre frontiere.

L'Italia rischia di trovarsi quanto prima ad un bivio importante della sua politica. Non vorrei che la grossolana manovra tedesca avesse come effetto automatico di determinare un ravvicinamento italo-francese al di sopra dei molti problemi, sin qui divergenti o almeno non risolti, tra Francia ed Italia. Fedele cùllaboratore di una comune po1itica italo-britannica nei grandi pro

blemi d'Europa, il Governo italiano non può fare a meno di far sentire all'amico Governo britannico la delicatezza della posizione in cui l'Italia è venuta a trovarsi. È sua fiducia che il Governo britannico vorrà spiegare tutta l'autorità e l'influenza che gli derivano dal fatto di una collaborazione più stretta col Governo tedesco affinchè quest'ultimo non renda disagevole e forse impossibile la continuazione di una linea di azione politica in cui l'Italia, la Germania e l'Inghilterra possono essere parimenti interessate (1).

(l) Cfr. n. 352.

354

NOTA VERBALE DELL'AMBASCIATA PRESSO L,A SANTA SEDE ALLA SEGRETERIA DI STATO (2)

Roma, 24 giugno 1931 (3).

La R. Ambasciata d'Italia ha l'onore di informare la Segreteria di Stato che il R. Ministero degli Affari Esteri ha ricevuto la nota della Nunziatura Apostolica in d~ta 12 Giugno c.a. N. 1811 (4). In merito a quella Nota la R. Ambasciata comunica quanto segue, d'ordine del suo Governo.

Innanzi tutti il R. Governo, mentre prende atto dei ringraziamenti espressi dalla Nunziatura Apostolica, deve a sua volta ringraziare la Santa Sede per non avere insistito sulla richiesta contenuta nell'ultima parte della Nota N. 1796 del 29 Maggio (5).

Per quanto concerne il merito della Nota cui si risponde, il R. Governo comincia col rilevare, che secondo quella Nota, nessuna parola di riprovazione sarebbe stata detta per gli incidenti oggetto delle Note NN. 1796 e 1806 (6) della Nunziatura Apostolica.

Il R. Governo ritiene superfluo di ripetere che una severa inchiesta è

in corso per accertare se e chi siano i colpevoli di offese alla Persona del

Sommo Pontefice e di danneggiamenti a Palazzi Pontifici, nonché per stabilire

eventuali responsabilità al riguardo. Nella assicurazione data di procedere

contro quegli individui che fossero riconosciuti colpevoli di reati a norma delle

Leggi in vigore e di adottare le misure del caso contro gli eventuali respon

sabili, è implicito il concetto della deplorazione. Tuttavia, se risulti che offese

sono state rivolte alla Persona del Sommo Pontefice, il R. Governo non può che

deplorarle vivamente.

Ciò premesso il R. Governo non può non fare rilevare di essere tuttora

in attesa della deplorazione richiesta da molti mesi alla Santa Sede, per gravi

manifestazioni contro l'Italia compiute dalle Autorità ecclesiastiche di Zaga

bria e di altre località del Regno di Jugoslavia.

La nota della Nunziatura Apostolica aggiunge che i fatti lamentati erano stati • verificati da parte della Santa Sede •. Il R. Governo deve fare seriamente rilevare che la Santa Sede non può avere competenza per procedere ad indagini e tanto meno a verifiche nel territorio italiano e che pertanto i fatti potranno essere considerati accertati solo quando sarà espletata l'inchiesta in corso da parte delle R. Autorità che ne sono investite.

Il R. Governo reputa non necessario seguire la Nota 1811 della Nunziatura Apostolica nei raffronti che essa intende stabilire fra quanto è accaduto in altri Paesi e quanto non è accaduto in Italia. Esso si limita ad una constatazione di fatto, che il popolo italiano non può trascurare, e cioè il diverso atteggiamento assunto dalla Santa Sede nei riguardi dell'Italia e di altri Paesi.

Per quanto concerne le Associazioni che svolgono una attività nel territorio del Regno e che hanno la sede centrale in edifici che godono di extraterritorialità, il R. Governo non ha motivo alcuno di modificare il proprio punto di vista. La concessione dell'extra-territorialità impone naturalmente alla Santa Sede maggiori doveri e maggiori riguardi, e in ogni modo non è ammissibile che tale privilegio si converta in un'arma di lotta contro lo Stato Italiano. Tanto meno quindi è ammissibile l'affermazione contenuta nella Nota più volte citata che la Santa Sede possa comunque assumersi la responsabilità di fronte all'Italia del contegno e degli atti di Istituti e di persone a tutti gli effetti italiani quasi volendo sottrarli così alla sovranità dello Stato ed alla normale giurisdizione competente.

Il R. Governo prende atto dell'ammissione che i noti verbali delle riunioni segrete dell'Azione Cattolica furono contraffatti da delatori. In un primo tempo -gioverà ricordare -il foglio ufficiale della Città del Vaticano, ebbe a dichiarare tali verbali semplicemente falsi; oggi la Nota 1811 li dichiara semplicemente contraffatti ad opera di delatori. Comunque, è assodato:

l) che ci furono riunioni segrete;

2) che quanto vi si disse e minacciò era tale da sollevare una emozione

ed indignazione profonda in ogni parte d'Italia.

Oltre poi le parole conta ,lo spirito: ebbene il R. Governo afferma che

lo spirito informatore di tali riunioni segrete fu nettamente contrario al Regime

ed all'Italia. Furono sedute di vera e propria sedizione contro le Leggi dello Stato. E questo spiega il loro più che massonico, ma ciò non pertanto svelato carattere segreto.

Il R. Governo non crede il caso di riporre in discussione le misure

prese nei riguardi delle Associazioni giovanili cattoliche, il cui spirito si era

ormai orientato contro lo Stato fascista. Non solo questi gruppi avevano dato

alle loro funzioni l'aspetto tipico del Partito, ma la loro terminologia militare

(non si escludevano neppure le « trincee di seconda linea ») dava ormai la

impressione di organizzazioni che si preparavano a svolgere attività sediziosa.

Il R. Governo è intervenuto perché l'attività svolta da tali associazioni

non era consentita dalle Leggi dello Stato e perché « l'andatura • psicologica

e politica di quei gruppi stessi era tale che avrebbe potuto portare a serì

conflitti. Con lo sciogliere e vietare queste formazioni, il R. Governo ha

reso in tempo utile un servizio anche alla Chiesa, che domani sarebbe stata

ben di più compromessa dal rancore che cova nell'animo degli ex-uomini del Partito popolare, oggi in quasi tutte le località d'Italia, dirigenti dell'Azione Cattolica, e spesso ricoverati, a guisa di fuorusciti nella stessa Città del Vaticano. Basti citare l'esempio dell'ex-deputato De Gasperi, già Segretario del Partito popolare, arrestato a suo tempo per tentativo di espatrio clandestino colla complicità di una organizzazione straniera.

Per definire il carattere che quelle Associazioni erano venute fatalmente assumendo, basterà accennare che lo stesso Presidente dell'Azione Cattolica, Comm. Ciriaci, conferendo col Sottosegretario di Stato agli Interni, ha ammesso che gli anti-fascisti, dagli anarchici ai massoni, facevano capo ormai all'Azione Cattolica e che si stava organizzando un movimento sovversivo, non dissimile da altro movimento già inutilmente tentato nel 1923, in cui • Viva il Papa • doveva oggi sottintesamente significare • Abbasso il Fascismo •.

Il R. Governo non si ferma, né questa sarebbe sede propria, su tutti gli atti, ed i discorsi sovversivi che hanno avuto luogo in territorio del Regno per opera di elementi appartenenti alle Associazioni in questione.

Per ciò che concerne invece le Associazioni a carattere esclusivamente religioso come • Figlie di Maria •, Congregazioni, oratori e simili, ordini sono stati già impartiti perché non siano comprese nel recente p~ovvedimento di scioglimento e di divieto.

Il R. Governo non intende di ritornare sull'atteggiamento assunto dalla Santa Sede dopo gli ultimi avvenimenti, né soffermarsi ulteriormente sui telegrammi, i discorsi, i divieti, gli appelli alle opinioni pubbliche straniere. Constata -a parte ogni altra cm:siderazione -che tale atteggiamento diretto a portare i recenti avvenimenti fuori della sede propria, continua tuttora; il

R. Governo deve pertanto riconfermare la sua più alta ·protesta. Tale protesta è tanto più giustificata dal discorso pronunciato dal Sommo Pontefice agli alunni e dirigenti di Propaganda Fide, nel quale discorso -vero grido di guerra -si cerca di fare un fronte unico mondiale (cattolico e non cattolico) contro l'Italia e si additano all'odio le formazioni del Partito Nazionale Fascista.

Il R. Governo esclude poi che l'ordine del giorno del Direttorio del Partito Nazio11ale Fascista abbia suscitato allarme fra i cattolici italiani ed esteri. La Nota 1811 riporta la chiusa di tale ordine del giorno, ma non la prima parte, nella quale viene riaffermato il rispetto per la Religione Catto

lica, per i suoi Ministri, ecc. -È, d'altronde, perfettamente logico che di fronte ai pericoli insiti nel carattere sovversivo di cui le stesse riunioni segrete dell'Azione Cattolica erano un indice evidente, il Partito Nazionale Fascista, che è « la spina dorsale del Regime » abbia espresso tempestivamente il suo monito. Si deve pure ricordare che il Fascismo non è giunto al potere attraverso un compromesso di corridoio, ma attraverso una sanguinosa lotta durata sei anni e che ha imposto il sacrificio di migliaia di esistenze. È quindi logico e doveroso che gli organi del Regime siano vigilanti contro chiunque voglia disperdere od annullare tanto sacrificio.

Il R. Governo comunica infine che concorda con la Nota 1811 della Nunziatura Apostolica nell'opportunità di precisare a norma dell'art. 44 del Concordato il contenuto dell'art. 43, l'unico articolo che di tutto il complesso

delle Convenzioni Lateranensi è stato, e finché non sia chiarito, sarà oggetto

di controversie. Non vede peraltro perché la 6anta Sede verrebbe a trovarsi,

come è accennato nella Nota stessa, in posizione giuridica di inferiorità in

seguito ai provvedimenti recenti. A prescindere infatti dal carattere di per

sé stante dell'atto da compiersi (interpretazione di una clausola) esula dal

provvedimento in parola ogni concetto di bilateralità, in quanto il R. Governo

ha dovuto cessare di riconoscere determinate organizzazioni dipendenti dell'Azio

ne Cattolica il giorno in cui dalle Autorità Italiane -uniche competenti -è

stato accertato che esse svolgevano attività politica contro lo Stato e le sue leggi,

ponendosi così di per se stesse al di fuori di quelle organizzazioni che l'art. 43

prevede.

La R. Ambasciata d'Italia ha pertanto l'onore di informare che il R. Governo

non ha per parte sua difficoltà ad accedere alla proposta della Santa Sede per

l'inizio di conversazioni allo scopo di raggiungere una amichevole e rapida

soluzione della presente controversia (1).

(l) Il 26 giugno il ministro d'Ungheria a Roma, Hory, segnalava che l'opposizione italiana all'unione doganale austro-tedesca era diventata più netta (M. 0RMOS, L'opinione ecc., p. 310).

(2) Cfr. MARTIN!, op. cit., pp. 144, 149-150; e DE FELICE, Mussolini, pp. 260-261.

(3) -Altra copia è datata 23 giugno. La nota fu consegnata il 24. (4) -Cfr. n. 330. (5) -Cfr. n. 294, allegato. (6) -Cfr. n. 319.
355

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. 1838/429. Washington, 25 giugno 1931, ore 12,39 (per. ore 22).

Telegramma di V. E. N. 268 (2) giunse iersera alle 19 e 30 (3) decifrato alle 21, troppo tardi per colloquio con Stimson. Ne avvisai però subito Castle. Ma era già stato preceduto da un telegramma di Garrett, in seguito al quale il Dipartimento di Stato emanò iersera alle ore 20 un comunicato alla stampa, di cui trasmetto il testo in chiaro col N. 430.

Stamane di buon'ora mi sono espresso con Castle in conformità del sud1etto telegramma V. E. 268, ,premendomi che il contenuto di esso fosse portato immediatamente a conoscenza del Presidente Hoover, ciò che è stato fatto. Castle espresse il suo vivissimo compiacimento. Vedrò oggi stesso anche il Segretario di Stato Stimson.

In relazione al suddetto comunicato -che, ripeto, il Dipartimento di Stato ha emanato in seguito a telegramma di Garrett -mi preme precisare che l'allarme per l'asserito abbinamento con la questione austro-tedesca non fu affatto provocato dal telegramma in chiaro del Capo del Governo (4) e dall'accenno in esso contenuto a nostre • osservazioni » da formulare in seguito. Esso fu provocato dalle precise notizie telegrafate dai corrispondenti da Roma e dal telegramma di Garrett, al quale io ho fatto una allusione nel mio telegramma 426 del 23 corrente (5). Aggiungo che l'inquietudine si è mani

festata più nei circoli governativi che in quelli di stampa, perché negli scorsi due giorni io ho preso su di me di dichiarare che, sino a che non avessi ricevuto istruzioni dell'E.V., non prestavo alcuna fede ai telegrammi dei corrispondenti da Roma.

Forse l'ufficio competente di codesto Ministero vorrà considerare l'opportunità di tenermi un poco più al corrente in eventuali analoghe circostanze.

(l) -Il documento fu inviato da Grandi in visione al re. (2) -Cfr. n. 352. (3) -Ora americana 19,30 (il tel. n. 268 partì da Roma alle ore 21 del 24 giugno). [Notadel documento]. (4) -Cfr. n. 348. (5) -Cfr. n. 349.
356

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, PATERNO'

T. 666/160. Roma, 25 giugno 1931, ore 24.

Suo telegramma segreto 227 (1). D'accordo con Ministero Colonie questoMinistero pur mantenendo suoi dubbi circa opportunità nell'attuale momento visita S.E. Astuto costì, consente tuttavia, tenendo conto delle ragioni esposte da V.S., acché V.S. prenda accordi direttamente con S.E. Astuto per determinare epoca e forma più opportune in cui detta visita potrebbe aver luogo.

Ministero Colonie provvede impartire Asmara analoghe istruzioni.

Date complesse esigenze nostra azione politica in Etiopia, ben note anche a V.S., la S.V. vorrà d'accordo con S.E. Astuto procedere in guisa che visita di cui si tratta, a parte i vantaggi d'indole politica che V.S. si ripromette di trarvi per il complesso dei rapporti italo-etiopici, non si risolva in un ulteriore rafforzamento del prestigio del Governo Centrale. Devesi in ogni modo evitare l'impressione che nostro favore sia tutto per imperatore ad esclusione dei capi locali tuttora trattenuti costì.

357

APPUNTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, SUL COLLOQUIO CON L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, BEAUMARCHAIS

Roma, 25 giugno 1931.

Beaumarchais -Sono rientrato ieri sera da Parigi. Sono stato ricevutodal Presidente Lavai il quale mi ha incaricato di far pervenire direttamente al Capo del Governo questo suo messaggio personale, nei seguenti termini: « Il Presidente Lavai è fermamente convinto della necessità che un accordo il più sincero il più cordiale e il più comprensivo debba essere raggiunto tra la Francia e l'Italia. Il Presidente Lavai è estremamente pr.eoccupato degli avvenimenti interni della Germania, per cui è da prevedere in brevissimo tempo una ripresa offensiva nel campo politico ed economico da parte della Germania che i recenti avvenimenti non mancheranno di imbaldanzire oltre

misura. Il Presidente Lavai domanda soltanto un po' di tempo quale gli è necessario per superare tutte le difficoltà che per un accordo di tal genere gli vengono e gli verranno dal Parlamento. Il Presidente Laval spera di poter condurre in porto l'accordo navale e confida per questo che da parte del Governo italiano si potrà fare qualche ulteriore sacrificio per venire incontro ai sacrifici che la Francia è disposta a fare. Il Presidente Laval mi ha dichiarato altresì che quando si negozia un accordo tra due Stati le condizioni di tale accordo possono mutare quando si abbia la sicurezza di trattare con uno Stato amico ed alleato , . Sin qui il Presidente Laval.

Sono poi stato ricevuto dal Ministro della Marina Dumont il quale mi ha confermato essere nel suo convincimento che l'Italia ha diritto alla parità con la Francia nel Mediterraneo, ma che la Francia ha bisogno di una parte della sua flotta per difendere i mari del nord e per le sue necessità coloniali. Egli non vedrebbe nulla in contrario ad un accordo mediante il quale ad esempio la Francia si impegnasse a mantenere questa flotta fuori del Mediterraneo.

Grandi -La stessa tesi, in sostanza, dei predecessori Leygues e Dumesnil... Niente è cambiato. Beaumarchais -Non lo so perché io non conosco i precedenti. Potete dirmi nulla delle intenzioni italiane a proposito dell'iniziativa americana? Grandi -Nulla più di quello che è stato già comunicato al Governo francese. L'Italia accetta senza condizioni la proposta Hoover.

Beaumarchais -Ed ora vorrei parlarvi di un'altra questione. Ho letto sui giornali del volo del Ministro Balbo sul Tibesti. Il Tibesti è territorio francese, e poiché non mi risulta che vi sia stata autorizzazione da parte del Governo francese a tale sorvolo, vi sarei grato di rassicurarmi che le notizie dei giornali sono inesatte. Non posso fare a meno tuttavia di segnalarvi uno schizzo apparso nel giornale • Messaggero , di stamane. È evidente che in tale schizzo è stata espressamente cancellata la linea di demarcazione che segna il confine fra il territorio francese e quello italiano, e che tale cancellazione sia manifesta si desume dal fatto che il tracciato è rimasto, malgrado le intenzioni del disegnatore, nel tratto che indica la zona montuosa del Tibesti nella sua parte nord. Questo mi fa pensare che il Generale Balbo abbia avuto la coscienza di sorvolare al di là del confine tracciato, poiché altrimenti non vi sarebbe stata ragione di effettuare questa cancellazione nella carta.

Grandi -Non so precisamente che connessione possa esistere tra il volo del Generale Balbo che si trova in questo momento nel cielo del Sahara e gli schizzi di un giornale mattutino. Io non voglio difendere la maggiore o minore esattezza dell'Ufficio Cartografico del « Messaggero , , ma è evidente che il redattore del giornale non avendo a sua disposizione una carta esclusivamente orografica ha dovuto servirsi di una carta geografico-politica cui ha probabilmente apportato, nell'imminenza dell'uscita del giornale quelle modificazioni

necessarie ad evitare l'inconveniente che voi, signor Ambasciatore, siete stato così, oserei dire troppo, diligente nel segnalarmi. Non posso però fare a meno di protestare per la gratuita asserzione con cui voi abbinate una pretesa intenzione del Ministro Balbo di sconfinare in territorio francese e le asserite inesattezze di uno schizzo di un giornale.

Beaumarchais -Vi sarò tuttavia grato se mi rassicurerete, anche allo

scopo di evitare incresciose polemiche (1). Grandi -Al ritorno di Balbo avremo modo di parlarne. Beaumarchais -Ed ora un'altra questione. Vi ho mandato parecchie let

tere per protestare contro il piano regolatore di Roma il quale verrebbe a danneggiare, nella sua esecuzione, alcune proprietà di conventi francesi in Roma. Nessuna risposta è pervenuta, al contrario ho visto annunciato con molta sorpresa che è stata votata una legge da parte del Consiglio dei Ministri mediante la quale il piano regolatore è stato approvato. Io non posso che ripetervi questa mia protesta con grande energia, e ricordarvi: l) che in una mia lettera mi sono riferito ad alcuni diritti di proprietà che lo Stato Italiano ha tuttora a Hautecombe. Questo accenno è sufficiente per fare intendere come il Governo francese sarebbe costretto, in caso di non rispetto dei conventi francesi a Roma di usare le stesse misure su quanto possa interessare l'Italia a Hautecombe. L'accenno è troppo chiaro perché voi non mi comprendiate; 2) che nel 1925 l'Ambasciata di Francia ha firmato una Convenzione col Governatore di Roma per la quale il Governatorato si impegnava a non adottare certe misure nei riguardi di queste proprietà di ecclesiastici francesi. Si tratta quindi da parte del Governo italiano di una vera violazione di un accordo con uno Stato estero. Sopra di ciò vi ripeto che debbo attirare la vostra più seria attenzione.

Grandi -Vi risponderò con molta calma e senza rilevare alcune cose spiacevoli da voi pronunciate, e che forse sono andate oltre il vostro pensiero. La base del vostro ragionamento non ha alcun fondamento. Io non conosco i termini di questa Convenzione tra il Governatorato e l'Ambasciata di Francia. So soltanto che il Governatorato per sottoscrivere questa Convenzione, che ignoro, non ha domandato né voi l'avete domandato, di essere munito di • pieni poteri •. Ragion per cui la Convenzione non esce evidentemente da un rapporto esclusivamente privato fra un Ente pubblico, la città di Roma e l'Ambasciatore di Francia nella sua qualità di rappresentante di interessi privati francesi, e non già nella sua qualità di rappresentante dello Stato francese. Ragion per cui è sempl~emente assurdo da parte vostra non dico il pretendere ma semplicemente il pensare che una convenzione di tal genere possa essere sottratta al dominio ordinario delle leggi dello Stato italiano. Spero che voi non pretenderete che i conventi francesi a Roma siano da noi considerati come dei palazzi extra-territoriali a guisa di quelli della Città del Vaticano. Se il piann regolatore di Roma, nella sua attuazione, arrecherà dei danni materiali a proprietà francesi, i proprietari, a guisa di tutti gli altri privati hanno il diritto e la facoltà di invocare gli indennizzi previsti dalle leggi ordinarie e da quelle speciali relative alla esecuzione del piano regolatore medesimo.

Beaumarchais -Non desidero entrare per ora in queste discussioni e mi limito a domandarvi un atto di cortesia internazionale. Non ho ancora avuto risposta alle numerose lettere che ho scritto sull'argomento.

Grandi -Probabilmente la risposta non vi è stata data ancora per il fatto che essa, dovendo essere necessariamente sfavorevole, gli Uffici di Palazzo Chigi avranno probabilmente pensato che era più gentile !asciarvi capire anziché dirvi chiaramente che il vostro passo non aveva luogo di essere.

Beaumarchais -Vi prego di sollecitare una risposta da parte del Governatore perché il Governo francese tiene enormemente alla sistemazione di questa questione. Probabilmente da parte del Governatorato non è stata esaminata la cosa in tutti i suoi dettagli. Evidentemente al Campidoglio, non vi sono dei diplomatici.

Grandi -Appunto. Non è il caso di rammaricarsene, dato che anche i diplomatici finiscono frequentemente col non essere diplomatici.

(1) Cfr. p. 380, nota 2.

(l) Fin dal 27 marzo il ministero delle colonie aveva segnalato la tendenza francese a occupare l'intero territorio del Tibesti, indebolendo così « la posizione dell'Italia in una eventuale trattativa per la definizione del confine meridionale libico •. Cfr. in proposito il telespr. rr. 69678 dell'll dicembre 1931 a firma De Bona.

358

APPUNTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, SUL COLLOQUIO CON L'AMBASCIATORE DI GERMANIA A ROMA, SCHUBERT (l)

Roma, 25 giugno 1931.

Von Schubert -Si scusa per avermi chiesto di essere ricevuto d'urgenza. Egli ha l'incarico di consegnarmi da parte del Ministro Curtius, un pro-memoria illustrativo della situazione, a suo avviso disperata, in cui si trova la Germania. La proposta americana giunta due giorni fa ha sollevato la situazione ma la crisi permane tuttora e non sarà sanata se non quando la proposta Hoover sarà stata accettata da tutti gli Stati creditori della Germania. Von Schubert è preoccupato di quello che possa essere l'attitudine del Governo italiano in vista dei commenti apparsi nella stampa italiana ma soprattutto delle impressioni avute dai corrispondenti esteri da parte del Capo Ufficio Stampa del Capo del Governo, il quale, ricevendo la stampa straniera, avrebbe parlato esplicitamente di • condizioni • da parte dell'Italia sul problema dell'Anschluss austro-tedesco. Grandi -Posso informarvi ufficialmente che il Capo del Governo Italiano sin da ieri sera ha comunicato al Governo americano l'accettazione piena ed incondizionata da parte dell'Italia della proposta Hoover (2). A quest'ora il nostro Ambasciatore a Berlino ritengo abbia già fatto analoga comur..icazione al Governo del Reich. Nessun ostacolo quindi da parte italiana, anzi massimo favore. Il che tuttavia non impedisce che alcune preoccupazioni di cui si sono fatte eco autorevoli voci della stampa italiana siano a mio avviso più che giustificate. Se bene ho letto nessun giornale italiano accenna a condizioni o riserve, e se i corrispondenti stranieri hanno avuto da comunicazioni più o meno ufficiose un'impressione del genere, questa non risponde alla realtà. Ma la preoccupazione italiana esiste ed è bene che il Governo tedesco se ne renda pienamente conto. Nel momento in cui l'Italia fa un sacrificio non indifferente a scapito del suo Bilancio, che è in deficit, ella ha il diritto di chiedersi se per avventura tale sacrificio non debba andare a rinforzare un programma

d'azione nell'apparenza economico, ma nella sostanza politico, che la Germania ha iniziato e che è diretto a colpire dei forti interessi italiani. Il Governo tedesco ha dichiarato che il progetto di unione doganale era un mezzo per sollevare le difficili situazioni della Germania. Ecco che attraverso la proposta di Hoover si offre alla Germania un mezzo cento volte più efficace per alleviare tali difficili situazioni economiche. È più che logico, quindi, è naturale, che la Germania di fronte a tale benefizio, di cui è sola ad usufruire, risponda con un gesto ispirato ad altrettanta buona volontà di solidarietà internazionale, e cioè col lasciar cadere un progetto che ha suscitato tanto allarme e preoccupazioni in Europa. Noi non intendiamo legare con una connessione diplomatica la proposta Hoover coi progetti di unioni doganali tedeschi. Questi ultimi sono un problema esclusivamente europeo che sarà discusso tra i Governi europei.

Von Schubert -Il Governo del Reich, a mio avviso, non può accettare di mettere insieme i due problemi che riguardano campi così diversi. Allora da quanto voi mi dite il Governo Italiano si riserverebbe di fare in seguito questa riserva?

Grandi -Non lo so. Oggi non la fa. Per il domani vedremo. Con l'accettazione della proposta Hoover si risolve un grande problema, sia pure provvisoriamente. Avremo molto tempo davanti a noi per esaminare calmamente le questioni che interessano i nostri Paesi. Il Governo tedesco, col suo annunzio del 17 di marzo, ha determinato un brusco arresto di quello che era lo svolgimento logico e conseguente della politica italiana da dieci anni a questa parte. È ben vero: il 17 di marzo, comunicando al Governo Italiano il progetto di unione doganale austro-tedesca (1), voi avete altresì comunicato ufficialmente la intenzione del Governo germanico di sviluppare una più intima collaborazione coll'Italia nella politica europea. Non posso fare a meno, come ho già detto al Ministro Curtius, di constatare il modo, per lo meno strano, con cui il Governo del Reich intende la collaborazione internazionale, almeno con l'Italia.

Von Schubert -Ma io non vedo in verità in che cosa l'Italia potrebbe esser danneggiata domani da un'unione fra l'Austria e la Germania. La Germania viceversa ha sempre pensato ad una collaborazione itala-germanica nei Paesi dell'Europa danubiana.

Grandi -Anche noi vi abbiamo pensato. Ma questa è una cosa e l'Anschluss è un'altra. Il problema dell'unione fra la Germania e l'Austria è il problema determinante nei rapporti fra l'Italia e la Germania. Io non vorrei che da parte tedesca si ripetessero antichi errori di valutazione politica che hanno portato, in tempi non lontani, a conseguenze impreviste da parte degli uomini responsabili della politica tedesca. Ho l'impressione che la Germania stia facendo del suo meglio perché Italia e Francia possano superare le divergenze di sentimenti e di interessi che le hanno sinora divise.

Von Schubert -Io vorrei pregarvi di permettermi di riprendere la con· versazione domani. Dobbiamo parlare a lungo su questo argomento. Io spero di potervi convincere.

(cfr. n. 142).

(1) Il doc. è cit. in DE FELICE, Mussolini, p. 388, con data 24 giugno, giorno in cui ebbe luogo il colloquio.

(2) Cfr. n. 348.

(l) In realtà la comunicazione al Governo italiano era avvenuta il 21 marzo (cfr. n. 150).Il 17 marzo il progetto di unione doganale era stato annunciato dalla Neue Freie Presse

359

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, CHIARAMONTE BORDONARO

TELESPR. U. 222705/417. Roma, 25 giugno 1931.

Suo telespresso 1300 e suo telegramma 336 rispettivamente del 12 e del

15 corrente (1).

Prendo atto di quanto V.E. ha riferito circa i passi compiuti da codesta

Ambasciata in merito alle questioni sorgenti dalla cessazione del Mandato

Irakiano.

Desidero tuttavia notare che dalle pratiche svolte da V.E. presso il Signor Cadogan, al quale il Signor Henderson la ha rinviata dopo il breve accenno fattogli inizialmente da V.E., non potevano attendersi diversi e più soddisfacenti risultati. Si tratta di far comprendere a codesto Governo che noi attribuiamo a questa questione una notevole importanza nel quadro generale dei rapporti itala-britannici. Noi ci rendiamo conto delle esigenze imperiali britanniche; ma vorremmo che ugualmente cotesto Governo si rendesse conto che l'Italia, esclusa ingiustamente dall'attribuzione di mandati coloniali in seguito alla guerra insieme combattuta e vinta, potrebbe difficilmente consentire che, nel momento in cui uno di questi mandati cessa, il modo di cessazione sia tale da venire sostanzialmente a vantaggio esclusivo dello Stato mandatario, il quale nel caso specifico, a mezzo del Trattato anglo-irakiano del giugno 1930, consolida nell'orbita dell'Impero britannico lo Stato dell'Irak.

Il carattere delle questioni sorgenti dalla cessazione del Mandato irakiano è di tal natura da rendere consigliabile che V. E. intrattenga su di esse nuovamente e personalmente il Signor Henderson, illustrandogli il nostro punto di vista. L'Italia desidera evitare dei pubblici contrasti a Ginevra su questo argomento, ed è perciò che si è affrettata a prender tempestivamente contatto col Governo britannico, nella fiducia che un franco scambio di idee ed una reciproca comprensione delle rispettive condizioni possano condurre ad una intesa che, pur consentendo al Governo di Londra il raggiungimento dei suoi scopi, sia tale da non compromettere la procedura da adottarsi nel caso di cessazione del regime di mandato ed insieme da tutelare i nostri interessi.

Nel mentre quindi La prego di riprendere a trattare la questione col Signor Henderson, dandogli la sensazione dell'importanza che il R. Governo le attribuisce, colgo l'occasione per ribattere alcune osservazioni fatte a V. E. dal Signor Cadogan.

La Commissione permanente dei Mandati riceve, è vero, periodiche informazioni dalla Potenza Mandataria sullo stato di fatto esistente nell'Irak. Tali informazioni possono anche essere ritenute sufficienti finchè si tratti di controllare il normale andamento del mandato. Oggi si deve riprendere in dettagliato esame tutto il complesso del lavoro compiuto dalla Potenza Mandataria, e giudicare se l'Irak sia giunto alla maturità necessaria per poter governarsi

20 -Documenti diplomatici-Serie VII-Vol. X

da sè e se sia quindi così adempiuto lo scopo previsto dall'art. 22 del Patto della S.d.N. Per un esame di tale genere, sembra al R. Governo indispensabile un'indagine diretta da parte della S.d.N. Con ciò il Governo italiano non vuol esprimere alcuna diffidenza sul contenuto dei rapporti della Potenza Mandataria alla S.d.N. ma intende di affermare un principio che, come per l'Irak, varrà successivamente per tutti gli altri casi di cessazione di mandato.

Nè si vede per quale ragione un'inchiesta diretta della S.d.N. potrebbe sollevare, come Le ha accennato il Signor Cadogan, malumori di ordine interno nell'Irak. Se tali malumori pure in genere esistono, è bene ad ogni modo che la S.d.N. ne abbia contezza, in modo che possa giudicare ed apprezzare quale valore meritino.

Difficile sembra poi ammettere una eventuale soluzione che stabilisca per l'avvenire una determinata procedura da seguirsi per la cessazione del regime di mandato, senza che tale procedura venga adottata anche nel primo caso pratico che si presenta, quello dell'Irak.

In quanto alla salvaguardia degli interessi italiani, questo Ministero non esclude che tale salvaguardia possa essere escogitata e trovata nell'ambito societario, e che quindi non vi sia in definitiva bisogno di ricorrere ad uno speciale trattato analogo a quello anglo-americano-irakiano. Verranno esaminati i risultati dello studio che al riguardo faranno gli organi competenti di Ginevra; ma è bene che il Governo britannico sappia fin d'ora che il Governo italiano non potrebbe ammettere una situazione per i propri cittadini e per i propri interessi nell'Irak inferiore a quella che già si sono garantiti ad es. gli Stati Uniti con il suddetto trattato.

Prendo nota delle prevedibili obbiezioni, esposte da V.E., circa il carattere privato delle contropartite che eventualmente tenderemmo ad ottenere da cotesto Governo. Tali obbiezioni dovranno essere discusse al momento opportuno; quando cioè si fosse riusciti ad ottenere un'adesione britannica di massima al nostro punto di vista.

Resto in attesa di conoscere l'esito di nuovi passi che V.E. condurrà personalmente col Signor Henderson.

Nel frattempo questo Ministero mette al corrente dello stato attuale delle conversazioni con cotesto Governo il Rappresentante italiano nella commissione permanente dei Mandati.

(1) Cfr. n. 335.

360

L'ADDETTO NAVALE A BERLINO, TREBILIANI, AL CAPO DI STATO MAGGIORE DELLA MARINA, BURZAGLI

(USM, cart. 3240/4)

N. 1135 R.P. Berlino, 25 giugno 1931.

A seguito del mio foglio 1082 del 15 giugno u.s. e con riferimento al dispaccio 17610 del 18 maggio u.s. rimetto cui accluso a V.E. un pro-memoria che ho presentato a S.E. l'Ambasciatore circa un secondo colloquio che ho

avuto col Viceammiraglio Freiherr von Freyberg-Eisemberg-Allmendingen sulla stessa questione di cui al mio precedente pro-memoria (1).

L'ammiraglio ha fatto questa volta, per incarico che come prevedevo gli è stato affidato, un passo ufficiale, che è certamente molto importante anche per le dichiarazioni con le quali è stato accompagnato.

Pregherei l'E.V. voler mettermi nelle condizioni di dare una risposta come il passo stesso richiede.

ALLEGATO,

PROMEMORIA DI TREBILIANI PER ORSINI BARONI

R. P. Berlino, 25 giugno 1931.

Faccio con il presente seguito al mio pro-memoria dell'H Giugno u.s. per riferire a V. E circa un altro colloquio, che ho avuto col Viceammiraglio von Freyberg-Eisenberg-Allmendingen.

Avendomi l'Ammiraglio fatto comunicare che avrebbe desiderato vedermi, mi sono recato nel suo ufficio alla Marineleitung questa mattina 25 Giugno.

Egli mi ha detto che dopo il nostro ultimo colloquio, avendo preso istruzioni alla Wilhelmstrasse, questa volta poteva dichiararmi che mi parlava in forma ufficiale.

Pertanto ufficialmente mi ripeteva l'invito di esaminare la possibilità e la convenienza di una preventiva intesa circa la condotta e l'eventualità di un reciproco appoggio sulle varie questioni da trattare alla futura conferenza del disarmo.

Un intenso lavoro preparatorio di intese e di accordi, in cui la Francia continua ad esplicare la sua più grande attività sarebbe in questo momento in pieno sviluppo.

Sarebbe pertanto importante contrapporre tempestiva opera atta ad attrarre nella sfera di comuni interessi le nazioni ancora libere.

L'Ammiraglio von Freyberg in via confidenziale mi ha detto di avere avuto ultimamente un colloquio con l'esperto militare ungherese nella Delegazione del disarmo, Colonnello von Siegler; dal colloquio ha rilevato che l'Ungheria, amica anche dell'Italia, non ha assolutamente interessi che impediscano una sua eventuale partecipazione ad un'intesa sia con la Germania, che con l'Italia sulle questioni del disarmo.

Alla stessa intesa avrebbe motivo di credere che potrebbero facilmente aderire anche la Danimarca, la Norvegia e la Finlandia, oltre le nazioni già indicate nel mio precedente pro-memoria e cioè la Svezia, l'Olanda e forse la Spagna.

L'Italia potrebbe inoltre attrarre a sé anche la Grecia e la Turchia. Si avrebbe così un nucleo di nazioni che potrebbero certo esercitare una influenza decisiva a Ginevra contro la coalizione francese. Nel mio precedente pro-memoria sono indicate le ragioni per le quali non sarebbe ritenuto possibile avere un'intesa con l'Inghilterra. Con l'America dopo gli ultimi avvenimenti si ritiene invece che la situazione sia divenuta meno sfavorevole.

(USM, cart. 32401 4) :

• Ai primi di giugno c.a. il nostro Addetto Navale presso la R. Ambasciata a Berlino venne invitato dal Capo della Marina tedesca Ammiraglio Riaeder, a conferire con il Vice Ammiraglio Von Freyberg Capo del 'Gruppo della Società delle Nazioni', al Ministero della Difesa e Delegato della Marina a Ginevra per i problemi del disarmo.

Una prima conversazione non ebbe carattere ufficiale e in essa l'Ammiraglio Freyberg illustrò l'opportunità di esaminare con un delegato italiano il problema del disarmo per mettere in evidenza i punti d'accordo e concretare una azione concorde durante la conferenza con lo scopo di contrastare l'opera della Francia e del gruppo delle Nazioni a lei legate. L'Ammiraglio Freyberg accennò alla possibilità di accordi con altre Nazioni minori, p.e.: Olanda, Svezia, ecc. •.

L'Ammiraglio von Freyberg penserebbe che un accordo preliminare fra le nazioni, con le quali risulti possibile intendersi, dovrebbe avvenire naturalmente in forma riservata e segreta, almeno sino all'inizio della Conferenza del disarmo.

Nei riguardi del disarmo navale l'Ammiraglio non pone in dubbio che sia possibile un'intesa con l'Italia, perché i principi esposti dalle nostre delegazioni alle varie conferenze rivelano nelle loro linee generali punti di vista non contrastanti con quelli che la Germania è propensa a sostenere e cioè:

1o Limitazione delle spese di bilancio annuale.

2° -Limitazione delle navi per categorie.

3° -Riduzione del tonnellaggio globale e per categorie e delle singole unità al limite più basso possibile.

4° -Parere favorevole all'abolizione di qualsiasi categoria di navi, se accettata da tutte le nazioni.

L'intesa dovrebbe però riferirsi, oltreché agli armamenti navali, anche agli armamenti terrestri e pertanto dovrebbe essere raggiunta a seguito di convocazione di esperti di ambedue i rami.

Negli armamenti terrestri, sopratutto, è da prevedere che si incontrerebbero alcuni punti controversi, ma in ogni caso essi non impedirebbero il raggiungimento dell'accordo almeno sulla maggior parte degli argomenti più importanti.

In sostanza l'Ammiraglio von Freyberg proporrebbe la riunione appena possibile di esperti navali delle due Nazioni allo scopo di studiare e gettare le basi di un'intesa parziale, da integrare indi con quella di esperti militari, per raggiungere poi tutti insieme l'intesa definitiva.

Le trattative dovrebbero svolgersi a Berlino, perché la Germania non ha in alcun paese addetti navali o militari accreditati.

I rapporti degli esperti relativi alle trattative svoltesi potrebbero essere esaminati dai rispettivi Ministri degli Esteri, i quali possibilmente in uno dei loro incontri o per mezzo dei loro delegati deciderebbero sulla convenienza o meno di convalidare l'intesa.

L'Ammiraglio von Freyberg afferma che il campo delle discussioni non è da ritenersi che sia già delineato e ristretto dal progetto di convenzione redatto dalla Commissione Preparatoria del Disarmo e che la conferenza del Febbraio 1932 dovrebbe prendere come base dei suoi lavori.

Il Capo della Delegazione Tedesca è prevedibile che per prima cosa nella futura riunione comincerà col dichiarare che il suddetto progetto deve subire una completa revisione, perché esso è stato accompagnato da riserve da parte di tutte le delegazioni.

La Delegazione Tedesca non si presenterà a Ginevra col progetto di chiedere la revisione del trattato di Versailles, ma è ovvio che nessun Governo Tedesco potrà mai accettare di sottoscrivere una convenzione generale, che non sia stata redatta nei riguardi della Germania a parità di condizioni con tutte le altre nazioni partecipanti.

(l) Non rinvenuto. Ma cfr. quanto contenuto nel promemoria n. 184, 8 agosto 1931, dell'ufficio del capo di stato maggiore della marina dal titolo c Offerta fatta da autorità navali tedesche, di esaminare con un nostro rappresentante i possibili punti di contatto nell'atteggiamento che le due nazioni potranno assumere alla conferenza del disarmo •

361

L'AMBASCIATORE A WASHINGTON, DE MARTINO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. U.R. 1859/436. Washington, 26 giugno 1931, oTe 6,55 (l)

(peT. ore 4 del 27).

Stamane, premesso che parlavo in via del tutto personale e di mia iniziativa, ho detto a Castle che secondo mie informazioni era intenzione del

Governo francese di trattare specifiche questioni politiche europee coi Ministri tedeschi nel progettato convegno di Parigi in connessione colla proposta Hoover. Tale convegno sarebbe stato suggerito e sollecitato da parte francese. Le questipni che si tratterebbe di discutere sarebbero le seguenti:

Rinunzia all'agitazione per la revisione dei Trattati e delle frontiere, rinunzia alla politica diretta a mutamenti nell'Europa centrale compreso l'Anschluss, rinunzia a sollevare la questione del disarmo rispettivamente della Germania e degli Alleati.

Ho chiesto a Castle quale sarebbe l'atteggiamento americano in caso di accordo diretto franco-germanico e ciò in relazione al punto di vista così categoricamente affermato da Hoover, da Stimson e da Castle medesimo in seguito al quale il Governo italiano aveva data la sua cordiale adesione al Piano Hoover.

Castle mi rispose anzitutto che in tale eventualità l'impressione in questo Paese sarebbe pessima verso la Francia, mentre l'adesione italiana aveva avuto a favore dell'Italia e del Regime fascista una ripercussione di effettivo e reale beneficio. Castle aggiunse che nulla risulta da Parigi al Dipartimento circa il suddetto progetto di trattare coi tedeschi questioni politiche in connessione col Piano Hoover. Anzi egli aveva avuto stamane la visita dell'Incaricato d'Affari germanico il quale gli aveva comunicato che nessun invito era pervenuto a Berlino da Parigi. Castle osservava sembrargli difficile che i Ministri tedeschi possano per considerazioni di politica interna andare ora a Parigi.

Quanto all'impressione del Governo americano nell'eventualità suddetta Castle disse che essa sarebbe disastrosa. Il punto di vista della nessuna possibile connessione con questioni politiche europee è mantenuto fermissimo. Poi Castle, marcando bene che mi parlava a titolo personale, mi accennò che qualora tra Francesi e Tedeschi si venisse a un patteggiamento nel senso di un impegno tedesco a posporre durante un anno le questioni politiche, cioè ad un impegno provvisorio di carattere negativo, egli si chiedeva se il Governo americano potrebbe opporsi. Castle mi accennò pure che un impegno tedesco anche in quella forma circa l'Anschluss gli sembrava a vantaggio dell'Italia.

Feci a mia volta osservare a Castle che pei motivi che gli avevo esposto

proprio ieri l'Italia si trova in posizione speciale riguardo l'Anschluss e che

tale questione concerne l'Italia più che la Francia. Presi quindi congedo da

Castle ripetendogli che le cose che gli avevo dette erano dette di mia esclusiva

iniziativa ed a titolo personale.

Sarei grato di un cenno di orientamento (1).

Quanto alla questione dell'Anschluss Castle mi ha detto che è impossibile agli S.U. ed è difficile all'Italia ed alla Francia di trattarla coi tedeschi. Perciò si è progettata un'azione del Governo Britannico, il quale è disinteressato nella materia, intesa ad ottenere un qualche impegno dalla Germania •.

(l) Sic, ma probabilmente deve leggersi 18,55.

(l) Con successivo tel. u.r. 1885 del 28 giugno, ore 21,37, De Martino informava che, circa la questione dei debiti di guerra, « Castle :ni ha detto che il Presidente Hoover desiderava che io fossi tenuto confidenzialmente al corrente dei negoziati con la Francia...

362

APPUNTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, SUL COLLOQUIO CON L'AMBASCIATORE DI GERMANIA A ROMA, SCHUBERT

Roma, 26 giugno 1931.

Von Schubert -Sono incaricato di fare da parte del Cancelliere Briining la seguente comunicazione: il Governo del Reich esprime la sua viva gratitudine per il gesto amichevole fatto dall'Italia con l'accettazione della proposta Hoover. Il Governo del Reich tanto più apprezza il gesto del Capo del Governo italiano in quanto conosce esattamente i sacrifici materiali che questo gesto costa all'Italia. Il Governo del Reich spera che tali sacrifici possano essere compensati dall'atmosfera di rinnovata fiducia economica che la proposta Hoover, quando sarà realizzata, apporterà a tutti i paesi senza distinzione.

Grandi -Trasmetterò questa comunicazione al Capo del Governo, al quale non potrà che giungere gradita (1).

Il colloquio sembra avere termine a questo punto perchè io taccio e Schubert non mostra di avere altro da dirmi. Schubert attende (me ne sono accorto dopo) che io riprenda il tema del nostro ultimo colloquio (2) ma io non lo faccio. Schubert mi domanda allora se ho notizia dell'attitudine francese. Gli rispondo che non ho altre notizie se non quelle dei giornali. Si entra nei discorsi vaghi, la posizione di Briand, le discussioni dell'ultima riunione di Ginevra ecc.... Finalmente Schubert si decide a continuare, riprendendo, lui per primo, il tema scottante.

Von Schubert -Vogliamo riprendere il tema interrotto nel nostro ultimo colloquio? Io mi rendo conto di alcune preoccupazioni italiane, di carattere economico, relative a quella che « le cas échéant » sarà l'unione doganale austro-tedesca. Me ne sono reso conto andando personalmente a Trieste. Nel mio recente incontro col Cancelliere Briining gli ho posto sotto gli occhi i discorsi pronunciati al Senato dal Sen. Pitacco ed alla Camera dall'On. Righetti. In tali discorsi sono abbastanza bene delineate le ragioni per cui l'Italia crede di sentirsi danneggiata nei suoi traffici adriatici dalla progettata unione doganale. Briining mi ha dichiarato che questo punto non era stato considerato dal Governo di Berlino, ma che egli l'avrebbe subito studiato in modo da esaminare le possibilità per dare le più ampie e tranquillanti assicurazioni all'Italia su questo punto. Anch'io mi rendo conto della posizione critica specialmente del porto di Trieste: la riduzione dell'hinterland di cui poteva usufruire, quando la Monarchia austro-ungarica esisteva, ha ridotto per metà le sue possibilità di esistenza. È vero che l'unione doganale austro-tedesca, potrebbe, senza accordi opportuni, diminuire ancora la sua funzione e le sue possibilità. Il Governo di Berlino sta studiando la questione. Sempre sullo stesso argomento debbo confermarvi e ripetervi a nome del Governo del Reich, ma in un modo ed in una forma ancora più precisa, che il Governo di Berlino

e il 6 luglio (Archivio Grandi).

ha seguito con .:'.nteresse la stipulazione degli accordi commerciali recenti tra l'Italia e l'Austria, tra l'Italia e l'Ungheria, tra l'Ungheria e l'Austria ed è disposto a studiare tutte le forme più opportune per mettere d'accordo le intenzioni di Roma con quelle di Berlino su questo campo, soprattutto se il metodo italiano troverà una più vasta applicazione con altri Stati dell'Europa Danubiana. Io credo che Germania ed Italia possano intendersi nel reciproco vantaggio economico.

Grandi -Mi farò premura di trasmettere tutto ciò al Ministro Bottai alla cui speciale competenza sono affidati questi problemi (1).

Von Schubert -Ed ora ho incarico da parte del Cancelliere Briining di far conoscere un'altra cosa al Capo del Governo italiano. Voi avrete certamente letto l'ultimo messaggio del Cancelliere. La stampa non l'ha esattamente riprodotto specie nei passaggi più significativi (Von Schubert mi legge a questo punto il testo letterale di alcuni passaggi del discorso Briining che non mutano in realtà nulla del significato e del contenuto del discorso stesso). Il discorso di Briining è stato fatto dietro suggerimento del Governo americano, poichè forse avrebbe potuto facilitare il momento difficile con la Francia determinatosi in seguito alla proposta Hoover. È tuttavia necessario che io vi spieghi esattamente il pensiero del Cancelliere Briining e del Ministro Curtius. Durante l'ultimo convegno dei Chequers, Henderson propose a Curtius di portare la questione delle riparazioni al prossimo convegno europeo di Ginevra dei Ministri degli Esteri. Curtius rispose ad Henderson che egli non riteneva opportuno di far discutere un problema così delicato, e la cui soluzione era così urgente, da una Commissione di 27 Rappresentanti dei grandi e piccoli Stati di Europa. Sarebbe stata una pericolosa perdita di tempo. Allora Henderson suggerì a Curtius di prendere qualche contatto più diretto per saggiare il pensiero del Governo francese. Da allora numerosi intermediari più

-o meno autorizzati da Parigi e da Berlino hanno lavorato in tal senso. Curtius ha sempre pensato all'utilità di un convegno a quattro cioè dell'Inghilterra, della Francia, dell'Italia e della Germania, ma non è mai stato entusiasta, e

Bottai, (la minuta conservata in ASME è senza data, ma l'allusione di Grandi alle «future

riunioni di Ginevra • la fa ritenere anteriore al 14 maggio). Grandi prevedeva « che ci troveremo ad un bivio molto imbarazzante anche per le sue possibili conseguenze nella politicagenerale: quello cioè di dar partita vinta alla Germania o stringerei apertamente e totalmente ai Francesi almeno in questo gravissimo problema della politica europea.

Ciò tuttavia non potrà e non dovrà avvenire che soltanto nel caso in cui disgraziatamente dovessimo perdere la battaglia su di un altro terreno, quello economico, sul quale io penso, dovremo risolutamente portare la questione ove il terreno politico e quello giuridicoci fossero sfavorevoli.

A te che hai seguito da vicino le fasi della questione, confortandomi col Tuo appoggioed incitandomi a combattere il progetto di Zoll-verein austro-tedesco per i gravi danni che esso arrecherebbe all'economia del nostro Paese, non sfuggirà certo perciò l'assoluta necessità di preparare in tempo utile tutti gli elementi, i dati statistici, gli argomenti etc. atti a dimostrare in modo inoppugnabile all'opinione pubblica internazionale attraverso le future riunioni di Ginevra le conseguenze dannose che deriverebbero alla produzione ed ai traffici italiani dalla attuazione dei progettati accordi austro-tedeschi...

Occorre d'altra parte considerare anche un'altra eventualità. Quella cioè che ad un dato momento ci possa convenire di trattare con i Tedeschi per ottenere da loro delle garanzie per i nostri interessi, tali che ci consentano di essere più arrendevoli nella questionedello Zoll-verein, specialmente poi se tale arrendevolezza ci sarà per avventura imposta forzatamente dal corso degli avvenimenti...

Bisogna quindi prepararci ad eventuali colloquì tecnici coi Tedeschi ed affrontarli con perfetta conoscenza della situazione attuale e con previsione per quanto possibile sicura di quella che potrà determinarsi in avvenire. È evidente del resto che se noi non fossimo costretti a consentire lo Zoll-verein austro-tedesco in base ad un accordo preventivo di garanzia colla Germania, le nostre responsabilità per il futuro sarebbero ancora maggiori di quelle che già abbiamo assunto trincerandoci dietro l'assoluta negativa •·

così pure Brlining, di un incontro esclusivamente franco-tedesco. È arrivata quindi improvvisa la proposta I-:Ioover. Il Cancelliere Brlining ed il Ministro Curtius mi danno ora istruzioni di comunicare al Capo del Governo Italiano ed a voi che a loro sarebbe particolarmente gradito, dopo che la proposta Hoover fosse stata accettata da tutti i Governi, ossia dalla Francia, e cioè dopo terminata questa fase abbastanza laboriosa nei rapporti tra le Cancellerie delle Grandi Potenze, di rendersi a Roma per incontrarsi col Capo del Governo Italiano. Domandano di conoscere quale è l'avviso del Governo italiano su questa loro intenzione.

Grandi -Stasera avrò occasione di vedere il Capo del Governo e Gli trasmetterò subito la comunicazione che voi mi fate a nome del Cancelliere. Domattina alle 11 vi darò la risposta del Capo del Governo. Posso fin d'ora tuttavia dirvi che sono certo che l'intenzione espressa dal Cancelliere di recarsi a Roma non potrà essere che gradita al Capo del Governo, il quale ha una particolare stima per il Cancelliere Brlining che si è rivelato un grande uon~o di Stato e la cui saggia azione politica è stata seguita dal Capo del Governo con interesse e con simpatia. Ritengo che il Capo del Governo si incontrerà con il Cancelliere Brlining con piacere. Sono certo che un incontro fra il Capo del Governo Italiano e quello tedesco non potrà che arrecare un beneficio alle comuni relazioni itala-germaniche e rappresentare nello stesso tempo un notevole contributo al piano di collaborazione generale delle Grandi Potenze fra loro.

Von Schubert -Ho da domandarvi infine un'ultima cosa. A Ginevra si è

detto qualche giorno fa che l'America si riprometterebbe di chiedere l'aggior

namento di sei mesi della Conferenza generale del disarmo, e si è detto anche

che l'Italia prenderebbe l'iniziativa di questa proposta. Io ho creduto di po

terla smentire. Sono stato nel vero?

Grandi -La notizia è insussistente. Il Governo Italiano ha insistito ed

insiste per la convocazione della Conferenza del Disarmo e non prenderà mai

l'iniziativa perchè sia aggiornata. Il Capo del Governo nel suo telegramma di

risposta al Governo americano ha voluto espressamente ricordare la Conferenza

del Disarmo per confermare ancora una volta il punto di vista italiano su

questa importante questione, e precisamente la connessione dei problemi del

disarmo con quelli della crisi economica mondiale. Questo del resto è lo stesso

pensiero dell'America e della Gran Bretagna.

(l) -Su questo argomento ci fu uno scambio di lettere fra Brtining e Mussolini il 26 giugno (2) -Cfr. n. 358. (l) -Sulla questione dell'unione doganale austro-tedesca Grandi scrisse una lettera a
363

IL MINISTRO A TIRANA, SORAGNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

TELESPR. 1742/637. Timna, 26 giugno 1931. Allego (l) i testi seguenti: l) Scambio di Note concernenti il prestito. 2) Scambio di Note per l'istituzione della " Commissione di erogazione e ripartizione delle somme dei prestiti » e per gli organizzatori, ecc.

3) Testo del Decreto Reale per l'istituzione e il regolamento della detta Commissione. Il tutto si ispira ai seguenti concetti:

a) collegamento dei documenti fra di loro, per cui ad esempio la soppressione o le modifiche della Commissione portano all'infrazione di quanto stabilito dalle N o te al N. 2);

b) carattere fittizio del vocabolo «prestito », che risulta dalla mancanza di interessi e dalla mancanza di un impegno effettivo di restituzione;

c) subordinazione dei prestiti alla continuità della collaborazione tecnica e politica dei due Governi. Nella presa d'atto da parte del Governo albanese, tale subordinazione viene anzi dichiarata " condizione ». Questo, ed il carattere speciale dei • prestiti », ci permettono di interromperli senza serie contestazioni in caso che la situazione politica lo richieda;

d) controllo della Commissione sull'uso di tutte le somme derivanti dal prestito, controllo anche dei particolari dell'erogazione; ingerenza della Commissione nelle amministrazioni; controllo sulla Commissione, dei due Delegati italiani, nulla potendosi decidere, dal prelievo delle somme ai pagamenti, senza la loro approvazione.

La compilazione dei testi è stata lunga e laboriosa. Ritocchi e mutamenti sono stati introdotti fino al giorno prima della firma, il che spiega come la composizione letteraria sia mediocrissima. Oltre un « venire in aiuto , che, all'ultimo momento ho consentito di sostituire ad un • collaborare • nella prima nota; un contrasto che poco mancò ponesse in forse tutto l'affare si è manifestato nella formula riguardante gli impegni di restituzione dei prestiti. Mentre gli albanesi volevano assolutamente stabilire una data positiva e fissa, naturalmente lontanissima e tale da togliere qualsiasi preoccupazione, io insistevo perché l'epoca e le modalità della restituzione rimanessero per quanto possibile nel vago, onde togliere sempre più all'operazione il carattere di prestito e ricondurla a quello di apporto finanziario. Finì che gli albanesi, insospettiti della mia insistenza cominciarono a temere che la vaghezza della formula fosse da me voluta per tenere aperta la via ad una richiesta di restituzione anche assai vicina, in base ai principi sanzionati nell'art. 1827 del nostro Codice

Civile, a cui corrisponde un articolo identico del Codice Civile Albanese. Il contrasto, durato fino a tarda notte lunedì scorso, finì con un compromesso materiato nell'aggiunta (giuridicamente inutile) della fr2.se « e in cgni modo, non prima che le entrate del bilancio dello Stato albanese abbiano raggiunto la cifra di cinquanta milioni di franchi oro annui , .

Sono d'avviso che, col carattere non segreto delle Note n. 2) e coll'istituzione della Commissione, abbiamo realizzato un enorme passo avanti sul primitivo progetto, in cui tutta la nostra ingerenza sl fondava su lettere segrete, mentre colle intese raggiunte ci è data una palese ed effettiva posizione di controllo. So anch'io che la realizzazione dei programmi della Commissione incontrerà continue difficoltà e che la v~ta della L~gazione diventerà ancor più dura: ma i contrasti che si ma~1ifesteranno non porranno che in ma.;;::.;::or rilie7o la nostra ingerenza e il nostro diritto di ir..terlocuzione nei diversi rarr:~i dell'amministrazione: cosa che fino adesso non era stata possibile che indirettamente e con scarsa efficacia.

È risaputo che, continuando per parecchi anni l'elargizione dei prestiti, noi verremo a tenere in mano la bombola dell'ossigeno della finanza albanese. Non potrà più darsi un governo che non venga a dipendere da noi, per la minaccia di sospensione o riduzione del sussidio.

Quanto al significato internazionale dell'Atto, non ho bisogno di rilevarne la portata. L'Albania diventa uno Stato stipendiato. Ma so che tali considera.zioni sono quelle precisamente che hanno ispirato la politica di V. E. nel deliberare favorevolmente all'aggravio cui le nostre finanze si sono sobbarcate: non fa d'uopo quindi che mi dilunghi in merito.

Il carattere pubblico e legale conferito alla Commissione di controllo mi ha indotto a rinunziare agli impegni di carattere segreto che si riferivano alla pubblica istruzione. Di fronte alle possibili difficoltà che, da parte albanese, si fossero sollevate al loro adempimento, noi avremmo in ultima analisi sempre dovuto ricorrere alla pressione dei Commissarii. D'altronde, l'esperienza mi ha largamente insegnato che tali difficoltà non consistono quasi mai in aperti rifiuti, tali da motivare l'estremo ricorso alla divulgazione di un impegno riservato; ma in procrastinazione, ritardi, ostruzionismo, che vengono sormontati colla pazienza e colla insistenza, e che viceversa non assumono mai la forma di una vera rottura dell'impegno. È stato comunque stabilito che, all'inizio della propria attività, la Commissione stanzierà le somme occorrenti alle Scuole Professionali e per la durata dei prestiti; e lo stesso farà per le borse di studio in Italia. Quanto all'introduzione della lingua italiana come lingua straniera obbligatoria nelle scuole dove esiste l'obbligatorietà di tale lingua, nonché in altre ancora; al licenziamento progressivo dei maestri francesi (che già s'inizia coll'anno venturo), essa mi è stata, naturalmente, garantita, ma dovrà essere realizzata mediante l'opera dei nostri Commissari, dell'organizzatore dell'Istruzione e della Legazione. Posso assicurare a V.E. che essa non sarà più difficile, che se un documento segreto ce la concedesse; e confido che appoggiandoci alla straordinaria situazione creataci dai sedicenti prestiti, con tatto e pazienza ci riusciremo.

Per la cronaca delle trattative, specie in quest'ultima fase, dirò sinceramente che esse hanno rialzato nella mia stima certe qualità di intuizione del Re, e mi hanno invece completamente illuminato sull'abulia, il perenne stato d'incertezza e di paura, l'incapacità e la lentezza tecnica dei Ministri di cui il Sovrano ama esclusivamente circondasi. L'istituzione della Commissione mista è stata accettata dal Re, a preferenza delle clausole segrete del primo progetto, con pochissime esitazioni; orbene, si è verificato il fenomeno che la grande maggioranza dell'opinione pubblica onesta l'ha presa per quel che è, per una Commissione di controllo nostra, e l'ha accettata, non solo con filosofia, ma con vero favore, come l'unica garanzia contro la mala utilizzazione del denaro e contro le ruberie. Il Re insomma ha saputo indovinare o intuire che un controllo italiano contro lui stesso e la sua cricca, avrebbe raccolto numerosi suffragi.

Naturalmente, egli conta poi sulle proprie arti, sulle circostanze, sulla

nostra debolezza, sulle difficoltà per noi di venire a conflitti dichiarati -anche di dettaglio -con lui, per prelevare la parte del leone degli apporti, per sé e pei suoi; ed anche questo è pensiero normalissimo. Sta però il fatto che l'ha indovinata nell'ammettere una forma di controllo, pubblicamente sancita, e nel prevedere che l'opinione pubblica l'avrebbe accolto senza difficoltà, anzi con piacere.

La quale opinione pubblica ha poi già mostrato di intendere che, al di fuori delle clausole e dei controlli, la forza della nostra posizione sta nella facoltà pratica da parte nostra di sospendere il servizio del prestito, quando sia e si voglia. Anche se non esistesse nelle note la riserva della • continuità della collaborazione tecnica e politica • che forma la base e la condizione dell'Atto italiano, gli albanesi sono tutti persuasi che, se le cose non camminano come desideriamo, noi possiamo quando si voglia • chiudere il rubinetto • e che il complesso dell'operazione, il carattere fittizio deJ prestito, la forma puramente diplomatica e politica degli accordi, tolgono ogni possibilità all'Albania di far valere efficacemente delle proteste quando si verificasse la sospensione.

A questo proposito e di fronte a tale eventualità, gli animi si atteggiano variamente.

Il Re, fiducioso nella .propria abilità a sfruttarci, fidente· nei motivi che pur noi abbiamo di possibilmente non condurre le cose all'estremo, deciso quindi a trarre dal prestito tutti i vantaggi personali possibili ma altrettanto deciso a cedere ove fosse proprio necessario e a non romperla mai (perdurando le attuali condizioni politiche), guarda l'avvenire con molta tranquillità.

Il gruppo di Corte, i manutengoli secondari, capitanati da Abdurraman Mathi, confidano nell'abilità del Sovrano e contano, all'ombra sua, di poter continuare ad aumentare i propri guadagni.

I nostri amici, i bey, i proprietari, certi cattolici, tutti quelli insomma che a torto o a ragione hanno di che lamentarsi del regime, nei riguardi dei loro personali interessi, contano sulla nostra facoltà • di chiudere il rubinetto » per essere salvaguardati e difesi, e in una maniera quasi imbarazzante.

I commercianti, gli uomini d'affari, i lavoratori, vedono soltanto che ven

gono denari, e non bramano pensare ad altro, pregando il Signore che la

pioggia benefica non abbia a subire interruzioni.

I pochi impiegati e funzionari onesti delle amministrazioni civili, in genere giovani (i quali debbo dirlo ad onor del vero si vengono sempre più avvicinando a noi) anche se di origini un po' selvaticamente nazionaliste hanno concepito una così formidabile disistima della classe dirigente, che anch'essi guardano al controllo nostro come all'unica ancora di salvezza perché la povera patria profitti di questo denaro, e perché a loro sia dato di poter fare qualche lavoro proficuo per il bene pubblico senza essere tosto fermati, angustiati, minacciati, dal vespaio avido ed ignorante che sciama intorno al gruppo Abdurraman e compagni.

Quanto a coloro che nutrono tuttora sentimenti di nazionalismo puro, di fierezza nazionale, o di antitalianismo, debbo dichiarare che sono malcontentissimi. Essi sentono che l'Albania si abbassa alla condizione di Stato stipendiato; prevedono l'aumento dell'influenza italiana; temono i commenti ironici dell'estero; intuiscono che si è fatto un passo avanti verso la perdita della

autonomia; comprendono che l'atto compiuto dall'Italia si riconnette, e sarà riconnesso nell'opinione diplomatica mondiale, alla direttiva politica di subordinazione contrassegnata dalla dichiarazione degli Ambasciatori del ventuno e dal Patto d'Amicizia del '26, ben più che alla direttiva egualitaria del Trattato d'Alleanza. Il loro malcontento, lo confesso a V.E., mi ha alquanto consolato della sofferenza fisica che ho provato nel firmare delle note che comportano l'uscita di tanto danaro dalle nostre casse (l).

(l) Gli allegati non si pubblicano.

364

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO A BUDAPEST, ARLOTTA (2)

T. PER CORRIERE R. 6l35. Roma, 27 giugno 1931, ore 19.

Ritengo utile che V. S.. fornisca subito personalmente al conte Bethlen, per sua riservata conoscenza i seguenti chiarimenti circa l'atteggiamento del Governo Italiano di fronte alla proposta Hoover. Premesso che questa ci giunse come agli altri Governi improvvisa ed inaspettata, noi ci rendemmo subito conto dei vantaggi e degli inconvenienti in essa contenuti, come dei motivi da cui fu determinata. Questi ultimi consistono non soltan',o nelle preoccupazioni americane per le condizioni critiche attuali della Europa in generale e della Germania in particolare, da cui possono derivare gravi danni agli investimenti americani in Europa già esistenti ed ostacolare quelli futuri, ma nel rafforzare la situazione economica della Germania di fronte alla egemonia finanziaria francese che si esercita costantemente con scopi di carattere politico. Né certo hanno potuto essere estranee alle decisioni di Hoover le necessità elettorali determinate dai numerosi voti dei tedesco-americani. In altri termini è superfluo dire che la proposta di Hoover corrisponde in primo luogo ad un evidente interesse egoistico degli Stati Uniti, i quali si sono resi conto dell'interdipendenza dimostrata dalla crisi fra i mercati europei e quelli americani.

I vantaggi dell'iniziativa Hoover consistono certamente nella creazione di un'atmosfera di maggiore fiducia nel pubblico, nell'evitare che la Germania chieda essa stessa la moratoria, nel prevenire i disastri di carattere finanziario ed anche sociale che potrebbero verificarsi ove il Governo tedesco continuasse

V.E. sa che putiferio avrebbe sollevato in Albania, un paio d'anni fa la frase 'unione doganale' coll'Italia; e non direi che nemmeno oggi suona gradita a quel migliaio di persone che detengono la privativa del nazionalismo e della fierezza albanese. Tuttavia se ne può parlare liberamente senza essere lapidato: ed è già un bel progresso.

Da quando nel corso della mia ultima chiamata al Ministero V. E. mi ha accennato alla questione, io ne ho fatto frequente oggetto di accenni e di allusioni nei miei discorsi anche col Re e coi suoi consiglieri; sempre col tono però di chi vede il massimo ostacolo da parte dell'Italia, o meglio dei circoli economici italiani •. Grandi rispose con tel. per corriere rr. 848 del 6 agosto « che gli intendimenti del Governo Fascista sono sempre favorevoli ad una combinazione economica a sottostrato politico, tipo unione doganale, che venisse avanzata dal Governo Albanese •.

ad approfittare per i suoi fini politici delle innegabilmente gravi condiz:oni economiche del suo Paese.

Di fronte a tali vantaggi di carattere generale e che poi possono ripercuotersi beneficamente sui singoli Paesi, il Governo fascista r:on poteva esitare a dare la sua accettazione di principio, consono in ciò con la linea da esso seguita fin dal 1923, nel senso di richiamare l'attenzione mondiale sui gravi pericoli che possono derivare dal mantenere nei paesi citati uno stato di disagio economico e politico che può far nascere delle situazioni gravissime e perfino dannose alla pace mondiale. È la stessa idea da cui deriva la nostra tesi sulla necessità dell'adattabilità successiva dei trattati alle mutate e mutabili condizioni europee. D'altra parte il Governo italiano deve preoccuparsi anche esso del predominio finanziario francese in Europa che tende continuamente ad un predominio politico. Tutto ciò spiega il telegramma di cordiale accettazione di principio inviato da S.E. il Capo del Governo al Governo degli Stati Uniti (1).

Restano ora ad esaminare gli inconvenienti della proposta Hoover, i quali mno anche essi ben chiari. Anzitutto l'Italia dovrebbe imporsi il sacrificio di oltre 200.000.000, rappresentati dalle varie eccedenze in contanti ed in natura di quanto essa riceve dalle riparazioni tedesche in più di quanto deve pagare per i suoi debiti. La questione è delicata e complessa ma è inutile entrare qui in dettagli che dovranno essere esaminati a fondo quando si tratterà di passare all'applicazione pratica della proposta americana. A questo punto si allude colla frase contenuta nel telegramma di S.E. il Capo del Governo relativa alle " osservazioni " che S.E. lVIussolini si ripromette di far seguire per una " applicazione equa e pratica " della proposta. Riserve dunque di carattere finanziario e non politico. Tengo a chiarire questo punto perché da alcuni giornali ed anche in America si è creduto in un primo momento che l'Italia volesse porre delle riserve politiche e più specialmente subordinare la sua accettazione a garanzie contro l'Anschluss.

È evidente che vasta parte dell'opinione pubblica italiana, conscia degli svantaggi e dei pericoli sia economici sia politici che tale progettata unione presenta per l'Italia e per l'Europa, si sia preoccupata che ad una Germania liberata dagli oneri finanziari e sola a non avere il bilancio in forte passivo si renda assai più facile la realizzazione di quel progetto.

Ma il R. Governo pienamente rendendosi conto che la iniziativa del Presidente Hoover, di ordine economico e mondiale, non può essere abbinata

-o subordinata ai problemi di politica europea, per quanto importanti, non ha pensato di formulare riserve di questo genere. Se avesse voluto farlo, molte al~re preoccupazioni avrebbero dovuto essere tenute in conto e prima fra tutte quelle generali determinate dall'accrescimento di potenza finanziaria che verrebbe alla Germania dall'attuazione della proposta americana, accrescimento che non solo si potrà tradurre in pericoloso incondizionato aumento di forza politica, ma anche in libertà di maggiori spese dedicate all'attuazione di programmi contrastanti coi nostri interessi e non soltanto per quanto con

cerne l'Austria. Il Governo italiano si è astenuto dal far rilevare tutto ciò a

Washington sia perché nei riguardi particolari dell'Anschluss crede che per

altre vie con una accorta e opportuna azione si potrà raggiungere lo stesso

scopo, e sia anche in linea generale per lasciare alla Francia, più direttamente

minacciata di noi, di mettere in prima linea le sue obbiezioni, con tutti gli

inconvenienti che esse comportano tanto presso il Governo che l'opinione pub

blica americana. Inconvenienti e conseguenze anche di carattere finanziario

che la Francia può affrontare meglio di noi data la sua attuale forza economica

e finanziaria.

Mi riservo di tenere informato successivamente il Conte Bethlen di quanto,

sempre in questo ordine di idee, ci proponiamo di fare.

(l) Cfr. il telespr. rr. 1499/653 del 29 giugno, nel quale Soragna accennava fra l'altro alla eventualità di unione doganale italo-albanese. « Aggiungo subito questa soluzione incontrerebbe così poco favore nell'ambiente italiano, !Jerché inevitabilmente favorevole all'Albania e gravissima per noi, che mi arrischio appena a sussurrarla a mezza voce, nell'orecchio degli amici.

(2) Lo stesso tel. fu inviato con n. 686 in pari data, per personale conoscenza del nostro rappresentante diplomatico, a Parigi, Londra, Berlino, Bruxelles, Madrid, Mosca, Washington, Vienna, Belgrado, Bucarest, Praga e Atene.

(l) -Cfr. n. 348.
365

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, CHIARAMONTE BORDONARO

T. 689/191. Roma, 27 giugno 1931, ore 24.

Mio telegramma N. 180.

Ho ill.ustrato a questo Ambasciatore d'Inghilterra nostro punto di vista circa proposta am&tcana (1), quale risulta da messaggio del Capo del Governo e da mio telegramma a R. Ambasciatore a Washington (2). A me sembra che tra atteggiamento inglese e atteggiamento italiano vi siano dei punti di contatto, sopratutto neHa valutazione generale della proposta americana. Di questo ho fatto 'cenno in una lettera a Henderson che invio per corriere. In vista ora di conversazioni che sembrano essere necessarie per l'applicazione pratica della proposta americana io ritengo opportuno che V. E. si tenga in stretto contatto con ,codesto Governo. Noi siamo desiderosi di conoscere le intenzioni dell'Inghilterra e anche disposti ad un amichevole scambio di idee ove codesto Governo lo giudica!sse utile a semplificare le conversazioni che seguiranno.

366

APPUNTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, SUL COLLOQUIO CON L'AMBASCIATORE DI GERMANIA A ROMA, SCHUBERT

Roma, 27 giugno 1931.

Grandi -Ho fatto ieri sera stessa al Capo del Governo la comunicazione di cui voi eravate latore da parte del Cancelliere Biiining relativa alla venuta a Roma del Cancelliere e del Ministro Curtius per un incontro col Capo del

Governo Italiano (1). Il Capo del Governo vi prega di far sapere al Cancelliere Briining che egli accoglie molto volentieri l'idea di un incontro con lui, e che uno scambio di idee 'sulla politica genera.le europea e .su queLla particolare del. rapporti fra i nostri due Paesi gli appare utile specie nel momento presente, -e ad ogni modo gli sarà molto gradita. Quale potrebbe ad un dipresso essere la data per questa visita, secondo H vostro parere?

Von Schubert -Non lo so. Su questo punto non ho Lstruzioni. Verso la metà di luglio avrà luogo a Berlino ·la visita del Primo Ministro MacDonald e -di Henderson. Per il 21 avrà luogo a Berlino la visita di Stimson. Ha il Capo del Governo particolari impegni nel mese di luglio?

Grandi -Non ·con01sco precisamente i suoi impegni della seconda quindi

cina di luglio. Dal 9 al 12 luglio vi sarà Stimson a Roma. Ritengo che neLla

prima decade di luglio Egli sarà libero da impegni.

Von Schubert -Ho telegrafato subito a Berlino. Anch'io ritengo che sarebbe meglio che l'incontro non ritardasse troppo.

Grandi-Avete qualche suggerimento circa il tempo ed il modo per annunciare pubblicamente la notizia? Io ritengo che non si dovrebbe tardare. L'annunzio dell'incontro tra il Capo del Governo italiano e quello tedesco se dato .subito verrebbe a togliere alcune impressioni, non del tutto gradevoli suscitate in Italia dall'ultimo messaggio Briining.

Von Schubert -Condivido il vostro parere. Telegrafo subito a Berlino ·e spero lunedì stesso di avere una risposta onde concordare al più presto la

.notizia da darsi alla stampa.

(l) -Cfr. n. 353. (2) -Cfr. nn. 348, 352.
367

RELAZIONE DEL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA LEVANTE ED AFRICA, GUARIGLIA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

Roma, 27 giugno 1931.

Nel dispaccio del 20 marzo scorso (2) l'E. V. scriveva al R. Ministro in Bucarest quanto 1segue:

• In tali ·condizioni perciò non mi resta che ["innovarle le istruzioni datele con la mia lettera dell'8 gennaio .scorso, di non ,prendere cioè alcuna iniziativa, nella .speranza che H Governo romeno non ci faccia alcuna comunicazione di sue intenzioni prima del 18 lugHo 1932, dandoci così il modo di sostenere allora l'avvenuta decadenza del Patto di amicizia, tesi ·che si appoggia su forti argomenti giuridici come V. E. avrà potuto rHevare dalla memoria trasmessale recentemente da Guariglia.

Se invece il Governo romeno ci facesse qualche apertura prima di quella

data, ci regoleremmo secondo ·le circostanze del momento •.

Ora i'l Governo romeno ha aperto la questione; giacché, come ho già riferito a V. E., il 23 ,corrente il Signor Zanesco, Incaricato d'affari di Romania, mi ha chiesto da parte del suo Governo quali sono le nostre intenzioni circa il rinnovo del patto di amicizia, aggiungendo che il Governo romeno è dispo,sto a procedere alla rinnovazione del patto stesso.

È quindi necessario ora prendere una decisione, tenendo presente che l'art. 5 del patto dice: « Le présent traité aura la durée de 5 années et il pourra etre dénoncé ou renouvelé un an avant son expiration •.

Perciò l'eventuale rinnovo dovrebbe aver luogo entro il 18 luglio 1931.

Dei sei articoli del Trattato di amicizia italo-romeno -qui allegato (l) -i più importanti sono i primi tre che del resto sono redatti nella forma consueta degli analoghi trattati di amicizia da noi conchiusi con altri Stati.

Il primo stabilisce l'impegno reciproco delle Alte Parti contraenti di prestarsi mutuo appoggio e cordiale collaborazione per il mantenimento dell'ordine internazionale come pure il rispetto dell'esecuzione delle obbligazioni stipulate nei detti Trattati da Esse firmati.

Il secondo stabilisce che in caso di complicazioni internazionali, e se le Alte Parti contraenti sono d'accordo nel ritenere che i loro comuni interessi sono

o potranno essere minacciati, Esse s'impegnano a concertarsi sulle misure da prendere in comune per la loro salvaguardia.

II terzo stabilisce che nel ·caso che la sicurezza e gli interessi di una delle Alte Parti ·Contraenti fosseli'O minacciati in seguito ad incursioni violente venute dal di fuori, l'altra Parte s'impegna a prestarle mediante il suo benevolo concorso il suo appoggio politico e diplomatico, allo scopo di contribuire a far sparire la causa esteriore di tali minacce.

Manca }',impegno ~reciproco a conservare la neutralità nel caso che una delle Parti :sia oggetto di una aggl'essione non provocata, impegno contenuto in molti altri trattati di amicizia da noi stipulati, ed anche in quello del 1924 con la Jugoslavia.

Giova a tal ,proposito rammentare che il Governo romeno aveva durante le trattative proposto il testo di un vero e proprio trattato di alleanza. Nel testo da noi proposto invece ·l'art. 2 conteneva l'impegno surriferito di reciproca neutralità; ma esso fu soppresso su proposta del Governo romeno motivata dal fatto che il suo contenuto sarebbe 1stato di troppo evidente contrasto col progetto di Alleanza ·che aveva formulato il precedente Governo romeno.

Fu invece stipulata separatamente la clausola seg1·eta (2) relativa agli accordi degli Stati Maggiori nel caso di aggressione non provocata contro una delle Parti contraenti.

Il Patto con la Romania fu da noi fatto in circostanze ora sorpassate. Infatti la nostra situazione nei riguardi della Romania è oggi molto divena da quella del 1926, quando pendeva ancora la questione della Be1~sarabia ed era al potere il Generale Averescu. D'altra parte i nostri rapporti con l'Unione Sovietica sono oggi alquanto diversi che nel 1926, mentre non sono stati ancora chiariti i nostri rapporti con la Jugoslavia.

Sembra pertanto a questa Direzione Generale che il Patto nella sua forma

attuale costituisce un maggior vantaggio per la Romania che per l'Italia. Infatti

l'art. l (che trova anche .riscontro nel preambolo, " résolus à cet effet de soutenir

l'ordre juridique et politique international • ), ha per la Romania il vantaggio

di assicurarle -per quanto in modo platonico -il nostro appoggio contro i

tentativi di carattere revisionista; l'art. 3 le assicura il nostro appoggio politico

e diplomatico in caso di aggressione; e la clausola segreta costituisce un impegno

per noi anche più grave, se pur di dubbia efficacia pratica.

Non bisogna nascondersi tuttavia la difficoltà di poter indurre il Governo

romeno a rinunciare a tali clausole di carattere politico e militare.

D'altra parte è da tener presente che gli articoli l, 2 e 3 del Trattato sono

redatti in forma analoga a quella di vari altri Trattati di amicizia da noi sti

pulati con altri Stati; e che un mutamento nella redazione dell'art. l (relativo

al mantenimento dell'ordine internazionale ecc.) verrebbe considerato come la

prova di un nostro marcato atteggiamento in favore della revisione dei Trattati

di pace, e potrebbe perciò avere una ripercussione internazionale.

Per queste considerazioni -ad avviso di questa Direz,ione Generale -gli

articoli l, 2 e 3 del Trattato potrebbero restare immutati (l).

Occorre invece esaminare se convenga aggiungere al Trattato la clausola

di reciproca neutralità contenuta nel nostro primitivo progetto, e lasciar cadere

la clausola segreta relativa ad accordi militari.

La clausola segreta da un lato ci imporrebbe degli oneri se si verificasse

un caso di aggressione contro la Romania (questa eventualità potrebbe presen

tar:si in Bessarabia), ma da un altro lato ci darebbe vantaggi se avesse luogo

un attacco jugoslavo contro di noi. Vi sarebbero quindi ragioni pro e contro la

sua rinnovazione. È da rilevare però che la clausola stessa è di un'efficacia pra

tica molto relativa, dato il suo carattere segreto.

D'altra parte non sembra che il contegno della Romania verso di noi nelle questioni militari sia ispirato allo spirito di tale clausola. Basti a ta.l proposito citare quanto con rapporto del 18 luglio u.s. ha riferito il Ministro Preziosi, e cioè ·che Re Carlo avrebbe convenuto con il Re di Jugoslav•ia la costruzione del famoso ponte sul Danubio destinato, secondo dichiarazioni confidenziali del Signor Ghika, ad a,ssolvere neceissità militari di uno sbocco della Piccola Intesa e della Polonia a Salonicco, in caso di guerra, attraverso le ferrovie jugoslave.

«D'altra parte è da tener ,-,resente che un mutamento nella redazione dell'art. 1°, relativo al 'mantenimento dell'ordine internazionale', ecc., non mancherebbe di aver larga ripercussione in connessione col problema della revisione dei Trattati di pace.

Per questa considerazione -che acquista maggior valore dopo la visita di Gombiis a Roma e cti Dollfuss a Budapest e le conseguenti note manifestazioni politiche, di stampa e popolari ·--l'ex Direzione Generale E.L.A. espresse l'avviso che potesse convenire il lasciare in1n1ut8.ti gli art. 1°, 2° e 3°. facenào invece cadere la clausola segreta (anche per l'impressione che il contegno della Romania verso di noi nelle questioni militari non fosse ispirato all::J spirito di tale _clausola) e,sostituendola con una. clausola. di reciproc':'-nen!r~lità. II Ministro romeno Argetoiano sembro per un momento di essere In quest"ordme di 1dee.

• proponendo (in una sua visita a Roma del gennaio 1932) che • l'Italia si impegnasse a mantener~-;_ nc1J.tra1e in c:tso di conflitto ungaro-ron1eno, e la Romania in casa di conflitto italajugoslavo ».

Jl pnsso tra asterischi fu corretto così: « informando il ministro Preziosi di un suo progetto per cui ».

Per tali ragioni questa Direzione Generale esprime l'avviso che converrebbe

lasciar cadere la ·clausola segreta, ed aggiungere invece al Patto la clausola di

reciproca neutralità. In tal modo il Patto verrebbe ad essere uguale a quello sti

pulato nel 1924 con la Jugoslavia.

Ove l'E. V. non desiderasse di prendere subito una decisione in proposito -anche in vista delle trattative ora in corso col Governo jugoslavo -sarebbe opportuno, nell'imminenza della scadenza del termine utile per la rinnovazione del Patto, di proporre al Governo romeno la stipulazione di un protocollo speciale per prorogare di sei mesi il detto termine, cos:ì come fu fatto nel 1928 con la Jugoslavia (1).

(l) -Cfr. n. 362. (2) -Cfr. n. 143.

(1) L'alle~ato non s\ pubblica.

(2) Cfr. n. 383, allegato.

(l) Il senso della relazione pubblicata nel testo fu ripreso in un altro promemoria, senza data ma posteriore al luglio 1932, nel quale si legge:

368

IL NUNZIO APOSTOLICO PRESSO IL QUIRINALE, BORGONGINI DUCA, ALL'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, DE VECCHI (2)

Roma, 28 giugno 1931.

La nota Verbale che Ella mercoledì scorso, 24 corrente (3) consegnò chiusa a Sua Eminenza Rev.ma il Cardinale Pacelli e che Sua Eminenza, ·come Ella ben sa, portò chiusa al Santo Padre, è .stata letta e .ponderata in questi giorni da Sua Santità, che mi ha dato l'espresso incarico di far presente alla E. V. quanto segue:

Sua Santità, benché vivamente desideri che il dissidio venga composto con una soluzione 'soddisfacente per ambo Ie parti, ed allo scopo è .pronto pure ad autorizzare, a norma dell'art. 44 i Suoi rappresentanti per una conversazione amichevole che valga ad e1iminare al più presto le presenti difficoltà, tuttavia si trova nella dolorosa condizione di non poter accettare la Nota e passarla alla Segreteria di Stato per lo studio e la !risposta.

Ciò che in essa lo ha profondamente addolorato è l'epiteto di più che massonico dato aJ.le riunioni della Azione Cattolica e l'affermazione che suona anche ironia: avere il R. Governo reso un servizio al,la Chiesa sciogliendo tali organizzazioni deJ.l'Azione Cattolica, due espreissioni -l'E.V. vorrà ·convenirne -ingiuriose e dolorose per il cuore di Sua Santità, che ha sempre protestato di amare i giovani dell'Azione Cattolica come un padre ama i figli ,prediletti. D'altra parte tali due affermazioni potrebbero faci·lmente sopprimersi neHa Nota, non essendone la parte sostanziale.

Sua Santità a questo proposito mi ha ricordato che nel 1865, quando il Barone di Meyendorff, Inca:ricato d'Affari di Russia, usò delle espre1ssioni oltraggiose contro i cattolici della Polonia, Pio IX non gli permise di continuare, e gli

Nello stesso mese di luglio i suggeriment; contenuti nella relazione pubblicata nel testo furono prospettati all'incaricato d'affari di Romania a Roma. Il termine di denuncia ·del patto, che scadeva il 18 luglio, fu poi prorogato di 6 mesi. Tale termine fu prorogato una seconda volta nel gennaio 1932. Cfr. un promemoria della direzione generaleEuropa Levante Africa, senza data ma di poco posteriore al 18 luglio 1932.

disse che non poteva ,supporre che il suo Governo l'avesse autorizzato anche a ciò. Così nel caso presente Sua Santità non può permettere che tali espressioni restino in un documento da mettere in ,corso negli Uffici della Santa Sede.

Inoltre, essendosi domandate deplorazioni per pubbliche e notorie ingiurie (tanto pubbliche e notorie, che è bastato alla Santa Sede domandare una relazione scritta e giurata ai sacerdoti preposti agli edifici ecclesiastici ove le dette ingiurie erano avvenute, per accertarle, e dò per·ché non era possibile fare una protesta ,senza avere la sicurezza di quanto si affermava) si ,risponde alla Santa Sede ,che non aveva ,competenza per fare dò; e, alla distanza di oltre un mese dopo fatti •Così notori, 's'i dice che ·l'inchiesta governativa è ancora in cor,so e si aggiunge ~pateticamente: • se risulti che offese 1sono state dkette alla Persona del Sommo Pontefice, il R. Governo non può che deplorarle vivamente •.

La Nota Verbale poi contiene alcuni dati di fatto errati.

Dice ,che il R. Governo non può permettere ·Che assocdazioni le quali svolgono un'attività nel territorio del Regno, abbiano la Sede Centrale in edifici che godono la extraterritorialità. Ciò evidentemente allude alla sede centrale della Gioventù Cattolica Italiana, J.a quale 'si trova nel Palazzo Pontificio di via della Scrofa 70. Ora è facile ,constatare che tale Palazzo Pontificio non gode, a norma del Trattato Lateranense, della extraterritoriaHtà.

La Nota della Santa Sede non ha mai affermato che le riunioni dell'Azione Cattolica furono segrete, nel senso odioso che le dà la Nota Verbale, cioè di più che massonico. La Nota della Santa Sede ·riportò le parole tra virgolette, per citare il Lavoro Fascista ,che aveva così qualificato le sedute dell'Azione Cattolica, per dare loro il carattere di un complotto. Le dunioni -posso assicurarlo in coscienza -non ebbero nulla di segreto, di occulto, di sedizioso, di antiitaliano e di antifasdsta. Altrimenti non saprei come qualificare ,le riunioni di tutte le persone oneste, di tutti i consigli di amministrazione, di tutti i comitati, quando trattano dei iloro affari.

Il signor De Gaisperi non è un ricoverato a guisa di fuoruscito nella Città del Vaticano. È cittadino ital,iano e vive in Roma, nel territorio dello Stato, quindi non è 'sottratto aUe autorità del Regno, ·come si vuol far credere. Viene in Vaticano e predsamente nella Biblioteca solo per qualche ora del gio.rno, e vi compie un lavoro che gli dà un poco di pane per sé e . per la sua famiglia, aU'istesso modo, benché in altro campo, dei molti operai che vengono giornalmente in Vaticano e ritornano tutte le •sere al proprio domicilio nel territorio del Regno.

Il Comm. Ci.riad non ha mai ammesso, e non poteva a•mmetterlo, che gli antifascisti, dagU anarchici ai massoni, facessero ormai ,capo all'Azione Cattolica; anzi disse che l'Azione CattoUca stessa, in ogni caso, Ji avrebbe respinti; benché, purtroppo, la politica di solspetti e di persecuzioni C'ondotta dal Governo contro l'Azione Cattolica poteva attira.rle ·le simpatie di tali elementi, che sono non solo antifascisti, ma anche anticattolici.

La Santa Sede ha domandato di discutere amichevolmente l'articolo 43, ma a ,condizione che prima si ristabiLisse lo statu quo ante, ossLa si ristabilislsero le associazioni disdolte. Questa domanda è perlettamente logica. Le associazioni sono !State riconosciute con un patto bilaterale, che è anche legge dello Stato.

5E5

Sono sorte delle difficoltà. Ebbene, a norma dell'art. 44 le Alte Parti debbono trattare amichevolmente per vedere di eliminarle. Fatto ciò, si passerà d'accordo alle misure, anzi la Santa Sede sarà la prima a dare l'esempio, fossero numerosi i casi quanto si voglia. Invece il R. Governo ha sciolto unilateralmente le associazioni, ed ora accetta la discussione a patto che le as1sociazioni non si ricostituiscano. È evidente che in tale ,posizione 1la trattativa diviene perfettamente inutile, e sarebbe meglio rispondere che il Governo non vuole accettare la proposta della Santa Sede, e preferisce il conflitto. D'altra parte le associazioni giovanili dell'Azione Cattolica sono 1state sciolte con una misura di polizia, la quale ha un carattere evidentemente relativo e provvisorio, e può essere revocata senza difficoltà con un sempiice ordine di S. E. il Capo del Governo. Questo ordine potrebbe anche allo stato delle cose, es.sere motivato con la preghiera ora qui fattane per mio mezzo da Sua Santità, allo scopo di rendere possibili trattative

amichevoli tra le due Alte Parti.

* Quanto poi alla notificazione dell'Arcivescovo di Zagabria ho l'incarico di farLe presente:

La Santa Sede subito dichiarò alla domanda verbale della E. V. che la no

tificazione era dell'Arcivescovo (il quale, come Ella ben sa, governa la diocesi

a nome proprio e non della Santa Sede, a differenza del Prefetto che regge la

provincia come rappresentante del Governo), e la Santa Sede come il Nunzio

Apostolico di Belgrado avevano conosciuto la notificazione dopo che era stata

pubblicata, tanto che ne erano rimasti sorpresi e addolorati.

Quanto alla pubblica deplorazione, domandata pure oralmente, la Santa Sede fece sapere al R. Governo che ,si trovava nell'impossibilità di farla, perché non poteva far ·credere ai cattolici di tutto il mondo che approvava le disposizioni adottate da tempo dal R. Governo contro il clero ;~Javo, sottoposto a misure di ammonizione e di confino ad insaputa degli Ordinari, contro le associazioni cattoliche deHa Regione, contro gli Istituti slavi dipendenti dall'Autorità ecclesiastica, specialmente la Sacra Famiglia e l'Aloysianum, contro la Federazione delle casse rurali cattoliche slovene, che erano in pericolo di fallire, e sopratutto contro l'uso della lingua materna neH'assi.stenza religi01sa dei fedeli, prescritto rlall'art. 22 del Concordato. Su tutte tali materie erano in corso parecchie Note di questa Nunziatura presso il R. Governo, prima ancora che :si delineasse la vertenza circa l'Arcive~covo di Zagabria, la maggior parte delle quali è rimasta senza risposta.

Se dunque il Santo Padre avesse deplorato la notificazione dell'Arcivescovo di Zagabria, avrebbe dovuto in coscienza deplorare anche le misure del R. Governo nella Venezia Giulia per quello in ispecie che riguarda l'assistenza religiosa dei fedeli; e tale duplice deplorazione avrebbe certamente finito per inasprire la situazione * (1). Tutto questo fu detto all'E. V. oralmente più volte dall'Ecc.mo Cardinale Segretario di Stato, e anche da me a S. E. il Ministro Grandi specialmente il 10 marzo, e quindi il Santo Padre era ben sicuro che il

R. Governo avesse compreso le gravi ragioni che gli impedivano di fare pubbliche rimostranze per la notificazione dell'Arcivescovo di Zagabria. Non vi è

stata in materia alcuna Nota ufficiale scritta di V. E. o del R. Governo, e quindi naturalmente nemmeno una risposta ufficiale scritta.

Voglio sperare che V. E. apprezzerà queste ragioni del Santo Padre, che io per Suo venerato incarico Le ho esposte, assicurandoLa che, se la E. V. ne terrà conto, la presente dolorosa vertenza potrà dirsi avviata verso una felice soluzione; ciò che desidero con tutto l'animo (1).

(l) Con tel. 727 del 4 luglio fu chiesto in merito il parere di Preziosi.

(2) -Cfr. MARTIN!, op. cit., pp. 144-145. (3) -Cfr. n. 354.

(l) Il brano fra asterischi è ed. in DE FELICE, Mussolini, pp. 247-248, nota 4.

369

IL NUNZIO APOSTOLICO PRESSO IL QUIRINALE, BORGONGINI DUCA, ALL'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, DE VECCHI (2)

Roma, 28 giugno 1931.

Con riferimento alla mia lettera di quest'oggi (3) mi affretto ad aggiungere quanto segue:

Il Santo Padre mi incarica di significarLe altresì che ha notato, come era ovvio, quanto S.E. il Capo del Governo ha detto e comunicato nell'ultima adunanza del Direttorio, come pure quanto egli scriveva nella prima pagina di " Gioventù Fascista » del 7 giugno, e quanto si è fatto diffondere per radiotelegramma il 6 corr. e infine la recente intervista del « Journal »,

Il Santo Padre, non ha potuto non vedere in tutto ciò quasi una preparazione di premesse e di formazioni delle opinioni pubbliche in vista di eventuali trattative, e pensa di fare qualche cosa anche Egli nello stesso senso. Ha voluto però prevenire, .perché non riesca una sorpresa ( 4).

370

APPUNTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, SUL COLLOQUIO CON L'AMBASCIATORE DI GERMANIA A ROMA, SCHUBERT

Roma, 29 giugno 1931.

Grandi -Ho desiderato parlarvi per esaminc.re un po' insieme la situazione che si è determinata in queste ultime ventiquattro ore. Ieri a mezzogiorno attraverso un telegramma dell'Agenzia Havas i giornali italiani erano

L'8 luglio, 'nel corso di un colloquio, Seipel chiese a Auriti la sua opinione sul conflitto in atto fra l'Italia e la Santa Sede (teL posta 2655/1497 del 9 luglio). Auriti rispose che « non stava a me entrare in obiezioni critiche alle affermazioni del Pontefice, ma non potevo trattenermi, tra le tante possibili, da una osservazione relativa alla Sua asserzione che si sono riaperte le port,e al socialismo. A giorni vi sarà qui, a cura di questo partito socialista, lo scoprimento di un medaglione a Matteotti. Parleranno Ellenbogen e Turati, ed è facile prevedere che cosa diranno sull'Italia e il Regime, e come ciò sarà accolto dalle rappresentanze socialiste dei vari paesi qui convenute per il prossimo congresso internazionale socialista. Sarebbe utile fossero mandati a S. S. i resoconti stenografici della cerimonia.

Seipel ha sorriso e concluso sper:.re vivamente in una soluzione soddisfacente per ambo le parti ».

Il l o luglio il ministro Rocco comunicava a Grandi i procedimenti giudiziari a carico di alcuni fascisti in seguito agli incidenti verificatisi in occasione dello scioglimento dei circoli di Azione Cattolica.

lnformati che il Capo del Governo italiano aveva invitato a Roma il Cancelliere Bri.ining e il Ministro Curtius. Contemporaneamente vari giornali berlinesi pubblicavano la stessa indiscrezione, ed il Vorwaerts aveva un articolo ingiurioso per la Persona del Capo del Governo. Nelle indiscrezioni pubblicate dalla stampa di Berlino viene dato rilievo alla notizia che un invito formale sarebbe stato rivolto dal Governo italiano a mezzo dell'Ambasciatore Orsini, mentre si tace completamente la circostanza essenziale del desiderio espresso dal Cancelliere Bri.ining e Ministro Curtius di venire a Roma per una visita al Capo del Governo, secondo la vostra comunicazione di venerdì u.s. (1). Da ultimo, cosa insolita e strana in contrasto con gli accordi da noi presi sabato

u.s. a mezzogiorno (2), il Ministero degli Esteri tedesco dirama un comunicato nel quale si tace la circostanza che per il Governo italiano non può non avere un valore preminente e che cioè l'iniziativa di questo viaggio a Roma è dovuta esclusivamente al Cancelliere Bri.ining e al Ministro Curtius, mentre si insiste sopra l'invito che sarebbe stato rivolto dal Capo del Governo, invito che per assoluto dovere di esattezza non è stato fatto, essendomi io limitato a dirvi da parte del Capo del Governo che l'iniziativa di ùn incontro a Roma col signor Bri.ining era stata accolta con molto piacere e che si trattava ora di stabilire, a seconda degli impegni reciproci, la data del viaggio. Sabato stesso telegrafai al nostro Ambasciatore a Berlino perché si mettesse in contatto col Ministro Curtius allo scopo di fissare tempestivamente le modalità del futuro incontro. Non posso non rilevare, con sorpresa e dispiacere, questo strano modo di procedere da parte del Governo del Reich, e non so davvero cosa pensare sul seguito che quest'inizio così poco felice potrà determinare.

Von Schubert -Mi esprime il suo vivo rincrescimento e mi dà lettura del dispaccio da lui inviato venerdì e sabato a Berlino, dispaccio che in verità riproduce esattamente i termini del nostro colloquio. Mi conferma la sua sorpresa per le indiscrezioni fatte sui giornali e anche per il comunicato ufficiale che egli qualifica come • una gaffe • del suo Governo. Mi dice che egli stesso ne ha avuto una impressione, sì da consigliarlo a mettersi subito in comunicazione telefonica col Ministro Curtius onde avere schiarimenti, in quanto che era stato inteso che un comunicato sarebbe stato fatto d'accordo tra i due Governi. Il Ministro Curtius gli avrebbe detto per telefono che sabato sera l'Ambasciatore d'Italia aveva fatto pervenire a lui Curtius e al Cancelliere Briining un invito ufficiale da parte del Capo del Governo. In quanto al comunicato esso era stato redatto d'accordo con l'Ambasciatore Orsini.

Grandi -Dò lettura a von Schubert del telegramma di istruzioni inviato all'Ambasciatore Orsini nel pomeriggio di sabato dopo il mio colloquio con lui, aggiungendo che conosco Orsini per un esecutore troppo diligente e fedele delle istruzioni del Governo per dubitare che egli sia andato oltre il mandato ricevuto. Ma ad ogni modo se anche Orsini avesse aggiunto un atto formale di cortesia alle comunicazioni scambiate tra me e Schubert a Roma, ragione di più perché il Governo tedesco dovesse tener conto dei precedenti e non tacere la circostanza che l'iniziativa del viaggio a Roma era dovuta ad un

<al Cfr. n. 366.

passo dell'Ambasciatore di Germania. Dichiaro all'Ambasciatore di Germania che in queste condizioni il Governo fascista si trova nella necessità di precisare pubblicamente come si sono svolti i fatti. Il Ministro Curtius dichiara continuamente di essere preoccupato che nulla possa ferire le suscettibilità francesi. Ebbene, per una volta soltanto, il Governo italiano ci tiene a chiarire che anche da parte sua nessuna iniziativa è venuta che possa in questo momento di difficoltà franco-tedesche rendere ancora più difficile la situazione fra la Francia e la Germania. Ricordo a Schubert la serie degli equivoci sgradevoli e non dimenticati che accompagnarono il desiderio espresso da Stresemann di effettuare un viaggio a Roma molti anni orsono (mi pare nel 1926) (1). Ricordo ancora il cattivo gusto di certa stampa tedesca la quale non ha esitato a lanciare ed insistere sopra una menzogna e cioè sull'avere il Capo del Governo italiano proposto a Stresemann una alleanza contro la Francia. Tutto ciò è ben lungi dal costituire quel • fair play • condizione indispensabile per le serene discussioni internazionali.

Von Schubert -Mi domanda di attendere nella serata a fare il comunicato ufficiale per dargli il tempo di mettersi in comunicazione telefonica ancora con Berlino allo scopo di consigliare il suo Governo ad aggiungere al comunicato Wolf diramato a mezzogiorno un altro comunicato, ovverosia le necessarie illustrazioni perché ogni equivoco sia chiarito. Mi domanda se in questo caso io fossi disposto ad inserire nel comunicato un accenno relativo all'invito del Governo Italiano al Governo germanico.

Io ripeto a von Schubert che il Governo Italiano non fa questione su questo dettaglio di forma che era naturalmente implicito nella comunicazione per la quale il Capo del Governo italiano dichiarava essergli gradita la visita a Roma dei Ministri tedeschi. È evidente che di fronte all'intenzione espressa da Bruning di recarsi a Roma per visitare il Capo del Governo, il Capo del Governo risponda a questa cortesia con un'altra cortesia. Ma lo sgradevole consiste nel fatto dell'avere il Governo tedesco mostrato un certo desiderio di far credere all'opinione pubblica internazionale che esisteva un invito italiano indipendentemente da qualsiasi intenzione precedente mostrata dal Governo tedesco. Il comunicato di mezzogiorno, non concordato, venuto dopo le indiscrezioni di ieri, non toglieva interamente questa prima impressione.

Mi metto in comunicazione telefonica col nostro Ambasciatore a Berlino. Orsini Baroni mi dichiara che egli non è andato oltre le istruzioni ricevute. Aggiunge che stamane il Ministero degli Esteri tedesco gli ha fatto pervenire un progetto di comunicato in cui non si parlava che dell'invito italiano senza far cenno di altro. E dietro le insistenze dell'Ambasciatore d'Italia il Governo tedesco si sarebbe deciso a inserire quella prima frase in cui si parla di proposta tedesca, che dovrebbe far presumere precedenti intese tra i due Governi.

La Stefani mi recapita la notizia giunta da Berlino da parte del Wolf Bureau il quale anziché trasmettere il comunicato integrale del mezzogiorno si limita a comunicare l'invito puro e semplice del Governo Italiano.

Ad ora tarda von Schubert ritorna a Palazzo Chigi. Egli mi informa di aver parlato telefonicamente col Ministro Curtius. Questi gli avrebbe detto di

essere spiacente dell'accaduto, di trovarsi nell'impossibilità di fare un secondo comunicato senza dar luogo a chissà quale genere di commenti che egli vorrebbe evitare, Egli tuttavia si impegna di dare istruzioni alla stampa germanica perché i fatti siano messi nella loro vera luce, Il Ministro Curtius mi prega di credere all'assoluta sincerità e lealtà dei propositi del Cancelliere Brlining e del Ministro Curtius,

Rispondo all'Ambasciatore von Schubert ponendogli sotto gli occhi il testo della notizia trasmessa dal Wolf Bureau. Von Schubert se ne mostra preoccupato e mi domanda ripetutamente che cosa farà il Governo Italiano.

« Nulla di precipitato " gli rispondo. « Ma sarà opportuno comunque di stabilire, sia pure in modo non sgradevole per alcuno, almeno la parte sostanziale della verità. Non posso nascondervi tuttavia che il modo con cui la cosa si è iniziata non è incoraggiante, e mi rende alquanto perplesso sul suo esito finale •.

(l) Questo e il doc. successivo furono inviati da Grandi in vrswne al re.

(2) -Cfr. MARTIN!, op. cit., pp. 145-146. (3) -Cfr. n. precedente. (4) -Sulla questione del conflitto col Vaticano cfr. anche una lettera di Grandi a Mussolini del 9 luglio ed. in DE FELICE, Mussolini, p. 265, nota 2.

(l) Cfr. n. 362.

(l) Cfr. G. CARoçcr, La politica estera dell'ItaLia fascista (1925-1928), Bari, 1969, p. 185.

371

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, ALL'AMBASCIATORE A WASHINGTON, DE MARTINO

T. u. R. 705/287. Roma, 30 giugno 1931, aTe 24.

Suoi telegrammi N. 436 del 26 corrente e senza numero del 28 corrente (1).

Azione che Francia cercasse di esercitare direttamente su Germania per ottenere garanzie circa Anschluss, ed in generale per assicurarsi che Germania n.on metta a profitto sacrifizi degli Stati creditori per scopi politici particolari non sarebbe contraria agli interessi italiani e non ci conviene quindi di astacolarla. Anche R. Governo del resto non ha mancato di far chiaramente comprendere al Governo tedesco che se pure nostra adesione alla proposta Hoover è stata incondizionata ciò non significa che Italia rimarrebbe indifferente di fronte ad un tentativo tedesco di approfittare della situazione per attuare programmi contrastanti coi nostri interessi.

Governo iblinno si è reso conto della impossibilità di abbinare iniziativa Hoover di ordine economico e mondiale coi problemi di politica europea. Esso si è quindi astenuto dal sollevare tali problemi a Washington, sia perché nei riguardi particolari dell'Anschluss crede che per altre vie e con opportuna azione si potrà raggiungere lo stesso scopo (2).

In una comunicazione (3) fatta in questi giorni a Governo britannico ho insistito sulla legittima preoccupazione dell'Italia per Anschluss e sulla necessità che tale problema non sia dimenticato ( 4).

Sono d'accordo con Castle che gesto tedesco di rinunzia alla progettata costruzione di incrociatori corazzati potrebbe aver favorevoli ripercussioni non soltanto su accordo navale itala-francese ma anche su questione del disarmo in generale.

(1) -Cfr. n. 361. (2) -A questo punto su una prima minuta del tel. si leggeva il seguente passo, poi sanpresso da Grandi: « sia ar..c:,e in linea generale per lasciare alla Francia, più direttamente mir!acciata di noi da un accrescimento della iorza politica tedesca, di mettere in prima linea le sue obiezi.oni ccn tutti gli inconvenienti e le conseguence che esse comportano· inconvenienti e conseguenze anche di carattere finanziario che FraO'lcia può affrontar~ meglio di noi data la sua attuale forza economica e finanziaria , . Il passo si trova nel finale del doc. n. 364. (3) -Questo capoverso è stato minutato da Grandi in sostituzione di un nrecedente, da lul c1r>~ellato, r•Pl G'·aJe lo stesso concetto era espresso con minor nettezza. • (4) -Cfr. nn. 353 e 365.
372

APPUNTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, SUL COLLOQUIO CON L'AMBASCIATORE D'INGHILTERRA A ROMA, GRAHAM

Roma, 30 giugno 1931.

Grandi -• Ho desiderato vedervi perché siate in grado di mettere il signor Henderson al corrente delle circostanze relative ai fatti di questi ultimi giorni. Desidero infatti che il Governo Britannico ne sia informato, e per questo ho telegrafato a Bordonaro di mettersi in contatto con ~enderson, così pure come ho provveduto ad informare attraverso i nostri Ambasciatori di Parigi e Washington i Governi francese ed americano •. Faccio quindi a Sir Ronald Graham la cronistoria delle conversazioni avute con Schubert (l) e così fino al nostro comunicato ufficiale diramato stanotte. Non nascondo la sgradevole impressione avuta in questi tre giorni dal modo di procedere del Governo tedesco il quale, è chiaro, ha cercato di sfruttare l'avvenimento in modo troppo grossolano. Il Governo Italiano tiene a che non si diano false interpretazioni alla cosa e che cioè non appaia che nel momento di particolare difficoltà in cui si trova il Governo francese in seguito alla proposta Hoover ed alle susseguenti polemiche per l'incontro progettato franco-tedesco, sia saltato improvvisamente in mente all'Italia di profittare della situazione per mettere la Francia in maggiori imbarazzi di quelli nei quali già si trova. Il Governo Italiano allo stato dei fatti non ha alcuna intenzione di insistere che l'incontro di Roma abbia luogo prima dell'incontro franco-tedesco, di cui. deve apparire la naturale ed evidente integrazione.

Graham -Riconosco che la condotta del Governo tedesco in questo episodio è stata grossolana, come del resto è stata sempre.

Graham non mi nasconde che egli stesso ha avuto una sensazione di sorpresa nel leggere le notizie di Berlino e che ha trovato da parte dell'Ambasciata di Francia una ripercussione non favorevole.

Grandi -In verità è molto difficile dare delle impressioni favorevoli al signor de Beaumarchais.

Passando ad altri argomenti Graham mi informa di avere trasmesso fedelmente l'eco delle mie preoccupazioni relative alle possibili conseguenze che la proposta Hoover poteva avere nei riguardi di una accresciuta potenza germanica in Europa, e particolarmente delle ragioni italiane circa l'unione austrotedesca, e l'atteggiamento che la Gran Bretagna aveva assunto nella questio

ne (1). Graham non aveva avuto risposta da Londra, ma, cosa ben più impor

tante, egli aveva avut<> in comunicazione un dispaccio che Henderson aveva spedito a Lindsay, Ambasciatore Britannico a Washington, incaricandolo di far presente al Governo americano da parte del Governo britannico lo stesso ordine di idee e di impressioni contenute nel mio colloquio con Graham, di cui il dispaccio britannico a Washington era la riproduzione fedele (quanto mi dice Graham è confermato dal telegramma che l'Ambasciatore de Martino ha inviato sabato dopo un suo colloquio con Castle, nel quale Castle gli ha per primo riparlato della questione dell'Anschluss in termini assai benevoli per noi). Anche la Gran Bretagna dunque comincia a domandarsi se per avventura non stiamo tutti aiutando la Germania oltre il necessario, ma ad ogni modo non è senza importanza che il Governo britannico si sia reso immediatamente conto che le ragioni da me esposte a Graham andavano esaminate in connessione con le grandi questioni politiche attualmente in discussione ed esaminate soprattutto dallo stesso Governo americano (2).

Graham mi ha quindi raccontato, a titolo confidenziale, un episodio non privo di interesse, riferitogli da sua moglie in una lettera da Londra. Lady Sybil, trovandosi a sedere durante un pranzo vicino a Mellon, questi le avrebbe detto essere stata fatta da lui direttamente al Presidente Hoover la proposta per due anni di moratoria e non per un anno, al che il Presidente Hoover avrebbe risposto di trovar~i nella necessità di limitare la sua proposta al periodo di un anno.

Grandi -Accenno a Graham alla voce messa in giro negli ambienti di Ginevra, non so da chi, per la quale il Governo Italiano domanderebbe l'aggiornamento della Conferenza del Disarmo, e all'altra voce comparsa nel • Daily Herald • per la quale il Governo Italiano domanderebbe la convocazione di una Conferenza per i debiti. Voci non rispondenti alla più lontana verità.. Il Governo Italiano, non solo continua ad essere dell'avviso che la Conferenza del Disarmo deve essere convocata alla data fissata, ma esso ritiene altresì che la proposta Hoover crea di per se stessa l'ambiente migliore per i lavori della Conferenza del Disarmo. Circa la Conferenza dei debiti l'Italia non ha mai pensato né pensa di avere iniziativa al riguardo.

Prima che il colloquio finisca domando a Graham se egli ha letto le dichiarazioni fatte dal Ministro delle Finanze spagnuolo, secondo le quali il Governo di Madrid si preparerebbe ad abbandonare il Marocco e domandare alla Società delle Nazioni che ne assuma direttamente la gestione. • Io non so quanto di ve1·o vi sia in questa notizia, ma è troppo evidente che il Governo Italiano segue con particolare interesse la questione. Penso che con non minore interesse essa sarà seguita a Londra. Vi sarei grato se voi mi teneste informato qualo1·a aveste su questo problema qualcosa di interessante. Analogamente sarà jatio dal Governo italiano , .

Graham mi risponde che la situazione del Marocco non può non interessare il Governo britannico molto da vicino, e che tutto quanto potrà sapere al riguardo me lo comunicherà (1).

(l) Cfr. nn. 362, 366 e 370.

(l) -Cfr. nn. 341 e 353. (2) -Cfr. il te!. 1961 del 2 luglio con cui Chiaramonte Bordonaro comunicava: Hencìerson « ha riconosciuto necessità indurre tedeschi a non complicare maggiormente col lorn pi~ogetto situazione internazionale già così complicata, e mi ha detto molto confiden··:almente che egli ha già cominciato ad adoperarsi in questo senso e spera di riuscire ''urante la sua prossima visita a Berlino ad ottenere che tutta la questione sia almeno pe:il momento lasciata cadere».
373

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO DELLE CORPORAZIONI, BOTTAI

L. R. 2526. Roma, 30 giugno 1931.

In questi ultimi tempi il Ministero degli Esteri ha avuto sempre più frequente occasione di ricorrere alla collaborazione del tuo Ministero. L'importanza e la complessità delle questioni che caratterizzano l'attuale momento della vita internazionale, e la cui soluzione, orientando in un senso

o nell'altro tutto l'assetto politico-economico mondiale, può avere così profonde e decisive ripercussioni sulla intera economia nazionale, richiedono infatti una stretta ed intima collaborazione degli organi politici e tecnici competenti, in modo che l'azione affidata ai primi a tutela degli interessi nazionali sia corroborata e orientata da uno studio esauriente degli aspetti tecnici delle singole questioni e dalla conoscenza quanto più è possibile sicura e completa dei loro riflessi di carattere economico interno.

Non occorre ripeterti quanto io apprezzi l'intelligenza e la passione con cui Tu segui questi problemi, nei quali il Tuo consiglio mi è stato tante volte prezioso. E la collaborazione premurosa e cordiale che si è stabilita fra le nostre due amministrazioni ha creato la migliore atmosfera per il lavoro da compiere ed è di buon augurio per l'avvenire. Ma non è che un inizio e molto c'è ancora da fare su questa strada.

Permettimi quindi, nell'interesse veramente vitale, data l'imponenza dei problemi che ci troviamo di fronte -nell'interesse, ripeto, di questo comune lavoro, di segnalarti anche, quando se ne presenti l'occasione, le deficienze che rrii sembra di riscontrare nel contributo di qualche organo tecnico da Te dipendente.

La collaborazione, per esempio, degli organi tecnici competenti alla elaborazione della memoria che verrà presentata da S.E. Pilotti al Tribunale dell'Aja nella discussione relativa al progetto di unione doganale austro-tedesca, collaborazione essenziale e sulla quale facevo grande assegnamento, non è stata quale mi attendevo.

La documentazione delle conseguenze economiche che l'unione avrebbe per il nostro Paese era assolutamente insufficiente, tanto che, all'ultimo momento, mancand;:> il tempo per rivederla e completarla coi nostri mezzi, abbiamo

Con telespr. rr. 223993/445 del 6 luglio, inviato per conoscenza anche a Parigi e Madrid, Grandi diede istruzioni a Chiaramonte Bordonaro di mantenersi in contatto con il Foreign Office circa la questione del Marocco perché c conviene non perdere di vista i possibili futuri atteggiamenti del Governo Spagnolo», sebbene le dichiarazioni del ministro delle finanze fossero state subito smentite.

dovuto attingere al materiale ben più abbondante e probatorio raccolto per le loro memorie dai francesi e dai cecoslovacchi.

Sono veramente dolente, caro Bottai, di doverti segnalare questo inconveniente. Se mi sono indotto a farlo è perché attribuisco la più grande importanza alla collaborazione delle nostre Ammin!strazioni e son certo che ti dorresti se non richiamassi la tua attenzione su quanto può renderb meno efficace e quindi nuocere all'opera che conduciamo fra tante difficoltà e in un momento tanto delicato nella difesa dei nostri interessi nel campo internazionale (1).

(l) Annotazioni di Guariglia: • vedi ultima parte. Agli atti "Marocco"».

374

IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

R. RR. 2563/1434. Vienna, 30 giugno 1931.

Facendo seguito alla mia lettera a V. E. in data 24 giugno n. 1374 (2), credo dover tornare sulla questione di una possibile re~taurazione e conseguente unione austro-ungarica.

Come dicevo nella lettera stessa, la trattazione di tale questione sembra presentarsi per ora come avente carattere accademico. Infatti meno che mai nel momento in cui è da prevedersi si prepari per l'Austria, in una forma o in un'altra, un controllo internazionale che inevitabilmente diminuirà anche più quella già, almeno teoricamente, ristretta indipendenza che le era stata riconosciuta dal trattato di San Germano e dal protocollo di Ginevra, può pensarsi come praticamente effettuabile un atto di sovranità quale la restaurazione di un trono e l'unione con un altro Stato. Malgrado quanto precede e il carattere di superflua elucubrazione che potrebbe derivarne a questo mio rapporto, io sono indotto a redigerlo da altre ragioni, oltre allo spunto che mi è offerto dalla comunicazione fatta a V.E. nella prima parte della lettera su ricordata.

Sembra a me innanzi tutto che un argomento di tanta importanza per noi meriti di essere esaminato da ogni suo lato anche se le possibilità di attuazione di quel progetto siano adesso assai piccole. L'Europa passa per un gravissimo periodo di instabilità economica, di cui non possiamo purtroppo prevedere ancora la durata e gli eventuali sviluppi anche nel campo politico, e quello

« Ho personalmente e cnn molta attenzione considerato quanto ha formato oggetto

della tua lettera n. 2526 in data 30 corrente, che, per vero, avrei desiderato mi fosse giunta

come una comunicazione strettamente riservata...

E, d'altra parte, ti assicuro che mi rendo perfettamente conto come oggi le questioni

di politica economica assurgano, nel più vasto campo della politica internazionale, ad una

importanza sempre maggiore, e come pertanto lo studio pronto e sagace di tali questioni

si imponga come una necessità inderogabile ai fini nazionali...

Per mia parte, però. non posso sottrarmi al dubbio che in questi ultimi tempi i tuoi Uffici abbiano potuto imputare talvolta a non buona volontà di collaborazione taluni atteggiamenti degli organi tecnici da me dipendenti e dovuti ad un senso di doverosa responsabilità ed alla imprescindibile necessità di lumeggiare i pericoli insiti in taluni nuovi orientamenti di politica economica, e ciò, non già allo scopo di avversare i dise!Ini e le finalità che si proponeva il tuo Ministero, ma a quello, invece, di dare a tali disegni e finalità quella possibilità di attuazione che altrimenti essi difficilmente avrebbero potuto

conseguire ».

che oggi appare impossibile può apparire possibile in appresso come conseguenza di nuove situazioni di cui ora non siamo in grado di antivedere nemmeno la configurazione.

Ma altri due ordini di ragioni mi pare consiglino di esaminare la questione, e temperino in parte quell'aspetto di pura trattazione accademica che la sua attuale discussione presenta a prima vista.

Alludo innanzi tutto agli interessi e al conte~no della Francia. Che la Francia abbia sempre temuto l'annessione è certo. Ma mi pare altrettanto certo debba più che mai temerla ora, in cui ha visto più reale e più vicino il pericolo della sua attuazione, ed esser quindi disposta, pur di evitarlo, ad esaminare senza dinieghi pregiudiziali quelle altre soluzioni, oltre alla preferita, le quali, sino a quando il pericolo poteva apparire meno minaccioso, avrebbero forse trovato una sua opposizione di massima. Del resto che questa mia supposizione abbia qualche fondamento di verità mi sembra indicato da alcuni articoli apparsi nei giornali francesi, dopo conosciuto il progetto di unione doganale, per sostenere la tesi dell'utilità di una restaurazione e di una unione austro-ungarica. Credo, ma non ne sono certo perché non seguo regolarmente la stampa francese, che articoli simiìi non fossero stati pubblicati negli anni passati, per quanto si fosse già udito qui qualche vaga ma ripetuta voce secondo cui certi circoli francesi, e lo stesso Quai d'Orsay, non avrebbero considerato con ferma ostilità le possibilità di una restaurazione. Vi era stato anzi, a quanto ricordo aver qui udito, qualche progetto di restaurazione e unione sostenuto a Vienna subito dopo la guerra dal ministro di Francia dell'epoca, ora morto, sig. Alizé, ma si trattava di restaurazione dei Wittelsbach e di unione dell'Austria con una Germania meridionale cattolica separata dal , Reich , protestante. Idee simili d'altronde, più o meno precise e più o meno diffuse, devono aver continuato a circolare in Francia. Allorché l'arcivescovo di Parigi cardinale Dubois, ora morto anche lui, venne qui tre anni fa, mi accennò alle sue preoccupazioni per i dannosi effetti che un'unione dell'Austria alla Germania avrebbe potuto avere sul sentimento cattolico di quella, e riparlò vagamente di unioni con altri stati cattolici nelle quali egli pertanto non ravvisava pericoli per il mantenimento delle credenze ortodosse di questa popolazione. È certo che all'opposizione che la Francia, malgrado quanto precede, potrebbe tuttora fare a un progetto di restaurazione asburgica contribuirebbe, e per non poco, l'idea dell'impressione che ciò produrrebbe sulla Piccola Intesa in genere e sulla Cecoslovacchia in specie, e del danno che ne deriverebbe. Senonché mi pare dubbio che, per quanto concerne la Cecoslovacchia, riuscirebbe più pericoloso alla vicina repubblica il ritorno di un Asburgo e una unione tra due piccoli stati di razza diversa, quali l'Austria e l'Ungheria di oggi, che non una Germania accresciuta di oltre sei milioni di austriaci, la quale con più estese comuni frontiere, con più numerosa popolazione, e con l'entusiasmo e l'impeto derivanti dal primo successo nell'attuazione del programma pangermanico premerebbe altrimenti sulla Cecoslovacchia, e altrimenti eserciterebbe la sua forza di attrazione spirituale ed economica sui tre e più milioni di tedeschi i quali vi abitano e hanno parte così importante nella vita di quello stato. Che se anche, malgrado tutto ciò, l'opposizione della Cecoslovacchia fosse eguale per entrambe le soluzioni, l'interesse della Francia, costretta a preferire la restau

razione all'annessione, potrebbe avere il sopravvento. Per quanto concerne le altre due Potenze, è evidente che opposizioni a una restaurazione sarebbero messe innanzi tanto dalla Jugoslavia quanto dalla Romania, stati nei quali per il numero relativamente ristretto di sudditi di razza tedesca non vi sarebbero le stesse preoccupazioni che nella Cecoslovacchia. Senonché, ove fossero superate le difficoltà cecoslovacche, e indebolito così il vero legame antiungherese della Piccola Intesa, sarebbe meno difficile superare le resistenze non solo della Romania, ove più forte ancora del timore ungherese è quello sovietico, ma anche della stessa Jugoslavia. Legata come questa è ormai alla Francia, non sembra le riuscirebbe possibile mettersi dalla parte della Germania; né avrebbe effetto una sua eventuale minaccia di intendersi con l'Italia visto che noi saremmo d'accordo con la Francia per una restaurazione. D'altra parte qualche formala, come la garanzia degli attuali confini tra Austria-Ungheria da una parte e Cecoslovacchia Jugoslavia e Romania dall'altra, potrebbe essere escogitata dalla Francia. Tutte queste sono ipotesi che possono considerarsi più

o meno accettabili, ma resta il fatto che ove la Francia volesse veramente sostenere una restaurazione e una unione austro-ungarica, una via di uscita per fare accettare tale programma dalla Piccola Intesa dovrebbe pur trovarlo. Che cosa varrebbe più la Piccola Intesa il giorno in cui le mancasse l'appoggio della Francia?

Il secondo ordine di ragioni cui mi riferisco deriva dalla situazione interna austriaca. Quando in uno dei miei colloqui con mons. Seipel nel mese scorso (l) gli accennai alle possibilità di un'unione austro-ungherese, egli, pur mostrandovisi implicitamente favorevole, obiettò che essa non era possibile, data la differenza di ordinamento statale, finché l'Austria fosse stata una repubblica, e che d'altra parte l'idea di un'unione non avrebbe qui trovato consensi se non quando quest'opinione pubblica si fosse convinta dell'impossibilità per l'Austria di continuare a vivere nella presente situazione, e della mancanza di qualsiasi altra tavola di salvezza. Io sono stato sempre e continuo a essere convinto che l'Austria, ove riformasse la sua costituzione e facesse una politica di economie, ove cioè volesse vivere non come poteva prima della caduta dell'impero ma come dovrebbe in relazione alla sua presente situazione, avrebbe in sé mezzi sufficienti di esistenza. Ma ciò che in questo caso importa non è la mia opinione bensì quella degli austriaci, fondata o infondata che essa sia. Ora gli Austriaci sono stati sin dalla fine della guerra convinti di non poter vivere, il che è vero se per impossibilità di vita si consideri quella che da allora hanno continuato a menare e che non era se non la continuazione, e per gli strati inferiori della popolazione migliorata, di quella d'avanti guerra. E se tale è stata fino al febbraio scorso la loro convinzione -e una conseguenza se ne può vedere nell'accettazione della proposta tedesca per un accordo doganale per quanto assai più vantaggioso per la Germania che non per l'Austria -molto più salda è questa convinzione oggi, dopo le rivelazioni sul dissesto della Credit Anstalt e sul « deficit » del bilancio dello stato, e anche più salda essa diverrà domani quando sarà nota la maggior gravità così del

l'uno come dell'altro. Il giorno in cui si sarà qui convinti della impossibilità senza una guerra di giungere all'annessione e della impossibilità senza l'annessione di continuare a vivere come ora, vi sarà qualche utile premessa per l'accettazione del progetto di un'unione con l'Ungheria, giacché di una confederazione danubiana nessuno vuol udir parlare.

Ho creduto dover esporre tutto quanto precede a V.E. pur rendendomi conto di aver spaziato nel campo di ipotesi e deduzioni, cui altre ipotesi e deduzioni potrebbero essere contrapposte. Quale che sia il valore di quanto ho esposto, esso non infirma quanto passo ulteriormente ad esporre; questa mi sembra la parte più solida del mio ragionamento, ed è il punto sul quale più mi preme di attirare l'attenzione di V.E. anche in relazione a ciò che era riferito nella mia lettera all'E.V. Se per giungere a un'unione austro-ungarica occorre che avvenga prima il ritorno di questo stato alla monarchia, ciò non credo potrà accadere se non dopo che un Re sia salito sul trono di Ungheria. Ne accennai nel mio ultimo colloquio a Seipel, il quale, come già a un mio precedente accenno nell'autunno scorso, non rispose in modo negativo, ma neanche affermativo. Senonché io persisto nella mia convinzione, e g1iene spiegai le ragioni alle quali egli nulla obiettò. Il partito legittimista austriaco è scarso, debole, privo di capi di qualche intelligenza e energia; né deve dimenticarsi che esiste qui un forte e ben diretto partito socialista il quale è, evidentemente, antilegittimista e anti-ungherese, così come antilegittimisti, e anti-ungheresi ma in senso unionista. sono i pangermanisti, pochi e incapaci ma sostenuti dal Reich. Se non sono riuscite a far nulla le Heimwehren, che rpure avevano un semplice programma di restaurazione interna, il quale come tale non poteva offrire ragioni o pretesti a qualcuno degli stati contigui di intervenire, molto meno potrebbero riuscire a far qualcosa i legittimisti, più deboli delle Heimwehren stesse, tentando un ristabilimento monarchico il quale avrebbe risonanze internazionali. Ma un certo legittimismo latente, allo stato potenziale, c'è pure tra questa borghesia di cui tutti gli attuali uomini politici furono fedeli sudditi di casa Asburgo, e molti anche la servirono nei pubblici impieghi. Legittimisti, sia pure nello stesso modo, vi sono tra i generali, compreso il Ministro della guerra. Ancor più numerosi sono infine i legittimisti fra il clero; l'arcivescovo principe di Graz, Pawlikowski, ne è tra i capi più noti e attivi, e fondate voci sono spesso qui giunte di riunioni legittimiste colà avvenute sotto la sua direzione. Questo legittimismo non ha fatto non fa e non farà nulla

• rebus sic stantibus ». Ma il giorno in cui un Re salisse sul trono di Ungheria, specie se quel Re fosse Otto, questo legittimismo, risvegliato da quella presenza e da quel successo, eccitato dal peggioramento della situazione interna, desideroso di un mutamento che anche per gli indifferenti avrebbe l'attrattiva della novità nella quale sempre chi è malcontento spera, potrebbe essere capace di qualcosa. E quando nulla, malgrado ciò, ci si decidesse a fare qui, il nuovo Re di Ungheria potrebbe forzare gli eventi. La distanza dai confini ungheresi a Vicnna è di poche diecine di chilometri, e sulla strada da Budapest alla frontiera austriaca si vedono soldati ungheresi non esigui di numero e di aspetto non imbelle.

Se e quando una restaurazione sia possibile in Ungheria, non so, e non è questione di mia competenza. Senonché ripeto credere che solo dopo di essa sarebbe possibile una restaurazione austriaca, la quale mi sembra premessa necessaria a un'unione austro-ungarica. Noi non abbiamo decisioni immediate da prendere. Ma non sarebbe inutile pensarvi a tempo e ponderare sul da farsi ove apparisse un'occasione propizia la quale, passato il momento opportuno, potrebbe non presentarsi più e lasciar aperto l'adito a soluzioni diverse, imposte da altri o da altro. Il tentativo di unione doganale, nella sua sostanza, nella sua forma, e nella sua procedura, ci deve essere di ammaestramento. Per quante poche siano le simpatie dell'austriaco per il prussiano, il giorno in cui questi potesse e volesse agire di nuovo, la • Gemiithlichkeit • di quello non opporrebbe alcuna resistenza. E mi limito a questo solo esempio (1).

(l) Bottai rispose ccn l.r.p. del 7 luglio, della quale si pubblicano i passi seguenti:

(2) Non rinvenuta.

(l) Cfr. n. 279.

375

IL MINISTRO A TIRANA, SORAGNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

TELESPR. RR. 1526/667. Tirana, 1 Zuglio 1931 (2).

Il Generale Pariani ha inviato al Ministero della Guerra il rapporto che qui allego, e del quale prego V. E. di voler prendere attenta visione. Ho chiesto al Generale Pariani quale competenza d'ufficio egli riteneva che

S. E. Gazzera potesse avere in materia e a quale scopo egli gli •sottoponeva notizie, pcr-oblemi e pareri che non avevano nulla a vedere colle questioni miUtari. Mi ha risposto che, come ufficiale, riferiva al suo Ministero le proprie vedute su tutte le questioni che rit,eneva interessanti, anche per H caso che, in Consiglio dei Ministri, il Minils:tro della Guerra credesse di sostenerle presso il Capo del Governo.

Di tanto informo V. E. nell'ipotesi che avesse a meravigliarsi della natura di questo rapporto e del fatto dell'interferenza così aperta del Generale Capo del Dipartimento Militare di S. M. il Re degli albanesi in un campo che gli dovrebbe essere estraneo.

Circa la designazione del Gen. Pariani come membro italiano della Commissione di controllo, mi onoro informare V. E. che, non volendo, per delicatezza, opporre io al Re il veto sul lsuo nome, avevo pregato il Generale di rispondere egli stesso alle insistenze del Re con un preciso rifiuto. Gli avevo anche spiegato che la mossa del Re è dovuta unicamente al fatto che il Re sa di avere su di lui una grande influenza, e che conta su ciò per facilitarsi il compito di manovrare la Commissione a proprio piacimento. Ma la questione rimane sul tappeto.

L'avevo anche pregato di non immischiarsi nel problema della scelta dei membri della Commissione; di !asciarmi il tempo, prima di cacciare in testa al Re certe idee, di interrogare preferibilmente V. E., il cui parere mi sembra abbia maggior peso in materia; insomma, di non spingere coi suoi discorsi il Re a far preisto, perché io ritengo ci convenga procrastinare un po' le cose, e ritardare l'arrivo dei primi denari.

Clrca questa specie di alto funzionario, di Commissario Supremo, ch'egli in mancanza o in attesa di se stesso, vorrebbe inserire nella Commissione, gli ho fatto osservare che eravamo già, io e lui, in due, di cui uno forse di troppo; e che, se tiravamo tra noi un terzo pel4sonaggio di primo piano, proveniente da un terzo Ministero, ignaro delle cose albanesi, .ricco di idee e di progetti, per3Uasissimo delle proprie capacità e che 'si sarebbe messo anche, terzo, a far la gran politica, prevedevo tempi diffidli.

Gli è che H Gen. Pariani mi trova singolarmente povero e s·cettico in fatto di progetti e di idee. A quel modo che egli viene elaborando un magni,fico e perfetto piano di mobilitazione e di guerra, sebben forse più adatto alla Prus'Sia federiciana che all'Albania di Zog; così egli vorrebbe che si elabora,sse al più presto un grandioso « piano decennale • di ricostruzione dell'.AJlbania, in cui impegnare tosto i trecentosessanta milioni di prestiti. L'alto Commissario, addottrinato da lui, potrebbe fol'!se uscire dal meschino empirismo in cui vegeta la Legazione, attendendo il momento, preconizzato neH'ultimo alinea del rapporto, in cui • si desidererà di non tener più distaccato il campo militare da quello civile •.

N o n mi preoccuperei delle idee politiche ed amministrative del G€n. Pariani, se si limitassero a colloqui in iscritto fra lui e il Ministero della Guerra. Ma l'azione del Gen. Pariani si esercita, viceversa, giornalmente ed efficacemente presso Re, Ministri, personalità albanesi ecc., in maniera che sfugge ad ogni mia influenza e controllo. So benis·simo che ciò non ha facilitato il mio compito e non lo faciliterà in avvenire; che la sua influenza neutralizza la mia in tante questioni, e dovunque si tratta di tener duro e di tirare la ·corda. Ma non so che farci.

Circa Ia composizione della Commissione, se V. E. ritiene che io debba cedere e dichiarare al Re che ,sono d'accordo sulla nomina de·l Generale Pariani a Commislsario, prego di telegrafal'melo. Naturalmente, quanto ·concerne la gestione del prestito, il controllo finanziario, gli organizzatori civili, e tutta la influenza e la politica che ne deriverà, dovranno dipendere allora dal Generale Pariani; perché, data la sua mentalità ed il concetto ·che egli ha delle nostre relazioni coll'Albania, so che egli applicherebbe il principio di evitar noie alla Legazione mettendomi di fronte ad una serie di fatti compiuti e di questioni pregiudicate, e con ciò precludendomi ogni efficacia d'azione (1).

« È noto a V. E. che il Generale Pariani (in un rapporto a S. E. Gazzera trasmesso pe!' conoscenza dal Marchese di Soragna a questo R. Ministero) ha riferito essergli stato espresso da Re Zog il desider;o che la designazione del secondo membro cada su di lui. Accanto alle ragioni esposte dal R. Ministro a Tirana, e dall'Ufficio Albania pienamentecondivise, sull'inopportunità che il Generale Pariani entri a far parte della Commissione

21 -Documenti diplomatici-Serie VII-Vol. X

ALLEGATO.

PARIANI A GAZZERA (l)

N. 144. Tirana, 20 giugno 1931.

Oggi S. M. Re Zog, dopo il consueto rapporto, mi ha detto:

• Ora che è stata risolta la questione del prestito occorre pensare bene alla costituzione della Commissione speciale che dovrà, in certo qual modo, regolare l'impiego del prestito stesso. La Commissione sarà composta di due albanesi e due italiani.

Ho già parlato in proposito al Marchese Soragna il quale, per uno dei Commissari, mi ha fatto il nome dell'organizzatore delle finanze, Comm. Merlino, e si è riservato di comunicarmi l'altro nome. Gli ho allora soggiunto che, da parte mia, vedrei volentieri che l'altro Commissario italiano fosse Lei. La Commissione sarebbe così formata: da parte albanese, il Ministro della Corte ed un altro funzionario non ancora prescelto; da parte italiana, Lei e Merlino.

Il Ministro Soragna, pur senza opporsi a questa mia idea, ha soggiunto che non riteneva appropriata per un Generale questa nuova carica, ma io insisterei su questa soluzione e Le chiedo quindi se vuole assumersi la carica stessa ".

Dell'argomento già mi aveva parlato il Ministro Soragna, e perciò ho risposto:

• Maestà, naturalmente son pronto ad ubbidire agli ordini che possono essermi dati da V. M. e dal mio Governo, ma debbo con tutta franchezza dire ciò che in proposito io penso.

La Commissione dovrebbe avere la capacità di dirigere il complesso finanziario-economico del Paese, formulando anzitutto quel programma di consolidamento del Paese che nessuno ha potuto compilare perché finora si è vissuti alla giornata, affrontando i problemi non con un concetto organico, ma sotto l'impulso delle più svariate forze: necessità contingenti, opportunità politiche

(interne ed anche estere), ragioni militari, interessi personali, ecc...

Ora, il Comm. Merlino è un magnifico funzionario del Ministero delle Finanze, ma egli stesso ci tiene a non uscire dal suo campo amministrativo; è cioè un organo utilissimo che può rappresentare un perfetto freno regolatore ma non una forza di propulsione.

Non conosco il Ministro Libohova abbastanza per giudicarlo come uomo di larghe vedute e di fattivo lavoro, capace cioè di dare vivo impulso alla Commissione.

Circa l'altro Commissario albanese V. M. stessa è in dubbio sulla scelta, perché non ha alcuna persona che mostri attitudini a questo compito.

In sostanza, vedo una Commissione che non ha molta capacità praticamente produttiva e pregherei quindi V. M. di non mettermi in una posizione nella quale non mi sentirei di poter rendere efficacemente. Non è nel mio carattere accettare incarichi solo per avere un titolo •.

S. M. replicò che la scelta del mio nome era appunto fatta per dare forza a questa Commissione, inquantoché egli è convinto che io conosca i problemi dell'Albania almeno quanto lui e che di ciò sono convinti anche i suoi Ministri tanto che la mia nomina sarebbe a loro bene accetta. Ha soggiunto inoltre che qualora io accettassi, estenderebbe l'azione della Commissione non solo all'aliquota del prestito ma a tutto il bilancio dello Stato albanese.

\tali obbiezioni, come V. E. ricorderà, si riferiscono per una parte alla persona di Parian;

e per l'altra alle funzioni che gli sono attualmente affidate), ve n'è un'altra da cui non si

può prescindere nell'attuale momento, ed è che la presenza del Generale Pariani neìia

Commissione darebbe subito l'impressione che il nuovo apporto finanziario è destinato a

spese militari •.

In data imprecisata Grandi telegrafò a Soragna che, presi gli ordini da Mussolini, la

partecipazione di Pariani alla commissione mista doveva essere scartata.

Ho risposto che se nei miei discorsi avevo potuto far nascere l'impressione di essere al corrente delle varie questioni albanesi, non ero però tecnicamente in grado dl risolverle.

Ed ll Re: • Ma la Commissione non deve risolvere dettagli tecnici: questi saranno risolti dagli organizzatori i quali debbono avere la competenza di farlo. La Commissione avrà un compito più alto e vasto: fare programmi, dare direttive, esprimere giudizi su questioni controverse, controllare gli ordini dati; per la parte tecnica di dettaglio saranno messi organizzatori in ogni campo.

Ad ogni modo, invece di dire subito di no, ci pensi: abbiamo tempo ancora qualche giorno, ma se non accetta Lei temo che perderemo molto tempo prima che altri si orienti e si metta in grado di essere produttivo •.

Ho riportato il discorso quasi integralmente perché ritengo che, indipendentemente dalla mia persona, la questione debba essere risolta in modo da assicurare un efficace funzionamento della Commissione la quale, se saprà fare, potrà avere notevole influenza nella vita del Paese.

Già nel passato ebbi occasione di far presente che, secondo me, in Albania occorrerebbe tenere bensì interdipendenti, ma nello stesso tempo distinte tra loro le questioni relative all'organizzazione interna dell'Albania da quelle relative alla politica estera. Tutto il complesso dell'organizzazione interna dell'Albania dovrebbe per parte nostra far capo, possibilmente, ad un'unica persona che dovrebbe essere vicina al Re, costituendone un vero consigliere. A questa persona dovrebbero rivolgersi tutti gli organizzatori per avere direttive, appoggio, giudizio, pur continuando ogni centro di organizzazione a funzionare nel proprio campo. In sostanza vedrei: per quanto riguarda il problema albanese: un Capo organizzatore presso il Re e vari centri (da questo Capo tenuti in stretta collaborazione) presso i Ministeri più interessati.

La R. Legazione, oltre a tutte le attribuzioni di natura diplomatica, dovrebbe dare all'organizzatore Capo le direttive opportune per lo svolgimento dell'opera di questi e conservare funzioni di arbitra qualora nascessero divergenze fra i vari organizzatori ed il loro Capo, oppure fra il Capo stesso e le Autorità albanesi. Con questo sistema l'autorità del R. Ministro e la sua personalità ne guadagnerebbero. Si verrebbe così a togliere al nostro più alto Rappresentante un travaglio giornaliero dovuto alla trattazione di cose minute e che spesso turbano, anziché agevolare, le sue funzioni di R. Ministro.

Altrettanto vantaggio si avrebbe nel rendimento pratico del lavoro di organizzazione, perché si finirebbe con lo stabilire chiaramente un programma concreto dl lavoro.

Per conto mio, per quanto non sia certo attratto ad assumermi nuovi compiti

e nuove responsabilità, oltre quelle che già gravano su me, ritengo doveroso ri

chiamare l'attenzione su questo punto perché è indispensabile sortire dall'attuale

ginepraio, fissando le attribuzioni in modo rispondente alla situazione locale così

da renderle di più semplice ed efficace rendimento.

In sostanza, quello che necessita creare è, secondo me, una figura che sotto una veste qualsiasi (non è il nome che ha valore) abbia funzioni che si potrebbero qualificare di Alto Commissario, per quanto riguarda il complesso interno albanese, dipendente sempre dal R. Ministro che avrebbe in tal campo funzioni di alta direzione.

La scelta dell'individuo dovrebbe essere fatta in relazione al campo princi

pale d'azione che si intende sviluppare, campo che potrà naturalmente variare in

armonia al procedere della complessa nostra azione in questo Paese. Occorre solo

che sia uomo energico, organico e propulsivo.

Nulla vieta d'altra parte che in un primo tempo, se si desidera tenere di

staccato il campo militare da quello civile, lasciando pel momento a me il primo,

si faccia venire un nuovo organizzatore civile il quale dovrebbe essere il primo

Commissario nella nota Commissione italo-albanese.

(l) -Si pubblica qui il seguente passo di un successivo rapporto Vienna 8 luglio: Seipel « è convinto della necessità oer l'Austria della conclusione di un nuovo grande prestito internazionale, ma teme non sarà possibile ottenere una riduzione del potere finanziario della provincia socialista di Vienna, perché il "Labour Party" che è al potere [in Inghilterra] vi si opporrà, e vi si opporranno altresì i socialisti francesi (dell'appoggio dei quali Briand non può fare a meno), malgrado le gravi divergenze di idee tra quelli e i loro compagni austriaci nei r5guardi dell'annessione •. (2) -In un appunto (di data posteriore) conservato nel suo Archivio, Grandi definisce il periodo luglio-dicembre 1931 c estremamente delicato e interessante •.

(l) L'8 luglio l'ufficio Albania redasse per Mussolini un promemoria nel quale si legge, a proposito della composizione della Commissione mista paritetica:

(l) Il documento fu inviato per conoscenza anche al capo di stato maggiore dell'esercito, generale Bonzani.

376

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO A SOFIA, CORA

T. R. 703/87. Roma, 3 lugl.io 1931, ore 16.

Prego V. S. seguire attentamente sviluppi attuale 'situazione inte·rna bulgara che R. Governo considera di particolare interesse riferendomi massima diligenza (1).

377

L'AMBASCIATORE A LONDRA, CHIARAMONTE BORDONARO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

TELESPR. 2917/1469. Londra, 3 luglio 1931.

Telespresso di V. E. n. 222705/417 del 25 giugno u.s. (2).

Ho intrattenuto personalmente Henderson ·sul punto di vista del R. Governo nella questione della •Cessazione del Mandato irakiano. Mi sono valso degli argomenti fornitimi a voce e •con successivi dispacci e gli ho riferito quanto avevo già detto a Cadogan. Gli ho detto ·che, per evitaTe pubblici contrasti a Ginevra,

V. E. desiderava che la que31tione fosse possibilmente rregolata tra di noi ed ho insistito sulla speciale importanza che il R. Governo vi attribuisce nel quadro generale dei rrapporti itala-britannici per arrivare ad un accordo di reciproca comprensione.

Il sig. Henderson mi ha ascoltato con visibile interesse, si è mostrato edotto dei miei colloqui precedenti con Cadogan, ma non ha saputo o voluto darmi alcun affidamento di entrare nel nostro ordine di idee.

Ha !sostenuto 'che la procedura seguita dall'Inghilterra gli sembrava normale e conforme alle stipulazioni del covenant, ·che una inchiesta diretta da parte della Società deHe Nazioni implicherebbe allo stato attuale delle cose una perdlita di tempo, mentre non sarebbe pos,sibile oramai, per gli impegni presi con l'Irak, :ritardare la domanda di ammissione di questo Stato alla Società delle Nazioni nel 1932. D'aUra .parte, mi ha fatto osservare non risultargli

Nel corso del 1931 ci fu in Bulgaria una ripresa di propaganda del partito comunista, contro il quale il partito agrario prese netta posizione. Sulla politica comunista in Bulgaria cfr. il tel. posta di Cora 1784/526 del 27 maggio 1931: «Il "Comintern" si rende conto delle difficoltà che la sua propaganda incontra nella popolazione bulgara costituita in maggioranza dalla classe agricola poco propensa alle rivoluzioni in genere. Non potendosi qui combattere il gran capitalismo che non esiste, si cerca di premere sulla piccola borghesia per unirla al proletariato agrario o agli infimi proprietari di terreno e metterli così contro i pochi esponenti della grossa borghesia locale fattasi strumento delle grandi politiche imperialistiche •.

essere stata finora fatta alcuna formale abbiezione a Ginevra !SUlla progettata procedura. Era tuttavia disposto a far esaminare H nostro punto di vista dai suoi organi .competenti, se avessi voluto ripetergli per iscritto -sotto forma di lettera personale -gli argomenti che gli avevo esposto a voce.

Sto preparando una lettera in quel:>to senso, ma non mi faccio molte !illusioni sull'esito che essa potrà avere e mi domando 1se non :sia il caso, visto che tutti gli avvertimenti preventivi sono già stati dati in proposito, che venga presentato un formale promemoria a Ginevra da parte nostra.

Gradirei, frattanto, essere informato delle dis:cuJs1sioni che circa la cessazione del Mandato irakiano hanno avuto luogo durante l'ultima sessione della Commissione dei Mandati, e se la nostra stampa se ne è occupata.

(l) Le elezioni bulgare tenutesi nel giugno 1931 avevano visto la vittoria dei partitidi opposizione, fra cui quello agrario che entrò a far parte del Governo. Con tel. posta 3034/915 del 9 settembre 1932 Cora dava notizia a Mussolini del rafforzamento degli agrarinella compagine governativa bulgara e commentava: V. E. « ha visto giusto prescrivendomifino dallo scorso anno, prima delle elezioni generali, di avviare rapporti con gli agrari ».

(2) Cfr. n. 359.

378

L'AMBASCIATORE A PARIGI, MANZONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. PER CORRIERE 2009/287. Parigi, 4 luglio 1931 (per. il 6).

Telegramma di V. E. n. 721/296 (1).

Credo che la realtà non sia quella espre3sa dal signor Curtius che " nei circoli politici francesi si è furiosi per decisione R. Governo ». N e i circoli non responsabili e politicanti più che poiitici, resi sens.itivis:simi daUa moSis:a Hoover, dalla visione di possibile isolamento, qualunque mossa d:i un terzo che a questo isolamento volentemente o nolentemente convergeva di fatto, non è ·stata gradita. Quando lsi tratta dell'Italia in questi circoli, siano essi di sinistra radicale

o di destra, o di centro antifascista, la reazione è sempre viva e assume tailvolta un estremo aspetto " dispettoso » •che può facilmente ingannare il terzo, specialmente se predisposto, come poteva esserlo l'informatore del signor Curtius. Ad esempio, il Sauerwein, del " Matin », il tedescofilo forse interessato, e l'antiitaliano forse non disinteressato, rilevando il principio d'accordo fattosi jersera tra negoziatori Americani e Francesi, lancia stamane una velenosa frecciata contro alcuni Governi che hanno clamorosamente affrettata la loro adesione alla proposta Hoover. Si osservi poi che ·la notizia della nostra mossa, giunse qui dopo la disillusione provata nel constatare che nella risposta del Capo del Governo al signor Hoover non vi era, come erasi fatto credere, ne.s1sun accenno all'Anschlttss

Nei circoli responsabili politici non ho visto reazione alcuna contro di noi. Non vi è .stata qui a Parigi, come ho informato coi miei telegrammi n. 2.72 e 273, alcuna premura di informarci, alcuna cura di cercarci; niente di tutto ciò; vi è stato un atteggiamento di quella normale noncuranza di noi e

dell'Italia che è la regola della politica del Quai d'Orsay, salvo a dird di tanto in tanto che si vuole fare un accordo coll'Italia, stabilire relazioni intime; ma non sono mancate né le dimoistrazioni premurose di trovare come marciare insieme in alcune faccende (per esempio per l'Austria vedi mio telegramma di ieri n. 280-281) né parole a favore di un accordo navale con noi (vedi discorsi de Jouvenel e Ministro Dumont del 2 corr. proprio il giorno successivo all'evento [sic] nostro che avrebbe reso • furiosi • i circoli Francesi contro di noi).

Dunque in tali condizioni, se non me ne offrono i francesi ste;ssi l'opportunità, mi par preferibile non prenda io l'iniziativa di una giustificazione • non petita • di un atto che in tanto vale iri quanto mostra che il R. Governo persegue, nelle debite forme e sostanze, la politica nazionale Italiana (1).

(l) Del 3 luglio, trasmesso anche a Londra, Washington e Bruxelles, che non si pubblica: adesione italiana alla proposta Hoover.

379

L'AMBASCIATORE A PARIGI, MANZONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

(Archivio Grandi)

L. 3702/2084. Parigi, 6 luglio 1931.

Ho l'onore di trasmettere, con preghiera di recapito, la risposta alla lettera autografa di S. E. il Capo del Governo, inviatami col dispaccio n. 2524 del 30 giugno ·.1.s. (2).

ALLEGATO.

MANZONI A MUSSOLINI

Parigi, 6 luglio 1931.

Ho l'onore di rispondere al biglietto circa l'asserito atteggiamento antipatico di Monsignor Maglione.

A me, finora, nulla risulta.

Ho incontrato Monsignore due volte dacché è cominciato il conflitto in Italia per l'Azione Cattolica: entrambe le volte all'Eliseo, la prima al congedo dal Signor Doumergue, la seconda alla presentazione al Signor Doumer. In entrambe l'atteggiamento di Monsignore, coram Corpo Diplomatico, è stato quello di sempre, ossia molto cortese ed apolitico.

Nessun Collega, nessun privato, coi quali ho parlato del conflitto per l'Azione Cattolica in Italia mi ha fatto il minimo accenno a manifestazioni in qualsiasi senso di Monsignor Maglione; e questi, per sua abitudine, è sempre con tutti correttissimo e prudentissimo.

Mi informerò ancora, per controllare anche se v'è qualche cambiam~nto dopo le ultime più attive azioni del Pontefice. Mi pare difficile perché Monsignore deve sentire che, salvo nel Clero e nei bigotti, l'attività sinistroide del Pontefice non incontra favore, solleva invece la preoccupazione del disordine religioso e politico che una tempesta simile cagionerebbe in Francia se vi si abbattesse sopra.

(l) -Con tel. 744/313 del 9 luglio, ore 14, Grandi rispose: "Approvo interamente sua linea di condotta ». (2) -Non si pubblica, cosi come non si pubblica una lettera di Mussolini a Manzoni del 19 gennaio e la risposta di Manzoni del 23, circa il giudizio dei francesi su Mussolini (Archivio Grandi).
380

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, VANNUTELLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. 2066!75. Vnrsavia, 7 luglio 1931, ore 17,20 (per. ore 22).

In assenza di Zalewski, che 'si trova in regolare congedo, ho avuto col Sottosegretario di Stato per gli Affari Esteri Beck, fiduciario Maresciallo Pilsudsky, due lunghe cordiali conversazioni in occasione scambio visite preliminari.

Ho riportato impressione che Governo polacco, pur persistendo per logica necessità nell'atteggiamento di incondizionata adesione al piano Hoover, sia alquanto imbarazzato per difficoltà tuttora frapposte daHa Francia ;sua alleata e che d'altra parte conservi ancora una certa apprensione per il contegno scarsamente energico del Governo britannico contro la progettata Unione doganale austro-tedesca.

Nel mio colloquio ho approfittato per ricordare al mio interlocutore, il quale ne ha pienamente convenuto, la utilità che identità di vedute maniféstatasi a Ginevra tra l'Italia e la Francia nei riguardi dell'Anschluss possa rafforzarsi e integrarsi in una intesa totalità rapporti fra Roma e Parigi finora cattivi e non per nostra negligenza.

Sebbene Beck non mi abbia fatto alcun esplicito accenno alla prossima visita dei membri del Governo germanico in Italia ed io mi sia naturalmente astenuto dal parlarne di proposito, ho tuttavia creduto opportuno di condurre il discorso in modo da ingenerare in lui la spontanea convinzione che si tratta di un sempUce episodio complementare, il quale si era inquadrato nella serie delle indispensabili prese di contatto fra ,i maggiori interessati in vista dell'auspicato accordo generale di fronte all'ini2'liativa americana per la soluzione del problema fondamentale della ricostruzione economica europea, e che comunque la linea di condotta finora costantemente osservata dall'Italia nei riguardi dei rapporti germanico-oolacchi rimane immutata (1).

trasmesso:

« Ritengo utile dirLe per Suo futuro orientamento che sarà meglio astenersi, a meno di mie diverse istruzioni, dal dare costì l'impressione di un nostro marcato desiderio di giungere ad una completa intesa con la Francia. Anche nella questione dell'Anschluss vi può essere fra noi ed i francesi identità di scopi, ma non forse identità di mezzi per raggiungerli.

Circa la visita dei membri del Governo tedesco a Roma, non vi è neanche bisogno di cercare delle attenuazioni ad uso polacco.Al momento opportuno mi riservo darLe istruzioni per Sua eventuale norma di linguaggio"·

Annotazione a margine di Ghigi: « S. E. il Ministro dice di non farne nulla per ora ».

(1) Guariglia minutò come risposb il seguente tel. per corriere, che però non fu

381

IL MINISTRO A BUCAREST, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. RR. 2072/64. Bucarest, 7 luglio 1931, ore 23 (per. ore 3,15 dell'B).

Telegramma per corriere di V. E. n. 727 (1).

Poiché Governo romeno non può che attribuire importanza primordiale mantenimento clausola segreta, esso trarrà da qualsiasi nostra controproposta motivo di apprenlsione o di risentimento. Ciò pertanto, qualora noi si volesse sollevare, come riterrei necessario, questione clausola segreta, s«rebbe forse opportuno di riesaminare T,rattato in tutto il suo complesso, o di rimandare senz'altro di un anno questione rinnovo, giustificando proposta di tale proroga col comune interesse dei due Paesi a ~riesaminare !loro rapporti alla stregua della trasformazione che non mancherà di subire situazione internazionale in seguito Conferenza disarmo, probabilmente Conferenza per riparazioni e debiti di guerra, e stesso progetto per Unione Europea.

Qualora invece V. E., pe,r le ragioni comunicatemi col telegramma suindicato vogHa limitare negoziato nel senso prospettato, non esito sottometterLe che concordo pienamente nell'opportunità di sostituire claUisola segreta con impegno di reciproca neutralità giacché questo impegno farebbe venire meno,

o certamente attenuerebbe, preoccupazioni di cui tenni parola a V. E. nel febbraio scorso :relativamente atteggiamento romeno nei riguardi eventuale conflitto italo-jugos1lavo. Ho anz,i l'impressione che tale impegno verrebbe vantaggiosamente a modificare « ex se • la portata dei rprimi tre articoli del Trattato, ai quali occorre rivolgere speciale attenzione, stante nota tendenza della Romania ad ampliarne 'interpretazione nei nostri riguardi, mentre essa ha costantemente dimostrato volerne relstringere portata per quanto riguarda i propri rapporti nel suo interesse alleati.

382

APPUNTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, SUL COLLOQUIO CON L'AMBASCIATORE D'INGHILTERRA A ROMA, GRAHAM

rRoma], 8 luglio 1931.

Graham -Mi dà visione di una lettera direttagli da MacDonald nella quale MacDonald prega Graham di far sapere al Duce che egli è lusingato per il fatto di avere il Duce notato con piacere il riferimento fatto al Messaggio di Mussolini di Capodanno durante l'ultimo radio-discorso (2). MacDonald ag

« Il Capo del Governo ha letto ieri il testo del discorso pronunciato dal Primo Ministro Britannico alla British Movietone News una settimana fa. Il Capo del Governo prega Sir

giunge ehe egli ha ~citato il Mes:saggio del Duce con vera soddi,sfazione. Continuando nel,la sua lettera MacDona,ld giudica con parole molto aspre l'atteggiamento francese a proposito del Piano Hoover, atteggiamento che mentre da un 'lato non ha dato nessun vantaggio sostanziale alla Francia, ha fatto d'altra parte perdere gran parte dell'effetto morale deH'iniziativa Hoover per tutti i popoli europei..

Graham mi domanda se io ho nessuna notizia concreta da Berlino e da Parigi sull'ulteriore ~seguito all'accordo franco-amerkano.

Grandi -Gli rispondo che non ho altre notizie aU'infuori di quelle dei giornali ,che 1sono dn verità non chiare. Vi sarà o non vi sarà que1sta Conferenza? (1). Sino a qual punto l'accordo franco-americano è suscettibile di danneggiare la posizione dell'Inghilterra e dell'Italia nei riguardi del Piano Young? Il Governo Italiano ha accolto con interesse le dichiarazioni del Cancelliere Snowden e segue con attenzione \lo svolgersi dei fatti.

Graham -Mi informa confidenzialmente r1sultargli che il Governo americano ed 11 Governo britannico hanno fatto pas,si a Berlino per~ché U Governo tedesco, in questo momento in cui America, Inghilterra, Italia e FranC'ia danno tanta prova di buona volontà per aiutare la Germania, faccia eSiso pure un gesto di buona volontà e solidarietà internaziona,le, gesto che dovrebbe compendiarsi in una rinuncia all'unione doganale austro-tedesca e alla rinuncia della mes,sa in cantiere del secondo incrociatore corazzato da 10 mila tonn. Sembra tuttavia che il passo americano e britannico non abbia avuto un esito

Ronald Graham di fare sapere al signor MacDonald come egli abbia apprezzato e Io ringrazi dell'accenno fatto in tale discorso dei messaggi di Capodanno ("I therefore welcome most heartily Signor Mussolini's recent trumpet cPII for peace... ") ».

Sempre a Londra si riunì dal 17 luglio all'11 agosto un comitato di esperti per l'applicazione della moratoria Hoover sui deb!ti di guerra. Capo della delegazione italiana era Beneduce, ma, poiché questi fu trattenuto altrove, capo di fatto della delegazione fu Edoardo Lanino, che aveva la carica di console. Sui lavori del comitato degli esperti Lanino scrisse a Grandi un «rapporto finale», datato Londra 12 agosto 1931. Di questo rapporto si pubblicano i passi seguenti:

« I lavori del Comitato sono stati ostacolati dal fatto che, mentre la proposta del Presidente Hoover era stata considerata ed apprezzata nel suo pieno valore e subito integralmente accettata da S.E. il Capo del Governo italiano e dal Primo Ministro Britannico, aveva invece incontrato resistenza da parte del Governo francese, a cui risale la responsabilità di averne svalutata la portata !imitandone l'applicazione.

Il Comitato degli Esperti non ebbe infatti la libertà di azione di applicare unicamente la Nota Hoover nella sua integralità, ma si trovò costretto ad interpretare ed applicare anche l'accordo particolme franco-americano di Parigi del 6 Luglio.

L'azione della Delegazione italiana fu primordialmcnte diretta, dal suo Primo Delegato, On. Ben.,duce, dal lato politico, a mettere in piena luce, in tutto il suo valore, l'adesione data da S. E. il Capo del Governo all'iniziativa del Presidente Hoover, facendo risultare come questa iniziativa avrebbe dovuto comportare il semplice "slittamento" di un anno dei pagamenti dei debiti fra Governi c come la sospension<= avrebbe dovuto estendersi alla "totalità" dei pagamenti medesimi e senza "correttivi" di sorta, che si presentavano dannosi specialn1ente per 1a Germania, a soccorrere la quale, nel n1omento attuale, la iniziativa stessa 9iù particolarmente tendeva ...

Questa direttiva politica non ha impedito alla Rappresentanza italiana di svolgere un'azione parallela ne! campo jìnanzia1·io nel senso che la necessaria applicazione che si doveva dare all'accordo franco-americano: (i) comportasse "fin da ora" una cgue,glianza di diritti, facendo partecipare l'Italia "sulla base del suo diritto" a quei vantaggi che la Francl2. sj era assicurati con l'Accordo di Parigi e che gli organi esecutivi della B.R.I., male interpretando le istruzioni della lettera del R. Governo, avevano omesso d'applicare

lsia nei confronti dell'Italia che nei confronti della Gran Bretagna; c (ii) non infirmas~e "in futuro" il diritto, conseguito dall'Italia all'Aja, di ricevere dalla Francia, sulla parte incondizionale, una "quota integrativa" nel caso eventuale in cui i rimborsi della annualità I-foover differita avvenissero solo parzialmente.

Questi obiettivi sono stati raggiunti ». Il documento reca il visto di Mussolini.

positivo. Curtius avrebbe risposto trovami il Governo tedesco in una situazione di debolezza parlamentare che non gli consente di prendere iniziative in questo senso a meno di essere rovesciato.

Grandi -Rilevo l'opportunità di questo ·passo americano e britannico, che spero .oarà continuato onde mettere la Germania sulla via della saggezza. di cui non ha dato veramente prova in questo ultimo periodo. L'asserita impossibilità per il Governo tedesco di cui parla Curtius è un mero pretesto, in quanto che il Governo di Berlino sarebbe certamente in grado senza nulla sacrificare del suo prestigio di fronte al Reichstag ed all'opinione pubblica interna di indirizzare la procedura alla Corte dell'Aja in modo da facilitare alla Corte !stessa quella dedsione che potrebbe calmare g:li allarmi suscitati dalla progettata unione dogana·le, allarme che è tutt'altro che sedato. Date ·le intenzioni manifestate dai Governi americano e britannico, di cui prendo atto con soddisfazione, io mi domando se un'attitudine conseguente che il giudice americano Kellogg ed il giudice britannico Hurst al Tribunale dell'Aja potessero prendere durante le prossime discussioni sulla progettata unione austro-tedesca, non potrebbe determinare quella 1s.ituazione di fatto per cui l'unione doganale sparis,se come una delle ragioni di legittima preoccupazione esistenti ;n Europa. Il mancato intervento britannico a·l Tribunale dell'Aja ha raffmzato la tesi tedesca ed indebolito quella della Francia, dell'Italia, e della Cecos·lovacchia. Sarebbe quindi utile che la Gran Bretagna provvedesse a controbilanciare questa situazione di fatto sia continuando ad insistere su Berlino, sia contribuendo ad indirizzare pre:ò,so la Corte dell'Aja i lavori in modo da giungere ad una conclusione definitiva che non permettesse più oltre di riaprire la questione.

Graham -Concorda nelle mie osservazioni ed esprime l'avviso che sarebbe uUle illuminare Stimson sulla questione in modo che egli recandosi a Berlino sia in grado di dire una parola autorevole al Governo tedesco. Nessuno meglio di lui potrebbe farlo e con più 1successo. E nessuno meglio del Duce può convincere Stimson dell'opportunità di farlo.

Graham mi domanda se nelle prossime conversazioni con Stimson sarà trattato alcun che di particolare.

Grandi -Rispondo a Graham che nessun piano di colloqui è stato predi·sposto, ma ·che io lo terrò informato delle conversazioni che S.timson avrà col Capo del Governo e con me onde egli possa mettere 1.subito al corrente MacDonald ed Henderson, colla stessa cortese premura con cui H Primo Ministro e il Segretario di Stato britannioi hanno subito messo il Governo Italiano nl cor

rente delle conversazioni tedesco-britanniche ai Chequers.

Graham -Mi domanda se posso dargli qualche informazione 1sulla situazione determinatasi coll'Enciclica Papale di sabato .scor,so. Egli vorrebbe tenere informato il suo Governo, e ciò soprat'outto nell'intento di fare cosa a noi grata, in quanto che gli risulta che ogni giorno da parte del Vaticano si forniscono con ampiezza di dettagli al Corpo dip•lomatico accreditato presso 'la Santa Sede una quantità di notizie sul .conflitto collo Stato Italiano, con la preghiera da parte della Santa Sede di trasmetterle immediatamente ai 1s1ingoli Governi. Egli è informato di tutto ciò dall'Incaricato d'Affari Britannico rresso la S. Sede,

il quale ogni giorno naturalmente invia a Londra quanto la Segreteria di Stato lo prega di trasmettere. Graham vorrebbe controbilanciare le informazioni date dalla S. Sede con altre notizie, più attendibili, da parte del Governo Italiano onde H Governo di Londra possa essere illuminato sulla vera portata delle cose.

(l) -Cfr. P. 584, nota l. (2) -Cfr. la comunicazione verbale fatta da Grandi a Graham il 25 giugno:

(l) II 20-23 luglio si riunì a Londra una conferenza economica dei ministri degli esteri e delle finanze delle grandi potenze occidentali (cfr. n. 413). La delegazione italiana non vi prese quasi parola, come risulta dai verbali ed. in DB, II, pp. 435 sgg. Cfr. solo un breve intervento di Grandi a p. 454.

383

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO A BUDAPEST, ARLOTTA

D. s. 2677. Roma, 8 luglio 1931.

Questo Incaricato d'Affari romeno ha chiesto a questo Ministero il 23 giugno scorso da parte del suo Governo quali f01ssero le intenzioni del Governo italiano nei riguardi della rinnovazione del Patto di amicizia itala-romeno (1).

Tale Patto, ratificato il 18 luglio 1927 ha, come è noto, la durata di 5 anni, e dovrà essere denunziato o rinnovato un anno prima della sua scadenza.

Per ciò 1'eventuale r'innovo dovrebbe aver 'luogo entro il 18 luglio 1931.

Il R. Governo intenzionalmente non aveva preso finora nessuna iniziativa, ed io avevo dato già da alcuni mesi istruzioni al R. Ministro in Bucarest di non ,sollevare la questione, perché nel caso che il Governo ro-meno non avesse fatto da parte sua alcuna comunicazione di sue intenzioni prima del 18 luglio 1931, saremmo stati più liberi di regolarci come avessimo creduto più conveniente secondo le circostanze del momento, sostenendo anche l'avvenuta decadenza del Patto di amicizia, e quindi la necessità di intraprendere un negoziato ex novo.

Ma poiché come ho detto innanzi il Governo romeno ha chiesto ora ufficialmente le nostre intenzioni al Tiguardo, non è certo po1s:sibile e neanche conveniente nelle attuali condizioni politiche generali di rifiutare la rinnovazione del Patto, e solo resta a vedere se e quali modifiche ci convenga apportarvi per meglio adattarlo alla nostra linea po-litica anche nei xiguardi dei Paesi amici, come l'Unghe-:':'ia.

GiQIVa a tal proposito rammentare che il Governo romeno aveva durante le trattative del 1926 proposto il testo di un vero e proprio trattato di alleanza. Nel testo da noi proposto invece, l'articolo 2° conteneva l'impegno di reciproca neutTalità nel caso che una delle due parti fosse oggetto di una aggressione non provocata; ma esso fu soppresso su proposta del Governo romeno motivata dal fatto che il suo contenuto sarebbe stato di troppo evidente contrasto col progetto di alleanza che aveva formulato il precedente GQIVerno romeno.

Alla venuta del Generale Averescu a Roma per la firma del Trattato, fu invece ,sottoscritto sepa•ratamente uno scambio di lettere segrete nelle quali è detto che il Patto tra l'Italia e la Romania ha per iscopo [nnanzi tutto e sopratutto il mantenimento della pace, ma se malgrado il loro desiderio ed i loro sforzi

comuni le forze armate di una delle due parti contraenti si trovaso;ero nella necessità di respingere •con le armi una aggressione non provocata, gli Stati Maggiori dei due Paesi procederanno a degli scambi di vedute sui mezzi tecnici per una eventuale cooperazione (gliene acolt:do copia).

Tutto dò si spiega facilmente tenendo .presente che H Governo romeno tendeva in quell'.epoca allo .s•copo di legarsi a noi il più possibile per garantirsi contro la Russia e contro l'Ungheria (nei riguardi della prima noi non avevamo mfatti ancora ratificato il trattato per la Bes.sarabia), mentre da parte nostra noi non potevamo giungere per evidenti motivi ad una vera e propria alleanza, quale era auspicata da Bucarest, ma c'i conveniva paralizzare il :più possibile la Romania in un eventuale caso di conflitto itala-jugoslavo. Avevamo per questo pensato alla clausola di neutralità ma vista la resistenza romena, si dovette addivenire al suddetto scambio di lettere segrete, il quale del resto fu il risultato di personali convergenti pressioni fatte insieme dai Generale Averescu e dal Maresdallo Badoglio legati da personale amicizia e da comuni tendenze politiche.

Oggi però la situazione è alquanto cambiata, ma mentre nei riguardi della Russia non sembra essere più per noi utile di dare un appoggio positivo alla Romania, né evidentemente vogliamo ancor meno darle tale appoggio nei riguardi dell'Ungheria, persiste tuttavia la convenienza di legare in qualche modo le mani alla Romania per l'eventualità di un conflitto itala-jugoslavo.

A tale scopo, dopo matura rifles,sione, sono venuto nel convincimento che Barebbe più opportuno lasciar ·cadere lo scambio di lettere segrete, il quale oltre tutto per la sua stes~a segretezza non ha un gran valore effettivo; e poiché sarebbe probabilmente difficile ·indurre il Governo romeno a rinunziare senz'altro a tale intesa di carattere militare, crederei meglio proporre che venga aggiunta al Patto la clausola di reciproca neutralità, esistente nel nostro primitivo progetto.

Prima di procedere alle trattative nel senso .surriferito, prego V. S. di parlare della cosa personalmente e riservatissimamente col Conte Bethlen, e pregarlo di farmi conoscere il suo pensiero sull'argomento che è particolarmente importante per i rapporti così amichevoli della .politi-::a italiana con quella ungherese e per mantenere quel perfetto 'srpirito di lealtà cui essi debbono ispirarsi.

Io sono sicuro che il Conte Bethlen non potrà non riconolscere il'impossibi

lità e del resto anche l'inopportunità di non rinnovare il nostro Trattato con la

Romania, e la convenienza di apportarvi le minori modifiche possibili, anche

se in esso si fa riferimento al mantenimento dei trattati in vigore. Tale riferi

mento infatti non soltanto esiste in molti altri nostri trattati, ma sarebbe impos

sibile chiederne la cancellazione senza destare gravi e profonde ripercussioni

politiche. D'altra parte il Conte Bethlen sa bene che la nostra tesi sulla revisione

dei Trattati si basa sulla esistenza sostanziale e non formale di alcune clausole

in essi contenute, e che 'Cioè la revisione è per noi dentro e non fuori trattati

stessi.

Ella vorrà poi fargli considerare specialmente non soltanto il vantaggio di

svincolarci da impegni maggiori mediante l'inserzione della clausola della neu

tralità, ma che tale pattuizione mentre non è per no.i priva di >impo.rtanza per la eventualità di un conflitto itala-jugoslavo, d'altra parte non d legherebbe completamente le mani nel caso di un conflitto romeno-ungherese, tenendo specialmente presente che l'impegno alla neutralità è espressamente previsto pel solo caso di aggressione non provocata, e quindi noi stessi dovremmo giudicare se si tratti oppur no di aggressione senza alcuna •provocazione.

Prego V. S. di riferirmi con la massima urgenza la conversazione che avrà avuto col Conte Bethlen al riguardo non potendo procrastinare più oltre una risposta definitiva al Governo romeno, data la pross·ima ·SCadenza del 18 luglio.

Aggiungo anzi per Sua personale conoscenza (lasciando la S. V. giudice dell'opportunità di informarne o meno fin d'ora il Conte Bethlen) ·che ho già fatto sapere a Bucarest in via di massima che non saremmo alieni dalla rinnovazione del Patto e che gradiremmo conoscere in via preventiva ed ufficiosa il pensiero del Governo romeno circa una eventuale aggiunta della clausola di neutralità, lasciando cadere lo scambio di lettere segrete (1).

ALLEGATO.

Roma, 16 settembre 1926.

Le tratte conclu en date de ce jour entre l'Italie et la Roumanie a pour but avant tout et surtout le maintien de la psix.

Mais si malgré leur désir et leurs efforts corr.muns dans ce but, les forces armées d'une des hautes parties contractantes se trouveraient dans la nécessité de repousser par les armes une aggression non provoquée, les états majors des deux Pays présièderont à des échanges de vue sur les moyens techniques pour une eventuelle coopération.

(l) Cfr. n. 367.

384

IL MINISTRO A TIRANA, SORAGNA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

R. 1596/695. Tirana, 8 luglio 1931.

Il Comm. Merlino mi ha recato copia del foglio di osservazioni diretto dal R. Ministero delle Finanze al R. Ministero degli E,steri, concernente principalmente la Commissione di ripartizione e di erogazione del prestito, ed i suoi poteri

Io ritengo che V. E., il quale ha seguito l'origine e l'andamento delle trattative, e lo spirito delle medesime, sia in possesso di tutti i dati neces,sari per

S2rei perciò grato all'E. V se Ella declinasse l'invito, adducendo una ragione derivante dagli impegni della Sua carica, e che Le riuscirà certo agevole di trovare date le alte e molteplici cure che il Governo della Libia richiede dall'E. V.•.

dare al Ministero delle Finanze le ,z·piegazioni del caso. Ad ogni buon fine, faccio rilevare i punti principali che servono a delucidare l'affare -invero poco chiaro -per chi non sia a giorno dell'andamento dei nostri rapporti con l'Albania.

l") Il nostro concorso finanziario all'Albania non è un prestito, o una serie di prestiti, se non per il nome. In realtà, è un apporto annuo gratuito, un soccorso proporzionato al bilancio albanese. Contrariamente a quanto avviene in linea normale, ci siamo studiati a togliere, a smorzare, in questo ·concorlso finanziario, le caratteristiche di un'operazione di credito, per conferirgli quella di un dono gratuito; che è in realtà. Si è mantenuta soltanto la finzione del vocabolo

• prestito ", per salvaguardare l'altra fin.zione, che lo Stato albanese non sia uno Stato sus,sidiato e quindi vassallo; ma tale finzione è stata mantenuta in modo che eii1sa appaia palesemente una finzione, e ciò al fine di creare, accanto alla dipendenza finanziaria di fatto, la persuasione internazionale di tale dipendenz:c:, con conseguenze morali e poUtiche la cui vipercussione, ad un dato momento, centuplicherebbe la forza delle altre ipoteche che abbiamo già preso sull'Albania.

2°) Ne viene di conseguenza che ci interessava, non già di separare, per quant'era possibile, le somme dei sedicente prestito dal re1sto della finanza albanese, e stabilirei sopra un controllo isolante puramente italiano; bensì di confonderle al massimo col resto della gestione finanziaria, e di ·confondere al tempo stesso e di me3colare con gli organi albanesi i nostri organi e funzionari che si sarebbero occupati di sorvegliare l'uso del prestito. In altre parole: non già un assoluto, ma ben delimitato controllo italiano sul prestito, accampato nelìa libera amministrazione albanese; ma la permeazione dei nostri organi in tutta l'amministrazione steii13a, sotto veste di funzionari albanesi, e dipendenti non già dalle amministrazioni, ma dalla persona del Sovrano. -Sul quale, come su tutto lo Stato albanese, l'Italia esercita po'i una molteplice continua pressione di carattere finanziario e politico d'altra origine (Banca, S.V.E.A., appoggio internazionale, salvaguardia contro gli appetiti dei vicini, garanz,ia dell'esistenza del Regime, ecc. ecc.). Il tutto forma un edificio completo, macchinoso, che rappresenta l'insieme del predominio e dell'influenza italiana in Albania.

3°) Non esito a definire il « prestito " come uno strumento, al tempo stesso, di salvezza per la vita economica dell'Albania e per il Regime zoghiano, e di

• corruzione » e di demoralizzazione politica del Paese (1). Se V. E. mi permette di riprodurre una espressione, volgare ma efficace, di un collega, que~t'è una di quelle pensioni annue che il signore fa alla ragazza di povera e bassa origine; gliela passa con un signorile sorriso sulle labbra, e le dà la pcgsibilità di una vita agiata, corrompendone l'anima alle abitudini di larghezza, sicché la mantenuta, non potendone più far senza, si vien piegando alle voglie del protettore e sotto la minaccia di venir d'un tratto abbandonata e ricadere sul marciapiede,

finisce coll'abbandonarsi, sebbene riluttante, totalmente alla sua balìa. -A noi, nell'utilizzazione che farà l'Albania del prestito, non importa in fondo ·che in linea subordinata, il buon UJso. Ci .importa ·che l'Albania, il Governo, il Re, le amministrazioni attingano a questo denaro, ci si abituino; allora sono ,in nostra mano. D'altra parte, non è opportuno, per il nostro prestigio di fronte al popolo albanese, che l'esercito delle sanguisughe e degli incapaci, che regge l'Albania, faccia tonnina del danaro. Quindi, presenza ed ,influenza nostra nel!la Commissione, dove i nostri membri, \sotto la direzione della Legazione, 'Cureranno di lasciar sfuggire quanto ci vuole per foraggiare e compromettere chi ei interessa, e di salvaguacrdare quel tanto che ci vuole per mostrare agli albanesi che il nostro danaro produce cose utili. Naturalmente, il merito di questa seconda parte verrà a noi; la ·colpa della prima ,cadrà sui dirigenti albanesi. La Commissione mista caratterizza a meraviglia questo programma ed è l'organo atto a porlo in a;:;:ione.

4°) L'efficacia della nostra opera di controllo, poi, si fonda assai meglio che su clausole ben precise, su altri fattori. Primo, la formula molto elastica che il prestito è condizionato alla collaborazione; secondo, la possibilità di far giuocare tale formula, per ottenere questi nostri fini; terzo, /sul fatto incontrovertibile che, anche al di fuori delle formule, noi possiamo praticamente .ritardare, procrastinare, interrompere, sospendere l'arrivo del denaro, non solo ogni anno, ma anche durante l'anno; e che ad ogni sospensione corvisponderà sempre... una nostra piena vittoria? No: ma, spesso, ,}'accomodamento i,l do ut des, la via d'uscita, giacché la corda va tirata fino a spezzarla soltanto quando ci convenga propdo di farlo.

Per concludere. Io credo che V. E. possa opportunamente mettere in luce a S. E. Mosconi che l'operazione testé compiuta non è un prestito, ma la promessa di corrispondere .per un certo tempo certe somme di denaro, a seconda delle necessità; e che quindi non era né .pratico, né opportuno, anche se gli albanesi vi avessero acconsentito, di pretendere la creazione di un organismo di controllo del tìpo in uso presso altri Stati, 'specie nel dopo guerra. In secondo hwgo, si può fargli notare che la moltiplicazione e la netta determinazione delle clausole e delle garanzie, nei riguardi dell'Albania, non serve a nulla, anzi è dannosa: perché gli albanesi se ne servono sempre, ovunque sia loro possibile, ai danni nostri, mentre quando si tratta di far giuocare in pieno le nostre batterie, finiamo per astenercene per ·considerazioni politiche. S. E. Mosconi può essere persuaso che nessuna delle più severe clausole che garantiscono i poteri dittatoriali é.i una CommiSI~'ione di controJlo italiano, avrebbero impedito mai che col Re e coi Signori albanesi non si venisse continuamente a patti, come avverrà praticamente colla Commissione mista di ripartizione. Il Re stesso, che qualche volta ·rarissima ,si sfrena fino a dire una mezza verità, mi espresl.>e una sera la sua opinione: fatemi sottoscrivere quanti patti e quante lettere vo·lete, mettetemi tanti legami di controllo quanti ne desiderate, la vostra unica e vera arma rimarrà sempre una .sola: minacciarmi di sospendere •l'arrivo del denaro.

È del resto naturale che come il giudizio .sull'opportunità o meno di ·concedere un aiuto finanziario all'Albania non può esser dato se non da chi è ben

addentro nelle cose albanesi e nelle questioni relativE, così anche il giudizio sulle modalità dell'operazione va riservato a chi conosce l'ambiente, le sue caratteristiche, le sue difficoltà. Se, v:iceversa, si doveSJse dare un giudizio astratto sulle note diplomatiche da cui dipende il prestito, nonché sulla costituzione della Commissione di ripartizione ecc., certo dovrebbe essere severissimo, perché un complesso più zoppicante, incompleto e tecnicamente deficiente, ,credo tsia diffici'le trovarlo. Basti dire che è un prodotto della collaborazione Soragna, Merlino, Libohova, Zog, Tutulani ecc., non senza uno spizzico di sale del vecchio carrettiere analfabeta Krossi; e che fu ,cucinato secondo la realtà della situazione albanese odierna, cioè la rpiù falsa, la più a,rtefatta, la più complicata che vi sia. Quando rS1i è detto che si è trattato di fare un prestito, che viceversa non doveva parere un prestito ma che al tempo stesso doveva passare per prestito; e che bisognava combinare una Commissione che fosse in sostanza di controllo, ma che non doveva apparire di controllo e al tempo stesso doveva diffondere l'impressione di essere una Commissione di controllo; e di prendere impegni che viceversa permettessero di di,simpegnarsi; e ~che tale prodotto si è dovuto far col concorso di gente che, a parte l'opposizione ai dettagli, in fondo non vo1eva saperne di tutto l'affare -per esempio i Ministri Kareço e Tutulani si è detto tutto. Io stesso, nel firmare i documenti, ho dichiarato S'cherzando ai Ministri albanesi che speravo che la mia fama nei secoli futuri non fosse raccomandata ai documenti di que:st'affare.

Spero che quanto sopra possa servire a mitigare il giudizio dei nostri ottimi finanzieri; giudizio che, data la Ioro mentalità chiara e precisa di uomini di finanza, ed astraendo dalle cir,costanze politiche e psicologiche, non può essere che di una giusta severità.

(l) Avendo re Carol invitato Badoglio ad assistere alle manovre militari romene, Grandi scrisse a Badoglio, con l.p. 328089/7 dell'8 agosto 1931: « Ragioni di politica generale mi inducono a comunicarLe che non riterrei opportuno che Ella si recasse nel prossimo autunno in Romania, perché alla Sua presenza si attribuirebbe colà certamente un pesoed una importanza di carattere politico, ciò che nell'attuale momento è conveniente evitare.

(l) Nel cit. promemo,-ia per Mussolini dell'ufficio Albania datato 8 luglio, è scritto che uno dei vantaggi del prestito consisteva nel fatto, « più unico che raro negli annali della Storia moderna, di un contributo di bilancio di uno Stato ad uno Stato minore , . Un altro motivo a favore del prestito era, secondo il promemoria, il fatto che • recenti avvenimenti (fra cui importanti: la malferma salute del Re e l'accentuarsi dell'impopolaritàdi questi) ci andavano orientando verso uno spostamento della base della nostra politica dal Re alla Nazione albanese •·

385

RELAZIONE DEL DELEGATO ALL'UFFICIO INTERNAZIONALE DEL LAVORO, DE MICHELIS, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, SU DUE COLLOQUI CON IL SOTTOSEGRETARIO ALLA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO FRANCESE, FRANÇOIS-PONCET

... , 9 ~uglio 1931.

I. In seguito agli approcci dei sig. Briand e del sig. François-Poncet con

V. E. (Ginevra 23 maggio u.s.) e dopo le conversazioni che ebbi col sig. FrançoisPoncet (1), la E. V. mi affidò l'incarico di mettermi in rapporto con quest'ultimo. Scopo delle conversazioni avrebbe dovuto essere quello di esaminare la situazione della Francia e dell'Italia in relazione ai loro interessi reciproci, nell'intento ài addivenire ad un progetto di completa intesa. sul quale dovrebbe poggiare un più perfetto e duraturo equilibrio europeo.

Era nelle intenzioni di V. E. come in quelle del sig. François-Poncet che quel progetto, preparato da due persone di fiducia in completa libertà di azione, sarebbe poi stato sottoposto ai rispettivi Mini1stri responsabili affinché servisse di base ad ulteriori negoziati o, qualora fosse ac,colto, potesse dar luogo alle definitive appJ"ovazioni, nella sostanza e nella forma, da parte dei Capi dei due Governi.

II. Col sig. François Poncet -come V. E. sa -avevo a parecchie riprese e molto diffusamente parlato della questione. Non avevo perciò più interesse a riprendere questi colloqui qualora non avessi potuto assicurarmi che -com'io avevo fatto con V. E. -il sig. François-Poncet si era fatto, a sua volta, istruire ed autorizzare per l'inizio di colloqui conclusivi e responsabili.

Mi sono trovato indotto a procrastinare un nuovo incontro col mio autorevole interlcutore dal prolungarsi deJ,Ja incertezza nella situazione ministeriale francese. È noto che dai primi di giugno fino ai primi di lugiio il Gabinetto Lavai si è trovato, a causa del "fenomeno Briand •, in una posizione di equilibrio instabile.

Il • pellegrino della pace » vuole restare appiccicato aJ Quai d'Orsay. Lavai se ne vorrebbe disfare. Ma gli ostacoli sono molti e seri: H più temibile è quello costituito dalle conseguenze di un " débarquement ». Si vuole evitare che il sig. Briand possa venir:s,j a trovare in una ,situazione simpatica, tra la vittima dei moderati e il campione delle sinistre. Il sig. Lavai si è, perciò, dedicato ad un lavoro di più lunga lena, allo sgretolamento del suo antico maestro e protettore. Cerca di sbocconcellarlo, pur tenendo in piedi la 'Compagine ministeriale fino a che la ,statua Briand, corrosa dalla base, possa •Cadere da 1sé per progressiva disgregazione.

La ripresa dei miei colloqui col sig. François-Poncet, ri,peto, è stata ostacolata da questo stato di ,cose: sentivo che egli non aveva più la bella sicurezza dei primi nostri colloqui, allorquando, :sicuro di Lavai, scontava la presenza imminente di un nuovo Capo al Quai d'Orsay.

III. Sotto questi auspici ho incontrato a Ginevra il 24 giugno u.s. il sig. François-Poncet, proprio alla vigìlia dell'attacco decisivo sferrato contro il Ministero (Franklin-Bouillon contro Briand) e ,che sembrava dover essere decisivo per determinare la catastrofe.

Abbiamo con François-Poncet rifatto un po' il bilancio della situazione: ma, messo alle strette, François-Poncet ha finito col dire ,che egli aveva bisogno per entrare nell'esame di dettaglio, verso il quale lo spingevo, di essere assistito da qualche "uomo del Quai d'Orsay ,, peDché, in definitiva, gli mancavano gli elementi, per poter passare dalle ,generali .ai particolari.

Gli ho fatto osservare che in tal modo :si sarebbe modificata la procedura prospettata tra noi, e da lui per primo, ,col conse~so di V. E. Ho detto, francamente, che non solo non mi ritenevo autorizzato a ~par1lare ,con altre persone; ma che, se si aveo:se dovuto far posto ad un uomo del Quai d'Orsay avrei voluto fare lo stesso da parte mia ,con Palazzo Chigi; !ritenevo, però, che in tal caso le

conversazioni avrebbero guadagnato a rientrare nel consueto ciclo diplomatico, pel quale vi sono a Parigi ed a Roma gli uomini di fiducia dei due Governi.

61S

Françoi:o-Poncet si è subito persuaso delle mie buone ragioni ed ha convenuto meco che, avendo occasione di recarmi io a Parigi, egli avrebbe potuto -per stiO conto -tenersi in contatto con " qualcuno del Quai <i'Orsay • al fine di poter parlare con la certezza di non doversi in seguito disdire.

Ebbi, naturalmente, la sensazione che il François-Poncet aveva già riferito al sig. Briand (o quanto meno a Ph. Berthelot) le conveDsazioni avute con V. E. e con me a Ginevra, e pensai che il Quai d'Orsay aveva reclamato non solo la direttiva delle conversazioni ma la vigilanza diretta sulle conversazioni stesse; sebbene, in definitiva, quelle conversazioni non avessero lo scopo di impegnare né una parte né l'altra senza ulteriore approvazione superiore.

Nel colloquio di Ginevra, il sig. François-Poncet ha ripreso, una ad una, tutte le questioni che già avevamo esaminate; e devo dire che, a un mese di distanza, egli ripetette senza attenuazioni quanto mi aveva detto in precedenza.

Gli sviluppi degli avvenimenti internazionali (Austria, piano Hoover, attitudine della Germania, condotta dell'Inghilterra eccetera) lo confermavano in due constatazioni: interesse dell'Italia e della Francia ad intendersi seriamente; necessità di non perdere più tempo neH'addivenire ad una intesa leale.

Ad una mia precisa domanda, François-Poncet rispose che " ses amis du

Ministère étaient tous d'accord » e che Lavai accarezzava un'intesa coll'Italia

come il compito più ,caro e più gradito.

Mi disse, in questa occasione e mi ripetette poi a Parigi, che il Signor Lavai,

il quale si sarebbe recato in Germania per restituire a Bruning la visita pro

gettata, ,sperava vivamente di potersi incontrare durante l'estate a Roma con

S. E. Mussolini.

Il 25 giugno François-Poncet ha dovuto rientrare precipitosamente a Parigi

per a1ssistere alla famosa seduta notturna, dalla quale, tra incerte vicende modi

ficantisi di Gra in ora, il Ministro Briand usciva... ancora vivo ed il Gabinetto

Lavai sortiva vittorioso.

Prima di lasciare Ginevra François-Poncet mi diede appuntamento a Parigi.

Mi recai colà il 5 luglio e l'indomani il signor François-Poncet mi ricevette

nel suo gabinetto al Ministero dell'Interno, dove ha ora sede la Presidenza del

Consiglio.

Riprendemmo i nostri soliti discor:si. Poco dopo François-Poncet mi invitò

a colazione, avvertendomi che avrebbe invitato con me il sig. Berthelot, nella

certezza di fare cosa gradita ad entrambi...

E così avvenne che al Pré Catelan -dove, in questo mese di luglio, i

tavolini vuoti ed i camerieri di rimpiazzo attendono invano gli americani e le

vedette -i tre clienti delle ore tredici furono tl sdg. François-Poncet, il gran

padrone del Quai d'Orsay, ed il sottoscritto. (Mi espdmo così su Philippe Berthe

lot perché, qualunque ,sia per es:sere il successore di Briand -successore vi

sarà, presto o tardi -il " vieux Philippe • resterà a1l Quai d'Orsay anche col

successore e con parecchi successori... se Dio lo assiste nella salute).

La conver:sazione fu condotta dal padrone di casa con grande abilità su tutto il programma dei precedenti nostri colloqui.

Devo constatare che il sig. François-Poncet sembrava desiderare soprattutto di far parlare l'altro e di spingerlo a dire chiaro il suo pensiero su quanto François-Poncet mi aveva detto per suo conto personale in precedenza, quasi per dimostrarmi che non si era troppo •sbilanciato.

Riferisco di seguito le parti principali e le impressioni conclusive del lungo colloquio a tre (durato due ore) anziché ricorrere alla forma dialogata.

IV. In sostanza posso affermare che, sotto la preoccupazione costante di premettere che a base di negoziati tendenti a conseguire un'intesa tra i due Paesi deve trovarsi il je1·mo e leale proposito di stabilire patti soddisfacenti e durevoli, il sig. Berthelot si è espresso a favore della immediata ricerca di una soluzione integrale la quale dia all'Italia soddisfazioni sostanziali tali da esaudire i desideri del Governo e della opinione pubblica.

Il sig. Berthelot spera molto su un possibile accordo per la questione navale: gli sembra che i « marinai » abbiano trovato delle formule accettabili. Se così non fosse pensa che non bisognerebbe cristallizzarsi in questa controversia, ma che convenga superarla con le trattative vErtenti su un piano generale e completo.

Se su questo piano si potesse giungere ad una intesa perfetta, l'accordo n a vale diverrebbe per l'Italia e per la Francia una questione inesistente.

Il Governo francese è lealmente disposto a tentare una intesa completa coll'Italia. Berthelot conviene che non si può più cercare di addivenire ad una sistemazione delle recip.roche relazioni mediante l'esame di questioni isolate (Tunisi, frontiere libiche, eccetera). Pensa, anch'egli, ·che bisogna affrontare, in una disamina comprensiva, tutti i problemi che si riallacciano alla intesa francoitaliana. Non sono più rapporti singoli da conciliare, né questioni particolari da appianare. È il problema seguente che si deve risolvere con vantaggi reciproci ed equità: « Francia e Italia, gruppo solidale }Jer l'equilibrio europeo ».

Quindi: sistemazione del Meditenaneo, immediata e mediata (destinazione dell'Asia Minore all'Italia; sistemazione territoriale e collaborazione africana; modus vivendi per gli italiani di Tu!lisi); sistemazione dell'Adriatico (in cui l'Italia deve avere la 'Sicurezza assoluta) e a proposito della quale Berthelot dice che l'attitudine della Jugoslavia non lo preoccupa: si modificherà senza dubbio in seguito agli accordi tra Italia e Francia.

Inoltre, eque soddisfazioni all'Italia nelle sue aspirazioni e nei suoi bisogni. In questa materia François-Poncet è ,stato più loquace di Berthelot. Il primo ha alluso, apertamente, alla revisione (remaniement) dei mandati, a Gibuti, e ad una politica più energica ver1so i fuorusciti.

Venendo al terreno economico ci !Siamo trovati d'accordo nel constatare che

• un piano d'insieme » non può fare astrazione da una sistemazione più intima delle relazioni •Commerciali, e più ancora da intese ed accmdi industriali, finanziari e di mano d'opera. Ho anche avuto occasione di intrattenermi su questa materia a Ginevra col ,sig. Picquenard ed a Parigi col sig. Elbel, direttori rispettivamente del Lavoro e dei trattati commerciali. Posso dire che sono entrati ormai in pieno in questo ordine di idee: es:~ere utile di lavorare in maggiore intimità di interessi tra Italia e Francia, sia nel campo commerciale e finanz1ario che in quello del " lavoro concertato » all'estero. In questo senso i Servizi che da essi dipendono stanno già da alcuni mesi esaminando il lato tecnico della questione fin da quando parlammo di unione doganaie franco italiana. La parola è grossa, e ,la !sostanza è più grossa ancora, ma i Servizi del sig. Erlbel sono favorevoli alle intese dirette vertenti su gruppi di industrie o di prodotti.

V. Ripeto che l'intonazione del lungo colloquio di cui rifedsco, è stata quella che si determina in un incontro occasionale, ma che poté identificarsi anche in una conversazione di avanscoperta.

Il sig. François-Poncet, a un dato momento ha posto al suo collega il quesito seguente:

-Tutto questo che diciamo va bene. Ma bisogna sortire da questa situazione. Poiché voi, Berthelot, riconoscete che è opportuno intendersi coU'Italia, che è necessario far presto per non farsi sorpassare dagli avvenimenti e che il Governo francese è disposto all'una ed all'altra cosa, qual'è la procedura che prospettereste?

Berthelot ha risposto che in tale materia è tradizione della Francia di non allontanarsi daLla via normale. Sono i " bureaux • del Quai d'Orsay che, in definitiva, devono dettare le linee degli accordi, precisarne i limiti e fissarne i dettagli, e perciò bisogna servirsi di loro fin da principio. Non conviene metterli da parte onde non perder tempo, o fraintendersi: l'accordo navale insegni! Questo lavoro dei • bureaux • potrà essere promosso, facilitato, rfiancheggiato. Poi, a suo tempo, andranno a Roma i Capi responsabili per dare le ultime spinte,

o per concludere qualora si addivenga ad una conclusione.

VI. Ho avuto occasione di intrattenermi ancora da rsolo col sig. Françoi:sPoncet.

Questi era assai soddisfatto del.le dichiarazioni del sig. Berthelot e 1si compiaceva nel mettere in evidenza la chiarezza colla quale si era espresso nel riconoscere che si doveva dare all'Italia delle soddisfazioni rreali ed adeguate. Era forse meno soddisfatto quando mi fece consrtatare la " gelosia • del Quai d'Orsay negli affari di sua competenza. Ma poiché François-Poncet è alla vigilia di essere destinato a Berlino in qualità di Ambasciatore, non credo che la constatazione gli riuscisse, in fin dei conti, ormai troppo spiacevole.

Il sig. François-Poncet mi ha incaricato dei suoi :saluti cordiali per V. E. verso cui egli afferma che la Francia ha acquisito un vero debito di riconoscenza -come verso S.. E. Mussolini -per l'attitudine presa, a malgrado il mancato accordo navale, nella questione dello Zollverein austro-tedesco.

Egli mi ha detto che è stato proprio per questa considerazione e per le conversazioni avute con V. E. a Ginevra, che il Governo francese non ha dato il rilievo che in altri momenti avrebbe dato al raid di S. E. Balbo al Tibesti (1), ordinando anche alla stampa di starsene cheta.

Infine il sig. François-Poncet si è dichiarato pronto ad assecondare le iniziative italiane sia nella scelta della procedura da seguire per promuovere negoziati; sia nello svolgimento di questi, ove l'opera sua p01s:sa contribuire ad tm esito propizio.

(ll Cfr. n. 357.

386.

MALAGOLA CAPPI AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI (Copia)

Roma, 9 luglio 1931.

Prego V. E. di voler scusare se mi permetto di farmi vivo, non già per una ingiustificata impazienza di essere ricevuto dalla E. V., ma per info~marLa che, se V. E. crede opportuno che ,io combini in .senso positivo quanto ebbi ad esporLe ultimamente (1), sarebbe necessario che io fossi a Belgrado prima del 20 corrente poiché dopo tale giorno, il Re andrà in Rumania pei festeggiamenti e le nozze della Principessa Ileana.

Ripeto a V. E. che resto comunque iin attesa delle disposizioni Sue, mentre Le rinnovo i sensi della mia profonda devozione (2).

(l) Cfr. nn. 285, 286.

387

APPUNTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, SUL COLLOQUIO COL SEGRETARIO DI STATO AMERICANO, STIMSON (3)

Nettuno, 12 luglio 1931, ore 18.

Stimson -(rientrando da una breve gita in mare sul motoscafo del Duce, in sua compagnia). Ho da dirvi qualche cosa di importante, che ho già detto al • Duce • proprio adesso. Ho riportato al Presidente Hoover per telegramma la vostra proposta di vacanza navale. Il Presidente Hoover l'accetta, la ritiene realizzabile, e la considera come un gesto di grande im,portanza e valore in questo momento. Il Governo degli Stati Uniti non farà ufficialmente questa proposta, ma H Presidente Hoover mi ha incaricato di tastare il teneno a Parigi, a Londra e a Berlino, onde ,conoscere l'avviso degli ,altri Governi. Se necessario il Presidente Hoover è disposto anche, occorrendo a fare egli ·steslso la proposta di cui voi mi avete parlato giovedì scorso. Ne ho accennato or ora al « Duce •

Nel colloquio dell'll luglio Grandi disse: «Io spero che il Governo di MacDonald duri a lungo in Inghilterra. Difficilmente un altro Governo che non fosse laburista manterrebbe la linea coraggiosa in materia di disarmo che ha oggi il Governo britannico ».

Il mese successivo Mussolini dichiarò a Briining, in visita a Roma, che era oppo~tu::1o non rinviare la conferenza del disarmo per utilizzare, fra l'altro, la presenza dei laburisti al governo in InghilteTre. Così disse Koepke a Cicconardi dopo che, il 24 agosto, i laburisti nvcvano 2bbandor.ato il potere (cfr. tcl. 2703/647, Berlino, 6 settembre 1931).

ed Egli mi ha risposto che è perfettamente d'accordo, che l'Italia per conto suo è pronta, ed ha concluso • Go, go, and work... ".

Grandi -Sono molto contento di quanto voi mi dite. Spero riuscirete. Allora resta inteso che il Governo italiano non si muove per ora, ed attende comunicazioni da voi, dopo che avrete parlato a Parigi, Berlino e Londra.

Stimson -Resta così inteso. Naturalmente dovrà trattarsi di vacanza non per le costruzioni in cantiere, bensì per le costruzioni non ancora « put in the yards ". Oltre la vacanza navale sarebbe utile considerare anche la vacanza negli armamenti terrestri.

Grandi -Il Governo italiano è favorevole anche a quest'ultima. Giovedì scorso vi ho parlato soltanto di vacanza nava,le perché è la più semplice di tutte. Però se voi credete opportuna e possibile anche la vacanza negli armamenti terre3tri, noi siamo disposti ad accettare anche questa.

(l) -Evidente allusi~ne a un incontro frR Mussolini e re Alessandro. U 3 luglio Malagola Cappi aveva scritto a Arlotta, comunicandogli che aveva avuto un colloquio con Mussolini e che ne avrebbe avuto un altro il giorno 6 col programma di partire il 7 per Belgrado onde riferire a re Alessandro (cfr. una Lp. di Arlotta a Guariglia, Budapest 7 luglio). (2) -Mussolini diede il suo assenso al progettato incontro. Cfr. un appunto per Mussolini del Ministero degli Esteri dell'Il luglio (Archivio G!"andi). (3) -Grandi avev:?. precedentemente avuto con Stimson tre colloqui il 9 luglio a Roma e un colloquio a Nettuno 1'11. I relativi verbali non si pubblicano, in quanto la loro sostanza è riassunta nella lettera ddlo stesso Grandi a Mussolini del 11 luglio (cfr. n. 397). Mancano i verbali dei colloqui avuti da Mussolini con Stimson.
388

PROMEMORIA DEL DELEGATO ALL'UFFICIO INTERNAZIONALE DEL LAVORO, DE MICHELIS, PER IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

... 12 LugLio 1931.

A Ginevra ho avuto occasione di intrattenermi pm di una volta col sig. Albert Thomas. Ed ogni volta egli ha subito messo sul tappeto la nota questione dei nostri rapporti col B.I.T., cercando di sapere quali fossero le intenzioni del Governo in seguito alla mutata linea di condotta nella questione del ricorso di rito contro la designazione dell'operaio italiano alla Conferenza annua (1).

Ho detto che ignoravo quale sarà la procedura che verrà ;scelta; ma che da noi si era decisi a non ammettere più che nella Organizzazione ci si mettesse in una situazione diversa da quella degli altri Stati.

Thomas non ha esitato a riconoscere che, in reaLtà, noi siamo dalla parte della ragione. Ma si è dichiarato impotente ad ottenere dal gruppo operaio un cambiamento di attitudine nei nostri confronti. Egli ne fa ricadere la colpa sui fuorusciti e specialmente sul Buozzi che dete.~ta cordialmente da quando fu attaccato dal Buozzi sui giornali socialisti francesi ogniqualvolta il Thomas ritornava da Roma senza sparlare del fascismo. Mi risulta che anche l"ecentemente Thomas ha cercato di convincere Jouhaux a cambiare rotta: questi è stato però inflessibile.

Dunque da questo lato non verranno elementi risolutivi. Thomas è sopratutto seccato dalla prospettiva che il R. Governo porti la questione all'Assemblea di Settembre (Consiglio -4a Commissione -Assemblea). È disposto a prendere le parti dell'Organizzazione -egli mi ha detto -perché questo è il suo dovere ed anche perché ritiene ·che la vita dell'Organizzazione riposi sul favore e sulla fiducia degli operai. Se gli operai se ne !staccassero sarebbe la fine del

l'Ufficio del Lavoro. Epperciò Thomas si augura che il Governo italiano cerchi di risolvere la controversia sul terreno strettamente giuridico (parere dell'Aja, proposte di riforma del Regolamento, ecc.).

Questa via permetterebbe di... guadagnar tempo e molto probabilmente lascerebbe le cose immutate perché giuridicamente le nostre tesi rischierebbero quasi certamente di non eSisere accolte.

Comunque, una cosa è sicura: che da parte del gruppo operaio non si deve attendere alcun ravvedimento. Occorre, perciò, prendere una decisione sul comportamento da preferire in vista della posizione che il R. Governo si prefigge di assumere (1).

« Vi è tendenza a cambiare sostanzialmente gli st8.tuti. dell'Organizzazione con voti mutevoli op:ooortunistici ed arbitrari di maggioranza, ispirati dalla prevalenza dell'elemento socialista di Amsterdam. Gli Stati membri che partecipano all'Organizzazione come sovrani possono permettere queste? No, certo. Da questa sensibilità è mossa la difesa che i nostri rappresentanti hanno sempre fatto della regolarità delle procedure delle Conferenze. E lo fecero anche nell'ultima Conferenza.

Questa regolarità è tanto più necessaria, in quanto è penetrata, o almeno si appalesa oggi più evidente, nell'Opera dell'Organizzazione internazionale del Lavoro, l'influenza di interessi monopolistici, Hppoggiati dagli stessi operai socialisti con un gioco protezionista ben noto alle varie socialdemocrazie interne.

Nel primo decennio di vita delle Istituzioni ginevrine è accaduto che queste si sono date quasi interamente al loro compito più evidente e immediato: la S.d.N. a quello politico e diplomatico, l'O.I.L. a quello sociale: e i due compiti sembravano separati da paratie stagne. Oggi, dopo dieci anni, avviene un fatto importante, del resto prevedibile. Le due organizzazioni gemelle si volgono più attentamente al fatto economico, che sta alla base dell'azione politica dell'una e dell'azione socialista dell'altra. Ora, in questa linea di confluenza della maggior considerazione del fattore economico, le due istituzioni si incontrano e sembrano destinate ad agir sempre più d'accordo, come da qualche anno si chiede, specie da parte dell'elemento operaio. Ognun vede che questo elemento operaio protezionista e monopolista influirà sempre più (direttamente nelle Commissioni tecniche della S.d.N. e indirettamente, ma più fortemente, nell'O.I.L.) sull'azione economica delle istituzioni ginevrine. Ma questa azione economica ha riflessi politici di vitale importanza. La concorrenza dei popoli, il monopolio e la prevalenza di quelli meglio dotati, saranno sempre più chiaramente evidenti; e, quel che più è grave, si avvananno per la loro pressione ed influenza degli strumenti giuridici -com enzioni -che il Trattato mette in mano di dette istituzioni.

Problemi politici generali, problemi economici e problemi sociali mostreranno la loro compenetrazione sempre più intima; e questa compenetrazione si tradurrà in un'azione giuridica concreta; ma, naturalmente, dannosa per popoli espansivi non ancora arrivati, che cercano ancora la via delle loro pacifiche conquiste. Essi soffrirebbero di un irrigidimento, che ha al suo servizio metodi, abili sempre e talvolta subdoli, sboccanti improvvisamente

e quasi inavvertitamente, rnercè le suddette procedure irregolari, in strumenti giuridica

mente efficaci, tali da esercitare una pressione decisiva a favore degli interessi prevalènti e a danno degli altri.

Tutto questo è stato messo chiaramente in evidenza da parte nostra durante l'ultima Conferenza, a proposito della tentata convenzione per l'orario di lavoro da introdurre nelle minie1·e di carbone. Attraverso questa convenzione che la Conferenza internazionale del Lavoro studiava per invito del Consiglio della S.d.N., i paesi europei produttori di carbone

cercavano di risolvere la loro crisi interna. E chiamavano a collaborare alla convenzione

internazionale, gran numero di paesi consumatori che d& questa sarebbero stati danneggiati, e che dunque avrebbero dovuto, non solo accettare, ma partecipare alla formazione di un atto pregiudizievole alla loro economia!

La convenzione non passò, specie per l'allarme dato dalla Delegazione italiana; ma può darsi che essa passi l'anno venturo. Ora guardiamo al fatto in se stesso. Esso è, comunque, prova dell'importanza che viene ad assumere l'Organizzazione internazionale del Lavoro nella sua nuova attività, di carattere più economico che sociale. Gli interessi politici prevalenti attraverso la Società delle Nazioni, muovono i fili delle Organizzazioni tecniche di questa -principale l'O.I.L. -e con l'aria più innocente di questo mondo ottengono, attraverso convenzioni tecniche, il consolidarsi del loro predominio. Di qui, l'importanza politica crescente dell'O.I.L. Di qui la necessità che i nostri ambienti non soltanto del lavoro, ma politici e diplomatici, dedichino maggiore attenzione e diano l'importanza che ha all'azione dell'Organizzazione internazionale del Lavoro. È necessario che, da noi in Italia, non si considerino i problemi tecnici ed economici che vengono alle discussioni nella tribuna mondiale dell'Organizzazione internazionale del Lavoro, molto da meno degli altri problemi politici generali. Sono anch'essi -pur nella loro diversa apparenza problemi politici; che si risolvono, per l'Italia specialmente, nel problema basilare -essenzialmente politico della sua espansione; cioè detla sua vita».

(l) Cfr. serie VII, vol. IX, n. 333.

(l) Si pubblica qui di seguito parte di una relazione anonima (ma con ogni probabilita di De Michelis) e senza data (ma del 1930 o del 1931) dfll titolo « Una realtà da tener presente. Appunti sulla importanza politica dell'Organizzazio"le Internazionale del Lavoro». A margine il seguente appunto, con ogni probabilità di De Mi!'helis: « Caro Berio, ho mandato questi appunti a S. E. Bottai -che me li aveva chiesti -e credo che possano essere utilmente letti anche da Lei>. Nella relazione si legge:

389

APPUNTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI (Archivio Grandi)

13 htglìo 1931.

A proposito di rapporti itala-tedeschi, mi capita oggi fra le mani il manoscritto àel discorso pronunciato dal Duce contro la Germania polemizzando con Stresemann mi pare nel 1926 (1).

Come è interessante a rileggersi oggi.

390

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AI MINISTRI A BUCAREST, PREZIOSI, E A BUDAPEST, ARLOTTA

T. PER CORRIERE 758. Roma, 13 luglio 1931, ore 18.

(Bucarest). Suo telegramma n. 64 del 7 corrente (2).

(Budapest). Mio dispaccio dell'8 corrente (3).

(Per tutti). Questo Incaricato d'Affari Romeno mi ha fatto sapere che Principe Ghika, data sua prossima venuta Roma, desidererebbe trattare qui personalmente questione eventuali modifiche patto amicizia italo-romeno: e perciò ha proposto che nell'imminenza scadenza termine utile per la rinnovazione, venga con uno scambio di note prorogato di sei mesi detto termine.

Ho aderito a tale proposta e mi riservo a suo tempo farle conoscere esito conversazioni al riguardo. Raccomando a V. S. di corrispondere con questo Ministero su tale argomento per corriere e non pe:r telegrafo.

391

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. POSTA 3670/1239. Bled, 13 luglio 1931.

Debbo attirare l'attenzione di V. E. sulle polemiche e repliche della ,stampa jugoslava contro la stampa italiana che in questi giorni hanno assunto tono di particolare vigore non inosservato da questi circoli diplomatici.

Hanno cominciato le « Novosti , delli 8 corr. con una critica generale della stampa fascista. Il punto centrale dell'articolo è la recente pubblicazione del ' Gwrnale d'Italia ,, che ripete le informazioni del nostro Consolato Generale in

Zagabria (al quale si fa indiretta ma precisa allusione) e che, a parte la costante possibilità di qualche inesattezza che si presta a facile smentita, il Comm. Umiltà aveva raccomandato di non dare alla stampa.

La polemica ha poi ripreso riguardo all'articolo del 4 luglio del « Littor,io Dal.matico • nel quale secondo questa stampa si chiederebbe la guerra contro la Jugos,lavia. Superfluo dire ~che è certo il Governo che ha ~chiesto al • Vreme • e alla • Politika •, come ai giornali di Zagabria e Lubiana, di mettere in evidenza le fo-cose parole di quel giorna,le con ,l'evidente scopo di svalutare [e alte dichiarazioni pacifiste pronunciate da S. E. il Capo de11 Governo in occasione del convegno con Stimson.

Per quanto io abbia già rpiù volte attirata l'attenzione di V. E. sul continuo non appropriato linguaggio del sunnominato giornale di Zara, non 1sta a me insistere rperché al • Littorio Dalmatico • sia non dico imposta, ma almeno raccomandata, in vista di interessi generali, una ponderazione che la deHcatezza della posizione di Zara, la ripercussione in tutta la Dalmazia di tutto quanto si fa ed accade in quella nostra nobilissima città, richiede ancor più che in ogni altro luogo.

Ma sono però nel doveroso obbligo di rammentare a V. E. come di fantastici progetti di militare occupazione della Dalmazia etc. sia stato nel gennaio 1930 da questo Governo informato quello britannico, ~che è legittima supposizione che oggi questo Governo corrobori i timori e le informazioni di allora con pubblicazioni del genere ora in esame. Come pure debbo mettere in :rilievo che esse non fanno che rafforzare la tesi di quegli jugoslavi che sostengono con ogni rpossibile argomento che la Francia è la sola salvezza e difesa jugoslava contro una supposta • ingordigia • italiana. E la Francia non lascia senza sfruttar,lo a suo rpro' questo stato d'animo e questo ~continuamente alimentato timore.

Questa stampa dà anche contemporanea diffusa notizia di cerimonie irredentiste dalmate occorse a Genova alla presenza delle autorità e che sono seguito di quelle di Gorizia etc.

(l) -È il manoscritto autografo del discorso pronunciato al Sen:<to il 10 febbraio 1926. Cfr. Opem Omnia. XXII pp. 74-78. (2) -Cfr. n. 381. (3) -Ci:·. n. 380.
392

IL MINISTRO A BELGRADO, GALLI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. POSTA 3671/1240. Bled, 13 luglio 1931.

Come già per il 1o trlme1stre del comente anno ed a comrplemento delle informazioni più importanti inviate man mano, trasmetto qui unito in doppio esemplare un notiziario del movimento irredentista al,logeno per il no trimestre 1931.

L'E. V. rileverà da esso la continua intensità di tale agitazione ed il suo

estendersi in tutto il Regno. Ciò fa sì che la questione slovena che trovava fino

a qualche anno fa ignoranza od insensibilità ha una ~risonanza sempre più va~sta,

specie fra i serbi che giungono a singolari conclusioni sulla efficienza degli

sloveni ed il loro coraggioso anzi " eroico • sentire patriottico. Essa è anche

osservata dalle ,cancellerie diplomatiche di Belgrado con attenzione crescente, certo a:ssai superiore a quella che potevano portarvi tre o quattro anni or sono. Io stesso ho più volte rilevato come tale agitazione abbia assunto nel secondo e terzo anno di questo mio soggiorno una sistematica e coordinata linea di attività quotidiana che non avevo osservato nel ,primo.

Tale agitazione è tanto più da mettere in luce in quanto (V. E. ne troverà cenno nei notiziario prossimo) nelle ultime settLmane si sono verificate a Kranj, e ad Jes,enice (nelle immediate vicinanze di Bled quindi si può dire sotto gli occhi del ,corpo diplomatico) manifestazioni irredentiste con esposizione di bandiere abbrunate di Gorizia e Trieste. Ieri ho visto io stes,so un gruppo di BoyScouts che proprio qui a Bled ha percorso le vie di questo ameno paesello cantando inni irredentisti dove ricorreva il nome di Gorizia e dell'Isonzo da liberare.

Devesi anche rilevare che questa agitazione irredentista jugoslava ha una immediata risonanza sui trecentomila allogeni circa che dimorano entro i nostri confini. Noto anche ,che in ogni nostra dimostrazione dalmata questo governo trova giustificazioni per aumentare le sue di istriani e goriziani, oltre a contrapporre le sokoliste e le altre a Spalato, Sebenico e Ragusa.

Dal notiziario V. E. rileverà la precisa solidarietà fra le varie agitazioni di minoranza (tedeschi dell'Alto Adige e dodecannesini e adesso trova utile impi~go anche la agitazione degli arabi libici), i contatti strettissimi fra il comitato

• Giustizia e Libertà • di Parigi e la direzione del movimento allogeno in Jugoslavia con appoggi concreti di governo.

Interessante è la abile utilizzazione (vedi n. 22 del mese di aprile) della esistenze di gruppi italiani in Jugoslavia con rispetto della loro lingua in contrapposto alla asserita persecuzione italiana della lingua 'Slovena o croata. È però da rilevare che la esistenza di questi gruppi italiani non era nota alle nostre autorità consolari.

Parallela a questa agitazione è la pubblicazione delle notizie dalla Venezia Giulia utilizzando materiale che viene o direttamente da corrispondenti locali,

o quella degli organi antifascisti di Parigi (un numero della • Libertà • diretto ad un redattore della • Politika • venne per errore in Legazione) od addirittura riferendo abilmente quanto la nostra stessa 'stampa fascista riferisce, con lo scopo di dimostrare una Venezia Giulia percorsa da agitato,ri slavi contro i quali la polizia fascista nu,lla può fare perché sorretti dalla volontà slava di tutte le popolazioni, giungendo quindi a svalutare in un certo senso e nel campo internazionale molte delle ragioni morali della nostra guerra di liberazione.

Alle varie migliaia di istriani e giuliani 1sloveni e croati si aggiunge il quotidiano afflusso di nuovi emigrati clandestini o no. Le segnalazioni delle varie prefetture (certamente incomp1ete) ne danno per il trimestre passato 305. Cifra unitariamente piccola rispetto al totale delle nostre popolazioni allogene, ma sempre forte se la si confronti al totale degli emigrati in Jugoslavia e si pensi alla funzione politica che poi ogni emigrato compie inquadrato subito come è nelle varie associazioni irredentiste ,che obbediscono ai voleri delle autorità jugoslave per finalità interne ed estere.

Il Governo di Belgrado cerca di utilizzare quegli elementi che non possono servire ad altre sue finalità, nella colonizzazione delle regioni macedoni dove un aumento di popolazione slava gli sembra consigliabile (finora aveva avviato molti sloveni a Maribor appunto per aumentare la proporzione slovena rispetto alla popolazione tedes·ca indigena). Pare a me subordinatamente non sia consigliabile (come è stato fatto recentemente dando alla pubblicità alcune informazioni del R. Console Generale di Zagabria) di diffondere notizie pessimiste sui risultati di questa opera di ·Colonizzazione e sulle difficoltà che gli emigrati trovano in Jugoslavia per campare la vita se come ritengo, per direttive supecriori, le nostre autorità di confine facilitino nel nostro beninteso interesse gli espatri clandestini.

Si può credere che il numero degli aUogeni trasferitisi in Jugoslavia sia di circa 20 mila. Nel Gennaio 1919 Monsignor Koros,cez durante un'assemblea del partito popolare sloveno dichiarava che i delegati alla conferenza della pace dovevano tornare in patria per aiutarlo ad organizzare un movimento irredentista che non avrebbe dato tregua agli italiani né giorno né notte. Questo movimento si è concretato ed organizzato dal giorno in cui gli allogeni espatriati hanno cominciato ad approssimarsi alle cifre notevoli che ho indicate a V. E.

393

APPUNTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, SUL COLLOQUIO COL SEGRETARIO DI STATO AMERICANO, STIMSON

Roma, 14 luglio 1931 (1).

Stimson --Desidero ritornare un momento ·su quanto ci siamo detti domenica scorsa a Nettuno (2) e cioè· alla vostra proposta di vacanza navale. lo vi ho ancora riflettuto sopra e ritengo che tutto si deve fare per realizzarla. Io non intendo assumermi il merito di questa iniziativa che è partita da voi, e che io, dopo autorizzazione avuta dal Bresidente Hoover ho accolto con favore considerandola come una proposta pratica e utile la quale varrebbe certamente a risolvere, almeno .per ora, il problema navale franco-tedesco, e forse indirettamente potrebbe giovare al raggiungimento dell'accordo definitivo italo-francelse al quale ultimo, come vi ho detto, l'America attribuisce una importanza decisiva. Negli incontri che avrò prossimamente con Briand a Parigi e poscia a Berlino parlerò con la discrezione necessaria dell'argomento e vi farò subito conoscere l'accoglimento da parte degli altri Governi interessati di questa idea che io mi propongo di portare e di difendere, coll'intesa che essa debba rimanere una iniziativa italiana ed europea.

Grandi -Come vi ho detto i,l Capo del Governo tiene sopratutto al risultato di questa proposta per i benefici mondiali che da essa si potranno trarre.

Questa è la sola ragione per cui prima di comunicarla ad altri ha inteso essa fosse ·comunicata al Govemo americano ed a voi personalmente perché la riuscita di essa potrà dipendere in masstma parte dall'autorità morale con cui il Governo degli Stati Uniti l'accetta e si propone di suggerirne l'accettazione agli altri Governi europei ed extra europei. Vi prego di dirmi francamente a tale riguardo se credete il caso oppure no che io ne faccia cenno ai Governi di Francia e di Germania, oppure \se non sia meglio !imitarne la comunicazione al signor Henderson, che sarei d'avviso in ogni caso di informare. Forse sarebbe utile, ,così io penso, che il Governo francese e tedesco avessero da voi prima che dal Governo italiano il suggerimento di accogliere la proposta di vacanza degli armamenti.

Stimson -Evidentemente ciò dipende dal carattere delle vostre relazioni col Governo francese e col Governo tedesco.

Grandi -Allora resta inteso che io ne informerò esclusivamente il Governo britannico in attesa che voi mi facciate •conoscere da Parigi o da Berlino quale seguito, secondo il vostro avviso, potrebbe essere dato alla proposta allo scopo di una pratica e rapida attuazione.

Stimson -Allora così rimaniamo intesi. Ed ora vi prego di rinnovare ancora una volta i 'Sensi della mia riconoscenza al Capo del Governo per l'accoglienza così francamente cordiale, e che io non potrò giammai dimenticare. Ditegli che io sono un antico e devoto ammiratore di un grande uomo di Stato americano, Teodoro Roosevelt che ho seguito nei primi anni della mia giovinezza. Dite al vostro Capo che egli mi ricorda in tutto Teodoro Roosevelt, giovane, forte, geniale come lui. Un americano non potrebbe esprimere con parole più calde e più sincere la sua cordiale ammirazione per lVIussoUni. Ditegli anche che io spero di vedervi presto in An1erica, sebbene io non potrò mai darvi neanche la minima parte delle sensazioni così belle che io ho avuto durante il mio soggiorno in Italia (1).

ultimo che sull'argon1ento della vacanza navale io non avrei informato per ora che il Go

verno britannico onde lasciare al signor Stimson maggiore libertà di movimento per le

possibilità di successo nei suoi incontri di Parigi e di Berlino, salvo poi in seguito a concre

tare una pratica linea di condotta '.

Per la versione di Graham del colloquio cfr. DB, II, n. 192. Grandi fra l'altro disse

che tutti i problemi minori, come quello italo-jugoslavo o quello delle relazioni fra l'Ungheria

e la Piccola Intesa, sarebbero svaniti « if only three Powers, France, Germany, and ltaly,

could come to a cordial agreement with Great Britain as the generai arbiter ». Si pubblica

qui il seguente passo del verbale di un colloquio Grandi-Stimson del 9 luglio:

« Stimson -Sono stato molto impressionato dalle condizioni di prosperità in cui ho

trovato l'Italia. Si direbbe che voi soffriate della crisi economica meno di quanto ne sof

friamo noi.

Grandi -Noi siamo un Paese povero, ma laborioso e parsimonioso. Inoltre non dovete

dimenticare che dieci anni di fascismo hanno impresso all'Italia una disciplina che è entrata

ormai nello spirito del popolo e si manifesta anche come capacità di resistenza alle difficoltà.

Stimson -Questo è molto vero. Quello che è grave negli Stati Uniti è la impazienza

e la insofferenza delle classi medie alla crisi. Ora ditemi francamente: vi è in Italia molta

azione comunista tra i disoccupati?

Grandi -Non credo. Vi sono qua e là episodi sporadici, e dove vi sono masse disoc

cupate vi è sempre un certo malessere. Ma i bolscevichi hanno abbandonato ogni speranza

di azione in Italia e questa è una delle ragioni che ci permette di mantenere buone relazioni

con il Governo di Mosca.

Stimson -Neanche in America vi è alcun pericolo di bolscevismo, perché negli Stati

Uniti le classi operaie sono ostilissime al comunismo. Comunque è interesse di tutti noi

difendere il regime capitalista e dimostrare che questa crisi è provvisoria e non è congenita

con il regime capitalista. Perciò anche dobbiamo rapidamente superarla •.

(l) -Il colloquio ebbe luogo alla stazione Termini prima della partenza di Stimson per Parigi. (2) -Cfr. n. 387.

(l) Lo stesso giorno Grandi convocò a palazzo Chigi Graham per metterlo al corrente delle sue conversazioni con Stimson onde informarne subito Henderson. « Gli ho detto da

394

APPUNTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, SUL COLLOQUIO COLL'AMBASCIATORE DI GERMANIA A ROMA, SCHUBERT

Roma, 14 luglio 1931.

Von Schubert -Mi dice di s·cusarsi per avere ripetutamente insistito di vedermi nella giornata di sabato, domenica e lunedì (1), ma le istruzioni del suo Governo, così pressanti e allarmate, lo avevano costretto a ciò. Mi dipinge ancora una volta la situazione tedesca che egli •chiama drammatica, se non verranno i soccorsi rkhiesti. Si tratta, egli dice, di una crisi molto più profonda, pericolosa e grave di quella seguita alla prima inflazione. Mi rkonferma che la Germania non poteva e non può accettare i termini deHe ·condizioni impostele dalla Francia, che non si limiterebbero soltanto alla rinuncia delle costruzioni navali, alla rinuncia deH'unione doganale, ma anche alla rinuncia di qua·lsiasi programma di azione politica internazionale da parte della Germania. Nessun Paese anche sull'ovlo dell'abisso potrebbe accettare delle condizioni così umilianti. Il nastro Ambasciatore a Parigi ha invece ·confermato d'ordine del Governo di Berlino, e ciò era contenuto del resto chiaramente nel Memorandum che io vi ho fatto avere domenica, che la Germania è disposta una volta avuta l'assicurazione dei crediti e una volta messo .finalmente in esecuzione il Piano Hoover è pronta a discutere tutte quelle soluzioni di carattere politico, economico od altro che possano rassicurare tutti senza distinzione i Paesi dell'Europa.

Grandi -Confermo a von Schubert che le lsegnalazioni da lui fatte in questi giorni sono state 'subito portate a -conos-cenza del Capo del Governo e degli ambienti finanziari :italiani. Il Capo del Governo segue con amkhevole interessamento e ,simpatia :la •critica situazione tedesca e da parte sua è pronto, nei limiti del possibile, e ~continuando la condotta seguita sinora a fare del suo meglio per facilitare una !soluzione che risparmi alla Germania i mali maggiori (2).

Prendo !l'occasione per intrattenere von Schubert .sull'argomento delle conversazioni avute con Stimson (3), pregandolo di ragguagliare da parte mia il Ministro Curtius. Gli accenno per sommi capi agli argomenti trattati, senza uscire dal campo generico. Non 1pado a von S·chubert della p·roposta della vacanza navale !limitandomi semplicemente a confermare il ,punto di vista dell'Italia già chiaramente espresso in ripetute occasioni e cioè che l'Europa deve manifestare praticamente la sua buona volontà di disarmare con degli atti concreti e prima ancora della convocazione della Conferenza del Disarmo la quale

se non fosse preceduta da intese generali o particolari si ridurrebbe ad una sterile accademia di discor,si, c null'altro. Ho anche detto a von Schubert che è necessario da parte di tutti i Paesi europei di contrrbuire ad aiutare il pieno successo della politica del Presidente Hoover non Isolo nel campo economico ma anche nel campo politico. Il gesto di Hoover significa la fine della politica d'isolamento americana. Se l'Europa non contribuisse al successo di tale politica ciò non rappresenterebbe soltanto il fallimento dell'iniziativa audace di Hoover ma finirebbe col costringere l'America a ritornare sui suoi paissi e forse chiudersi in una politica di irrigidimento ed isolamento ancora più accentuata che nel passato, il che sarebbe un evidente danno per tutti.

Von Schubert -Mi mette al corrente della ,conferenza avuta ieri sera all'Ambasciata americana con Stimson presenti i tre Ambasciatori d'InghHterra, di Germania e di Francia. La presenza contemporanea dei rappresentanti delle tre Potenze non ha permesso a Stimwn, evidentemente di uscire dal vago e dal generico. L'unica ,cosa che egli ha confermato è la sua piena soddisfazione per gli incontri avuti col Capo del Governo italiano e col Ministro degli Esteri, e il perfetto accordo su tutti i punti da lui trattati col Governo italiano.

(l) 11, 12 e 13 luglio.

(2) Cfr. un te!. di Ferretti al prefetto di Torino del 18 luglio: in spregio alle istruzioni impartite dall'Ufficio stampa del Capo del Governo, il giornale La Stampa del 17-18 lu· glio « insiste campagna disfattista già iniziata sulla stampa circa situazione Germania... Confido V. E. abbia fatto adeguati richiami ostinato atteggiamento giornale » (ACS, Segreteria particolare del Duce, fase. Turati W/R). La Stampa era diretta da Augusto Turati.

(3) Cfr. nn. 387 e 393.

395

APPUNTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, SUL COLLOQUIO CON L'AMBASCIATORE DI FRANCIA A ROMA, BEAUMARCHAIS

Roma, 14 luglio 1931.

Beaumarchais -È incaricato di rimettermi un promemoria (l) cla parte del signor Briand nel quale il Governo francese comunica i risultati dei suoi studi in merito alla questione della neutralizzazione dell'Austria, aggiungendo che sarà grato al Governo italiano di esaminare tale memorandum e di esprimere le proprie osservazioni al riguardo. Il Governo francese desidera procedere su questo problema d'accordo col Governo italiano.

Grandi -Ringrazio Beaumarchais. Gli confermo che il Governo italiano

ha intenzione di procedere d'accordo col Governo francese su questa questione.

Mi riservo di comunicare le osservazioni del Governo italiano dopo avere atten

tamente esaminato i documenti.

Beaumarchais mi domanda se ho avuto modo di 1sottoporre al Capo del

Governo il messaggio del Presidente Lavai (2).

Grandi -Comunico a Beaumarchais che il Capo del Governo dopo aver

avuto tale comunicazione ha incaricato l'Ambasciatore italiano a Parigi di dare

al p,residente Lavai un cordiale messaggio di risposta (3).

Prego l'Ambasciatore Beaumarchais di mettere al ·corrente il signor Briand delle rr.1e conversazioni avute in questi giorni con Stimson (1), conversazioni sulle quali mi limito a fare degli accenni generici, e precisamente sulla concordanza itala-americana in merito alla Conferenza del Disarmo, all'utilità che la Conferenza del Disarmo sia preceduta da scambi di vedute preliminari fra le Potenze interessate in modo da raggiungere se possibile qualche a·ccordo generale o particolare che assicuri il succe:sso della Conferenza evitando così che essa si limiti a una pura accademia sterile. Non ho parlato a Beaumarchais delia proposta italiana di vacanza generale degli armamenti navali. Ho informato Beaumarchais dell'interessamento di Stimson alla questione navale italafrancese. Ho detto a Beaumarchais di avere illustrato a Stimlson il concetto fondamentale della politica italiana in Europa consistente nella necessità che le quattro grandi Potenze, sul piano del Trattato di Locarno abbiano tra di loro una intesa leale e duratura. L'intesa fra le quattro grandi Potenze europee è la chiave di volta della pace e della ricostruzione europea. Il giorno che le quattro grandi Potenze saranno d'accordo tutti i problemi dell'Europa orien

tale, centro-orientale e balcanica diminuiranno della loro importanza. Alla realizzazione di questa intesa l'Italia è disposta a collaborare sinceramente. Ho ~spresso infine a Beaumarchais l'avviso che da parte deHe grandi Potenze europee deve essere fatto il possibile perché ~la politica del Presidente Hoover sia coronata da successo. In caso contrario l'America si vedrebbe costretta a ritornare alla sua politica tradizionale di isolamento dalla quale il Plresidente Hoover, con gesto audace l'ha fatta uscire, il che :sarebbe forse un danno per l'America ma forse danno più grave per l'Europa.

(l) -Cfr. n. 396. (2) -Cfr. n. 357. (3) -Cfr. n. 399.
396

PROMEMORIA DELL'AMBASCIATA DI FRANCIA A ROMA PER IL MINISTERO DEGLI ESTERI

N. 252. Roma, 14 luglio 1931.

Le Gouvernement Français a examiné avec soin dans quelles conditions il pourrait ètre donné une application pratique à l'idée de la • neutralisation • de l'Autriche à 'laquelle M. Grandi avait marqué un certain intérèt.

Le Gouvernement français est entièrement d'accord avec le Ministre R. des Affaires Etrangères sur la nécessité d'élaborer à l'occasion d'une nouvelle restauration financière de l'Autriche, un système de garanties suppiémentaires susceptible de neutraliser les influences qui prétendraient de s'exercer à titre exclusif dam ce pays. Il lui parait cependant qu'il y a lieu de préciser le terme de • neutralité • qui pourrait préter à équivoque.

On ne saurait semble-t-il envisager dans le cas de l'Autriche une neutralité perpetuelle dans le sens où ce mot définit par exemple la neutralité inter

naLona!e de la Suisse qui a été reconnue par la Société des Nations, à titre d'exception. Elle ne serait pas co:mpatible avec l'exécution éventuelle des obligaticns rà:ultant de l'art. 16 du Pacte. Elle ne constituerait pas d'ailleurs une garantie contre l'Union douanière, l'acte d'Union entre l'Autriche et l'AUemagne pouvant spécifier par exemple que Ie territoire correspondant à l'ancienne Autriche demeurerait neutralisé. Pour le Gouvernement français le problème serait plutòt:

a) de faire prendre par les Etats limitrophes de l'Autriche ainsi que par tels ou tels autres Etats ayant un intéret dans la question co:m:me la France, la Pologne et l'Angleterre si elle le désirait l'engagement de s'abstenir non seulement de toute violation du territoire autrichien conformément d'ailleurs au principe inscrit dans l'artide 10 du Pacte, mais aussi de toute action de nature à compromettre I'indépendance autrichienne ou qui tendrait à assurer à l'un de ces Etats, dans quelque domaine que ce soit des avantages particuliers, il s'agirait en d'autres termes, d'une déclaration générale de désintéressement des Etats s'obligeant à ne pas chercher à exercer une • influence • particulière sur l'Autriche;

b) de faire prendre par l'Autriche l'engagement de maintenir son indépendance entendue de la manière la plus large et co:mme corollaire de s'abstenir d'accorder à aucun Etat et notamment à aucun de ses voisins un avantage de quelque nature qu'il soit dont le benefice en principe, ne pourrait pas s'étendre automatiquement à chacun des Etats voisins;

c) alors que les engagements similaires mais plus vagues résultant du Protocole de 1922 sont limités à la période à laquelle s'applique ce Protocole, les engagements qui seraient contractés auraient une durée illimitée;

d) il y aurait lieu enfin, et ce serait un point essentiel, de préciser les conséquences qu'entraìnerait la violation des dits engagements et pour garder au système une souplesse suffisante de prévoir une procédure de dérogations.

Sur ce deuxième point il faudrait étudier un système prévoyant l'intcrvention du Coniseil de la Société des Nations conformément au principe inscrit dans l'art. 88 du Traité de Saint-Germain c'est-à-dire que toute exception à la règle générale ne pourrait etre admise qu'avec l'assentiment de l'unanimité du Conseil.

Les Etats signataires seraient déclarés solidairement et individuellement garants de l'observation des engagements pr~s par un système analogue à celui du Traité de Locarno; il conviendrait d'ailleurs de préciser si cette garantie jouerait seulement après que le Conseil de la Société des Nations aurait constaté la violation ou si les Etats garants seraient libres d'intervenir au cas où le Conseil ne serait pas unanime rsur] la dite violation.

Un protocole conçu sur de telles bases ne pourrait intervenir que comme conséquence d'une réorganisation générale des finances et de l'économie autrichienne3 à la suite de la crise actuelle àe meme que le Protocole de 1922 a été le corollaire du pian cle restauration financière. Il devrait etre élaboré par le Conseil de la Société àcs Nations -ou un Comité du Conseil -et pourrait etre étaoli dans la mémc forme que le Protocole de 1922, c'est-à-dire comporter d'une part les engagements pris par les Puissances contractantes autres que l'Autriche, d'autre part, les engagemenùs pris par l'Autriche.

Dans le système d-dessus esquissé I'AHemagne serait partie au Protocole à intervenir. Sans doute H pourra y avoir, à Berlin, de l'opposition contre un engagement où l'on voudra voir une aggravation de l'art. 80 du Traité de Versailles mais ces objectionls tomberont peut-étre en considération du fait que pour la première fois depuis 1919, le Reich se trouveralit appelé à intervenir comme garant de la paix européenne (autrement que comme membre du Conseil de la Société des Nations) sur le méme pied que les principales Puissances signataires des Traités.

En soumettant à ·l'examen de M. Grandi les indi:cations ci-dessus concernant une question où les intéréts français et italiens coi:ncident, le Gouvernement de la République a l'honneur de marquer tout le .prix qu'il attacherait à procéder avec le Gouvernement Italien à un examen approfondi de la question.

(l) Cfr. nn. 387 e 393.

397

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI

(Archivio Grandi)

Roma, 14 luglio 1931.

Vorrei a seguito degli appunti consegnati ieri sera (1), esporTi alcune considerazioni riassuntive sulle mie conversazioni col Segretario di Stato americano Stimson. In tali conversazioni il sig. Stimson ha particolarmente insistito su due concetti:

l) che la proposta del Presidente Hoover (2) per la moratoria non deve essere considerata solamente nel suo valore tecnico e nella portata di una misura provvisoria, ma come l'inizio di una più vasta azione che gli Stati Uniti si propongono di svolgere a favore della ricostruzione economica.

2) che allo sviluppo di questa azione è premessa necessaria la Conferenza del Disarmo e la riduzione e limitazione degli armamenti.

Il sig. Stimson è stato molto esplicito nelle sue dichiarazioni su questo argomento. Egli mi ha detto e ripetuto che non è possibile presentare al popolo americano alcun progetto di revisione delle obbligazioni ,finanziarie che gli alleati hanno verso gli Stati Uniti, se non si offre ad esso, nello stesso tempo, la garanz,ia che i vantaggi finanziari che gli alleati trarranno da una tale revisione non saranno impiegati ad aumentare i loro armamenti. Ma, con questo egli ha anche implicitamente ammesso quello che il Governo americano non

(Archivio Grandi): • Era facile e naturale per la Germania, per la Francia e anche per l'Inghilterra prendere l'attitudine che hanno effettivamente presa, tanto evidenti erano i rispettivi interessi. Più difficile la nostra situazione. In ogni modo mi sembra che abbiamo ricavato e potremo ricavare vantaggi politici dalla nostra pronta adesione e vantaggi finanziari da quanto la Francia ha reclamato e ottenuto per sé e per gli altri creditori •·

22 -Documenti diplomatici-Serie VII-Vol. X

aveva mai voluto ammettere fino ad ora e cioè che gli Stati Uniti sono disposti a riesaminare la questione dei debiti.

L'importanza di questo fatto è indiscutibile. Gli Stati Uniti avevano finora

respinto ogni idea che gli accordi per i debiti di guerra potessero essere riveduti

in nostro favore. E quello che ora ammettono è non solo di aver dovuto prendere

una misura provvisoria, che è sostanzialmente in contraddizione con questo

atteggiamento intransigente, ma di essersi accorti che la strada che battevano

era sbag1iata, e che è nel loro interesse mutar rotta. Una nuova fase della

politica americana si è dunque aperta. Ma per potersi realizzare in tutti i suoi

sviluppi questa nuova fase non deve essere impedita dal problema preoccu

pante degli armamenti. Dai risultati della Conferenza del Disarmo dipende dun

que il nuovo orientamento della politica estera americana, e quindi il contri

buto degli Stat~ Uniti alla soluzione della crisi economica europea.

Posto in questi termini, il problema dei debiti appare legato da una parte a quello delle riparazioni e dall'altra a quello del disarmo, con una duplice connessione che corrisponde in sostanza alle direttive della nostra politica, noi avendo costantemente affermato il principio della interdipendenza fra debiti e riparazioni e la necessità di giungere a una perequazione delle forze armate. Per nostro conto noi non abbiamo dunque che a continuare nella nostra strada.

Quello che .però può interessarci per gli elementi nuovi che possono presentarsi in questo quadro è la connessione tra questi problemi e la questior>e dell'unione austro-tedesca. Di questo io ho più volte intrattenuto il sig. Stimson e gli ho dimostrato come l'Unione austro-tedesca sia dannosa alla ricostruzione economica dell'Europa, mentre per le stesse misure previste dal progetto del Presidente Hoover, è anche dal punto di vista dell'economia tedesca ormai ingiustificata. Mi sembra nel nostro interesse non lasciar cadere questa tesi e non abbandonare questa posizione. Noi andiamo oggi verso un nuovo regolamento dei debiti e delle riparazioni, regolamento che :sarà a vantaggio prevalentemente della Germania.

L'iniziativa americana ha dato oramai alla Germania una base di partenza per provccare 1:.. revisione delle sue obbligazioni di guerra, come essa non ha mai avuta, e noi saremo tutti spinti a questa revisione. La contro-partita che attualmente esiste a nostro vantaggio è quella dei debiti, ma poiché questo vantaggio non è che parziale noi abbiamo la possibilità e l'interesse a cercarne altre. Tra queste può esserci anche la rinuncia della Germania all'Unione con l'Austria. E poiché ormai questo problema noi lo abbiamo posto, ci conviene mantenerlo.

La forma nella quale esso potrà essere mantenuto non sembra debba esser2 diversa da quella che gli abbiamo già dato. Ho avuto la migliore prova di ciò nel fatto che, durante i nostri colloqui, il primo accenno al problema dell'Union'=' austro-tedesca è venuto proprio da Stimson ed io non ho avuto bisogno di sollevare tale questione. Il che significa anche che la procedura da noi adottata di fronte alla proposta Hoover è stata la più felice. Tu hai potuto rispondere con un gesto di generosità al gesto di Hoover, e tuttavia mantenere intatti i capisaldi della politica italiana, anche per quello che riguarda un problema tecnicamente europeo. Possiamo dunque continuare sulla stessa linea. Come non abbiamo voluto ieri, così non vogliamo fare oggi della nostra opposizione alla unione austro-tedesca una questione pregiudiziale all'attuazione delle proposte del Presidente Hoover per una moratoria dei debiti e delle riparazioni, la nostra accettazione essendo stata anzi incondizionata. Noi vogliamo solo fissare il fatto che questo nostro atteggiamento non significa il riconoscimento che il problema dei debiti e delle riparazioni è sconnesso da quello dell'unione doganale; significa, al contrario, che ove si dovesse procederè a un riesame di tale problema, questo non potrebbe farsi che dopo aver risolto quello dell'unione doganale, l'Italia avendo diritto di conoscere se le concessioni che essa può essere disposta a fare saranno fatte alla Germania quale essa attualmente è, o ad una Germania che si prepara ad essere più vasta e più forte, e che tende a portare i suoi confini economici su quelli dell'Italia.

Questo non è tuttavia che un aspetto del problema. Ve n'è un altro, e non meno importante, che deve essere esaminato, ed è quello degli armamenti tedeschi. Nel corso delle sue conversazioni, il Segretario di Stato mi ha più volte fatto cenno alla possibilità di indurre la Germania a delle concessioni in materia di armamenti, concessioni che dovrebbero avere un primo inizio di attuazione con la rinuncia alla costruzione del secondo Deutschland e dovrebbero avere la duplice funzione di rafforzare il senso di sicurezza della Francia, e di facilitare un accordo navale franco-italiano. Di queste due cose il Segretario di Stato particolarmente si preoccupa. A me è parso di intendere che egli ritiene indi

spensabile un rafforzamento del regime della sicurezza francese, per poter indurre la Francia a una politica più conciliante, e si propone di esercitare su Berlino, d'accordo con l'Inghilterra, una certa pressione in favore di una politica di disarmo che dovrebbe rappresentare il contributo tedesco alla revisione generale dei rapporti politici e finanziari tra vincitori e vinti e tra alleati a associati tra loro.

T;:J.zione di Stimson a Berlino potrebbe dunque rivolgersi su queste dur direttive: rinuncia all'unione e rinuncia alla costruzione del secondo Deutschland. Ma delle sue disposizioni verso la concezione stessa della connessione fra debiti, dparazioni e disarmo, mi sono valso per prospettare una soluzione generale la quale includerebbe anche la rinuncia tedesca al secondo Deutschland. Ho cosi accennato in linea generale alla possibilità di una vacanza navale. Dopo consultazione telegrafica con il Presidente Hoover, il Segretario di Stato ha accenduto a questa idea, e mi ha informato di averTi comunicato personalmente al Convegno di Nettuno che il Governo americano era pronto a prendere parte a un'iniziativa del genere.

La vacanza navale di un anno e una eventuale corrispondente vacanza militare, concetto q_uesto assai vago ma al q_uale pure si è accennato, presenterebbero il vantaggio di legare definitivamente il problema del disarmo a quello dei debiti e delle riparazioni. Dico il vantaggio da parte nostra, per le considerazioni che qui espongo.

Nella situazione che si è venuta formando il paese che si trova in posizione più vantaggiosa è ora la Germania. Qualunque revisione delle riparazioni alla quale si proceda non può che esserle favorevole. Per noi si tratta di perdere

più o perdere meno, per essa di guadagnare in ogni modo. Quasi identica è la situazione nella quale la Germania si trova rispetto al problema del disarmo perché è più facile che una revisione dello stato attuale degli armamenti avvenga a :suo vantaggio che a suo danno. È per questo che essa si batte per l'una e per l'altra; per rivedere il Piano Young e per rivedere le clausole militari del Trattato di Versailles. Ma ha evidentemente tutto l'interesse a considerare questi due problemi di revisione come separati, a sostenere che disarmo e riparazioni sono elementi incompensabili. Separatamente infatti essa può guadagnare terreno sull'uno e sull'altro campo. L'unica possibilità che noi abbiamo di limitare i vantaggi che essa si propone di ottenere è di legare le due cose, e da due problemi tecnicamente separati e diversi quali effettivamente sono, quello del disarmo e quello delle riparazioni, fare l'oggetto di un'unica vasta transazione, la quale ha almeno due possibilità: o un maggiore disarmo tedesco, e una maggiore riduzione delle riparazioni, o una minore riduzione delle riparazioni e un minore disarmo. Anche ai soli fini del puro negoziato diplomatico con la Germania a noi conviene dunque continuare per la via nella quale ci siamo cominciati a mettere; porre un gruppo di problemi che devono essere considerati nel loro insieme -disarmo, debiti, riparazioni, unione austrotedesca -e nel loro insieme, voglio dire con un sistema di compensazioni interne, risolti.

Corrisponde questo anche agli interessi essenziali dell'Italia? È questo interesse in armonia con quel regime di equilibrio e di equidistanza, di indipendenza e di compensazione nel quale Tu hai fissato le linee della nostra politica estera? A me sembra di si. L'episodio dell'unione doganale anche se si chiuderà come noi vogliamo e in maniera soddisfacente per noi, ha dimostrato come la Germania cominci già a vedere più largo e disegnare piani più vasti. Esso ha posto in maniera precisa per l'avvenire il problema del concentramento della ·potenza tedesca nell'Europa centrale. E lo ha posto alla vigilia di quella Conferenza del Disarmo che dovrà risolvere il problema della liberazione della potenza militare tedesca dagli obblighi del Trattato di Varsailles e mentre già si intravede la liberazione della Germania dalle sue obbligaz,ioni finanziarie. La GE:rmania che si disdegna per l'avvenire è una Germania indipendente dalle riparazioni, indipendente dal regime militare eccezionale del Trattato di Versailles, indipendente dalle limitazioni che il Trattato ha fissato alle :sue relazioni con l'Austria. Noi dobbiamo cominciare a considerarla anche sotto questo aspetto, e a considerare in relazione alla politica che essa nell'avvenire potrà essere in condizione di svolgere, tutti i problemi corrispondenti. Armare una Germania libera dal peso delle riparazioni è una cosa ben diversa che armare una Germania che ne sia oppressa. E poiché il problema delle riparazioni è quello che noi saremo obbligati a risolvere a suo favore, sotto la duplice pressione della sua continua minaccia di bancarotta e della politica revisionista che gli Stati Uniti hanno iniziato, noi possiamo essere indotti dalle circostanze a considerare se sarà nostro interesse risolvere anche in suo favore il problema degli armamenti. Dopo tutto una politica di equilibrio, quale è quella che Tu hai nettamente segnata per il nostro paese, ha come problema essenziale un problema di distribuzione della potenza. Essa esige che noi non permettiamo il

concentrandosi nelle mani di alcuno Stato di tutti gli elementi demografici, finanziari e militari, che costituiscono la potenza. Essa esige che noi troviamo nella riduzione degli armamenti un limite della potenza tedesca non meno che a quella francese, e questo limite deve essere tanto più rigido quanto la potenza tedesca si aumenta o minacci di aumentarsi nell'avvenire per altri fattori.

Ma questo è, evidentemente, un problema del domani che vedremo quindi a suo tempo. Al presente noi dobbiamo, a mio giudizio, tener fermo nelle nostre posizioni.

Ma da queste nostre posizioni una politica si può sviluppare nei confronti tanto della Francia quanto della Germania: politica diretta a far sì che l'aumento della potenza tedesca limiti quello della potenza francese, ma non sia tale da farci trovare domani improvvisamente davanti ad una presa di possesso dell'Europa centrale da parte della Germania, la Quale ci metta nella condizione

o di subire la preponderanza tedesca o di legarci definitivamente alla Francia, soluzione l'una e l'altra che priverebbero l'Italia dei frutti dei dieci anni di lavoro che Tu hai compiuto per garantire al nostro Paese la sua libertà internazionale.

Questi frutti dobbiamo difendere, perché si avvicina ormai il tempo in cui dovremo porre in pieno il problema di vita dell'Italia, e raccogliere i risultati della ir.quadratura che Tu hai dato alla nostra politica estera. Al Segretario di Stato io ho detto con tutta franchezza, e a conclusione dei nostri colloqui, che, pronti a dare il nostro contributo alla ricostruzione dell'Europa, pronti a lavorare nel senso della cooperazione internazionale noi non possiamo tuttavia non considerare che abbiamo un nostro problema da risolvere, e che tale problema deve esser considerato un problema non solo italiano, bensì anche un problema europeo. La Francia ha il problema della sicurezza, la Germania ha il problema del disarmo, l'Italia ha il problema della vita: il problema dei suoi 42 milioni di abitanti che devono lavorare e devono vivere, dei suoi 500 mila nati di ogni anno che devono cercare lavoro e pane. Queste sono state le mie ultime parole al Segretario di Stato. L'Italia vuole la pace, ma vuole anche vivere. È nell'interesse della pace, e quindi nell'interesse di tutti, che essa non scoppi sotto la pressione della sua popolazione crescente. Se l'America vuole interessarsi dell'Europa non può non considerare questo che è uno dei più essenziali problemi europei.

(l) -Cfr. n. 387. (2) -Sulla proposta Hoover cfr. il giudizio di Pirelli in una sua l.p. a Grandi del 9 luglio
398

APPUNTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, PER IL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI

Roma, 14 luglio 1931 (1).

Ho dato istruzioni all'Ambasciatore De Michelis di continuare a tenersi in contatto ,con F. Poncet e Berthelot (2), dando impressione della buona volontà

del Governo Italiano e dichiarando che noi siamo pronti a trattare su basi concrete. È preferibile che la trattativa, sino a che essa non entri in una fase conclusiva, resti affidata ad « outsiderls • e solo quando il feto darà segno di vita (se mai ne darà) la trattativa potrà essere travasata negli organi ufficiali, e proseguire per la via normale, la quale non si è addimostrata ,sinora la più agevole e la più fortunata.

È certo la prima volta da molti anni a questa parte che Berthelot, anche in una ·conversazione non ufficiale, fa degli accenni che non sono senza interesse e che, pur dando ad es:si il valore che l'esperienza ci obbliga a dare, meritano tuttavia di non essere scartati senz'altro.

(l) -Annotazione a margine: «Visto da S. E. il Capo del Governo 15 luglio 1931 •· (2) -Cfr. n. 385.
399

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, MANZONI

D. 2722. Roma, 14 luglio 1931.

Ho ricevuto l'interessante Suo telegramma per corriere N. 294 del 7 luglio (1), nel quale V. E. ha posto in rilievo le manovre finanziarie, a sfondo politico, del gruppo industriale renano capeggiato da Schacht, particolarmente nei riguardi della crisi bancaria germanica e della conseguente iniziativa Hoover.

Le Sue ·considerazioni sui moventi e ISUi finri di tali manovre mi trovano concorde.

Mi è pervenuta poi la lettera personale di V. E. del 9 luglio (2).

Quanto EHa mi scrive sul contegno tenuto nei Suoi riguardi dall'Ambaisciatore de Beaumarchais non mi stupisce. È, se pur necessaria, una nuova conferma delle di lui qualità negative di diplomatico che i vari colloqui con lui mi hanno quasi sempre dato occasione di rilevare.

Accogliendo il Suo suggerimento, l'autorizzo a fare qualche indiscrezione, nelle Sue conversazioni, del contenuto dell'ultimo mio colloquio col signor de Beaumarchais (3), specie nei riguardi dell'accenno, invero sconveniente, della minacciata rappresaglia sulJ'Abbazia di Hautecombe.

Ho poi sottoposto a S. E. il Capo del Governo l'opportunità che venga data una risposta alla comunicazione fattagli pervenire dal Presidente Lavai, del quale V. E. ha confermato le favorevoli disposizioni a nostro riguardo.

S. E. il Capo del Governo ha riconosciuto tale opportunità e mi ha dato incarico di pregare V. E. di recarsi dal Presidente Lavala e di comunicargli

verbalmente:

-·che S. E. il Capo del Governo ha molto gradito la comunicazione verbale fattaGli, per il tramite del Ministro degli Affari Esteri, dall'ambalsciatore de Beaumarchais, a nome del signor Lavai:

-che anche S. E. il Capo del Governo condivide la ,convinzione del Presidente Lavai che sia nell'interesse della Francia e dell'Italia di giungere fra di loro ad un accordo leale e sincero e, il più possibile, comp~ensivo. Egli ritiene che, nelle attuali condizioni dell'Europa, tale accordo sia anche particolarmente auspicabile nell'interesse della pace mondiale;

-che S. E. il Capo del Governo ritiene (l) che a tale scopo possa grandemente contribuire l'opera personale del .signor Lavai, di cui Egli particolarmente apprezza il senso di realtà e Io spirito di comprensione;

--che per quanto riguarda specialmente l'accordo navale il Governo Italiano ha già dato ampie prove della sua buona volontà, ed è ora in attesa di ulteriori comunicazioni che il Governo francese vorrà fargli pervenire al riguardo, anch'esso convinto che molti ostacoli potrebbero essere più facilmente superati in un'atmo'sfera di cordiale amicizia fra i due Paesi.

(l) -T. 2089/294, che non si pubblica. (2) -Conservata nell'Archivio Grandi. Non si pubblica. (3) -Cfr. n. 357.
400

IL SEGRETARIO DEL PNF, GIURIATI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

(Copia)

L. R. P. Roma, 14 luglio 1931.

Dopo minuto esame della situazione, e dello stato di fatto che si era creato con il raggruppamento dei fascisti della Dalmazia irredenta nei gruppi di Spalato, Sebenico (2) e Ragusa, dipendenti direttamente dai rispettivi Fiduciari di

La correzione è stata fatta personalmente da Mussolini.

« La situazione dei nostri connazionali residenti in Dalmazia si va giorno per giornolentamente ma irrimediabilmente aggravando. tanto che si è venuto a creare fra loro quello

speciale stato d'animo in cui il più modesto fatto o la più piccola causa portano inevitabil

mente a dolorosi urti fra i siugoli, con grave danno per le collettività; così è a Spalato e questo si verifica ora anche fra le poche decine di italiani di Sebenico. Devo intrattenere

V. E. appunto sulla situazione in quest'ultima città.

Poiché il dissidio creatosi colà in seguito alla nota non rielezione del camerata Comm. Tullio Nicoletti a Direttore di quella 'Lega Culturale' malgrado le mie insistenze non

n_ccenna a sparire, ma anzi ha diviso la collettività in due campi, ho deciso che il Fascio din ancora una prova di quella comprensione di cui invece quel nostro R. Console non è

evidentemente dotato. Ho quindi pregato il cc:merata Nicoletti di dimettersi dalla carica di Fiduciario in quanto apertamente osteggiato dal Console.

Tolto di mezzo il camerata Nicoletti spero che il R. Console vorrà desistere dal deplorevole atteggiamento finora seguito a tutto danno di quella collettività e specialmente del Gruppo fascista.

Ma poiché sono in argomento non posso non riferire all'E. V. quella che secondo me è la principale causa delle continue beghe e irrequietudini nell'ambiente italiano di Sebenico.

A quel R. Consolato si trova da diversi anni in qualità di Segretario certo Eugenio Cavallaro, non fascista, che ha sempre provocato pericolosi dissidi e che è stato l'organizz::;',ore delle elezioni riuscite sfavorevoli al Nicoletti ».

Grandi fece preparare per Giuriati una lettera di risposta che non fu spedita in seguito all'arrivo della lettera dello stesw Giuriati che si pubblica nel testo. Nella minuta di lettera non spedita Grandi spiegava a Giuriati i motivi per i quali il console generale a Spalato si era indotto a far eleggere nel consiglio della Lega culturale di Sebenico il comm. Pini, , non tesserato, è vero, ma vecchio patriota italiano di Sebenico, e già fondatore e capo di organizzazioni di resistenza nazionale in quella città, in luCJgo del Nicoletti...

A Sebenico ed altrove gli Italiani che hanno ancora la forza di resistere agli allettamenti ed alle minacce, conducono una lotta impari, difficilissima, e sono perciò solo tl"tti

Gruppo ed appartenenti alla Federazione di Zara, ho deliberato (a scopo di maggior coordinamento della loro azione, e di impedimento alla •Creazione di qualche situazione non agevole) di affidare all'On. Senatore Antonio Tacconi il compito di dirigere e coordinare l'attività di detti gruppi, servendosi dell'opera dei rispettivi fiduciari ed attuando 'le direttive che, secondo gli ordini della Direzione del Partito, saranno impartite dalla competente Federazione di Zara.

L'on. Senatore Antonio Tacconi è stato da me reso edotto (l) della determinazione presa e dell'alto, delicato compito a lui affidato.

La soluzione sopra indicata ha lo scopo preciso di nnrmalizzare quella situazione talvolta turbata da1le ragioni a te ben note; vivamente confido che essa varrà ad agevolare l'opera di eventuale preziosa collaborazione da parte dei RR. Consoli d'Italia in Dalmazia, se tu riterrai nella tua competenza di impartire loro le direttive del caso.

Grato per quanto vorrai eventualmente disporre, ...

(l) In una ~rin1a minuta del documento anz1C11e « ritiene >> si leggeva << ha fiducia ».

(2) Sulla situazione a Sebenico Giuriati. per incarico di Mussolini. aveva trasmesso a Gr:-ndi il 22 giugno una lettera, datata Zara 11 giugno, del federale della Dalmazia. Di questa lettera si pubblica il passo seguente:

401

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AI MINISTRI DELLA GUERRA, GAZZERA, DELLA MARINA, SIRIANNI, E DELL'AERONAUTICA, BALBO (2)

(USM, cartone 3240/4)

TELESPR. RR. 225062. Roma, 15 luglio 1931 (3).

In relazione al lavoro di preparazione che i vari rami della Amministrazione stanno compiendo per la prossima Conferenza Generale del Disarmo, è stata prospettata :l'opportunità che .si effettui fra i Ministri interessati, e se possibile sotto la Presidenza di S. E. il Capo del Governo, un primo scambio di vedute sull'importantissimo problema del nostro atteggiamento alla Conferenza.

Il R. Ministero degli Affari Esteri conviene sulla necessità di tale scambio di vedute e •si propone di prendere l'iniziativa per la sua effettuazione alla prima occasione propizia.

Si presenta intanto la questione del seguito da dare ad una proposta che

è stata fatta in forma ufficiale da un rappresentante della Marina tedesca al

R. Addetto Navale a Berlino (4), nel senso esaminare la possibilità e la

egualmente benemeriti dell'Italia e del Fascismo. Il criterio discriminatore dell'appartenenza

al Partito, applicato tror:po rigidamente in queste condizioni, può avere per conseguenza

di dividere gli Italiani in due campi, provocando dispersioni di forze e secessioni irrepa

rabili. Perché ogni Italiano che si distacchi dal blocco dei connazionali è sommerso dalla

marea straniera che lo circonda, è perduto per sempre.

Con queste considerazioni·, ispirate dallo spettacolo doloroso della lotta disperata che

conducono gli Italiani di Dalmazia per non morire, mi rivolgo, caro Giuriati, al tuo cuo1·e

di Italiano, di Fascista, e di Legionario fiumano e dalmatico, sicuro che, anche se non

condividi il mio parere sui rimedi estremi da portare a questo estremo male, saprai com

prendere ed apprezzare il sentimento che lo ispira».

convenienza di una ·Preventiva intesa itala-germanica circa la condotta e l'eventualità di un reciproco appoggio sulle varie questioni da t~rattare alla futura Conferenza del Disarmo.

È utile ricordare a tale rigua,rdo che degli approcci nello stesso senso erano già ·stati fatti nello scorso maggio a Ginevra da parte dei Consiglieri miHtari delle Delegazioni tedesca ed ungherese presso il loro collega italiano.

La proposta tedesca, che mira a costituire in seno alla futura Conferenza un fronte unico fra quel~e Potenze che abbiano interesse ad opporsi alla politica del~a Francia e degli Stati gravitanti nella sua orbita, solleva il problema, altrettanto importante quanto delicato, delle direttive politiche che al R. Governo converrà di fissare per l'azione della sua Delegazione alla Conferenza.

È ev:idente l'interesse tedesco di ottenere fin da ora dal Governo italiano un'adesione di massima ad una azione concertata, diretta alla formazione del

• fronte unico » sopra accennato. È però ~trettanto evidente la convenienza, anzi la necessità per l'Italia di agire •Con tutte le maggiol'i cautele, quando si tratti di assumere un impegno che potrebbe avere delle ripercussioni di eccezionale importanza, non soltanto nei riguardi del problema specifico del disarmo, ma anche sulle future dkettive generali della politica estera italiana.

Ora, questo Ministero ritiene che nel momento presente sarebbe prematuro per il R. Governo di prendere una decisione definitiva al riguardo. Si stanno sviluppando 'proprio in questi giorni importanti avvenimenti e sono in corso di discussione gravi problemi internazionali la cui soluzione in un senso o nell'altro non potrà non influire sulle direttive della nostra politica estera e quindi sulla linea di ·condotta da ,seguire aHa futura Conferenza del Disarmo.

Per queste ragioni, il Ministero degli Affari Esteri non ritiene conveniente

per il momento di rispondere alla proposta tedesca con una comunicazione for

male fatta a nome del Governo. In pari tempo, poiché non si esclude in via

assoluta che ad un accordo nel senso suggerito da Berlino possa giungersi a

tempo opportuno, ·si vede l'utilità di .scambi di vedute che, •lasciando impregiu

dicato l'aspetto po1iUco del problema, permettano di studiare con i competenti

organi del Governo tedesco, le varie questioni ·che faranno oggetto dei lavori

della Conferenza. In altre parole, questo Ministero è d'avviso che Ja possibilità

di collaborazione itala-tedesca in materia di disarmo venga per ora esaminata

sotto :i suoi aspetti tecnici, mediante contatti fra gli organi tecnici dei due

Governi.

Questo Ministero ha pertanto ,l'onore di suggedre ·che da parte dei tre Di

casteri della Guerra, della Marina e dell'Aeronautica vengano impartite istru

zioni ai riJspettivi Addetti a Berlino, autorizzandoli a discutere con i competenti

organi della Amministrazione mi:litare germanica i problemi del disarmo che

rientrano nella sfera di loro particolare competenza.

I ~isultati di tali scambi di vedute, debitamente vagliati dai RR. Dicasteri competenti, potranno fornire utili elementi per 1le decisioni di carattere generale che il R. Governo prenderà a tempo opportuno. Sarà utile che gli addetti militari tengano informato circa i contatti che essi avranno anche il R. Ambasciatore a Berlino, H quale ha ricevuto l'istruzione di mantenersi uffidalmente estra

neo a queste trattative, allo stesso modo con cui il Governo tedes•co si è astenuto sinora di intervenire direttamente pur lasciando evidentemente volentieri che le autorità militari tedesche prendessero l'iniziativa di questi contatti (1).

(l) -Con Lp. pari data che non si pubblica. (2) -Il documento fu inviato per conoscenza al Capo di Stato Maggiore generale e all'Ambasciata a Berlino. (3) -La minuta, conservata nell'Archivio Grandi, è datata 14 luglio. (4) -Cfr. n. 360.
402

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO DELLE COLONIE, DE BONO

TELESPR. R. 225120/204. Roma, 15 luglio 1931 (2).

È noto a codesto R. Ministero come, nel corso delle riunioni interministe"iali tenutesi nel Giugno-Luglio 1930 (3) e durante le quali era stata fatta ampia disamina della nostra situazione politica e dei nostri particolari interessi in Abissinia, fossero state definite 1le linee fondamentali dell'azione politica e diplomatica che, nei confronti dell'Etiopia, avrebbero dovuto svolgere, al giungere nelle rispettive loro sedi, sia S. E. Astuto, sia il Marchese Paternò.

Era allora stato riconosciuto doversi porre alla base della nostra azione politica verso l'Impero del Negus, l'interesse nostro fondamentale ad evitare, Q per lo meno a ritardare quanto più possibile, un eccessivo consolidamento del potere centrale soprattutto nei confronti delle provincie più lontane dallo Scioa e più prossime ai confini delle nostre Colonie; ed al tempo stesso erasi riconosciuta la necessità di intensificare ovunque neWimpero, ma più specialmente nelle zone per noi suscettibili di maggiore interesse, iniziative nostre di carattere economico, e ciò allo scopo sia di creare e sviluppare interessi italiani da far valere in ogni eventualità futura, 1sia di controbilanciare i molti interessi, e quindi la cospicua influenza, che altre Potenze, e specialmente la Francia, già sono venute a crearsi colà.

Per realizzare tale programma fondamentale, tenendo altresì nel dovuto conto tutte le varie, molteplici esigenze della nostra politica sia generale che coloniale in quell'importante •scacchiere est-africano, tanto questo R. Ministero quanto codesto si erano trovati d'accordo nell'opportunità di svolgere in Ab~s·sinia una doppia azione politica intesa da un lato a promuovere nelle zone periferiche dell'Impero lo stabilimento di proficui rapporrti di amicizia e di commercio eoi capi locali soprattutto dando a questi ultimi, insofferenti per tradizione all'autorità del Governo scioano, la sensazione che la nostra azione

« -V. S. è autorizzata a discutere con i competenti organi della Marina Germanica i diversi problemi del disarmo esaminandone gli asoetti tecnici. ma astenendosi dal consi.. derarli sotto il punto di vista politico. Un'attitudine di tal genere è, del resto, pienament"giustificata da parte del rappresentante di un Ministero militare. V. -S. vorrà tenere informato il R. Ambasciatore sullo svolgimento di queste trattative.

Il R. Ambasciatore ha avuto istruzioni di mantenersi ad esse ufficialmente estraneo. allo stesso modo con cui il Governo tedesco si è fino ad ora astenuto dall'intervenire direttamente, pur lasciando evidentemente volentieri che le Autorità militari prendessero inizia • tiva di questi contatti • (USM).

12) L'esemplare conservato nell'Archivio Grandi reca l'annotazione di Grandi: • spedito O!!gi 12 luglio •.

politica in Etiopia non ha di mira esclusivamente il consolidamento del potere centrale a tutto danno dei capi delle provincie -ciò che il nostro atteggiamento dal '28 al '30 aveva potuto loro lasciar credere -e diretta dall'altro lato contemporaneamente, al mantenimento di rapporti di cordiale amicizia coll'Imperatore sia per inspirargli la fiducia necessaria onde ottene1'ne l'appoggio allo stabilimento e allo sviluppo di talune nostre iniziative di carattere economico, sia per crearci la possibilità di neutralizzare, nell'animo suo sospettoso, le diffidenze che la nostra azione periferica avesse eventualmente potuto suscitare. L'azione da svoJgersi a tal fine presso H Governo Centrale Etiopico era naturalmente di particolare .competenza della R. Legazione in Addis Abeba; mentre lo svolgimento dell'azione di carattere periferico rientrava nei compiti del Governo della Colonia Eritrea.

Sono ben conosciute da codesto R. Ministero le difficoltà che ha dovuto sormontare la R. Legazione in Addis Abeba, per poter dar principio, in mezzo ai sospetti ed agli intoppi che ne intralciavano continuamente l'azione, al raggiungimento delJo scopo che 1si voleva raggiungere. Pur tuttavia, liberata la Legazione e gli ambienti ad essa p!'ossimi da elementi riconosciuti dannosi, il R. Ministro sembra riuscito ad ottenere l'auspicata chiarificazione dei rapporti col Governo locale ed è a ritenersi che i sospetti e :Ie diffidenze che si erano accumulate artificiosamente nei nostri confronti, :siano per ora caduti. Questo R. Ministero non ha mancato in ogni occasione di sostenere come era in suo potere, l'azione del Marchese Paternò, ed allo scopo di consolidare vieppiù il miglioramento verificatosi nei rapporti itala-etiopici si è dichiarato persino disposto ad autorizzare il R. Ministro in Addis Abeba ad accordarsi direttamente col Governo dell'Eritrea per realizzare nel modo e nell'epoca a ciò ritenuta più opportuna, il progetto di una visita all'Imperatore da parte di S.. E. Astuto, quantunque esso persista a ritenere che una tale vis•ita potrebbe dare l'impressione di una nostra esagerata premura verso il Governo Centrale.

Come è ovvio tuttavia, l'azione che la R. Legazione ha sino ad ora svolto e ancora verrà svolgendo presso quest'ultimo deve, secondo le già accennate intese, intercorse fra questo e codesto lV!inistero, venire opportunamente integrata dall'azione periferica da svolgersi dall'Asmara: ove ciò non dovesse verificarsi, ove cioè la politica di amicizia che la R. Legazione svolge verso l'Imperatore ed il Governo Centrale Etiopico non venisse controbilanciata da una contemporanea politica periferica verso i Capi .locali, specie nelle provincie settentrionali dell'Impero, noi rischieremmo di devolvere a tutto ed esclusivo vantaggio dell'Imperatore i .risultati di quest'azione poJitica ad Addis Abeba, la quale, se ha le sue determtnanti anche in ragioni di politica generale a V. E. ben note, perderebbe la rea,le sua .ragione di essere ove non dovesse essere considerata come in funzione ammortizzatrice della antitetica azione periferica da attua~si sui margini deH'Impero dalle nostre Autorità coloniali e specialmente

da quelle dell'Eritrea.

Per questa ragione, ed anche ed eventualmente allo .scopo di avvisare d'accordo con codesto R. Ministero allo studio dei mezzi più opportuni ed adatti ::1 proseguire lo svolgimento del programma d'azione politica concordato per l'Etio

pia, questo R. Ministero desidererebbe ora conos,cere quale attuazione abbia a detto programma già dato, per la parte di sua competenza il Governo dell'Eritrea e quali siano i propositi di S. E. Astuto ppr lo svolgimento ulteriore del programma ',steBso.

(l) In seguito a questo telespr., col quale Sirianni concordava, il ministero della Marina impartì al comandante Trebiliani le seguenti direttive:

(3) Cfr. serie VII, vol. IX, n. 117.

403

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO DELLA GUERRA, GAZZERA

L. 225133/518. Roma, 15 Zuglio 1931 (1).

Ti ringrazio per la lettera del 13 giugno u.s. (2) nella quale ti riferisci al nostro ,colloquio sulla situazione in Albania con particolare riguardo a quanto ebbe ad esp:>rti il Generale Pariani neHa sua ultima visita a Roma.

Tengo, sulla base dei nuovi chiarimenti ricevuti, a precisarti n mio pensiero.

Avevo occasione di rilevare come gli apprezzamenti del Generale Pariani non sempre tenessero conto di tutti gli aspetti della /Situazione e come tali non sempre ,collimassero con le vedute di questo Ministero. Una tale disparità di opinioni e di atteggiamenti non può non indebolire ta,lvolta la nostra azione politica, nei ,casi sopratutto in cui occorra ottenere dagli organi responsabili albanesi una pronta adesione a una predsa linea politica.

L'alta posizione che occupa il Generale Pariani e la larga fiducia di cui giustamente gode rendono la sua opera persuasiva :particolarmente efficace. Cosicché nessuno meglio di lui può ,fiancheggiare l'opera del R. Ministro, nei contatti col Re e con le persone ,che circondano il Sovrano, chiarendo gli scopi della nostra politica ed agevolando se del caso l'intesa.

Ti 1sarò pertanto assai grato, ,caro Gazzera, se vorrai, ,con l'autorità della tua parola, :far presente al Generale Pariani in quale conto il Governo tenga una collaborazione si:ffatta e precisargli alcuni criteri di massima ai quali informare l'opera sua di contatti e di chiarimenti.

Ti ho accennato nel corso del nostro colloquio ad un prossimo obbiettivo che ci si presenta e cioè la rinnovazione del Patto di Arnkizia che scade il novembre 1931. Torno ora più dettagliatamente ad esporti gli aspetti politici della cosa.

S. E. il Capo del Governo, dopo maturo esame della qu~stione, ha deciso che il Patto debba essere rinnovato. Non so se in addietro qualche perplessità nella convenienza o meno di rinnovare tale accordo si sia fatta strada nell'animo del Generale Pariani. Vero è che, in questi ultimi tempi, non sono mancate anche da parte di Pariani pressioni sul Re per tale rinnovazione. Comunque non riterrei inopportuno, affinché le sue vedute siano ,chiaramente intonate alle direttive del Governo, ,che egli ven~sse messo al co11rente del 'complesso di ragioni che ci inducono ad insistere per ottenere la ,rinnovazione del Patto di Amicizia.

Premetto una considerazione d'indole generale. Quando si tratta di stabilire le linee della nostra attività in Albania, non è possibile guardare soltanto alle esigenze e agli aspetti della situazione interna di quel Paese, ma altresì, e sopratutto, ai riflessi ,che ~se ne avranno all'estero. La politlica albanese s'inquadra nel comples,so della politica internazionale dalla quale non può presdndere, ed è certo che, se ha il suo valore un'idea cara al Genera,le Pariani che alcuni impegni morali :ono più sicuri ed efficaci di quelli che risultano da precisi accordi firmati, le esigenze d'ordine internazionale non possono farci trascurare l'importanza di precostituirci dei titoli che ci permettano, ad ogni evenienza, di far valere le nostre posizioni e i nostri legittimi interessi di fronte ai terzi.

l) Sono in primo luogo queste esigenze di carattere internazionale che inducono aila rinnovazione del Patto di Amicizia. Il valore di tale accordo non si limita all'importanza dei rapporti che stabilisce tra le parti eontraenti: esso si inserisce in un accordo internazionale precedente che integra e al quale attribuisce, in tal modo, nuova e maggiol'e efficacia. Il patto di amicizia del 1926 è, in altri termini, la contropartita della dichiarazione degli Ambasc,iatori del 1921. Al riconoscimento, da parte deHe principali Potenze alleate, del nostro interesse primordiale all'intangibilità dell'Albania e del no1stro diritto di intervento, in caso di minaccia all'integrità e all'indipendenza albanesi, 'Corrisponde l'accettazione di questi principi da parte dello stesso Paese direttamente interessato, l'Albania. In tal modo il sistema è perfetto e ci assicura, in ogni eventualità di dibattiti internazionali, una base giuridica e morale particolarmente solida per tutelare la nostra libertà d'azione. Ché anzi, con l'accordo diretto, la nostra iniziativa può attuarsi senza indugio, indipendentemente e in attesa dell'azione diplomatica prevista dalla dichiarazione del '21 e che, per la lentezza delle procedure internazionali, è necessariamente più tarda e di più lento sviluppo.

2) La rinnovazione del Patto dsponde nello stesso tempo a un fondamentale interesse dell'Albania e personalmente del suo Sovrano. H Patto ha ~collisolidato l'ordine e garantito la tranquillità del Paese, ha rafforzato e stabilizzato la situazione del Re, stroncando da:l nascere ogni tentativo di manovra interna ed esterna. La funzione del Patto è tutt'altro ~che esaurita. A torto 1si è obbiettato che la tranquillità del periodo trascorso mostra che ~la garanzia del Patto è diventata superflua; giacché, se l'ordine ha regnato nel Paese, è questo precisamente l'effetto del Patto e una prova della sua necessità. Né è difficile presumere che in assenza del Patto i tentativi di sovvertimento e le minacce di bande alle frontiere, ~che pur non sono mancati in quest'ultimo quinquennio, avrebbero avuto sviluppi e conseguenze di ben maggiore momento.

3) All'interesse italiano e a quello albanese !si sovrappone quello, ancor più vasto, del mantenimento della pace. In ciò riemerge il carattere e ila portata inteTnazionale del Patto. Questo è uno strumento e una garanzia di pace. La sua funzione è essenzialmente preventiva e in ciò diffedsce dal Trattato di Alleanza. L'uno è destinato a spiegare la sua efficacia in tempo di pace, l'altro dal momento in cui la pace venisse violata. Per impedire che entri in giuoco

il Trattato di Alleanza occorre dar valore alle garanzie preventive di sicurezza, contenute nel Patto. I due accordi si integrano. Il Trattato di Alleanza, ISenza il Patto, diverrebbe uno strumento pericoloso, potendo esporci al rischio di guerre, quando ad altri piacesse provocarci, senza darci i mezzi adeguati di paralizzare le manovre ai nostri danni. Epperò l'uno strumento non va disgiunto dall'altro.

4) È tutto un sistema costruito sapientemente, pezzo a pezzo, che non può essere toccato impunemente. Nulla più giova al consolidamento della .pace che la chiarezza dei reciproci ·rapporti, la precisione dei rispettivi diritti ed obblighi. Tutto il divitto internazionale si è venuto svolgendo su tale base e con tali finalità. Ora la caratteristica del sistema costituito dalla dichiarazione del '21 e dal .suo ne..:essario complemento, il Patto di Amicizia del '26, è precisamente la chiarezza. Es1so ha l'adesione di quasi tutte le principali forze politiche europee in quanto firmatarie della dichiarazione degli Ambasciatori. Cosicché il sistema predetto è un elemento essenziale dell'equilibrio politico europeo. Il giorno che venisse vulnerato con H mancato rinnovo del Patto di Amicizia, si rischierebbe di ricadere nell'equivoco, di dare un incoraggiamento alle forze ·che tendono a modificare lo S•tato di cose attuale e di disfare infine quello che con tanta fatica ed accorgimento è stato costruito finora.

5) Questa è la base intangibile, la condizione preliminare della nostra politica in Albania. La quale politica non si arresta al Patto e al Trattato di Alleanza, ma è in continuo sviluppo secondo un preciso programma e una chiara visione delle mete ultime verso cui puntare. Tali mete sono state nettamente indicate da S. E. il Capo del Governo con l'impostazione da Lui data alla nostra politica albanese. Esse sono dettate, come tutti gli obbiettivi in politica estera, da una precisa comprensione della realtà. Abbandonata a se stessa l'Albania, per l'esiguità del territorio, la scarsezza degli abitanti, la mancanza di quadri tecnici e di risorse finanziarie, è nell'impossibilità di mantenersi. Essa ha bisogno di appoggiarsi a una grande Nazione. Ma l'Italia non può ammettere che altri stenda la sua influenza sulla sponda opposta senza vedersi .sensibilmente minacciata essa stessa. Gli interessi italiani in Albania sono così vitali e perenni che non possono d'altro canto dipendere dalla sorte di accordi politici, più o meno transeunti, o tanto meno di posizioni personali; ma devono trovare la loro stabile salvaguardia in una situazione di cose che leghi indissolubilmente 1'Albania all'Italia.

Un passo decisivo nello sviluppo di tale politica è segnato dai recenti accordi finanziari. Mercé le disponibilità ch'es::i apportano al bilancio albanese e grazie alla collaborazione dei nostri tecni·ci sarà possibile svolgere un piano razionale di sfruttamento economico destinato a dare incremento alla produzione albanese ed assicurarle un largo e sicuro sbocco sul nostro mercato. Altre provvidenze sono in corso per la penetrazione nostra, culturale e linguistica, sull'altra sponda, per la diffusione di nostri istituti e di nostre idee, per la creazione infine di una coscienza che si evolva al ritmo della nostra.

Si tratta, in altri termini, di costituire vincoli tali da porre la collaborazione fra i due Paesi al sicuro e al di sopra della mutevole volontà degli uomini:

creando una di quelle interdipendenze che non è possibile sciogliere senza tagliare nel vivo degli interessi di ambedue i popoli. Dinanzi a tali mete prec1se della nostra perietrazione in Albania, cadono le discriminazioni teoriche se a noi convenga seguire una politica di predominio

o una politica di alleanza. Di fatto, negli accorgimenti e nelle forme in cui_ si concreta la nostra azione entrano dosaggi variamente mutevoli dell'una e dell'altra politica. Non vi sono canoni fissi, ma tatto e discernimento politico. Epperò tutte le iniziative italiane in Albania ed in particolare l'opera dei nostri organizzatori e dei nostri tecnici devono inquadrarsi nelle direttive politiche (l) del Governo che ha la visione dell'insieme e H senso delle po1s1sibilità e del limite.

Ho creduto mio dovere di precisarti quanto sopra per tua personale conoscenza e perché ritengo necessario che il Ministro della Guerra abbia tutti gli elementi nec.essari per giudicare, nella sua competenza, la situazione, indirizzando l'azione del tuo Ministero su una linea perfettamente orientata colle direttive generali di Governo (2).

(l) -La prima minuta, conservata nell'Archivio Grandi, è datata 13 luglio. (2) -Cfr. n. 332.
404

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, PATERNO', AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. 2260/300. Addis Abeba> 16 luglio 1931> ore 18 (per. ore 2,30 del 17).

Prego V. E. volersi ·compiacere di comunicare per radio seguente telegramma a S. E. Astuto non fidandomi farlo direttamente a causa della cifrazione:

• -Dal telegramma di V. E. 1487 rilevo che permangono nel Ministero delle Colonie dubbi condivisi dal Ministero Affari Esteri circa pericoli che visita di V. -E. possa risolve11::i in danno di quella politica periferica che si è stabilito attuare.

Circa politica periferica debbo far presente che dal Giugno 1930 ad oggi situazione deve ·considerarsi come sensibilmente mutata, grazie aHa ascesa al trono nuovo Imperatore e sua politica interna. Ciò deve farci considerare che elementi sui quali si riteneva nel giugno u.s. di poter contare sono oggi tali da rendere progettata azione periferica alssai più difficile di quel che appariva a principio scorsa estate e ben più diversa. Trattasi domandarsi se con l'affermarsi politica Imperatore, dovrà piuttosto dirigersi verso popolazione e non più verso capi che ·poco alla volta si stanno sostituendo con diretti fiduciari del Sovrano.

È quindi essenziale che per realizzare una certa libertà dì movimento si arrivi a stabilire tra l'Imperatore e i suoi fiduciari da un lato e V. E. dall'altro quella stessa fiduciosa 'Corrente che esiste oggi fra noi e atteggiamento Imperatore e Suo Governo. A ciò si può arrivare solo con un contatto personale.

Il presente telegramma continua col numero successivo (1).

(l) -L'aggettivo • politiche • è stato messo da Grandi in sostituzione delle parole c del Rappresentante diplomatico che rispecchia l'indirizzo •. (2) -Questo ultimo capoverso è stato aggiunto da Grandi in sostituzione del passo seguente: « Tanto maggiore è la necessità di questa collaborazione concorde quanto alte e delicate sono le mansioni da svolgere, quali sono quelle affidate ai nostri organizzatorimilitari. È su di essi che il Governo fa particolare assegnamento come su una delle più sicure garanzie del buon successo della sua politica •.
405

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, CHIARAMONTE BORDONARO

[L.] 225273/484. Roma, 16 Zuglio 1931.

Ho ricevuto il telespresso N. 2917/1469 del 3 luglio corrente (2), ed ho constatato con rincrescimento come nemmeno questa volta il signor Henderson si sia reso conto del nostro punto di vista e sopratutto della nostra necessità di offrire una sia pur magra sodd~sfazione all'opinione pubblica italiana nel momento in cui il Governo britannico si accinge a dare alla politica dei mandati un nuovo orientamento che potrebbe sotto certi a,spetti essere ancora più svantaggioso per noi che non il sistema stabilito dai trattati di pace.

Sono sicuro ~che V. E. avrà sviluppati a Henderson tutti gli argomenti di carattere generale esposti nel mio telespresso N. 222705/417 del 25 giugno scorso (3.\, e che 1il tono della lettera che V. E. si propone di indirizzargli sarà appunto tale da non entrare in discussioni tecniche e di dettaglio, per ora superflue, ma da mantenere la nostra amichevole richiesta al Governo britannico in una sfera superiore di politica generale inspirata alla ~cordiale ~collaborazione itala-inglese.

Non posso però nasconderle che avrei preferito veder svolgeve la trattativa in una foll:'ma verbale e personale ·che meglio si addiceva alla delicatezza della questione. Né ~comprendo lo scopo che potrebbe avere un • formale prome

• Pur rendendomi conto che estrema delicatezza situazione possa contenere una percentuale di incerti che dovremmo tener presente e che ci porterebbe a dosare l'accoglienzafavorevole in modo tale da evitare se possibile anche tale percentuale di incerti, io ritengoche senza affrontare con fermezza situazione finiremmo per inaridirci in una azione che renderebbe vano lo sforzo per eliminare quel processo infiammatorio di cui R. Governo si è giustamente preoccupato».

Con rapporto 220/88 del 20 luglio Paternò commentava aspramente due articoli anonimi, ma scritti da Franchetti, apparsi sul Popolo d'Italia del 6 e del 9 giugno. Paternò condannava • i due articoli la cui ripercussione qui ad altro non servirà se non a ridestare sospetti contro cui ho speso e spendo non poca fatica. Sospetti dovuti unicamente a persone che come l'anonimo articolista han voluto ingerirsi nelle faccende etiopiche con il risultato di portarci al processo infiammatorio cui per fortuna V. E. e con V. E. i 'deprecati Uffici' del nostro Ministero, hanno tempestivamente posto riparo. Voler far credere il contrario alla nostra opinione pubblica, rivela motivi determinati da ambizioni riprovevoli per se stesse, ma soprattutto tali ove si considerino le ripercussioni interne ed esterne cui tale comportamento non mancherà di dar luogo...

Il problema !taio-Abissino, non può essere discusso sulle colonne di un giornale.

Contrariamente alla eresia scritta dall'articolista che tale questione non va considerata in legame 'troppo stretto' con la situazione internazionale, il problema Itala-Etiopico può esser oggi trattato solo con i criteri di chiarificazione adottati da V. E.. mentre la sua soluzione definitiva potrà esser tentata in futuro, proprio nel quadro di quella situazione internazionale di cui l'anonimo scrittore crede con le sue vacue parole poter fare a meno ».

moria » nostro a Ginevra dal momento che, ove fallissero le attuali conversazioni col signor Henderson, noi non potremmo che seguire a Ginevra la nostra strada, cioè quella di opporci tanto in sede di Commissione di mandati quanto in !Sede di Consliglio alla tesi inglese così per quanto riguarda la ces.s.azione dei mandati in generale che per dò che concerne più precisamente la cessazione del mandato sull'Irak.

Bisogna disgraziatamente riconoscere che ora la questione da noi impostata è andata a finire sui tavoli degli Uffici del Foreign Office e proprio su quello del signor Cadogan, il quale naturalmente la tratterà da un punto di vista esclusivamente particolaristico ed influirà in questo ,senso sul signor Henderson.

Ciò avrebbe forse non potuto accadere specialmente in un momento in cui l'Italia ha fatto prova di tutta la sua buona volontà di fronte ai gravi problemi che incombono nella politica europea, affrontandoli con spirito di sacrificio e con sincero desiderio di -coMaborare col Governo britannico all'opera di pacificazione generaJe. Quest'ultimo non può ignorare però quaH siano le condizioni economiche del nostro Paese e come esse meritino per lo meno altrettanta considerazione che quelle degli altri, non può non !sapere come la nostra opinione pubblica si attenda sempre che venga dato per lo meno un p•rincipio di soluzione ai grandi problemi italiani (espansione demografica, mancanza di materie prime etc.) e quindi deve riconoscere che, in tali circostanze, l'atteggiamento conciliante e generoso mostrato dal Governo italiano è ancora più degno di apprezzamento. Un gesto amichevole del Governo britannico sia pure in una questione come quella di cui si tratta, faciliterebbe il non facile compito del Governo italiano.

Se il signor Hender,son non ritiene opportuno di esaminare con ls:pirito di comprensione questo problema, egli dovrà rendersi conto deUa necessità in cui verremo a trovarci di salvaguardare i nostri interessi neUa futura discussione ginevrina anche se dovessimo trovarci in opposizione con le tesi britanniche (1).

• -In seguito alle istruzioni impartitegli con la lettera di V. E. del 16 luglio u.s. il R. -Ambasciatore a Londra ha rinnovato le pratiche col signor Henderson per cercare di

persuaderlo della necessità in cui si trova il R. Governo di offrire una pur magra sod

disfazione all'opinione pubblica italiana nel momento in cui il Governo britannico sta perdare alla politica dei Mandati un nuovo orientamento, che per certi aspetti risulterà pernoi più svantaggioso del sistema stabilito dai trattati di pace.

Il R. Ambasciatore a Londra con rapporto 28 luglio riferisce di avere intrattenuto personalmente e per iscritto il signor Henderson sulla questione. La risposta del signor Henderson è stata del -tutto negativa...

Con la sua risposta il sig. Henderson non tiene in alcun conto il desiderio fattogli presente, che le nostre richieste fossero considerate in una sfera superiore di politica generale ispirata alla cordiale collaborazione itala-inglese, e rimette completamente la questione nello stretto ambito della tecnica e della procedura societaria...

La Direzione Generale Europa Levante (IV} pensa che non sarebbe fuor di luogo un intervento personale di V. E. presso il sig. Henderson a Ginevra, prima che il rapportodella Commissione Permanente dei Mandati venga in discussione in Consiglio.

Si tratta di illustrare al sig. Henderson la speciale situazione in cui si trova l'Italia, potenza vittoriosa nella guerra mondiale, per il fatto di essere stata, in un primo tempo,esclusa ingiustamente dall'attribuzione di mandati coloniali, e di vedere ora profilarsi la fine del regime di mandati, in modo tale che la cessazione del Mandato viene sostanzialmente in vantaggio esclusivo dello Stato Mandatario; non solo, ma quei particolari se purminimi vantaggi, quale quello dell'uguaglianza economica, che l'Italia in regime mandatario godeva nei territori sottoposti a Mandato, verrebbero probabilmente, secondo le proposte della Commissione Permanente dei Mandati, in pratica a scomparire del tutto. La liquidazione del sistema dei Mandati, quale si profila, non potrebbe essere più disastrosa per l'Italia. Il torto evidente fatto all'Italia con l'escluderla dall'attribuzione di mandati coloniali dovrebbe essere in questa occasione per lo meno parzialmente corretto. Lo chiedono un principio equilibrativo di giustizia internazionale, la posizione ed il peso dell'Italia

(l) Di questo tel. si pubblica solo il passo seguente:

(2) -Cfr. n. 377. (3) -Cfr. n. 359.

(l) Cfr. una relazione di Guariglia a Grandi del 25 agosto, della quale si pubblicanopassi seguenti :

406

L'AMBASCIATORE A PARIGI, MANZONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. s. 22311315. Parigi, 17 luglio 1931, ore 19,30 (per. ore 22).

Lettera di V. E. 2722 (1). Ho comunicato stamane verbalmente Presidente Consiglio Ministri Lavai informandone Ministro Briand risposta Capo del Governo. Presidente ha [ ... ] gradito comunicazione, ne ha rilevato piena corrispondenza con proprie idee, ha confermato sue già note disposizioni verso Italia

nel mondo, le necessità di un popolo in continuo aumento ed in pieno sviluppo. Se ci rivolgiamo oggi all'Inghilterra, è perché quanto sarà deciso per l'Irak si applicherà quanto prima agli altri stati sotto mandato, (e già vi sono esplicite dichiarazioni di uomini responsabili francesi circa la prossima cessa:>:ione del regime di mandato in Siria). L'Italia si vede costretta ad insistere perché sia offerto all'opinione pubblica italiana qualche compenso che valga a rendere meno grave la liquidazione del sistema di mandati stabilito dai trattati di pace. Se noi ci rendiamo conto delle esigenze imperiali britanniche, desideriamo che il Governo Britannico si renda anche conto delle nostre esigenze che saranno del resto mantenute in limiti del tutto ragionevoli.

Nell'eventualità che l'intervento personale di V. E. presso il sig. Henderson non abbia ad aver luogo ovvero non abbia a raggiungere il risultato sperato, irrigidendosi il Governo britannico nella linea di condotta adottata, occorre preordinare la nostra azione in Consiglio, quando verrà in discussione il rapporto della Commissione dei Mandati...

La Commissione afferma, in principio, che la questione di sapere se un popolo è atto a governarsi da sé non può essere risolta che con una attenta e prolungata osservazione dell'evoluzione politica, sociale ed economica del popolo stesso; ma aggiunge subito dopo che, in ogni caso l'esistenza delle particolari condizioni sopra specificate è sufficiente a provare tale attitudine. Quest'ultima affermazione della Commissione si presta a critica evidente: perché un popolo possa governarsi da sé non è affatto sufficiente che esista l'impalcatura di un Governo e di una Amministrazione costituita; non basta la constatazione dell'esistenza di corpi armati per la difesa del territorio e per il mantenimento dell'ordine pubblico, né la disponibilità di risorse finanziarie ecc. Tutto questo non è che la struttura esterna di uno Stato, non è che la parte materiale di un organismo politico. Perché tale organismo possa funzionare è inoltre assolutamente essenziale che il progresso dello spirito pubblico e dello stato sociale del popolo sia tale da garantire il regolare funzionamento del meccanismo stesso e la pratica delle libertà politiche, come afferma in altro punto lo stesso rapporto della Commissione dei Mandati.

Sostenere tale tesi giova a noi in quanto può portare ad un esame a fondo dello stato sociale e dell'evoluzione pubblica del popolo da emanciparsi, giungendo quindi a

quella indagine diretta che ci darà, con l'invio sui luoghi di una commissione societaria,

incaricata di un esame complesso e quindi prolungato, tempo e maniera di agire sulla Potenza Mandataria (oggi la Gran Bretagna, domani la Francia), per raggiungere una miglior tutela dei nostri interessi...

...È indubbio che [la Potenza Mandataria] mantiene col nuovo Stato rapporti tali, di alleanza, finanziari, e di altro genere d'aver mezzo di esercitare sullo Stato a lei legato una potente pressione anche dal punto di vista economico, sicché permane il pericolo che le siano assicurati vantaggi speciali in confronto agli Stati membri della Lega; dall'altro bisogna ricordare che il principio dell'uguaglianza economica è stato posto nelle carte dei Mandati anche quale elemento di pacificazione internazionale in quanto esso dà adito alla libera competizione in territori dalle risorse economiche ancora poco sfruttate. In sostanza il principio dell'uguaglianza economica, commerciale ed industriale ecc. è un regime che evita pericolose competizioni e che contribuisce utilmente al mantenimento della pacegenerale, e sarebbe quindi giovevole il mantenerlo anche al termine del regime del Mandato...

Si noti che gli Stati Uniti d'America hanno già avuto cura, a mezzo di un trattato tripartito anglo-americano-irakiano che è già in vigore, di assicurarsi nell'Irak, dopo cessato il regime di mandato, la clausola della Nazione più favorita. È evidente che l'Italia come gli altri Stati membri della Lega non potrebbero accettare la cessazione del regime di mandato se non dopo essersi assicurata ugualmente tale clausola; cosi faranno gli altri Stati membri della Lega, e generalizzandosi l'applicazione della clausola della Nazione più favorita verrebbe in sostanza ad applicarsi praticamente il principio dell'uguaglianza economica nel nuovo Stato, principio che oggi si vorrebbe escludere dalla garanzia da chiedersi al nuovo Stato.

Sembra quindi che la nostra azione debba tendere a che il principio dell'uguaglianza

economica venga compreso fra le garanzie che il nuovo Stato deve fornire alla cessazione

del mandato...

È nostro interesse che sl vada relativamente adagio nell'esame della questione della maturità dell'lrak. Non si vede d'altronde come la Commissione possa dire di essere già in grado di formulare le sue vedute per l'Irak quando non si conoscono ancora quali saranno le decisioni del Consiglio circa le condizioni generali che uno Stato sotto mandato deve adempiere perché possa esser posto fine al regime di mandato •.

e verso la persona del Capo del Governo. Ha detto avere già provveduto per occuparsi personalmente delle relazioni itala-francesi subito dopo terminata attuale L .•. ] questioni gtrmaniche. Ha confermato essere disposto per tale scopo incontrarsi poi con Capo del Governo dicendosi pronto recarsi Italia.

(l) Cfr. n. 399.

407

IL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI, AL MINISTRO A BUCAREST, PREZIOSI (l)

Roma, 18 luglio l 931 (2).

Il Ministro di Romania presso la Santa Ssde signor Comnen è stato ricevuto dal Papa in visita di congedo. Il signor Comnen fa sapere (3) che i] Papa lo ha trattenuto ben settanta minuti in colloquio e che .gli ha dato una spiegazione " sensazionale » delle divergenze attuali fra Governo italiano e Papa. Varrebbe la pena, se possibile, di far cantare il Comnen -anche per via indiretta quando arriverà a Bucarest. Per mio conto, ritengo che il. predetto signore esageri, tuttavia, un sondaggio non è mai superfluo.

408

IL MINISTRO A BUDAPEST, ARLOTTA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. PER CORRIERE S. 2267/5208/632. Budapest, 18 luglio 1931 (per. il 20).

Ho dato verbalmente conoscenza confidenziale al Conte Bethlen delle pratiche in corso per rinnovazione patto amicizia itala-romeno quali risultano dall'insieme del dispaccio della E. V. n. 2677 segreto in data 8 corrente, e del susseguente telegramma per corriere n. 758 del 13 luglio (giunto contemporaneamente) (4).

Ho così avuto opportunità di presentare la cosa in modo da far risultare che l'E. V. ha accolto favorevolmente la proposta del Principe Ghika di prorogare la imminente ~scadenza del termine utile per la rinnovazione, anche in considerazione del fatto che ciò le aveva fornito maggior tempo materiale per quello ls,cambio confidenziale di idee col Capo del Governo ungherese, cui come di consueto il Governo Fascista tiene in modo particolare.

Il Conte Bethlen ha molto apprezzato la cortese amichevole comunicazione, e mentre si rende pienamente conto delle ragioni che la inducono a prevedere in massima l'opportunità della rinnovazione, mi prega di trasmettere all'E. V. i

suoi vivi ringraziamenti dichiarandosi perfettamente d'accordo sull'avvenuta proroga semestrale del termine utile.

Mi riservo in un prossimo colloquio di ritornare con maggior precisiOne col Conte Bethlen 1su quanto è accennato all'ultimo capoverso del citato dispaccio dell'E. V. n. 2677 segreto.

Segue rapporto (1).

(l) -La lettera è autografa. (2) -n documento fu trasmesso a Preziosi da Ghigi il 20 luglio. (3) -1 tell. di Comnen a Bucarest erano inter<!ettati del Governo italiano. Lo stesso dicasi per i tell. spediti dai nunzi alla Santa Sede. (4) -Cfr. nn. 383, 390.
409

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO FRANCESE, LAVAL, A LONDRA

Londra, 20 Luglio 1931.

Je tiens beaucoup à exprimer à V. E. toute ma reconnaissance pour l'accueil si amicai qui m'a été réservé, de votre part et de la part de votre Gouvernement pendant mon séjour à Paris, qui a été -hélas! -trop bref. Je me félicite vivement que ,ce séjour et le voyage que nous avons fait ensemble à Londres m'ait donné l'heureuse occasion de faire votre connaissance personnelle et d'avoir avec vous des conversations si franches et amicales, teHes que pourraient en avoir des amis qui 1se connaissent depuis longtemps (2).

410

IL CAPO GABINETTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GHIGI, ALL'AMBASCIATORE A VARSAVIA, VANNUTELLI

T. 791!61. Roma, 22 Luglio 1931, ore 15.

Comunico seguente telegramma di S. E. il Capo del Governo: « Constato che atteggiamento stampa polacca su questione italo-vaticana non è il più indicato a rafforzare i rapporti di amicizia fra i due paesi. Mussolini •.

411

L'INCARICATO DEGLI AFFARI D'ALBANIA, LOIACONO, AL MINISTRO A TIRANA, SORAGNA

L. P. CONF. 226156/366. Roma, 22 Luglio 1931.

Allo scopo di compiere una qualche rettifica ad alcuni atteggiamenti che, originando da rapporti del Generale Pariani al Ministero della Guerra, potevano diffondersi in quel Dicastero, S. E. il Ministro ha creduto di dover dkigere al Ministro Gazzera la lettera (3), qui acclusa in copia, in cui si mette in precisa

luce non solo il pens.iero di questo Ministero sulle direttive politiche nostre in Albania, dettate del resto da S. E. il Capo del Governo, ma anche quella che deve essere la più giusta linea di condotta del Generale Pariani nell'interpretarle ed osservarle e nell'operare da fiancheggiatore dell'opera principale che è affidata al R. Ministro.

Poiché il Generale Pariani potrà ricevere tali delucidazioni attraverso comunicazioni del Ministro della Guerra, ho tenuto ad informartene, anche perché tu conosca il movente della 'cosa e 1sappia riconoscere .in essa il significato di una rettifica, impedendo che si possa invece attribuire aHe eventuali comunicazioni del Dicastero militare il carattere di una iniziativa in campo politico non confacente né all'organo da cui proverrebbero né tanto meno a quello a cui sarebbero dirette (1).

(l) -L'ultimo capoverso è stato siglato al Ministero con un punto interrogativo. (2) -Grandi inviò anche a Briand una lettera di analogo tenore, ma meno calorosa. (3) -Cfr. n. 403.
412

L'AMBASCIATORE A VARSAVIA, VANNUTELLI, AL CAPO GABINETTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRIGI

T. 2307/87. Varsavia, 24 luglio 1931, ore 1,35 (per. ore 7,45).

Suo telegramma N. 61 (2).

Per opportuna informazione di S. E. il Capo del Governo mi fo premura riassumere attività che ho svolta da 15 giorni (ossia subito dopo assegnazione mio arrivo a Varsavia, il qua1le ha coinciso ,con la ,ripresa della campagna Vaticana di questa stampa in seguito all'Enciclica Papale) e ~che mi propongo di continuare a svolgere nei ~confronti dei vari gruppi dell'opinione pubblica polacca.

A) Giornali ufficiosi. -Nessuno di questi ha mai fatto comunicazioni né commenti sfavorevoli al Regime. Conto anzi fare pubblicare sul maggiore di essi, sotto forma di corrispondenza da Roma, un articolo ,che con i limitati disponibili mezzi del servizio stampa di questa Ambasciata sto facendo preparare sulla scorta degli editoriali ultimamente ,comparsi nel Popolo d'Italia.

« È una concatenazione di concetti, logica, serrata, che diviene istinto, amore, poesia,

e che finisce per escludere la realtà dei fatti, la quale è vita e quindi non può essere né logica, né amorevole, né poetica. E le conseguenze sono ben chiare: la riconosciuta incompatibilità fra la lineare politica di alleanza pura e quella più tortuosa di penetrazione; quindi l'istintiva azione contro quest'ultima. Il passar,gio dal camr>o militare al campo squisitamente politico, che dovrebbe essere precluso all'organizzatore militare, è già compiuto: l'organizzatore militare vi si è immerso in pieno ed è assurto alla situazione di un funzionario politico, obbediente alle direttive, completamente autonome, di cui ho tracciato la genesi, e che sono altre da quelle che la Legazione, interpretando secondo concetti molto più plastici e più complicati la situazione, e in armonia a più complessi orizzonti politici interni ed esterni, crede di dover seguire; anzi, contraddicendole ed ingenerando negli albanesi -e specie in quel furbissimo osservatore che è Zog -la sensazione di due direttive politiche, e di cui una, quella dell'organizzatore militare, serve a neutralizzare la pressione dell'altra...

Se è vero che la formazione del grande esercito nazionale albanese, fondato sul principio del patriottismo e della popolazione in armi, è un elemento proprio contraddittorio a quella politica di insinuazione, di discreta disgregazione, di sottile depressione morale, che sola prepara ed accompagna la politica di penetrazione e di dominio in un paese congegnato come l'Albania -è, per lo meno, tale riconosciuto inconveniente bilanchto e compensato da un potenziamento formidabile dell'Albania, come alleata sul campo di battaglia?

E qui dovrei cominciare ad elencare la serie dei dubbi>. Verso la metà di agosto Soragna lasciò Tirana, dove fece ritorno nell'ultima decade di ottobre.

B) Giornali d'opposizione non organici. ~ Si sono generalmente mantenuti sereni ed obbiettivi limitandosi a riferire i fatti senza commenti.

C) Giornali cattolici sia di opposizione che favorevoli al Governo. -Come accade della stampa confessionale in ogni Paese, sono numero1sissimi ma di scarso tiraggio, ed il sunto dei loro articoli (che questo rappresentante Stefani non riterrebbe neanche del caso di fare se non glielo avessi espressamente ordinato in :seguito al telegramma circolare 6144 del 5) non deve quindi dare impressione che trattisi di influenze operanti su larga parte di questa opinione pubblica, nessuno fra detti fogli potendo aspirare al titolo di grande quotidiano. Comunque, non ho mancato di esortare questo Ministero degli Esteri ad esercitare sua azione moderatrice sui loro eccessi tendenzi01si inammissibili in un Paese amico del Regime e ne ho avuto l'assicurazione. Faccio presente, a proposito di questa stampa cattolica, che la sorgente della sua generale intonazione contraria al Regime va ricercata nei comunicati dell'Agenzia KAB, il cui corrispondente a Roma è non altro se non il notissimo sturziano Monsignor Pucci.

D) Giornali indipendenti. ~Uno di questi, il Corriere quotidiano illustrato di Cracovia, è anche esso da qualche tempo, per quanto riguarda il conflitto Vaticano, sotto l'influenza sensazionalistica del proprio corrispondente romano Signor Lawina, che ho già suggerito a codesto Ufficio stampa, con mio rapporto

N. 681 del 10 corrente, di diffidare a smetterla. Questo Ministero degli Affari Esteri ha inoltre già date istruzioni all'Ambasciata di Polonia di ammonirlo dal canto suo. Qualora neanche tutto ciò giovasse, ho già disposto perché una persona autorevole intervenga amichevolmente presso Io stesso Direttore del Giornale a Cracovia.

Mi riservo riferire di nuovo fra giorni al telegramma di V. E.

(l) Cfr. il rapporto rr. 1939/834 del lO agosto nel quale Soragna criticava la politica di Pariani nei confronti dell'Albania. Se ne pubblicano alcuni passi.

(2) Cfr. n. 410.

413

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI (ACS, Carte Grandi, fase. 3)

... , 25 luglio 1931.

Riprendo, dettando in treno, nel mio viaggio di ritorno, la lettera cominciata domenica sera a Parigi, che non ho potuto completare per a~s,soluta mancanza di tempo. Riassumo in modo sommario le impressioni di questa settimana.

Mi sono trovato raramente a prendere parte ad una riunione internazionale del genere di questa cominciata a Parigi domenica scorsa 19 e finita a Londra giovedì 23 (1). Ho pregato il collega Mosconi di ragguagliarti sulla parte tecnicofinanziaria che è stata in verità la materia sostanziale, 1se non esclusiva, discussa nelle riunioni di Parigi e di Londra. Questa parte tecnico-finanziaria rappresenta tuttavia il tessuto organico di una situazione politica più vasta. Non può

quindi venire scissa da quest'ultima in modo assoluto. Armamenti dapprima, crisi economica in seguito, oggi problema finanziario della Germania in connessione con quello dell'Europa e in certo senso dell'America, sono stati e sono ogni giorno più la misura e l'aspetto fondamentale della .politica degli Stati (1).

Fin da sabato sera un telegramma dell'Ambasciatore Manzoni raggiuntomi a Basilea, m'informava che Briand, Henderson e Stimson desideravano avere una conve11sazione con me prima della riunione internazionale indetta dal Presidente Lavai per domenica alle ore 10. Arrivato a Parigi mi sono recato a] Quai d'Orsay dove Briand mi ha ricevuto, per dirmi essere fermo desiderio :iel Governo francese di profittare dell'occasione per condurre avanti le conversazioni italo-francesi e preparare un incontro .italo-francese, il solo ormai a mancare nella serie degli incontri fra i Capi di Governo e i Ministri degli Esteri delle grandi Potenze di Europa. Mi ha ripetuto col solito ottimismo superficiale, a lui proprio, la sua fiducia in una rapida conclusione del negoziato navale. Gli ho risposto confermandogli, come al solito, le buone disposizioni da parte nostra senza nas·condere tuttavia un certo scetticismo sull'esito di queste trattative di cui si parla troppo spesso ma che in realtà non cominciano mai.

Henderson mi attendeva all'Ambasciata britannica per mettermi al corrente degli avvenimenti delle giornate di venerdì e sabato. Il Governo francese si era rifiutato di partecipare alla Conferenza di Londra indetta dal Governo britannico, arrendendosi tuttavia alla fine ma dopo av·ere ottenuto la esplicita dichiarazione d'impegno da parte britannica che gli argomenti da trattarsi a Londra sarebbero stati limitati all'esame delle presenti condizioni finanziarie della Germania, con esclusione di qualsiasi altro problema d'ordine generale compresa la 1stessa applicazione della proposta Hoover. Era stata necessaria la minaccia da parte di Henderson e di Stimson di partire senza prender parte alla riunione fissata per la domenica a Pa.rigi per persuadere i francesi ad intervenire aUa Conferenza di Londra. Dopo Henderson ho veduto Stimson. Stimson è stato ricevuto freddamente a Parigi. Nessuno si è curato di lui. Egli mi ha dichiarato di non aver alcuna fiducia 'sulla sincerità dei propositi francesi. Mi ha messo al corrente del progetto che Lavai avrebbe deciso di presentare alla Conferenza di Londra come piano di soccorso finanzia,rio alla Germania. Il piano francese consisteva, in sostanza in un prestito di 500 milioni di dollari da ripartirsi fra ie principali banche d'Europa e d'America, prestito garantito dalle Tesorerie dei singoli Governi alle banche medesime. • Ciò equivale -mi ha dichiarato Stimson -ad un gesto •senza risultato pratico. n Governo francese sa perfettamente che il Governo americano non può garantire prestiti fatti da banche senza una legge speciale votata dal Congresso. Il giuoco francese consiste dunque nel tentativo di far ricadere sull'America, e forse sull'Inghilterra, la responsabilità rlel minacciato ma assai probabile crollo finanziario in Germania e fol1se in altri Paesi di Europa. Questa è in sostanza la risposta che la Francia si prepara a dare all'iniziativa del Presidente Hoover •. Stimson ha finito col

dirmi che si recava a Londra senza alcuna fiducia. Henderson era furioso contro i francesi, sentimento che ho poi dopo constatato essere unanime non solo nell'ambiente laburista ma dappertutto in Inghilterra.

Alla sede del Ministero dell'Interno dove la riunione era indetta ho conosciuto il Presidente Lavai e il Cancelliere Briining. Sono stati ambedue molto cortesi verso di me. Due uomini per la verità assai notevoli e sostanzialmente differenti. Ho avuto modo di studiarli attentamente nei nostri quotidiani incontri. Briining non dà ,l'impressione, a vederlo, di essere uomo di energia e di temperamento politico quale egli è in realtà. Parla adagio, tenendo gli occhi bassi con tono di voce addolcito e tranquillo. Il suo aspetto esteriore non ha nulla delle caratteristiche della sua razza. La sua figura è quella di un prelato dignitoso e prudente. Nulla di teutonico. La Germania non poteva scegliere meglio l'uomo per presentarsi al mondo come una grande vittima senza colpa che domanda di essere soccorsa cristianamente in nome del bene comune.

Lavai è tutto l'opposto, piccolo, brutto, dtsordinato negli abiti, semplice di modi, con sorriso bonario ed aperto, antirettorico. È il contadino dell'Alvernia, rimasto tale e quale al di fuori della corruzione parigina. Questa è almeno l'impressione che egli dà. Abituato alla falsità ;proverbiale demagogica, inconcludente e meschina dei francesi tipo Briand, confesso che Lavai è il primo francese verso il quale io non ho sentito quella istintiva antipatia che non va mai disgiunta nel mio spirito da qualsiasi presa di contatto quando mi accade di prenderne con un gallo. È il primo francese che in una riunione internazionale ho sentito parlare senza fronzoli, senza rettorica, senza preoccupazione di rendere musicale il suo eloquio, ma al contrario preciso, breve, con una durezza leale che non dispiace.

La riunione di domenica nel Gabinetto del Presidente Lavai non ha mancato di una certa drammaticità. Briining ha denunciato ancora una volta le condizioni in 'Cui si trova la Germania, e la fatalità di un crollo imminente se la Germania non sarà soccorsa. Lavai ha confermato ancora una volta il punto di vista francese. La Francia è disposta ad aiutare la Germania ma non lo farà che ad una condizione, di ottenere cioè una serie di garanzie politiche che la tranquillizzino. La Francia accetta di andare a Londra ma ritiene che solo da un'in· tesa dJ.retta franco-tedesca potranno aversi dei risultati concreti, suscettibili di risollevare la Germania, e quindi l'Europa dalla sua crisi.

Henderson, Stimson, <io, il belga e H giap~>Onese non siamo usciti dal Umite di dichiarazioni generiche. Ho ritenuto opportuno di !sottolineare unicamente due cose: l) che il Governo italiano aveva, primo fra tutti, dato già un inizio di esecuzione al piano Hoover e che avrebbe conseguentemente esaminato qualsiasi proposta intesa a soccorrere ulteriormente la Germania; 2) che il Governo italiano seguiva con simpatia e con interesse le conversazioni dirette franco-tedesche augurandosi che esSie potessero avere un esito favorevole. Questa ultima dichiarazione è stata ripresa nella sua risposta dal Presidente Lavai con manifesta soddisfazione, ed è valsa a chiarire sin dall'inizio la nostra posizione.

Nel pomeriggio di domenica sono continuate le conversazioni franco-tedesche, senza alcun risultato tangibile. La sera, in occasione del pranzo dato da

Lavai e Briand al Quai d'Orsay, ho avuto occasione di avvicinare numerosi uomini politici francesi, tra ~cui Herriot, Caillaux e il Ministro deUa Marina Dumont. Herriot è stato marcatamente cordiale, ha voluto che gli promettessi che mi sarei recato a Lione a visitare la sua città ecc. ecc. I'l Ministro della Marina Dumont non nascondeva un certo imbarazzo tentando di spiegarmi, a moào suo, le ragioni del disaccordo navale. In sostanza ho avuto l'impressione che la Francia si 1prepari a presentarci delle nuove proposte che si allontanano di molto dalle basi d'accordo del l o marzo in senso sfavorevole per noi. Il Presidente Lavai è stato pieno di cortesie e di attenzioni, rinnovate poi in seguito durante il viaggio da Parigi a Londra 'e durante gli incontri di Londra. Nella conversazione abbastanza lunga che abbiamo avuto nella ISera di domenica egli mi ha dichiarato essere sua ferma ,intenzione venire ad' un accordo ~con l'Italia. Mi ha ripetuto il suo desiderio d'incontrarsi •con Te. La conversazione non è uscita dal generico, ed io del resto non ho fatto nulla per spmgere Lavai ad entrare nei dettagli di una discussione che Lavai mostrava di desiderare. Nelle cinque ore di viaggio tra Parigi e Londra, durante le quali egli ha voluto fossi suo ospite nel vagone presidenziale, e dopo a Londra Lavai ha mostrato a più riprese il desiderio di parlare a fondo con me. Non avendo potuto accettare un suo invito a pranzo, nella stessa sera in cui avevo accettato di essere con il Cancelliere Bri.ining, Lavai mi ha invitato a fermarmi a Parigi, nel mio viaggio di ritorno, una giornata o due allo :scopo di poter parlare tranquillamente insieme. Non sapendo esattamente sino a che punto io potevo anda'l'e in una dis•cussione di tale delicatezza e impo'l'tanza, non conoscendo perfettamente il Tuo pensiero su questo punto, mi sono schermito allegando la necessità di raggiungere direttamente Roma ne'l più breve tempo possibile pe'l' affari politici urgenti. È chiaro che Lavai desiderava mi fermassi a Parigi, e forse sarebbe stato non inutile un ·contatto fra lui e me più approfondito. Ma, 'ripeto, non mi son sentito autorizzato ad una discussione di questo genere, durante la quale io avrei forse potuto conoscere il vero pensiero di Lavai, ma io avrei dovuto in cambio fargli conoscere, almeno nelle linee generali, il Tuo pensiero. Su una cosa soltanto ho insistito, essere il problema franco-italiano un problema che non può Eissere risolto attraverso lo studio dei • dossiers » relativi a particolari questioni. Occorre esaminare il problema nella sua ~complessità. L'Italia è uscita dai Trattati di pace con la coscienza più d'un popolo vinto •che di un popolo vincito.re, e ciò che più conta, con la coscienza che i danni sofferti sono dovuti esc,lusivamente alla cattiva fede dei suoi alleati. Occorre dunque innanzi tutto dare all'Italia una soddisfazione che acquieti una volta per sempre la nostra legittima :inquietudine, e ci compensi, sia pure in minima parte, delle amare delusioni patite. A questo punto Lavai mi ha interrotto dicendo • L'Ethiopie par exemple... » (1). Io non ho fatto alcun gesto né in senso favorevole né in senso contrario (2).

Sin dal nostro primo incontro di Parigi il Cancelliere Briining mi aveva detto essere 1suo desiderio vedermi un po' a lungo per parlare dei problemi

d'interesse comune. Eravamo rimasti d'accordo di fare insieme il viaggio ParigiLondra, ma ciò non fu possibile essendo ambedue ospiti di Lavai. Mercoledì sera dopo un pranzo offerto dall'Ambasciatore von Neurath a me ed a Mosconi siamo rimasti insieme 1sino alla mezzanotte. Briining dopo avermi ripetuto la sua riconoscenza per l'atteggiamento dell'Italia e la sua particolare riconoscenza a Te, mi ha ·confermato il suo desiderio di recarsi personalmente a Roma per avere un incontro con Te. Date le critiche condizioni attuali della Germania egli non era in grado di poter fissare in questo particolare momento la data del suo viaggio che egli tuttavia mi ha dichiarato essere sua intenzione di effettuare al più presto possibile. Mi ha domandato se mi risultava avere Tu dei particolari im

pegni o desideri sull'argomento. Io gli ho risposto che Tu non Ti saresti allontanato probabilmente da Roma durante l'estate, che mi rendevo conto della critica situazione attuale che non gli rendeva possibile sul momento la fissazione della data del suo viaggio a Roma, ma che gli .confermavo tuttavia il desiderio e il piacere da parte Tua d'incontrarlo non appena possibile. Ho lasciato insomma al Cancelliere Bri.ining la Ebertà di scegliere la data, senza premere, da una parte, ma dandogli dall'altra la sensazione che, sia pure a una data da destinarsi, il Governo italiano attende che il viaggio promesso sia effettuato. In una conversazione precedente avuta con Curtius questi mi aveva accennato alla possibilità di un incontro Mussolini-Bri.ining nell'Alta Italia. Io gli avevo risposto che ciò non era :possibile per il fatto che Tu non Ti allontani da Roma. Tanto Bri.ining quanto Curtius mi hanno confermato nella conversazione di mercoledì sera la loro assoluta sfiducia nella efficacia dei rimedi escogitati dalla Conferenza di Londra per soccorrere la critica situazione tedesca. Secondo essi il crollo 1sarà inevitabile, se altri rimedi di carattere più ampio non interverranno al più presto. • La Francia -dice Bri.ining -fa una politica di una cecità incomprensibile. È bensì vero che essa può assistere con preoccupazione relativa al crollo tedesco. Ma il crollo tedesco determinerà il crollo immediato di tutti i Paesi alleati della Francia, e così la Francia si troverà costretta a intervenire suo malgrado, e forse troppo tardi e certo in una misura molto maggiore di quella che oggi occorrerebbe per !salvare insieme alla Germania i Paesi dell'Europa orientale danubiana e balcanica. La Germania non può, non potrà mai accettare le condizioni di umiliazione politica poste dalla Francia. La lotta tra Parigi e Berlino assomiglierebbe forse alla lotta tra Roma e Cartagine? Eprpure io credo che la Germania deve fare tutto il possibile per intendersi con la Francia. Dico di più. La Germania deve fare tutto il possibile per non concorrere all'isolamento ciella Francia. Una Francia isolata, irrigidita vieppiù nella :<ua politica è assai più pericolosa per la Germania e per gli altri Paesi d'Europa. Bisogna trovare il modo d'intenden~i coi francesi. Non vedo ancora la strada

od il modo, ma io tenterò tuttavia di farlo ». Abbiamo parlato della Conferenza

del Disarmo. Ho espresso al Cancelliere la mia opinione che la Germania non

deve commettere l'errore di presentarsi alla futura conferenza domandando la

facoltà di armarsi, bensì denunciando gli altri Paesi come inadempienti agli

obblighi di disarmo sanciti dai Trattati. Briining e Curtius hanno [)ienamente

~:onvenuto. Abbiamo insieme esaminato il Memorandum francese 1sul disarmc

6'Jb

inviato proprio in questi giorni a Ginevra. Esso costituisce ormai la prova deil'irrigidimento da parte francese in questo problema. La Francia pagherà H fio di questa sua politica. Ma il processo sarà lungo. Per ora l'errore francese è un errore strategico. Ma è fuori dubbio che le posizioni tattiche sono vantaggiose per Ia Francia. Briining e Curtius mi hanno informato es:;ere loro intenzione di proporre ai francesi un patto consultativo fra le quattro grandi Potenze, Gran Bretagna, Francia, Italia e Germania, una specie d'impegno redp-roco di non far nulla, in un certo qual senso, per non tul'bare l'attuale situazione europea senza preavviso e consultazione. I tedeschi mi hanno domandato che cosa ne penserebbe il Governo italiano. Ho rispo:sto che il Governo italiano probabilmente sarebbe favorevole ad una procedura di tal genere. Non una parola è stata pronunciata tra me e Briining sulla unione doganale che Henderson in questi giorni mi ha enfaticamente dichiarato essere ormai • practically dead •. A questo proposito ho insistito con Henderson che l'Italia sarebbe aSisai più soddisfatta di un verdetto favorevole del Tribunale dell'Aja anziché di un ritiro da parte del Governo tedesco, ritiro che non sarebbe sufficiente ad eliminare preoccupazioni per il futuro.

Leggendo i giornali italiani ed esteri non si ha esattamente impressione di quello che è stata la Conferenza di Londra in questi giorni. Quattro ;sedute, brevi, inconc,ludenti, nei loro risultati, altamente istruttive per la loro portata politica. La Francia, non c'è dubbio, è uscita vittoriosa in tutta la linea. Essa non ha ceduto di un palmo, e l'Inghilterra e l'America hanno dovuto sottostare alla sua prepotenza. Il Governo britannico, d'accordo con quello americano, ha convocato a Londra una .conferenza fra le sette Potenze indicando come scopo della conferenza la necessità di soccorrere la Germania. Di fronte alla forte res1istenza francese, sin dalla seconda seduta, inglesi ed americani hanno perduto la loro calma ed hanno scoperto, in un modo infantile quasi, il loro giuoco consistente nel tentativo non già di concedere ulteriori e più vasti aiuti alla Germania bensì di addossare alla Francia una cospicua parte dei rischi che la Banca inglet>e e americana corre in questo momento <in seguito agli investimenti inglesi ed americani in Germania. Tanto Mellon quanto Snowden non hannc esitato a dichiarare non avere in questo momento la Banca americana e inglese la possibilità di intervenire in favore della Germania. L0 quattro sedute di Londra hanno contribuito a rendere più forte la posizione francese dando, conseguentemente alla Germania l'impressione che so,lo dalla parte della Francia possano venire alla Germania degli aiuti effettivi, e che nulla vi è da sperare da Wall street e dalla City. Mentre si svolgeva a Londra la discussione tra Lavai, Flandin, MacDonald, Snowden, la Banca di Francia ritirava 12 milioni di sterline dalla Banca d'Inghilterra costringendo quest'ultima a rialzare improvvisamente il tasso di sconto. Gli inglesi hanno giuocato molto male la loro partita dando occasione di mostrare ancora una volta la debolezza costituzionale del loro attuale sistema economico e finanziario. La nazione britannica non ha potuto rassegnarsi alla constatazione di questo grosso punto di vantaggio ottenuto dalla Franda, ed infatti non mai come in questi giorni la polemica antifrancese è stata aspra nella stampa e nell'opinione pubblica inglese. Tutti a

Londra da Re Giorgio all'ultimo • man in the street • sono furiosi contro la Francia Re Giorgio ricevendomi giovedì durante il • garden party • mi ha domandato:

-Are you satisfied of the Conference?

-No, Sir.

-Neither do I. Lack of courage. Those French are impossible people. They are the responsible of everything.

Gli americani sono stati più abili; visto che i francesi non cedevano, e che è impossibile fare qualche cosa di efficace, non dico contro ma neppure senza di loro, hanno fatto buon viso a cattivo giuoco. In certi punti Stimson e Mellon non hanno esitato ad associarsi a Lavai e Flandin e il Presidente Hoover ha lanciato addirittura un messaggio di soddisfazione per i risultati della conferenza di Londra. In sostanza noi assistiamo a questa situazione paradossale. Il Governo americano deluso per la cattiva accoglienza da parte francese del progetto Hoover comincia a pensare di aver fatto un grosso sbaglio ad uscire dal suo isolamento tradizionale, ed ha tutta l'aria di preparaii5i a ritornare di nuovo sulla vecchia posizione. Mentre Stimson a Roma mi ha dichiarato esplicitamente doversi il piano Hoover considerare ,come l'inizio della revisione generale del problema dei debiti e delle riparazioni, durante la conferenza di Londra Stimson e Mellon non hanno esitato ad affermarmi che nulla era modificato da parte americana nei confronti del problema dei debiti, giungendo così per opposta via ad una precisa concordanza con l'atteggiamento francese. Questa concordanza a cui, ripeto, gli americani si sentono costretti a giungere per la cattiva accoglienza fatta proprio dai francesi al piano Hoover, è il punto di maggiore successo sottolineato dalla stampa francese dopo la conferenza di Londra. La prepotenza francese minaccia dunque di vincere su tutta la linea. Se la moratoria di un anno proposta da Hoover non avrà altro seguito non vi è certamente motivo di essere troppo ottimisti sulle sorti della politica, dell'economia e della finanza europea.

Il Tuo telegramma pervenutomi lunedì stesso, e che io ho mostrato a Stimson è un grande presagio (1). Occorre ora seguire attentamente gli sviluppi della situazione. È certo che un'altra conferenza 1sarà convocata e forse più presto di quello che oggi sia dato di prevedere. La parte avuta dall'Italia alla conferenza di Londra non poteva essere naturalmente di primo piano. Siamo stati più che altro degli spettatori interessati, dei moderatori prudenti di un'azione che era al di fuori di noi e che ad ogni modo era più grande di noi. Io ho cercato d'inserirmi sin dove ho potuto, ogni qualvolta la discussione usciva dall'ambito del problema finanziario per rientrare in quello politico generale. Il contributo alla discussione tecnico-finanziaria è stato pressoché nullo e ciò per due ragioni:

l) perché l'assenza di un interesse diretto avrebbe privato il nostro inter

vento dell'autorità necessaria;

2) perché la nostra Delegazione era insuffi.ciente a dare un qualsiasi con

tributo. Si è ripetuto a Londra l'inconveniente verificatosi in alcune fra le ultime

riunioni internazionali. La politica pura non basta più a dare peso e autorità alla rappresentanza di un p-aese. Ad un certo momento Henderson, Stimson Briand ossia i Ministri degli Esteri hanno lasciato il campo delle discussioni ai Ministri dell'Economia e delle Finanze. Così è avvenuto a Ginevra, ·così a Londra, così avverrà domani. Il problema della composizione delle Delegazioni italiane è quanto mai delicato. Noi siamo la più piccola delle Grandi Potenze. B~sogna quindi rimediare con l'autorità e il peso specifico degli uomini alla differente proporzione della nostra potenza rispetto alla potenza delle aUre grandi N az:ioni.

Io ho fatto, ripeto, del mio meglio, perché l'Italia non pe,rdesse quota, e credo di esserci riuscito, sebbene non fosse facile. Mi è anche giovato l'ambiente di effettiva simpatia che il mondo poliHco .londlinese ha per me dalla Conferenza di Londra in poi, simpatia ,che io ho ritrovato viva oggi come due anni or sono. Ma non 1si vive a :lungo di rendita su questo stato d'animo.

Ho trovato il ma·lessere sociale in Inghilterra accresciuto notevoJmente da due anni ad oggi. Da ogni parte non ho ascoltato che espressioni di scontento, di preoccupazione per il futuro. La grande metropoli dell'Impero britannico va decadendo a v•ista d'occhio. All'uscita dei teatri la sera è un affollarsi di mendicanti, che premono il passante dando uno spettacolo di miseria, di cui noi in Italia non abbiamo la più lontanissima idea. Ho fatto una fuggevole corsa lungo i maggiori docks del porto di Londra. Il traffico è assai modesto. I docks sono pieni di vapori ma fermi, e da molto tempo.

Mentre si svolgevano i lavori della Conferenza di Londra io pensavo spesse volte al mio Paese, senza mendicanti, ordinato, con le sue principali industrie in azione, •con le sue strade quali nessun paese del mondo può vantare di possedere, colla gente che cammina serena ignorando che in tutti i grandi paesi d'Europa e del mondo, salvo forse la Francia, la miseria e la fame costituiscono lo 1spettro pauroso della vita quotidiana. Se gli italiani ·che pensano e lavorano si rendessero esattamente conto della situazione di privilegio in •CUi H nostro Paese si trova (situazione di privilegio dovuta unicamente all'ordine, alla disciplina e al senso civico voluto dal Fascismo) noi \saremmo ancora più forti e più invidiati di quello che già non lo siamo.

(l) Cfr. p. 607, nota l.

(l) Nel dattiloscritto manca una pagina, nella quale -probabilmente -Grandi sottolineava l'interdipendenza reciproca dei problemi sopra enunciati e, insieme, sottolineava come ciascuna potenza seguisse una sua politica autonoma.

(l) Cfr. DE FELICE, Mussolini, p, 397.

(2) Un riassunto dei colloqui Grandi-Lavai fu inviato da Ghigi a Manzoni con D. 3097 del 6 agosto.

(l) È un tel. del 20 luglio, non rinvenuto.

414

IL MINISTRO A BUCAREST, PREZIOSI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

R. RR. 1924/761. Bucarest, 28 luglio 1931.

In relazione alla ·comunicazione personale n. 2860 del 20 corrente (1), onorami accludere una mia lettera di risposta che Le rivolgo preghiera di voler far pervenire a S. E. il Capo del Governo.

ALLEGATO.

PREZIOSI A MUSSOLINI

R. s.N. Bucarest, 28 luglio 1931.

Ho l'onore di riscontrare la lettera di V. E. del 18 corrente mese, circa la reale portata di un colloquio di Sua Santità col signor Petrescu Comnen.

Il Ministro di Romania presso la· Santa Sede, signor Petrescu Comnen, non è ancora giunto a Bucarest. Tuttavia mi è stato dato di raccogliere, da ottima fonte, le seguenti informazioni:

l) -L'ultimo colloquio accordato dal Papa al signor Comnen avrebbe avuto per oggetto le condizioni cui Sua Santità ha subordinato il Suo assenso al matrimonio di religione mista fra S.A.R. la Principessa Ileana di Romania e l'arciduca Antonio d'Asburgo: ossia che il matrimonio avrebbe dovuto essere celebrato secondo il rito cattolico; -che a tale solennità non avrebbe dovuto seguire alcun'altra cerimonia presso la Chiesa ortodossa; -che un impegno solenne avrebbe dovuto esser preso dagli Sposi relativamente all'educazione cattolica della prole; -che il compiacimento del Vaticano per le predette nozze principesche sarebbe stato espresso con un dono personale ed un messaggio autografo del Pontefice.

2) -Le notizie qui pervenute dalla Legazione di Romania presso la Santa Sede circa le divergenze attuali fra il Governo italiano ed il Vaticano sarebbero state sempre ispirate ad ottimismo: esse avrebbero, fra l'altro, messo in luce che dette divergenze sarebbero state acuite dal carattere • brusco ed irruente • del Papa e da una Sua « particolare rigidezza di parole e di atteggiamenti ».

In ogni caso un rapporto qui giunto due giorni fa da Roma, a firma del diplomatico romeno che regge attualmente la detta Legazione in assenza del Comnen, ha segnalato « che in Vaticano si esclude in modo assoluto la possibilità di una rottura dei rapporti diplomatici col Governo italiano; che le esistenti divergenze sono colà considerate come avviantisi verso un definitivo chiarimento; che confidasi che tale chiarimento sia per essere grandemente favorito dal cauto e riservato atteggiamento sia della stampa vaticana che di quella italiana •.

3) -Il signor Petrescu Comnen è bfine considerato presso questo Ministero degli Esteri come un funzionario di merito, ma di grandissima vanità. La sua maggiore ambizione è quella di poter essere chiamato a rappresentare il suo Paese presso il Quirinale; donde la sua assidua cura a decantare qui la speciale situazione di stima di cui godrebbe nelle sfere politiche romane e ad accreditare costà sue particolari benemerenze verso il suo Paese, specie nel campo delle sue attuali attribuzioni. A tale ultimo riguardo desidero segnalare che il Comnen, da quando è a Roma, è venuto a vedermi ogni qualvolta è stato a Bucarest. In tali visite egli si è costantemente sforzato di mettere in rilievo il suo entusiasmo per il Fascismo; i suoi pretesi. cordialissimi rapporti con i gerarchi del Regime; la sua costante mira a far della sua Legazione un punto di convegno delle nostre Autorità e di quelle del Vaticano.

Tutto quanto precede mentre contraddice alla versione costà corsa circa la portata del colloquio del Papa con il Comnen, induce in ogni caso a fare escludere che quest'ultimo abbia riferito alcunché a questo Ministero degli Affari Esteri sulla • sensazionalità • delle pretese dichiarazioni del Pontefice circa le attuali divergenze fra il Governo italiano ed il Vaticano.

(l) È il n. 407.

415

IL CONSOLE GENERALE A MONACO DI BAVIERA, CAPASSO TORRE, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

TELESPR. 58/40. Monaco di Baviem, 28 luglio 1931.

È venuto stamane spontaneamente in ufficio il Dr. Hans Frank deputato socialnazionalista al ReichJstag per confermarmi in maniera recisa la smentita da lui opposta (e pubblicata nel Popolo d'Ital·ia del 25 c.m.) a quanto gli avrebbe fatto dire il corrispondente da Innsbruck del Giornale d'Italia (14 ,luglio c.m.). Il deputato Frank, ,che è membro influente della Direzione del Partito S.N. e intimo amico di Hitler, mi ha dichiarato con frasi commosse e concitate che solo chi non conosca un'acca dei suoi precedenti politici poteva pensare a sue dichiarazioni irredentistiche a favore dell'Alto Adige. Per lui, come per Hitler,

• una questione alto-atesina non esiste • : esiste solo la necessità assoluta e imprescindibile dell'intimità politica itala-tedesca. La frase incriminata riprodotta nel Giornale d'Italia è, tra l'altro, assurda e illogica -mi ha dichiarato il Frank -perché una pretesa • forte Germania da Salorno fino al mare del Nord » non avrebbe, caso mai, da rivendicare più un centimetro quadrato di terreno nei confronti dell'Italia. Egli ha fatto, sì, una dichiarazione anschlussista parlando di una futura Germania dal Brennero al mare del Nord, ma di Salorno ha parlato solo per dire che questa Germania eventuale non intenderebbe più sollevare questioni sui tedeschi che vivono tra Salorno e il Brennero.

Il Dr. F,rank che si vanta di aver proclamato queste verità proprio in... Innsbruck e che non .si attendeva tale distorsione del suo pensiero, mi ha pregato d'interessarmi perché la sua rettifica sia pubblicata da quanti giornali italiani hanno riprodotto la notizia del giornale romano.

Il Dr. Drexler della Direzione del Partito che lo accompagnava mi ha fatto poi rilevare che, come chiaramente risulta dall'ultimo capoverso, la lettera da lui inviata r.l comm. Gino Cucchetti e da questo stampata in una corrispondenza da Bolzano al Popolo d'Italia il 22 c.m. non era destinata alla ,pubblicità, ed è strano che sia stata pubblicata integralmente ,compreso questo esplidto avvertimento. Inoltre il telegramma che la segue e a cui è stata apposta dal Cucchetti la firma di • Hitler , portava in realtà la firma del !signor Hess che è il segretario di Hitler (1).

Mentre, ,rispondendo, ho ricondotto alla loro realtà modesta gli inconvenienti di queste piccole indiscrezioni giornalistiche -divenute, peraUro, un po' troppo frequenti da quando giornalisti italiani si presentano agli hitlerani in veste di fiduciari del Partito Nazionale Fascista o di alte personalità di esso debbo avvertire V. E. che l'e:sperienza di questo ambiente mi ha persuaso che, mentre è necessaria alla stampa italiana una maggiore conoscenza degli uomini e delle tendenze dei vari partiti tedeschi, onde evitare equivoci ,come quello che riguarda il Dr. Frank, è altresì opportuno che, a differenza di quello che ha creduto di fare il Comm. Cucchetti, non si chiamino continuamente in causa, per affermare il nostro buon diritto al confine del Brennero, le opinioni a noi favorevoli di Hitler e dei suoi seguaci. A mio giudizio, tale sistema, che obbliga costoro a :sostenere sempre nuove polemiche con gli avversari interni e a misurare ogni volta il contrasto certamente non piacevole tra la loro concezione reaUstica e ,certo persistente sentimentalismo nazionale, non giova neppure a noi che mostriamo in questo modo di andare cercando in casa d'altri inutili convalide al ouon diritto d'Italia, sanzionato dai Trattati.

(l) Cfr. quanto comunicava Aurib con telespr. r. 4398/64/2478 del 24 novem· bre 1931 : « Mi permetto far notare che le rel::.tzioni tra i nazionalsocialisti ed i cristianosociali austriaci si sono inasprite da quando il corrispondente da Bolzano del "Popolo d'Italia" Cucchetti ebbe nel luglio scorso l'idea poco felice di tirare in causa Hitler e la direzione del partito nazionalsocialista germanico a proposito della questione alto-atesina. A parte il fatto ch'io non ritengo sia da menar vanto di avere ottenuto da Hitler la dichiarazione che una Germania nazional!;ocialista non farà mai della questione alto-atesina argomento di discussione con l'Italia. dato che la tesi della indiscutibilità della questione è stata da noi sempre sostenuta. rilevo che l'uso fatto della dichiarazione non sembra tale da averci dovuto attirare la gratitudine dei nazionalsocialisti. L'irredentismo alto-atesino, come è noto, è alimentato in gran parte dalle competizioni di politica interna e non è certo nel nostro interesse fornire in tale materia argomer.ti di polemica a danno dei nazionalsocialisti, i quali hanno già molte volte esplicitamente fatto conoscere la loro idea a proposito dell'Alto Adige. È da notare che non solo le sopre citate affermazioni del "Tiroler Anzeiger" sembrano discendere in linea diretta dalla pubblicazione del Cucchetti sul "Popolo d'Italia" bensì anche un processo di stampa svoltosi recentemente a Klagenfurt, nonché precedente

416

MALAGOLA CAPPI AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

(Copia)

San Marino, ..... (1).

Alla presente unisco il solito rapporto ,riguardante la mia ultima gita a Belgrado, pregandola di volerlo trasmettere a S. E. il Capo del Governo.

S. M. il Re è stato soddisfatt1ssimo di quanto io gli ho riferito e trova giustissimo che si debba attendere un poco, accettando di rimettere Ja gita alla prima metà di settembre, 5!Perando tuttavia che l'incontro possa avvenire in Romagna, e 'coincidere col periodo di vacanza di S. E. H Capo del Governo.

Il 1·iaggio sarà più breve di quello che era stato progettato.

La proposta del Re di far venire a Belgrado un incaricato di S. E. Mussolini, o di inviare a Roma un incaricato suo, mostra la prudente saggezza politica del Re stesso!

Egli è dunque pronto a porre senz'altro sul tavolo e discutere direttamente qualunque questione, nella certezza di poterle tutte risolvere al fondo, eccettuata quella dell'Albania, sulla quale vorrebbe preparare il terreno, per non trov:.rsi di fronte ad una soluzione che, una volta venuta, deve per forza accettare qualunque essa sia anche se si trattasse di una troppo amara pillola da ingoiare.

Il Ministro Jevtitch che V. E. già conosce, verrebbe con me a Roma col pretesto di vedere dei mobili da acquistare, e questo incontro preparatorio

mente le polemiche tra nazionalsocialisti ed irredentisti del Tirolo di cui ai miei telespressi 1812 del 19 agosto u.s. e 1834 del 22 agosto •.

avrebbe lo s,copo di sgombrare il terreno dalla questione più scottante, e rendere così sicuro, immediato, e completo l'effetto dell'incontro dei Capi.

Io suppongo ,che S. E. il Capo del Governo non avrà difficoltà ad accettare la 'seconda proposta, che mi pare preferibile alla prima, ed in tal caso o V. E. mi chiama a Roma per comunicarmi a voce la decisione di S. E., oppure V. E. potrebbe inviarmi un telegramma convenzionale informandomi ,che la visita a Roma dell'incaricato acquisti è opportuna. Allora io informo, nel modo ,che già abbiamo convenuto col Re, dando appuntamento a Roma al Ministro della Real Casa.

Io potrei poi precederlo per ac,cordarmi precedentemente con V. E.

Ad ogni modo io sono a completa disposizione di V. E. e di S. E. il Capo del Governo ed attendo comunicazioni in proposito, sempre pronto, e sempre colla speranza, anzi colla ferma fiducia, che l'esito finale possa essere quale è nel d~siderio di tutti.

Voglia V. E. presentare a S. E. il Capo del Governo i sensi del mio devoto ossequio.

ALLEGATO.

MALAGOLA CAPPI A MUSSOLINI

Belgrado, 15 luglio 1931.

Recatomi, appena arrivato, al Castello di Dedjnye, sono subito stato ricevuto dal Re, che ha ascoltato con molto interesse quanto gli ho riferito ed è stato molto soddisfatto apprendendo che S. E. Mussolini, dopo quanto io gli avevo riferito, era pur sempre rimasto nell'idea dell'incontro.

Ha trovato giustissime le ragioni per le quali era opportuno rimettere l'incontro a settembre, come pure ha pienamente approvato l'idea di S. E. il Capo del Governo di rendere pubblico l'incontro avvenuto dicendo tuttavia che è stato occasionale: • je suis siìr et certain, que, une fois que nous aurons l'occasion de parler, avec un peu de tranquillité, avec M. Mussolini, nous arriverons sans doute à l'accord, qui est tellement nécessaire au bien de nos pays, et je suis vraiment impatient d'arriver à cette rencontre •.

Il Re ha poi ripetuto varie cose già dette e da me riferite insistendo che

• vraiment il n'y a pas beaucoup de questions sérieuses qui nous divisent, mais qu'est ce que l'on vous a dit de la question albanaise? Cette épineuse question est vraiment la seule vraiment importante •.

Par seguendo il mio sistema di dire poco, ho accennato che S. E. Grandi, parlandomi dell'Albania mi aveva detto che l'Italia non avrebbe rinunciato al Mandato che le era stato affidato e riconosciuto sia dalla Società delle Nazioni, sia dalla Conferenza degli Ambasciatori, e che quindi tiene di pieno diritto.

« Mais voilà l'erreur! Car il ne s'agit par d'un Mandat, mais l'Italie a été chargée de protéger l'Albanie en cas d'attaque par les tiers, mais une fois que 1'.-c'..lbanie n'est pas attaquée... et du reste, par qui serait elle attaquée si non pélr nous •? attendevo altre dichiarazioni ma dopo breve silenzio: • et de la France? qu'est ce que l'on vous a dit de la France »? ho risposto che nessuno mi aveva parlato della Francia, ma che io avevo detto a S. E. il Capo del Governo del malumore che esiste in Jugoslavia verso la Francia, specialmente dopo la strc.zzatura del prestito.

Il Re ha annuito sorridendo coll'aria di chi pregusta in precedenza un buon colpo bene assestato ad una persona poco simpatica e poco gradita. Si è poi parlato ancora del viaggio e il Re mi ha detto, che in settembr~ non lo avrebbe fatto così lungo, come era stato progettato, perché aveva molti

23 -Documenti diplomatici-Serie VII-Vol. X

impegni in quel periodo, e nemmeno sapeva se sarebbe venuta anche S. M. la Regina (in quei giorni essa trovavasi in Francia) poi mi ha congedato, dovendosi recare ad una cerimonia, dicendomi che ci saremmo veduti il giorno dopo.

Belgrado, 16 luglio 1931.

• Camme je vois que la chose est maintenant devenue très importante, je vous dirai que j'ai beaucoup pensé à tout ce que vous m'avez dit hier, et com~r.e la nuit porte conseil je vais vous ·expliquer quels sont nos points de vue politiques.

Quant à nos voisins, les hongrois, les roumains, les bulgares, ecc. on croit en Italie, je ne sais vraiment pas par quelles sortes d'informations, que nous avons des intentions aggressives et invadentes, on nous a peint en Italie camme un peuple aggressif. Je peux vous assurer que ce n'est pas du tout vrai, car, comme nous avons déjà eu, par les traités, tout ce que nous pouvions désirer, nous ne demandons à nos voisins que de vivre en paix avec eux et développer le plus possible nos bonnes relations de v01smage, de commerce et de paix; car nous n'aspirons pas du tout ni à leur territoire, ni à nous meler de leurs affaires.

Quant à la politique internationale, nous n'avons aucune ambition expansioniste, car nous ne voulons pas des colonies ni des ma!ldats, notre politique est une politique locale car nous avons beaucoup de provinces d'une grande incroyable pauvreté, comme le Montenegro, ecc. des provinces où rien ne pousse, et aux quelles nous devons penser et envoyer le blé, le mai:s, et tout le reste. Ces provinces sont pour nous les provinces passives. Notre politique donc comme je vous disais, est tout à fait locale. Nous n'avons d'intéret que dans les questions de l'Europe centrale qui peuvent avoir des reflets pour nous.

L'Italie étant une grande puissance, elle doit faire une politique mondiale, elle doit s'intéresser aux questions d'Asie, d'Afrique ecc. toutes questions sur les quelles nous n'aurons jamais rien à dire et sur les quelles, par conséquence nous ne nous trouverons jamais en conflict. Sur les questions de l'Europe et surtout de l'Europe Centrale, nous aurons, une fois accordés, les memes intérets à sauvegarder.

L'accord avec l'Italie ne peut pas etre un accord partial, ou qui puisse laisser des sous-entendus, il doit etre frane, loyal, complet pour qu'il puisse avoir vraiment les avantages réciproques que nos pays désirent en tirer.

Si je viens en Italie et si je me rencontre avec M. Mussolini, il est absolum·ent nécessaire que nous arrivons à l'accord complet, nous ne pouvons pas laisser des questions pour plus tard, et il faut en meme temps que cet accord

soit tel qu'il puisse etre accepté des deux còtés loyalement sans reserve et de façon à satisfaire les deux intéressés.

Le jour que M. Mussolini et moi nous nous donnerons la main, et nous nous dirons que nous sommes des amis, il faut que notre amitié soit sincère, franche et sans reserves, il faut que nous soyons siìrs l'un de l'autrc et de l'aide et soutien réciproque dans les questions politiques européennes qui intéressent les deux pays.

M .. Mussolini ne me connait pas eneore, mais quand il me rencontrera il n'aura pas besoin de beaucoup de temps pour comprendre que je suis de caractère frane, et loyal et que je n'aime pas d'éviter les questions difficiles ou désagréables, mais qu'au contraire je veux premièrement rencontrer celles-ci, les analiser, les discuter, et les éliminer, je n'aime pas devant les difficultés de les écarter, en disant: ça on verra plus tard, on tachera, on s'arrangera ecc., je veux aUer jusqu'au but et ne rien laisser pour plus tard ou pour quelque un d'autre.

M. Mussolini comprendra aussi que de ma part j'ai toutes les meilleures dispositions, et la plus grande envie de m'accorder avec lui et vous pouvez lui dire que je lui promets, dès maintenant, de me mettre à sa piace comme j'espère qu'il se mettra à la mienne, et quand deux hommes se rencontrent avec la ferme volonté de faire le bien de leurs pays, avec l'estime et la considération réciproques, avec la sincerité et la franchise, je pense qu'aucune difficulté pourra etre et rester sans issue.

Nous devons donc arriver à cet accord complet, absolu de mamere qu'une fois que M. Mussolini aura ma parole et ma signature il n'aura absolument plus rien à craindre de notre còté, et moi je veux pouvoir me fier complètement à

M. Mussolini de telle manière à ne plus devoir tenir sur le front italien, ni un homme, ni une mitrailleuse.

Je vous répète donc que la seule question qui encore me donne des soucis, c'est la question de l'Albanie. L'Italie vend et envoye au Roi Zog tout un arsenal d'armes de toute sorte, et de toute qualité. Pourquoi donc l'Italie arme de la sorte l'Albanie, si ce n'est pas contre nous? Nous n'avons aucune envie d'assalir l'Albanie, au contraire nous voulons que l'Albanie so i t un état indipenden t et libre.

Une fois M. Grandi avait dit qu'il voulait faire de l'Albanie une autre Belgique. Un état neutre, garanti par des traités. Cette idée je l'accepterais bien volontier et je suis pret à donner, pour ça toutes les garanties que l'on pourrait désirer. Est ce que l'Italie garde toujours cette intention?

Je voudrais donc savoir exactement le point de vue politique de l'Italie sur cette question de l'Albanie qui est encore l'unique qui a entre nous une importance capitale.

Camme cette question est complexe je propose à M. Mussolini ou de m'envoyer ici, avec vous, une personne, qui connaisse à fond et techniquement cette question, ou bien de me permettre d'envoyer à Rome avec vous, la personne que je crois la plus adaptée pour ça et qui, étant depuis plusieurs années avec moi, connait mes idées à ce propos.

Il s'agit de M. Jevtitch, Ministre de la Maison Royale, qui n'a rien à faire officiellement avec la politique et qui est une personne de toute confiance, fidélité et discrétion.

J e vous répète que personne de mon entourage est au courant de nos démarches, car M. Marincovitch aussi, n'en sait rien. Une fois la rencontre faite, et l'accord conclu, je dirai à M. Marincovitch: voilà la politique qu'il faut suivre, et il la suivra.

Camme ça on aura préparé le terrain aussi sur cette question, et à notre rencontre nous pourrons plus facilement le débarrasser totalement des difficultés.

Dites à M. Mussolini que j'espère que après notre rencontre je pourrai etre tout à fait satisfait et en attendant répétez-lui de ma part toute ma bonne disposition et ma bonne volonté •.

Nel salutarmi, il Re, dandomi con molta effusione la mano mi ha detto:

• J'espère donc vous revoir bien tòt, et en vous remerciant je répète la phrase de M. Grandi: en vous disant que j'espère que vous pourrez rendre ce grand service à mon Pays •.

(l) Si inserisce alla fine di luglio in quanto è presumibilmente della seconda metà del mese.

417

L'AMBASCIATORE A PARIGI, MANZONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

L. 2379. Parigi, 31 lnglio-1 agosto 1931.

Riferisco, a seguito del mio odierno telegramma, la conversazione tenutami stamane dal Signor Laval.

Ha riconfermato la sua intenzione di occuparsi personalmente delle relazioni itala-francesi e di esser pronto per ciò a visitare il Capo del Governo in Italia.

Laval: Certa stampa, in seguito all'indiscrezione giornalistica americana annunziante un mio viaggio in Italia, già mi attacca in proposito; ma questo né mi tange né mi muove di nulla dalle mie intenzioni: le ho fatto fare severi rilievi per quanto, in fondo, l'artkolo di Barde ( • Oeuvre ») di ieri non è contro ntalia ma contro di me per esaltare Briand. Ma, ripeto, a me tutto ciò non fa né caldo né freddo; io vado avanti per la mia strada, e in questa vi è anche la intenzione di esaminare la situazione franco-italiana per regolarla.

Io (interrompendo): Ecco, voi avete oggi la prova della verità di quel che io ho sempre asserito e cioè, basta che spunti una possibilità di miglioramento, chiarimento di relazioni tra noi, che subito da certe determinate fazioni e persone, si apre campagna ed attività per far sorgere e rinfocolare discordia, malintesi.

Laval: Farò dire oggi stesso al signor Berthelot di venire a parlarmi delle questioni franco-italiane. La mia impressione è che la Francia non ha nulla da domandare e che l'Italia è invece in tutto la « demanderesse •. Questo non facilita le cose: sarebbe stato meglio se vi fosse stata situazione di domandante da entrambe le parti. Vi è la questione navale da risolvere. Bisogna che da una parte e dall'altra si ·lalsdno in disparte le esigenze dei ·rispettivi Stati Maggiori e le formule, e si arriv;i ad una soluzione soddisfacente. La Francia ha dei bisogni di sicurezza e di di:llesa sui quali non può transigere, ma questo non deve essere un impedimento all'accordo fra i due Paesi in materia nava·le. I signori Massigli e Ro:sso si sono visti al passaggio del signor Rosso per Parigi: ora Massigli è in congedo; quando sarà tornato potrà riprendere i contatti con Signor Rosso. Io non ·conos·co i particolari delle altre questioni, non so nemmeno esattamente quali siano: mi farò mettere al corrente dal signor Berthelot; ma ditemi, voi cosa volete per la questione tunisina? Voi fate questione per la nazionalità dei vostri italiani?

Io: No. La questione è ben diversa. Sorse nel !settembre 1918 colla Nota Barrère. La Francia voleva liberarsi da ogni impedimento convenzionale e commerciale per avere mano libera nelle sue contrattazioni commerciali del dopo guerra, che si prevedevano a poca distanza di tempo: ci chiese di liberarla da qualche clausola commerciale italo-tunisina, proponendoci la denunzia della convenzione ·con l'immediata sua rimessa in vigore, però a 3 mesi per 3 ·mesi, non più all'anno per anno. Nella sua Nota il signor Barrère iSicrisse, in nome del suo Governo, che non c'era nessuna arrière-pensée politica dietro questa domanda. Fatevi dare il testo della Nota e vedrete che la frase c'è nel suo pieno valore assicurativo e impegnativo. Dato ciò, il Governo italiano consentì nella domanda fattagli. Nel 1928, dopo attuato il vnstro nuovo assetto commerciale, completatosi con la convenzione franco-tedes·ca, noi vi abbiamo sollecitati per ristabilire lo statu quo ante delle convenzioni tunisine, con un primo periodo di vita provvisoria. È allora che voi, non noi, voi, avete sollevata la questione politica della nazionalità dei miei connazionali in Tunisia. Ora, signor Laval, a parte tutto ciò, ditemi voi: è possibile domandarci che noi stessi si sottoscriva la decadenza nazionale dei nOistri italiani? Cosa fareste voi in un identico caso per i francesi? La questione è impostata male, per sostanza, per occasione e per

tempo.

Lavai: Vedo, comprendo.

Io: Ma, prima di questa faccenda tunisina, vi è, politicamente parlando, un'altra questione che precede, quella jugoslava. Non è piacevole per nessuno aver identica pressione sulla tempia destra e ,su quella rsinistra! crediamo che voi esercitiate spesso azione moderatrice a Belgrado, ma tutto ciò non ci fa e non ci può far dimenticare che là sta la gente ·che ha fatto il delitto di Serajevo e che è gente capace di ripeterlo. Ed allora? Quando nel novembre 1927 il signor Briand firmò il patto con Belgrado io andai da lui e gli dissi che aveva creata la situazione per cui un colpo di fucile tra due comitagi sul confine albanese-jugoslavo aveva l'effetto di un colpo di fucile rsul confine itala-francese. Gli piaceva a lui questa situazione? a me no. Cosa fare? Fu ·così che fu pensato a stringere un qualche accordo, che fu poi il modus vivendi di stabilimento tra i due Paesi con un formalistico cappello a generica formula amichevole, che

facesse riflettere ·i turbolenti, come di fatti fece. Da allora la situazione è rimasta immutata, anzi si è aggravata. La rsua soluzione non è facile, ma se vi fosse una conversazione con sostanza e risultati larghi, realistici e comprensivi, ci si potrebbe giungere quasi normalmente, automaticamente... E·cco perché, se mi permettete di parlarvi liberamente esponendo anche oggi a voi solo un'idea del tutto personale, ecco perché io mi sono espresso sempre nel senso di un chiarimento tra i nostri paesi a concezione larga, che tenga conto dei comuni interessi di civiltà, dei reciproci e in tanta parte comuni sviluppi mediterranei africani, della difesa contro comuni pericoli distruttori di civiltà, ,senza tuttavia dimenticare le questioni particolari; insomma un .largo chiarimento di situazione, che venga a porre i nostri rapporti sulle basi di mutuo rispetto e di mutua fiducia che invocai nella mia allocuzione presentando le credenziali.

Lavai: Comprendo; questa è pure la mia idea. Sono pienamente concorde

con Mussolini in quanto ha scritto stamane sugli « Annales » circa il pericolo bol

scevico: ora, i nostri due paesi devono intendersi in proposito e sono fatti per

intendersi: la Francia è il centro di resistenza della conversazione, l'Italia è una

giovane sana, piena di dinamismo: io vorrei che si potesse chiarire la situa

zione tra noi prima della riapertura parlamentare, prima del novembre; ma

bisogna che da parte vostra mi venga l'invito di recarmi in Italia. Vedo che Mus

solini non va facilmente fuori Italia; non ho difficoltà a venire io pel primo;

credo anzi che ciò vi soddisfi, ma birsogna prima preparare bene le cose, perché

un insuccesso sarebbe molto dannoso: la preparazione deve farsi per il canale

regolare della diplomazia, ed è per questo che parlerò al signor Berthelot. Vi

prego di andarlo a vedere. Ecco come io 'intravedo le cose. Quanto alla stampa,

provvederò a farla guidare in modo che essa prepari sempre meglio l'atmosfera

per l'incontro; ma, del resto, come vi ho detto, ~s;sa non muta quello che è il

mio deciso programma intenzionale. La situazione generale europea è così con

fusa, e cosi scura, la finanza ha fatto tali errori, che bisogna chiarire la situa

zione tra paesi che hanno, come i due nostri, grandi pericoli comuni e interessi

superiori comuni... Dite tutto ciò al signor Grandi e ringraziatelo della sua comu

nicazione (l) che mi ha fatto molto piacere. Ho avuto un'eccellente impressione di lui e delle ,sue spiccate qualità, ho un vivo e simpatico ricordo delle •conversaziond. che ho avuto con lui. Lo rivedrò con molto piacere. Salutatelo molto da parte mia.

Vedrò dunque Berthelot, ma senza cercarlo. Sentirò quel che dirà e riferirò. Il Quai d'Orsay è generalmente un pericolo burocratico-sciovinista: se tale resterà si provvederà a superarlo... Ma intanto sembrebbe che si possa intravedere la procedura 1seguente: una ripresa di contatti entro agosto tra MassigH e Rosso;

o conversazioni di Berthelot con me, o comunicazioni del Quai d'Orsay a de Beaumarchais per •Conversazioni a Roma; tutto dò in modo da prendere possibili delle conversazioni a Ginevra verso metà di settembre, tra V. E. e il signor Lavai e il signor Briand (se questi pure ve·rrà, dò che oggi può dirsi divenire probabile ma non essere sicuro, per ragioni di !salute), conversazioni dalle quali dovrebbe scaturire l'invito al signor Lavai di visitare S. E. il Capo del Governo a Roma nell'ottobre.

Salvo quelle istruzioni che V. E. credesse darmi, io mi limito ad ascoltare, favorendo con l'atteggiamento generale la riuscita di quell'incontro tra Capi di Governo e Ministri responsabili che porti essenzialmente a quel chiarimento largo e fiducioso che, ,senza legare la nostra politica ad un gruppo o sistema, diminuisca le difficoltà di origine settaria che sono state create e vengono fatte all'Italia, e ne consentano un sempre maggiore e più facile sviluppo nazionale ed internazionale.

l agosto 1931.

Ho visto oggi Berthelot per affidargli la comuni·cazione di V. E. pel signor Briand (2). Ho preso anzi l'occasione per aggiungere che interpretavo sicuramente il pensiero di V. E. pregandolo di chiedere a nome di V. E. anche notizie della salute del Presidente. Ha risposto che Briand soffriva d'insonnia, aveva bisogno di riposo; a Cocherel si era sentito subito meglio; alla fine di agosto riprenderà la sua attività ed a settembre sarà in piene forze a Ginevra.

Berthelot resta a dirigere il Ministero; non prende vacanze per ora. Mi ha detto che ha viJsto ieri il signor Lavai, il quale gli ha parlato della conversazione avuta meco.

La prima cosa da sistemare -ha detto -è la faccenda navale. Ho già fatto sc,rivere al signor Massigli (che è a Vichy) che fra 3 o 4 giorni dovrà tornare a Parigi perché vi è un suggerimento della nostra Marina che deve essere da lui studiato. Io, ha continuato, vado dicendo al Presidente Lavai (ed ora avrò occasione di vederlo quasi ogni giorno) che egli deve intervenire decisamente alla Marina 1se vuoi facilitare un'intesa... Tutta la faccenda sarà poi preparata per l'incontro di Ginevra.

Io ho ascoltato senza entrare in materia. Ma, come V. E. vede, il Quai d'Orsay... si avvia sulla strada burocratico-sciovinista... Vuoi dire che a Ginevra, a seconda della situazione, le conversazioni dirette provvederanno eventualmente a sbarazzare il terreno e ad elèvarlo a vedute larghe e realistiche.

(l) -Cfr. n. 409. (2) -Cfr. p, 650, nota 2.
418

PADRE TACCHI VENTURI AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI

tACS, Segreteria particolare del Duce, fase. Tacchi Venturi 404/R)

L. P. Roma, 1 agosto 1931.

Mi consenta innanzi tutto d1 darle il ben ritornato nell'Urbe (1). Domenica ebbi l'onore di riferire al Santo Padre quanto V. E. erasi compiaciuta di significarmi il giorno precedente alle 12,45 (2).

Ora attendo di comunicarle la dsposta di Sua Santità che persevera sempre animata dalle migliori intenzioni di non pretendere altro che il bene della Chiesa e dello stesso Regime, cosa raggiungibilissima, quando le intenzioni del Papa cospirino con quelle di V. E., come a me giova sperare con ogni più salda fiducia.

Sono quindi ai suoi cenni (tel. 65-131) (3).

419

L'AMBASCIATORE A PARIGI, MANZONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

L. P. Parigi, 2 agosto 1931.

La aridità del Berthelot nel colloquio di ieri ( 4) è stata veramente rimarchevole. Qualunque argomento che io imprendevo, cascava dopo una breve, concisa risposte:, data nella forma bertelottiana di poche parcle precise, vocalmente scandite: tac, tac, tac! E poi... Berthelot tace, e guarda l'interlocutore perché capisca che... è finito; o passare a un nuovo argomento o andarsene.

Gli domando: La salute di Briand? risponde: Sta meglio, non vi è mai stato nulla di grave; a fine agosto starà del tutto bene; a Parigi non dormiva più; a Cocherel dorme già bene; a settembre sarà a Ginevra. -Ecco tutto.

Poi mi dice che sapeva che io avevo visto il giorno prima il Signor Lavai, ma lo dice per precisarmi e concludere: Chiamerò Maissigli; bisogna anzitutto accomodare la faccenda navale: non è facile, ma si tenterà. Poi, per il resto... si parlerà a Ginevra in settembre.

Non una parola, non un accenno ad un viaggio di Lavai. Ecco tutto. Allora gli domando cosa pensa della situazione generale. Mi risponde: ... va ca~mandosi. Ma è la situazione finanziaria dell'Inghilterra che ora dà a pensare.

Io: L'accordo tra Banche è effettivamente concluso?

Lui: Si è concluso: l'operazione è di 20 milioni di :sterline.

Io: Mi è stato detto 50 milioni, non 20.

Lui: risponde indeciso, con tendenza a confermare la cifra di 20.

Io allora gli lascio un appunto circa le osservazioni fatte alla relazione Danielou dai nostri esperti: aggiungo poche parole di spiegazione e poi, non avendo più carbone, mi congedo.

Il tutto è durato 10 minuti appena.

Non so se mie predisposizioni mi portano a impressioni fallaci. Ma, esatta

o meno, voluta o no, è !stata ieri in me creata l'impressione che Lavai può pensare e dire quel che vuole... ma Berthelot e Briand (pel quale il primo ostenta da qualche tempo maggiore attenzione e deferenza dacché il vecchio è ammalato) faranno di tutto peil" far péredominare le loro vedute, ossia... nulla con l'Italia.

In questa povertà di luce, rifletto a quel che mi ha detto il signor Lavai:

• il fatto caratteristico è che la Francia non è ' demanderesse ' in nulla, mentre è l'Italia che è domandante :in tutto: la situazione sarebbe più facile se ciascuna avesse qualcosa da domandare... •. Mi chiedo se questa non è la sintesi di situazione che Berthelot ha impresso sul signor Lavai.

Occorrerà superare questo ostacolo Berthelot-Briand, ,che viene dalla Massoneria, di cui quei due signori sono, necessariamente, i devoti ed obbligati esecutori.

Le scriverò in proposito quando avrò più lungamente riflettuto.

(l) -Il 24 luglio Mussolini aveva ricevuto Tacchi Venturi che gli aveva letto un messaggio del Papa (cfr. MARTIN!. op. cit., pp. 157-160; parzialmente riprodotto in P. ScoPPOLA, La chiesa e i! fascismo, Bari, 1971, pp. 276-279, e cit. in DE FELICE, Mussolini, pp. 247-268). (2) -Il 26 luglio era avvenuto un secondo colloquio fra Mussolini e Tacchi Venturi (cfr. MARTIN!, op. Cit., pp. 161-162). (3) -Appunto a margine: « Domani lunedì 3 agosto ore 18,30 ». L'udienza ebbe infatti luogo (cfr. MARTIN!, op. cit., p. 163; e ibid., p. 164, per due lettere di Tacchi Venturi a Mussolini del 4 e 5 agosto). (4) -Cfr. n. 417.
420

APPUNTO DEL CAPO GABINETTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRIGI (l)

(Copia)

[Roma], 3 agosto 1931.

[S. -E. il Capo del Governo] ritiene che l'incontro col Re di Jugoslavia -che avrebbe carattere sensazionale -debba aver luogo dopo che sia stato péreparato il terreno, specie per quanto concerne l'Albania. S. -E. il Capo del Governo ha detto che questo incontro come quello col Sig. Lavai, non può che aver carattere conclusivo. Ha aggiunto che ad una nostra intesa con la Jugoslavia è favorevole, ma che debbono essere prima risoluti i problemi osistenti. S. -E. il Capo del Governo ha detto che si faccia venire a Roma lo Jeftic (che avrebbe cattivi precedenti nei nostri riguardi durante la guerra) e che egli parli col Ministro degli Esteri.

L'incontro ·col Re di Jugoslavia potrebbe poi aver luogo a fine di settembre-pr-incipio ottobre, e S. E. il Capo del Governo potrebbe ospitarlo in un Castello in Alta Italia.

(l) L'appunto è stato redatto evidentemente dopo la lettura da parte di Mussolini del rapporto di Malagola Cappi (cfr. n. 416). L'appunto fu visto da Mussolini.

421

APPUNTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, SUL COLLOQUIO CON L'AMBASCIATORE DI GERMANIA A ROMA, SCHUBERT

(Archivio Grandi)

Roma, 4 agosto 1931.

Ci mettiamo d'accordo sul programma della visita del Cancelliere Bruening e Curtius a Roma nelle giornate di venerdì e sabato.

Quando spiego a von Schubert che è necessario, se è nell':intenzione del Cancelliere Bruening di visitare il Pontefice, che la visita ufficiale al Governo italiano abbia fine prima della visita di Bruening al Pontefice, von Schubert mi comunica molto imbarazzato che il Papa ha fissato l'udienza per le ore l 7 di sabato, ma che ad ogni modo egli si rende conto del punto di vista del Governo italiano, e che d'altra parte il Cancelliere gli aveva dato istruzioni di concordare preliminarmente col Governo italiano tutte le modalità relative alla sua visita al Pontefice in modo che nulla vi fosse di sgradito da parte del Governo italiano. Egli von Schubert avrebbe pensato a richiedere al cardinale Pacelli che fosse fissata un'altra ora nel pomeriggio, in modo che la visita al Governo italiano potesse avere termine colla colazione di sabato all'Ambasciata tedesca. Avendomi von Schubert chiesto :se avevo obiezione a che egli invitasse a colazione il Nunzio nella sua qualità di decano del corpo diplomatico, io gli ho risposto che non avevo obiezioni di sorta essendo il Nunzio un rappresentante di uno Stato Estero regolarmente accreditato presso la R. Corte. Ho tuttavia fatto compren-· dere dopo, per via indiretta, a von Schubert che tale invito non era affatto necessario. Il Nunzio non sarà quindi a colazione.

422

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO A L'AJA, SENNI

T. u. RR. 83~/43. Roma, 5 agosto 1931, ore 23.

Suo telegramma n. 48. Invio per posta documenti più interessanti del voluminoso incartamento relativo trattative !taio-Austriache del 1922 (l) e cioè:

• unione fu offerta e non accettata dall'Italia ripetutamente sollecitata •.

l) Verbali del Convegno di Verona fra Ministro Schanzer e Cancelliere Seipel; 2) testo del comunicato ufficiale dato alla stampa il 25 agosto 1922 per annunciare risultati del convegno; 3) telegramma in data 12 giugno del R. Ministro a Vienna circa prime aperture fatte da Cancelliere Austriaco per patto con Italia; 4) telegramma in data l settembre del R. Ministro a Praga.

Questi documenti confermano in modo ineccepibile osservazione già fatta da Pilotti e cioè che iniziativa dell'offerta d'unione venne presa dall'Austria. Dimostrano pure che Governo italiano del tempo, pur non rifiutandosi di prendere in esame proposte austriache, ha sempre subordinato sua attitudine definitiva alle decisioni della Società delle Nazioni, dichiarando, anche che non intendeva di agire se non d'accordo con i Gabinetti Esteri interessati. Fatto poi che trattative continuate dopo convegno di Verona non portarono ad alcuna conclusione, dimostra che Governo italiano seppe rendersi conto dei turbamenti che conclusione di un accordo come quello desiderato dall'Austria poteva provocare nelle relazioni politiche europee e volle evitarli rinunciando a dar corso alla iniziativa suggerita dall'Austria. Questa rinuncia indipendentemente da qualsiasi negoziato che possa averla preceduta mi sembra debba costituire agli occhi della Corte fatto essenziale.

(l) La documentazione era stata chiesta, con tel. del 4 agosto, da Pilotti il quale il giorno precedente, controbattendo le affermazioni dell'agente austriaco, aveva detto che

423

L'ADDETTO AEREONAUTICO A PARIGI, PICCIO, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI

(Copia) (l)

L. R P. Roma, 5 agosto 1931..

Ho l'onore di comunicare a V. E. che, come da autorizzazione avuta, appena

di ritorno a Parigi (28 luglio) mi sono intrattenuto col Ministro sig. Flandin sui

noti argomenti e colle direttive avute da V. E.

Il Ministro sig. Flandin ne ha minuziosamente informato il sig. Lavai ed

ecco quanto, tre giorni dopo (31 luglio) mi è stato da lui risposto per essere

comunicato a V. E.

Il sig. Lavai è perfettamente del parere di V. E. che un incontro sarà utile

soltanto allorché gli accordi tra i due Paesi saranno su buona strada. È d'avviso

però, che eventuali difficoltà di dettaglio potrebbero ottenere certa soluzione

in conversazioni dirette tra V. E. e Lui anche prima che l'accordo definitivo sia

stato raggiunto.

In ogni modo egli attenderà un invito ufficiale di V. E.

Egli considera Italia e Francia i due soli Paesi di ordine in Europa --è

convinto quindi della opportunità dell'intesa fra loro e nutre la speranza che tali

accordi possano essere rapidamente definiti, prima possibilmente della riapertura, in ottobre, delle Camere francesi.

Il sig. Lavai è ugualmente del parere di V. E. sui pericoli sociali di un aggravamento della crisi attuale e si sente molto vicino a V. E. perché, anche lui, ha vissuto politicamente a contatto con le masse dei lavoratori.

Per quanto riguarda H metodo da seguire, via diplomatica o conve11sazioni private, egli non ha ancora una idea precisa al riguardo.

Il sig. Briand è partito per una abbastanza lunga convalescenza ed egli, pur volendo occuparsi personalmente della questione, non ha avuto tempo di prendere conoscenza dei dossiers esistenti. Per questa ragione non può subito pronunciarsi sulle 4 questioni che, su direttive della E. V., io gli avevo sottoposto.

Il sig. Flandin mi ha dato però su esse il suo parere, ed io credo che tali siano ~le idee di Lavai il quale non ha creduto di immediatamente pronunciarsi.

l) Statuto Italiani in Tunisia. Flandin ritiene che su tale questione, benché delicata, l'autorità del sig. Laval potrà trionfare delle difficoltà. Flandin mi ha detto che il maggiore oistacolo è rappresentato dalla Commissione per gli Affad Esteri del Senato, i cui componenti sono tutti a noi nettamente ostiU. Ripeto, Flandin ritiene che Lavai riuscirà a farci dare soddisfazione. Comunicherò a V. E. i nomi dei componenti la suddetta Commissione.

2) Compensi coLoniali. L'Italia, ha detto Flandin, ha avuto neHa sua storia un uomo insigne che non può eSisere dimenticato: Machiavelli. Perché, si domanda la Francia, l'Italia tiene talmente ad ottenere i territori reclamati fino al Tibesti, mentre, ancora per una sua ultima esplorazione, essa si è convinta che tali territori non hanno alcun va,lore? Le ragioni addotte non sembrano sufficienti e ciò può far piuttosto supporre che l'Italia abbia nel ,suo programma l'estensione della sua dominazione nell'Africa centrale sui ,po1s1sedimenti attualmente francesi. Questo soltanto giustificherebbe l'insistenza in tale direzione. La Francia ,riconosce di dover dare soddisfazione su questo punto all'Italia, ma desidererebbe farlo in altro campo. Sarebbe accetto, ad esempio, all'Italia che la Francia si impegnasse a !asciarle mano libera in Abilssinia? In ogni modo, su questo o su altro, la Francia è pronta a trattare.

3) Accordi doganali e scambi di capitale e lavoro. Flandin mi ha detto che quale Ministro delle Finanze egli tratterebe personalmente tale questione -di considerarla quindi come risolta.

4) Questione navale. Su questo argomento il sig. Flandin si è molto dilungato. Egli mi ha detto che non è il Ministro della Marina che solleva Ie maggiori difficoltà, ma bensi il Ministro della Guerra sig. Maginot.

Maginot, mi ha detto Flandin, è sicuro della guerra tra Francia e Germania a breve scadenza e vi si prepara attivamente.

Appunto anche .per questo sarebbe felice di un accordo tra l'Italia ed il suo Paese, accordo che lo rassicurerebbe molto. Domanda quindi all'Italia che se ella non ha impegni con la Germania, non sostenga le tesi tedesche sul di:sarmo e sulla revisione dei trattati, tesi sulle quali la Francia, per necessità di difesa, non può ammettere la discussione.

Flandin mi ha detto che in caso di accordo la Francia sarebbe felice di poter sottoscrivere con l'Italia un accordo di massima per lo " statu quo , mediterraneo, impegnandosi a fare immediatamente cessare l'agitazione anti-italiana in Jugoslavia.

'

Questo in ria~sunto il mio ultimo colloquio.

(l) L'originale: è conservato nell'Archivio di Grandi, a cèl; Mussolini lo trasmise. Il tocumento è cit. in DE FELICE, Mussolini, p. 397.

424

IL SENATORE SCHANZER AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

(ACS, Carte Schanzer, busta l, fase. 11)

L. P. Roma, 6 agosto 1931.

Ho letto sulla Tribuna che nella discussione sull'unione doganale aush·o·

germanica davanti alla Corte dell'Aja, l'agente austriaco signor Raufmann ha

affermato che • le formule del Protocollo di Ginevra del 1922 derivavano certa

mente dal progetto antecedentemente discusso nello stesso anno fra l'Italia e

l'Austria •; che, dopo ciò aicuni membri della Corte hanno richiesto all'agente

austriaco che documenti questa sua affermazione; che l'agente austriaco ha rispo

sto avere affermato ciò in base ad informazioni avute dal Governo di Vienna;

che è stato stabilito che l'agente austriaco, che dovrà dimOfsirare con documenti

l'esattezza della sua informazione, e l'agente del Governo italiano forniscano

alla Corte le opportune infmmazioni in merito, chiedendole ai rispettivi Go

verni (1).

Io non so comprendere che cosa abbia voluto dire il Raufmann con la sua

affermazione che, secondo me. non ha nessun fondamento. Le proposte fatte dal

Cancelliere Seipel a Verona furono molto generiche, tanto generiche da appa

rire più che altro come un gesto dim~strativo per richiamare l'attenzione sulle

condizioni catastrofiche dell'Austria. È da notare, poi, che prima che a Verona,

il Seipel era stato anche a Berlino e a Praga dove aveva fatto le stesse proposte.

E, come appare dai due verbali delle mie conversazioni col Seipel che esistono

al Ministero degli Esteri, egli non si peritò di dichiararmi molto candidamente

• che il popolo austriaco pensa in prima linea all'unione ·con la Germania • e che • l'unione doganale e monetaria dell'Austria con l'Italia incontrerebbe dif

ficoltà in Austria, sia per la questione dell'Alto Adige, sia perché una parte del popolo austriaco non desidera soluzioni che potrebbero ostacolare un giorno l'unione con la Germania che è l'ideale dell'avvenire •. Il che significa, dunque, che l'Italia doveva servire di comodino all'Austria per salvarla dalla rovina, in attesa che maturasse l'Anschluss alla Germania. Aggiunse anche il Seipel di dubitare se l'Italia avrebbe avuto la forza politica necessaria per imporre la divisata unione alle altre Potenze e non nas·cose che l'unione doganale presentava gravi difficoltà.

È inutile che io ricordi qui le mie risposte al Cancelliere che risultano dai menzionati verbali. Dirò solo che dovetti ricordare preliminarmente che la Conferenza di Londra fra le Grandi Potenze che aveva avuto luogo poco prima del Convegno di Verona, aveva deferito la soluzione del problema austriaco alla Società delle Nazioni, il che ostava a qualunque immediata deliberazione sulle p!"oposte Seipel che dovevano, ad ogni modo, essere e,3aminate ,sotto l'aspetto tecnico. Dichiarai, poi, ·che l'Italia si sarebbe opposta tanto all'Anschluss dell'Austria alla Germania, quanto al.l'entrata dell'Austria in una confederazione danubiana. Per quel che riguarda l'Alto Adige, dichiarai che la quistione era chiusa per sempre, che il Governo austriaco su questo punto doveva assere assolutamente esplicito e doveva combattere nel modo più reciso qualunque tendenza in questo senso, se voleva conservare la nostra amicizia. Conchiusi di non rifiutarmi allo studio del problema prop01sto dal Cancelliere, ma non poter prendere impegni di .sorta, visto che • il discorso del Cancelliere aveva avuto un carattere espositivo e non aveva messo capo a delle proposte concrete •.

Gli studi tecnici, poi, condotti a Roma dai Ministri del Tesoro, delle Finanze, dell'Industria e Commercio misero in evidenza le enormi difficoltà ed i pericoli per la Finanza e l'economia italiana di un'unione doganale e monetaria con un paese nelle catastrofiche condizioni dell'Austria. Mentre si svolgeva l'esame tecnico a Roma, si riunì 1a Società del1e Nazioni e diede alla questione austriaca la soluzione rappresentata dal Protocollo 4 ottobre 1922. E sulla nostra energica richiesta, fu riconosciuta la prevalenza dei nostri interessi in Austria, affidando all'Italia la presidenza della CommiSJsione di Controllo sulle finanze austriache.

Ora, quel che può maggiormente interessare nei riguardi del dibattito che si è svolto adesso all'Aja, è un'esplicita dichiarazione del CancelHe·re Seipel, risultante dal 2" verbale delle conversazioni di Verona. Egli si espresse, infatti, così: • Siamo d'accordo che il problema austriaco sia mandato davanti alla Società delle Nazioni per ottenere i crediti necessari. In secondo luogo, circa l'unione doganale e monetaria, siamo d'accordo che simili unioni sono considerate politicamente possibili, a·l punto tale che i due Stati possano entrare in serie discussioni in propolsito. Le decisioni in questa materia dovranno essere prese dopo le decisioni della Società delle Nazioni •.

Dunque, non solo nel discorso di Ginevra del 6 settembre 1922, ricordato dall'amico Scialoja, ma anche a Verona il Cancelliere Seipel riconobbe la competenza della Società delle Nazioni.

Ho voluto richiamare su ciò la tua attenzione, per l'importanza che la cosa può avere in rapporto alla nostra tesi attuale.

(l) Cfr. n. 422.

425

APPUNTO DEL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI, SUL COLLOQUIO CON IL CANCELLIERE TEDESCO, BRUENING (Archivio Grandi)

7 agosto 1931.

Bruening -Dopo alcuni convenevoli di cortesia e di ringraziamento entra nella questione. Traccia un quadro della situazione tedesca dal punto di vista economico, ancora grave e quindi della necessità in cui il Governo tedesco si è trovato di adottare draconiane misure per evitare il diffondersi del panico. Le conferenze di Parigi e di Londra pur non avendo condotto a risultati pratici hanno dato un po' di respiro alla Germania, ma tutto ciò è di breve durata se decisioni definitive non interverranno. Il Governo tedesco non ritiene possibile che una politica: quella della collaborazione fra le principali Potenze d'Europa, dato il carattere universale della crisi, quindi una collaborazione anche colla Francia. Viaggio a Parigi, prima di Londra e offerta di un aiuto francese previa accettazione di talune condizioni esposte non in forma ufficiale, ma ufficiosa. Bruening dice che la unanimità del popolo tedesco le avrebbe respinte. Bruening ritiene concordando con quanto ho scritto, che una moratoria di un anno sia insufficiente dato lo stato dell'Europa. Il piano di Hoover non può essere che l'inizio di un più diretto intervento dell'America nelle faccende europee, ma occorre che la politica di leale collaborazione sia seguita da tutte le Potenze d'Europa.

Nell'intervallo dovrà essere riesaminato il piano Young, il quale impone al popolo tedesco, carichi che, nelle attuali condizioni, non può assolutamente sopportare.

Una questione che interessa grandemente il popolo tedesco è la conferenza del disarmo. È evidente che l'ulteriore intervento degli Stati Uniti nella risoluzione dei problemi europei, è legato alla convocazione della conferenza e ai suoi risultati.

In una sconda parte della sua esposizione il Bruening ha parlato della Russia che dovrebbe essere trattata alla stregua degli altri Stati, unico mezzo per immetterla nel cerchio dell'economia capitalista occidentale e delle unioni doganali

o agguagliamenti doganali che senza avere punte dirette contro terzi potrebbero costituire il nucleo di più vaste intese dirette a razionalizzare l'economia europea.

Il Bruening si è tenuto su considerazioni di ordine generale e non ha pronunciato né il nome dell'Austria, né quello dell'Aja, né quello di Scialoja. Il Bruening che ha molto insistito sulla situazione economica ed ha avuto un solo accenno di politica interna tedesca quando ha detto che la crisi sociale determina la confusione delle idee e dei partiti e che i nazional-socialisti non hann J un programma, il Bruening non spera molto dal Comitato di esperti che sta pec riunirsi a Basilea. Tuttavia, ha aggiunto, si vive di speranze. Il Bruening ha accennato al fatto che la crisi sociale, spinge verso il bolscevismo anche le classi intellettuali ed economicamente non proletarie. In conclusione ha detto

che se si vuole fare, bisogna fare presto. Il Bruening mi ha detto che Lavai and!·à a Berlino entro il mese, ma che spera di incontrare nell'occasione anche Briand. All'atto del congedo, gli ho detto che bisogna agire per smuovere l'abulia inglese. Egli lo ha ammesso, dicendo che solo MacDonald ha dell'iniziativa.

426

APPUNTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI (l)

(Archivio Grandi)

Bruening -Ringrazia Mussolini per aver accolto la sua proposta di recarsi a Roma per incontrarsi con Lui e ripete la gratitudine del Governo e del popolo tedesco per l'attitudine assunta dall'Italia nelle questioni delle riparazioni, del disarmo, dell'iniziativa Hoover. Ritiene sommamente utile la frequenza degli incontri e dei contatti diretti fra gli Uomini responsabili della politica europea. Parla dell'incontro anglo-tedesco ai Chequers e di quello successivo franco-tedesco a Parigi. Il nuovo incontro franco-tedesco a Berlino avverrà probabilmente alla fine dell'attuale mese. Bruening ha invitato Lavai per il 25 agosto, spera che le condizioni di salute di Briand permettano al Ministro degli Esteri francese di recarsi a Berlino. Spiega a lungo la situazione critica in cui si trova la Germania. La Germania non ha bisogno di crediti a lunga scadenza, ma ha bisogno di un consolidamento degli attuali crediti a breve scadenza ed in genere di un ambiente generale di fiducia che le permettano una graduale ripresa economica e finanziaria. Bruening ha accettato volentieri l'invito di Lavai di recarsi a Parigi perché egli ritiene utile, nell'interesse della Germania e dell'Europa, di tentare tutto il possibile per un riavvicinamento franco-tedesco. Egli non ha tuttavia potuto accettare le condizioni poste dai francesi a Parigi in corrispettivo del prestito a lunga scadenza che i francesi sono disposti di fare alla Germania. Tali condizioni politiche consistevano nella sospensione della costruzione del secondo incrociatore da 10.000, nell'impegno da parte tedesca di rimettere in vigore il piano Young, non appena spirata la moratoria Hoover, nell'impegno di rinuncia all'Unione doganale austro-tedesca, nell'impegno formale di rinuncia al diritto di valersi per la durata di dieci anni della facoltà prevista dall'art. 19 del Patto della S.d.N., ed infine nell'impegno di adottare una politica di misure severe contro l'Associazione degli Elmi di Acciaio e le Associazioni nazionalistiche tedesche in genere. Ciò nonostante Bruening spera che attraversç> i contatti e gli incontri futuri un processo di opportuna chiarificazione nei rapporti fra i due Paesi potrà raggiungersi.

Bruening ha parlato quindi del disarmo, della necessità che la Conferenza non sia ritardata, che abbia dei risultati positivi. Ha criticato aspramente la politica della Francia inorgoglita dalla sua ,potenza militare, finanziaria e politica. Ha insistito sulla necessità di una collaborazione fra le 4 maggiori Potenze

europee, perché tutti i problemi interessanti il presente e l'avvenire dell'Europa siano esaminati con spirito di giustizia e di reciproca comprensione. Parlando della riunione del Comitato dei banchieri prevista dalla Conferenza di Londra ha detto che tale Comitato finirà col redigere un rapporto che sarà presentato a Mac Donald quale Presidente della Conferenza di Londra. Ciò permetterà a Mac Donald di riunire di nuovo la Conferenza di Londra e ciò forse permetterà un riesame più profondo della situazione quale avrebbe dovuto farsi, e non fu fatto, nella passata Conferenza di Londra. Accennando alla crisi economica europea Bruening ha insistito sulla necessità di vaste intese economiche e sulla utilità dell'allargamento dei mercati. Circa la Russia ha dichiarato sarebbe utile una intesa fra le varie Potenze, fra cui l'America, per disciplinare di comune accordo, crediti da concedersi alla Russia per forniture.

Mussolini -Esprime la sua soddisfazione per la visita del Cancelliere e del Ministro Curtius a Roma. Constata che la politica tedesca e la politica italiana procedono per quanto si riferisce ad alcune importanti questioni, su vie parallele, ed in un certo senso, convergenti. Quest'azione parallela secondo criteri comuni non ha altro scopo se non di contribuire alla soluzione integrale dei problemi europei e a creare vincoli il più possibile duraturi fra tutte le Nazioni d'Europa. Occorre non scoraggiare l'America della sua nuova politica. È stato un grande errore da parte di certe Potenze europee quello di mettere ostacoli all'applicazione della proposta Hoover. Ciò potrebbe determinare un ritorno, da parte dell'America, alla sua vecchia politica di isolamento. La Francia fa troppo la politica dell'egoismo e della paura. Anche l'Italia è pronta a collaborare con la Francia ma occorre che l'eguaglianza giuridica e politica fra le varie Potenze sia prima assicurata. Collaborare quindi su un piede di parità. Ritiene che la moratoria Hoover di un anno debba essere prolungata a cinque ed a dieci anni. Per quanto riguarda la questione delle riparazioni Egli è sempre del parere che si debba andare gradualmente alla soluzione integrale del problema, cioè alla cancellazione di esso. Il problema, tuttavia, non è né di facile né di rapida soluzione. Circa la questione del disarmo l'Italia ha già preso da tempo la sua strada. Occorre fare ogni sforzo chè la Conferenza del Disarmo porti qualche risultato concreto. Un '.insuccesso significherebbe indubbiamente una ripresa alla rincorsa degli armamenti, una delusione profonda nel campo morale che accoppiata alla crisi economica potrebbe determinare sconvolgimenti sociali imprevedibili. La crisi economica non è arrivata ancora al suo punto massimo. L'inverno prossime' sarà difficile per tutti i Paesi. L'anno 1932 dovrebbe segnare una graduale ripresa nel campo economico, ·politico generale. Occorre che le quattro grandi Potenze europee si mettano di accordo, esaminino insieme i vari problemi e procedano d'intesa.

Dopo questo primo colloquio di venerdì a Palazzo Venezia durante il quale hanno parlato quasi esclusivamente il Cancelliere Bruening e il Capo del Governo vi è stato nel pomeriggio di venerdì e nella giornata di sabato una serie di incontri durante i quali alcuni problemi genericamente accennati nella conversazione di venerdì fra i due Capi di Governo sono stati esaminati più dettagliatamente.

Ho ripreso con Curtius l'argomento del disarmo e della proposta di vacanza navale già discussa con Stimson. Curtius mi ha indicato più esplicitamente quali

sono le intenzioni del Governo tedesco per la prossima Conferenza del Disarmo. Tali intenzioni risultano, del resto, dai promemoria rimessi dal Governo tedesco nei trascorsi giorni al Governo italiano. Curtius mi ha promesso che me ne manderà altri ancora. Egli ha insistito domandandomi di dirgli il mio parere con franchezza su quella che a mio avviso dovrebbe el!sere l'attitudine tedesca. Ho risposto concordando con lui non essere forse possibile per la Germania di esimersi dal portare la Conferenza a questioni di principio. La Germania doveva evitare tuttavia di presentarsi come la Potenza che domanda la revisione delle clausole militari dei Trattati di Pace, della facoltà cioè di armarsi come gli altri Paesi. Tutta la sua forza morale e politica sarebbe compromessa. La Germania viene invece a presentarsi come la Potenza che essendo la sola ad avere eseguito le clausole del Trattato ed un effettivo disarmo domanda agli altri Paesi di adempiere al fine gli obblighi contratti con la firma dei Trattati di Pace nei quali il disarmo della Germania è chiaramente definito come il principio di esecuzione del disarmo· per tutti i Paesi. La Germania può quindi presentarsi come la Potenza che difende in questo campo la lettera e lo spirito dei trattati. Fatta la questione di principio è più che naturale che l'applicazione di esso non possa essere se non graduale. Si determinerebbe in caso contrario un irrigidimento da parte del gruppo francese che porterebbe diritto al fallimento della Conferenza. Occorre trovare quindi dei punti di applicazione intermedia dei principi generali. Curtius e anche Bruening mi hanno dichiarato che concordano sulla necessità di una applicazione graduale e si rendono conto delle gravi difficoltà da superare. Tanto Bruening che Curtius mi hanno confermato la loro opinione che bisogna andare assai guardinghi e .prudenti colla Francia dove esistono delle correnti militariste che pensano effettivamente all'utilità di una guerra preventiva ed altre simili disastrose avventure. Bruening e Curtius credono nella buona volontà pacificatrice di Briand ma preferiscono all'ottimismo inconcludente del vecchio uomo di Stato .francese ,la politica semplice e diritta di Lavai col quale essi sperano in un giorno più o meno prossimo, di potersi intendere nel campo politico e nel campo economico. Ho spiegato lungamente a Bruening e Curtius le ragioni, già dette a Stimson, per cui ritengo benefico ai fini dei risultati della Conferenza del Disarmo un accordo preventivo fra i Governi ·per una vacanza nelle costruzioni navali. Bruening e Curtius, ambedue, mi hanno dichiarato essere in massima favorevoli a questa proposta, della quale hanno parlato molto in generale con Henderson e Stimson. Henderson pretendeva che la Germania rinunciasse alla costruzione del secondo incrociatore-corazzato da 10.000 e di presentare questa wspensione come una concessione fatta direttamente alla Francia. La Germania non poteva e non può accettare ciò: anzitutto il secondo incrociatore trovasi già ln cantiere per cui parlandosi di vacanza navale non si potrebbe se non riferire all'incrociatore • C • progettato per l'anno 1932. In secondo luogo la Germania è pronta ad una vacanza degli armamenti navali ma non sul terreno di concessioni dirette alla Francia bensì come eventuale partecipazione ad una linea adottata di comune accordo da tutte le Potenze navali. Bruening mi ha detto altresì di essere pronto a fare riduzioni notevoli delle spese già impostate nei bilanci militari in genere se questo criterio sarà comunemente adottato, e se il criterio della vacanza mrà esteso dal campo navale agli altri armamenti. Siamo rimasti intesi di tenerci

in contatto su questo problema, di scambiarci vicendevolmente tutte le notizie utili in proposito. Ho ripetuto a Bruening e Curtius che qualora fosse possibile raggiungere un accordo preliminare di questo tipo fra America e Inghilterra, Italia e Germania ben difficilmente la Francia potrebbe volente o nolente sottrarvicisi.

Bruening e Curtius mi hanno confermato a più riprese la delusione patita da Stimson durante il suo soggiorno a Parigi e nel periodo della Conferenza di Londra. Essi ritengono il soggiorno a Berlino lo abbia un poco incoraggiato nuovamente, ma occorre fare ogni sforzo, ad ogni modo, perché la politica americana si mantenga sulla strada tracciata ultimamente da Hoover. Bruening e Curtius mi hanno confermato che da parte di MacDonald e di Henderson si è ormai persuasi della necessità di andare sollecitamente a definizione del problema dei debiti e delle riparazioni. I colloqui e gli incontri fra MacDonald e Stimson in !scozia in questi giorni riguarderanno precisamente tale argomento. Si tratta di vedere fin dove intenda arrivare l'America, e possa affrontare le difficoltà con la Francia. Bruening e Curtius sono tornati nuovamente sul tema degli accordi economici ed hanno espresso a varie riprese il desiderio che l'Italia prenda parte attiva alla preparazione di queste intese per le quali, a quello che mi è parso, esiste già un preventivo accordo di massima fra i tedeschi e gli inglesi. Bruening e Curtius hanno invitato gli esperti italiani a recarsi prossimamente a Berlino dove pure si troveranno gli esperti inglesi. Abbiamo accettato. L'On. Jung, il Comm. Anzilotti si recheranno a Berlino per il 18. Per lasciar tempo agli esperti dei tre Paesi di studiare il problema, siamo rimasti d'accordo con Curtius di domandare la proroga di una settimana della riunione della Sottocommissione economica che doveva riunirsi a Ginevra precisamente il 18 p.v.. Bruening ha anche in3istito col Capo del Governo sull'utilità di una collaborazione italo-tedesca nei mercati del sud-est europeo.

Si è infine parlato dell'Atto Generale di Arbitrato. La Germania teme, dando la sua adesione, di sottoscrivere ad un Atto che le impedisca in seguito di riprendere la sua azione della revisione dei Trattati. Ho risposto a Curtius che con la formulazione di opportune riserve mi sembra che l'inconveniente possa venire eliminato. Siamo rimasti d'accordo che io gli farò avere al più presto possibile le riserve che saranno definitivamente formulate dal Governo italiano, onde dar modo ai giuristi tedeschi di studiarle. Ne parleremo quindi assieme la prima settimana di permanenza a Ginevra prima dell'Assemblea della S.d.N. (1).

(l) La prima parte dell'appunto si riferisce alla conversazione avvenuta a Palazzo Venezia il 7 agosto fra Mussolini e Brtining, presenti Curtius, Grandi e Schubert. La seconda parte dell'appunto si riferisce agli altri contatti avuti da Grandi con Curtius e Brtining il 7 e 1'8 agosto. Si inserisce sotto questa data.

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L'AMBASCIATORE AD ANGORA, ALOISI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. PER CORRIERE 2469/223. Angora, 8 agosto 1931 (per. il 12).

Secondo notizia che mi è stata comunicata a titolo confidenziale, e che ho ragione di ritenere ben fondata, questo Min~stro degli Esteri durante il suo

(Archivio Grandi).

ultimo soggiorno a Ginevra avrebbe preso col Sig. Henderson degli accordi precisi circa l'entrata della Turchia nella Società delle Nazwni alle condizioni seguenti:

Il Ministro degli Affari Esteri inglese si sarebbe impegnato di appoggiare la candidatura ad un seggio semi permanente a turno in favore della Turchia, Bulgaria e Grecia, solo quando queste ultime due Potenze avranno ,raggiunto tra di loro il noto accordo sulle questioni pendenti.

Tale notizia portata per controllo alla ,cono1scenza di Tewfik Ruscdy bey e di questo Ambasciatore d'Inghilterra non è stata da loro smentita.

Pertanto poiché essa è in contrasto assoluto con gli impegni presi da Tewfik bey con me, secondo i quali per ben tre volte egli si è impegnato (vedi rnio telespresso N. 540/19 del 6 marzo u.s.) a comunicarmi tempestivamente quaLsiasi suo progetto d'azione nei Balcani, mi pr·opongo di recarmi da questo Ministro degli Affari Esteri appena sarà di ritorno per le rimostranze e le chiarificazioni del caso.

Metterò specialmente in rilievo l'aiuto che V. E. ha sempre prestato per mio mezzo al desiderio societario del Governo turco che gli imponeva l'obbligo di informarmi altre:sì di qualsiasi passo per facilitare l'entrata della Turchia nella Società delle Nazioni.

Riferirò (1).

« Mi ha fatto intendere, ... senza pur dirmelo, che Mosca terrebbe a che i rapporti itala-turchi venissero rinforzati e che da essi scaturisse un accordo sul tipo di quello firmato fra Tefik e Karakan. Non ho raccolto l'allusione per essere più libero nel mio operato, ma per contro ho messo il mio collega al corrente delle ultime tendenze della politica turca. Gli ho comunicato la notizia contenuta nel mio telegrHmma n. 223 dell'8 corrente per dirgli che avevo l'impressione che nelle linee genera!' della politica internazionale, la Turchia. pur non volendosi emancipare dalle grandi direttive della politica comune itala-turco-russa. manifestava qualche velleità d'indipendenza dovuta piuttosto al temperamento di f!Uesto Ministro degli Affari Esteri che bisognava pert~nto sorvegliare, e gli ho detto che conveniva insieme chiarire questo stato di cose, per garantirci contro ogni sorpresa. Gli ho poi descritto la nuova crisi di xenofobia che traversa questo Governo, citandogli i vari casi

a noi occorsi, e soprattutto la strana condotta di questo Governo circa la questione degli

isolotti dell'Egeo... ; ed erli convinto della necessità che tutte codeste questioni debbanu essere regolate al più presto mi ha detto che farà spontaneamente del suo meglio per convincere questi dirigenti ad addivenire ad una migliore valutazione della situazione sia nella politica estera che in quella interna. Come risultato di questa conversazione abbiamo deciso "he in tale lavorio procederemo d'accordo, e al riguardo ci recheremo a Yalova per parlare col Presidente del Consiglio, Ismet pascià ».

Cfr. anche una relazione sulla politica estera turca nel 1931, redatta dall'Ambasciata di Angora e data in visione a Grandi 1'11 gennaio 1932. Se ne pubblica il passo seguente:

• La politica balcanica turca ha per immediato obiettivo la costituzione dell'intesa greco-turco-bulgara, della quale essa si vuoi valere per prendere una posizione determinante nella Società delle Nazioni, ma non perde di vista il sogno di una predominanza sui Balcani per ottenere il quale giuocherà à tour de ròle sia sull'amicizia italiana sia su quella russa. Ciò significa che nello sviluppo della 8Ua politica balcanica, la Turchia non sarà aliena di venir ad un accordo con la Jugoslavia.

Intar..to da questo anno di esperienza, il Gabinetto di Angora per raggiungere i suoi fini societari, ha per la prima volta, nel decennio decorm di stretta amicizia ed unione alla politica russa, mostrato una velleità d'indipendenza dal Gabir:.etto di Mosca scostandosi dalle direttive di questa per assicurare la sua entrata nel Consiglio di Ginevra.

Quecto precedente ha per noi un interesse non privo di valore per la politica balcanica in quanto la Turchia nel perseguire il suo sogno di predominio sarà probabilmente portata al di là dei limiti asse~nati ad allontanarsi egualmente dalle direttive del Governo di Roma"· Con circolare n. 13 del 23 luglio il Ministero aveva richiesto alle rappresentanze all'estero l'invio periodico di una relazione riassuntiva sulla situazione del paese di residenza.

(l) Il 12 agosto Grandi scrisse a Henderson e Stimson due lettere Per metterli al corrente dei colloqui avuti con Briining· e Curtius. Dal canto suo Henderson aveva scritto a Grandi il 30 luglio informandolo dei risultati della visita in Inghilterra, ai Chequers, di Briining e Curtius

(l) Cfr. quanto riferiva Aloisi con telespr. 1904/783 del 10 agosto circa un colloquio con l'ambasciatore Suriz:

428

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO A BUDAPEST, ARLOTTA

T. 860/115. Roma, 9 agosto 1931, ore l.

Prego V. S.. informare subito personalmente il Conte Bethlen che la visita dei Ministri tedeschi a Roma si è svolta in modo assai cordiale e soddisfacente. Le nostre conversazioni (l) hanno avuto per oggetto principale la necessità della collaborazione internazionale basata !sulla reciproca fiducia che sola può offrire il modo di uscire dalle presenti difficoltà.

È esulato dai colloqui qualsiasi spirito di contrasto verso terzi, ma i tedeschi hanno insistito sulla assoluta impossibilità per e;s:si di ac,cettare una subordinazione a condizioni politiche dell'adozione di ·provvedimenti atti a risanare definitivamente la situazione finanziaria del loro Paese. Si è parlato con particolare ampiezza della questione del disarmo e si è concordemente riconosciuto essere indispensabile assicurare efficacemente successo prossima Conferenza.

429

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, ALL'AMBASCIATORE A PARIGI, MANZONI

D. R. 3122. Roma, 9 agosto 1931.

Ho ricevuto le varie Sue comunicazioni (2) concernenti ·i colloqui che Ella ha recentemente avuto col signor Lava! e col signor Berthelot. Superfluo dirLe che esse comunicazioni presentano particolare interesse anche ·Se perdura la diversità di ispirazione e di tono fra le dichiarazioni del Presidente del Consiglio e le reticenze del capo effettivo della politica del Quai d'Orsay.

Mentre resto in attesa delle ulteriori comunicazioni che V. E. mi annuncia colla Sua lettera del 2 agolsto, non voglio tardare a dirLe ·che malgrado tale divergenza non conviene abbandonare il filo off.ertoci dalle buone intenzioni ripetutamente manifestate dal signor Laval e quindi La prego di voler continuare a mantenere con lui quegli opportuni contatti che possano permettere a me di riprendere le conversazioni quando prossimamente avrò occasione di incontrarmi a Ginevra col Presidente francese.

Ciò soprattutto allo scopo di decidere allora se 'convenga o meno dar corso ad un eventuale incontro con S. E. il Capo del Governo anche prima che fossero messe su di una via risolutiva le ·conversazioni Halo-francesi.

Gioverà intanto, ·Come V. E. giustamente rileva, cercare in ogni modo di evitare che gli scambi di vedute, prima ancora di essere effettivamente dniziati,

venga~10 impastoiati nel terreno gretto e burocratico che sembra essere caro al Quai d'Orsay.

A tal uopo V. E. nei Suoi ulteriori colloqui col signor Lavai, vorrà fargli intendere come noi apprezziamo vivamente le intenzioni da lui manifestate, e condividiamo la speranza che la situazione tra Francia ed Italia possa eSisere prossimdmente chiarita. V. E. vorrà rammentare a tale proposito ciò che già io ebbi a dire al Presidente Lavai, e che ho comunicato a V. E. con dispaccio del 6 agosto 3097 (1), essere cioè il problema franco-italiano un problema che non può essere risolto attraverso lo !studio dei dossiers relativi a particolari questioni ma bensì nella sua complesstità e che una delle ,ragioni del disagio innegabilmente esistente nei nostd rapporti con la Francia consiste nella legittima inquietudine nata dalle amare delusioni patite per effetto dei Trattati di pace dopo la vittoria comune.

Condizione di un accordo sincero e duraturo, è dunque pur tsempre che l'Italia ottenga una soddisfazione che attenui inquietudini e delusioni e non ne faccia più, come ora, ricadere, nella pubblica opinione italiana, la colpa sulla cattiva fede degli alleati.

V. E. potrà anche dire, rispondendo al signor Lavai, che Francia e Italia sono bensì elementi di conservazione e di difesa sociale in Europa, ma che mentre la Francia ha ottenuto quanto era nei suoi desideri, e quindi ha innanzi a sé un solo problema di conservazione e difesa oltre che sociale, politico, l'Italia ha invece, per effetto della crescente popolazione, della piccolezza del territorio, della scarsità di colonie, un problema demografico. Risolverlo, sia pure in parte, non !sarebbe di grande vantaggio solamente per l'Italia.

Una prossima occasione di incontrarsi col sig. Lavai potrebbe essere data a V. E. dall'opportunità di informarlo della visita a Roma del Cancelliere Bruening e del Ministro Curtius. Le conversazioni ,che hanno qui avuto luogo tra i due Milllistri tedeschi con S. E. il Capo del Governo e con me (2) hanno avuto per oggetto le questioni di 'Carattere generale ,che interessano in questo momento la politica europea. Soprattutto si è ripetutamente parlato della necessità di quella collaborazione internazionale basata sulla reciproca fiducia che nell'attuale momento si dimostra il mezzo più sicuro per uscire dalle difficoltà. I Ministri tedeschi hanno fatto intendere che le soluzioni adottate a Londra non hanno per ~loro ,che un ,carattere provvisorio perché la situazione Germanica tende &d aggravarsi ed ha bisogno di essere affrontata in modo definitivo e radicale (3).

Nei riguardi della Francia essi hanno però manifestata l'inten~one di giungere ad un chiarimento ed hanno fatto ,comprendere ,che essi sperano nella politica semplice e diritta del signor Lavai. Da parte nostra essi sono stati incoraggiati in questa direzione (4).

Naturalmente si è parlato anche di disarmo, e poiché al Governo francese sono note le nOistre idee a questo .riguardo, V. E. può fare intendere al Presidente Lavai che nelle conversazioni di Roma si è affermata nuovamente la necessità di assicurare il ·successo della prossima Conferenza del Disarmo, poiché il suo fallimento costituirebbe un grave colpo per la politica di collaborazione e di pace e forse per l'esLstenza stessa della Società delle Nazioni.

Si è infine convenuto nell'opportunità che siano, specie nell'attuale situazione, continuati ed intensificati franchi ed aperti scambi di vedute fra gli uomini responsabili della politica europea e mondiale.

Circa l'invito fatto a S. E. il Capo del Governo di recarsi a Berlino di cui la stampa dà notizia, è opportuno che V. E. sappia, per Sua riservata conoscenza ma anche per opportuna Sua direttiva, che S. E. H Capo del Governo ha risposto ringraziando ed accettando l'invito, ma che nulla vi è di fissato in proposito e che con tutta probabilità la visita sarà da me restituita a Berlino in sua rappresentanza.

(l) -Cfr. nn. 425 e 426. (2) -Cfr. nn. 417, 419. (l) -Cfr. p. 655, nota 2. (2) -Cfr. nn. 425 e 426. (3) -In una prima minuta il testo a questo punto cosi proseguiva: <Mi hanno altresi ripetuto quanto avevano detto più volte precedentemente ossia l'impossibilità per essi di subordinare a condi~ioni politiche l'esame della situazione finanziaria tedesca ». (4) -Nella prima minuta anziché « in questa direzione • si legge <in queste speranze •·
430

IL MINISTRO A BUDAPEST, ARLOTTA, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. 2462/176. Budapest, 11 agosto 1931, ore 14,40 (per. ore 17).

Ho personalmente comunicato contenuto dell'assai opportuno telegramma di V. E. N. 115 (l) al Conte Bethlen il quale avendone preso nota col maggior intere1sse e compresane perfettamente la portata, mi incarica dei suoi più vivi ringraziamenti (2).

« Oltre gli ambienti finanziari soprattutto israelitici, hanno sferrato in questi giorni

attacchi palesi al Governo quelli più strettamente legittimisti. capitanati dai neo-deputati Conte Sigray e Marchese Pallavicini, i quali (mantenendosi per contro il vecchio Conte Apponyi in un più composto riserbo) non hanno esitato a proclamare dalla stessa tribuna parlamentare che la sola via di salvezza risiede ora, secondo loro, in un'aperta intesa con

la Francia, che, interessata al ri!)ristino di una monarchia austro-ungarica sotto imprecisata forma dì unione personale duale quale unico y.~os~ibile efficace diversivo all'Anschluss,

sarebbe disposta (essi lasciano anzi palesem201te intendere che da Parigi. ciò sarebbe stato

loro addirittura offerto) a tutelare non solo gli interessi finanziarii, ma anche quelli revisio

nistici dell'Ungheria, se al piano propugnato della restaurazione volesse darsi effetto...

Ho visto lungamente, proprio questa mattina, il Conte Bethlen...

Accennatogli da me francamente, sempre nella forma più amichevole, alle voci di imposizioni francesi che avevano trovata eco finanche in organi importanti della stampa estera, mi ha spontaneamente autorizzato a dichiarare nel modo più categorico e preciso che nessuna condizione poLitica gli era stata posta dalla Francia per il prestito, ed a confermare formalmente in suo nome a S. E. il Capo del Governo ed all'E. V., quanto già riferii aver egli dichiarato giorni or sono in parlamento, e cioè che, neanche per salvare una pericolante situazione economica, il suo Governo avrebbe accettato condizioni che menomassero la libertà sovrana politica e le legittime aspirazioni dell'Ungheria...

Per tutto ciò che concerne l'azione absburgica inscenata dai legittimisti, il Conte Bethlen, come anche mi riservo di riferire a parte, ritiene che non sia da considerare, almeno per il momento, una effettiva intesa di quelli con la Francia, e pensa, mi ha dichiarato egli spontaneamente, d'accordo col Reggente, doversi ancora attenere strettamente alla formula pubblicamente proclamata nell'ultima campagna elettorale, non trattarsi cioè ancora di "argo:nento cui debbasi dare carattere di attualità"».

(l) -Cfr. n. 428. (2) -Cfr. quanto lo stesso Arlotta comunicava con rapporto rr. 5627/702 dell'8 agosto:
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L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, DE VECCHI, AL NUNZIO APOSTOLICO PRESSO IL QUIRINALE, BORGONGINI DUCA (l)

[Roma, 11 agosto 1931].

Colla presente rispondo alla lettera di V. E. che reca la data del 28 giugno u.s. (2). È ,con viva soddisfazione, e tale sentimento mio, sarà certamente condiviso dal mio Goven1o, che prendo atto dell'affermazione contenuta nella lettera di V. E. e cioè che • Sua Santità desidera che il dissidio venga composto con una soluzione soddisfacente per ambo le parti e che a tale scopo è pronto pure ad autorizzare a norma dell'articolo 44 i suoi rappresentanti ,per una conversazione amichevole che valga ad eliminare al più presto le note difficoltà •.

Per quanto concerne le sanzioni da applicare ai responsabili degli incidenti avvenuti sulla fine del maggio ,scorso, posso .comunicare a V. E. che una ventina di procedimenti giudiziari sono in corso nei distretti giudiziari di Ancona, Catanzaro, Genova, Napoli, Roma, Venezia.

Nella lettera di V. E. si fa cenno del carattere delle riunioni di aprilemaggio dell'Azione Cattolica, ·per negare loro il carattere • segreto • che in realtà ebbero, tanto è vero che non 1se ne seppe nulla prima delle note pubblicazioni.

Che il signor De Gasperi, sia impiegato soltanto e non anche cittadino della Città del Vaticano, è questione di secondaria importanza ai fini dell'attuale dissidio. I precedenti del De Gasperi sono quello che sono.

Che il Comm. Ciriaci abbia fatto le dichiarazioni .riportate nella precedente nota è positivo, poiché il Sottosegretario agli Interni è incapace di simili invenzioni, ma anche questo è un particolare di scarso rilievo di fronte alla gravità della questione principale.

Più importante è invece, quanto V. E. scrive, a riguardo delle recenti manifestazioni dell'arcivescovo di Zagabria. Prendo atto ,che la Santa Sede non conobbe preventivamente tali manifestazioni e che ne fu poscia • sorpresa e addolorata •. Ma io debbo fare le più ampie 'riserve di fronte alla equazione che

V. E. intende stabilire fra la campagna antitaliana e antifascista del dero di Zagabria e le misure adottate dal R. Governo in quelle zone del confine orientale dove spesso il clero fa del contrabbando irredentista slavo all'ombra dello stendardo religioso, misure, del resto, scarse di numero e di gravità e quasi sempre revocate dopo breve volgere di tempo.

Il punto a mio avviso essenziale deHa lettera di V. E., è quello nel quale -a mo' di pregiudiziale -si chiede prima di discutere, il ripristino delle associazioni giovanili disciolte. Ho il dovere di significare che il mio Governo non può accogliere tale richiesta. Anzitutto per ragione contingente e cioè che i gravi

(2; Cfr. n. 368.

"185

motivi di ordine pubblico che imposero lo scioglimento di detti circoli ancora permangono e permarranno almeno .sino a quando non siano esaurite le vicende giudiziarie in relazione a detto scioglimento, in secondo luogo e soprattutto, perché, dato che il mio Governo entri nell'o:r·dine di ·idee di consentire una organizzazione giovanile cattolica, essa dovrà risultare daila dtscussione fra le Alte Parti, molto radicalmente diversa da quella di ieri in modo che non siano possibili nuovi equivoci e nuove ancora più deplorevoli deviazioni. Una ricostituzione di dette Associazioni prima che le AUe Parti abbiano risolto il loro mandato a norma dell'art. 44 del Concordato, non è opportuna né logica perché talune di esse, potrebbero, secondo le risultanze essere ri.sciolte per eliminarvi gli elementi compromessi.

È quindi ad ogni buon fine meglio partire dall'attuale stato di fatto per arrivare a un nuovo pacifico stato di diritto. È chiaro ad esempio ,che l'Azione Cattolica funzionante in Italia non 'PUÒ avere tra i suoi dirigenti massimi un cittadino della Città del Vaticano, che vi ricopre anche la carica di Sottosegretario degli Affari Esteri. Altre anomalie del genere potrebbero risultare da quella amichevole trattativa che Sua Santità desidera e che non meno vivamente di lui il R. Governo desidera.

Giunto alla conclusione deila presente risposta, non mi resta che far mio, l'augurio di V. E. e cioè che la « presente dolorosa vertenza venga avviata sollecitamente ad una felice soluzione » e tanto più presto tanto meglio aggiungo io, perché la tensione degli spiriti è notevole e la speculazione degli avversari in atto.

(l) A margine annotazione di Ghigi del 10 agosto: «redatto da S. E. il Capo del Governo, e da me dmesso. per suo orctine. a S. E. De Vecchi verehé invii la nota al Nunzio Apostolico 10 agosto 1931 ». Cfr. MARTIN!, op. cit., p. 164.

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L'AMBASCIATORE AD ANGORA, ALOISI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

TELESPR. 1917/789. Angom, 14 agosto 1931.

Ho avuto ieri una lunga amichevole conversazione ,con questo Ministro degli Affari Esteri Tefik Ruscdi bey e con questo Ambasciatore di Russia Signor Suritz. .Airgomento la crisi europea. Le idee e51postemi in proposito da questi due uomini politici meritano particolare attenzione per,ché rivelano l'opinione dominante nelle sfere dirigenti dei loro rispettivi paesi. In sostanza essi non avrebbero potuto farmi un quadro della situazione europea più fosco di quel che mi han tratteggiato arrivando a conclusioni semplicemente catastrofiche.

Secondo il pensiero di Tefik Ruscdi i convegni dei Chequers di Parigi e di Roma ,sono stati il preludio a quello che sarà il convegno decisivo per la rtsoluzione deMa grave crisi che attraversa l'Europa e doè l'incontro di Laval con Biiining e Curtius a Berlino. In questo convegno le due parti dovranno per necessità di cose arrivare ad un compromesso e ciò per un doppio ordine di motivi di carattere interno ed internazionale che interessano entrambi i paesi. Se la Francia non cedesse infatti in alcune delle sue pretese e delle sue richieste la reazione tedesca porterebbe fatalmente al potere i partiti nazional comunisti;

eventualità questa che deprecano l'alta finanza e l'alta industria che in Francia e in Germania sono accordate in mutua intesa, quando addirittura non sono legate da un vero e proprio cartello. D'altra parte se nella politica interna tale eventualità è deprecata anche in Francia, dove gli uomini al potere sono precisamente gli esponenti dell'alta dasse bancaria ed industriale, dal punto di vista della politica estera la Francia ha tutto l'interesse di arrivare ad un accordo con la Germania e ciò per non provocare con la sua intransigenza una reazione da parte dell'Inghilterra e di altri paesi, con il che la Francia finirebbe per sentirsi ancor più isolata in Europa.

Secondo Tefik Ruscdi le basi di questo compromesso dovrebbero essere le seguenti; l) ·concessione di prestiti a corto termine alla Germania; 2) abbandono definitivo da parte di quest'ultima dell'idea dell'Anschluss che non trova più calde simpatie neppure in Austria; 3) acco·rdo sulla questione dell'incrociatore tipo Deutschland; 4) compromesso sul disarmo nel seruso di rinviare per un anno il problema che si discuterà nel 1932 allo studio di una speciale commissione.

Quest'ultimo elemento dell'accordo, secondo Tefik, permetterebbe alla Francia di fare le nuove elezioni alla fine del 32, con il che si sonderebbe il nuovo spirito del pa~se; le consentirebbe inoltre di aspettare la caduta dei laburisti e il ritorno al potere dei conservatori dal che essa si riprometterebbe un nuovo appoggio in politica estera; e forse le darebbe il modo di arrivare ad un accordo con l'Italia.

Comunque questo rinvio del problema che sta tanto a cuore ai popoli d'Europa: il disarmo, permetterebbe -è questo il punto base della tesi di Tefik -a tutti i paesi di continuare ad armarsi. Questa nece!:~sità d'armarsi è data da un acuirsi sempre più grave della crisi che il mondo attraversa, dal disagio sempre più profondo che ha invaso i popoli europei, e le cui cause vanno ricercate in un duplice ordine di fattori economici e politici. Secondo Tefik la crisi economica pur essendo disgiunta dalla crisi politica è peraltro entrata in una fase concomitante con quest'ultima per cui può dirsi che ormai entrambe agiscono in uno stesso senso a rendere sempre più grave e acuto il dramma dell'Europa.

Economicamente la crisi di sopraproduzione non trova sbocco sui mercati di consumo; gli stati si sono cinti da formidabili barriere doganali aumentando i loro dazi protezionistici il cui aumento impreòsionante è destinato ad essere un elemento decisivo sull'ulteriore sviluppo della storia. PoliHcamente le nazioni hanno perduto completamente il senso della fiducia reciproca e della mutua solidarietà. Esse vivono di sospetti e di diffidenza, di timori e d'irrequietudini. Da questo stato di cose deriva che i governi si armano mentre le tesi pacifi:ste e le apologie sul disarmo diventano argomenti ideologici buoni per discorsi da comizio.

Secondo Tefik un tale stato di cose non può durare così: la disoccupazione, la mancanza di fidueia, la crisi economica, la ·corsa agli armamenti sono il presupposto d'una soluzione violenta del problema europeo. Egli vede lo sbocco di questo stato di cose in una guerra e in una rivoluzione e senza possibilità di altre soluzioni ritiene che con 70 per cento di po.ss:ibHità vi ,sarà una guerra prossima, col 30 per cento una evoluzione pacifica. Evoluzione sociale alla quale

sono già premesse le nuove correnti economiche che si affacciano nel mondo; da una parte il comunismo dall'altra il fascismo, che fanno dello stato il centro unitario d'ogni attività e creano un neocapitalismo di stato o un vero e proprio

• étatisme ». Suritz condivide le idee di questo Ministro degli Esteri per tutto ciò che ha tratto al fosco quadro di questa situazione. Egli si di:scosta da lui solo per quanto ha tratto alle conclusioni, in quanto l'Ambasciatore sovietico dichiara fermamente che lo sbocco della crisi non sarà che nella rivoluzione sociale, di cui i sintomi e i prodromi sono palesi e molteplici.

Tefik ha aggiunto che egli riteneva per certa la guerra verso il 1933-1934 e che questa rsua opinione trovava convalida anche nella previsione fatta dal Capo del Governo italiano che aveva dichiarato il 1935 anno critico.

Ho obiettato ai due uomini politici che l'Europa aveva fin ora dato assai [più] numerose prove di solidarietà e di fiducia di quanto non sembrasse, che gli stessi convegni dei Chequers di Parigi e l'ultimo di Roma nel corso del quale il Capo del Governo, V. E., Briining e Curtius espressero con tanto calore la fiducia in una collaborazionP fra i vari popoli europei per uscire dalla difficilissima situazione attuale, e':"ano prova di questa verità, che comunque se la conferenza del disarmo si fosse aHrontata con tanto pessimismo iniziale essa non avrebbe potuto condurre a quei risultati che tutti gli stati, l'Italia per prima, si ripromettevano.

Ad ogni modo l'esposizione fattami da Tefik prova in modo non dubbio: l) che Tefik è influenzato dal punto di vista sovietico dei vari problemi europei; 2) che S.uritz fa un'attiva propaganda fra questi uomini di stato diffondendo la convinzione ,che la rivoluzione sociale, per la quale il rsuo paese prepara anche il terreno di cultura all'estero è una imminente realtà.

Lo stato d'animo e le convinzioni di questi due uomini politici vanno perciò registrati con la massima cura e prospettati così all'E. V.

433

L'AMBASCIATORE AD ANGORA, ALOISI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

T. u. 2502!226. Tarabya, 16 agosto 1931, ore 11,45 (per. ore 6 del17).

Presidente del Consiglio e Ministro degli Affari Esteri partiranno verso il 24 settembre prossimo per nota visita Atene Budapest. Per rendersi dalla Grecia in Ungheria Ismet Pascià e Tewfik Ruscdi bey cercano scongiurare passaggio Sofia per evitare possibili contatti politici. Essi hanno pertanto deciso di imbarcarsi su nave italiana ad Atene per raggiungere Budapest via Trieste e di seguire lo stesso itinerario al ritorno imbarcandosi a Venezia. Dietro loro [richiesta] mi occupo facilitare loro transito sui nostri battelli. Nell'intrattenermi su quanto sopra, Tewfik Ruscdi bey mi ha detto sarebbe desiderio di lsmet Pascià e suo di inviare appena messo piede sul suolo italiano un telegramma di omaggio a S. E. il Capo del Governo e a V. E., ma che volendo omettere di fare altrettanto passando per territorio Jugoslavo, preferirebbero che lo scambio avvenisse

per iniziativa nostra. Infine Tewfik Ruscdi bey ha espresso iii. vivo desiderio di questo Governo di provocare incontro tra S. E. il Capo del Governo e V. E. col pres:idente del Consiglio ed il Ministro degli Affari Esteri Turchi in occasione del J.oro passaggio a Venezia nel viaggio di ritorno, il 7-8 ottobre. Scopo di questo incontro, nell'idea comunicatami da Tewfik Ruscdi bey, è di valorizzare la Turchia e per questa i paesi che seguono la nostra politica in Oriente in un momento di attivo scambio di visite di uomini di Stato delle grandi Potenze, e di affermare ancora più 1la cordialità delle l'elazioni tra l'Italia e la Turchia. Nel trasmettere tale desiderio mi è d'uopo svo,lgere le ,seguenti considerazioni: dopo la visita dei Ministri turchi ad Atene e Budapest e prima della visita che farà in ottobre Litvinoff a Angora, è consigliabile che un eventuale incontro tra S. E. Capo del Governo e Ismet Pascià, rivesta il carattere di un atto di cortesia deciso all'ultimo momento. Ed è pertanto opportuno che esso avvenga eventualmente a Venezia. Trovandosi opportunità di questo incontro, per quello che riguarda le particolari relazioni italo-turche, esso non potrà che essere di grande vantaggio. V. E. sa infatti che dopo lo spirare del regime di Losanna, la xenofobia turca dallo stato potenziale sta passando allo stato di applicazione

e pertanto nel momento in cui con faticose trattative rimontiamo la corrente, un inr:ontro dei due Capi del Governo potrebbe facilitare la 'soluzione delle importanti e delicate questioni in corso ... (l) in merito affinché io possa prendere delle disposizioni per il viaggio e la preparazione (2).

434

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL SENATORE SCHANZER

(ACS, Carte Schanzer, busta l, fase. 11)

L. 3321. Roma, 18 agosto 1931.

Le visite tedesche di questi ultimi giorni non mi hanno permesso di ringraziarti prima di oggi per la tua lettera del 6 corrente (3) con la quale mi hai ricordato i punti principali delle discussioni da te avute col Cancelliere Seipel nel Convegno di Verona dell'agosto 1922.

Quanto tu mi ricordi nella tua lettera corrisponde esattamente alle conclusioni alle quali ero giunto con la lettura dei verbali del Convegno, che naturalmente mi ero affrettato di consultare appena mi vennero riferite le audaci affermazioni dell'Agente del Governo austriaco.

Avevo così constatato con molta soddisfazione l'insistenza da te messa allora nel far riJevare che l'Italia non aveva in nessun modo sollecitato l'esame di

Con l. p. diretta a Guariglia del 18 agosto, Abisi comunicò che si proponeva di venire a Roma nel prossimo ottobre per discutere con Grandi e Guariglia la questione degli isolotti del Dodecanneso e qt;ella dell'eventuale incontro fra Mussolini e Ismet pascià.

un'eventuale unione doganale o monetaria e che l'iniziativa al riguardo era stata presa dal CanceHiere austriaco. Con altrettanta soddisfazione rilevai anche la tua dichiarazione nel senso che l'Italia non avrebbe preso alcuna decisione definitiva prima che la Società delle Nazioni si fosse pronunciata sulla questione austriaca.

Come giustamente tu osservi, è poi di particolare importanza il fatto risultante dai verbali di Verona, che cioè in quell'occasione il Cancelliere Seipel aveva esplicitamente riconosciuto la competenza della Società delle Nazioni.

Trovo infine che il comunicato redatto di comune accordo a Verona e dato alla stampa il 25 agosto 1922 contiene delle affermazioni che giustificano pienamente la nostra tesi ed io non ho potuto che apprezzare la tua saggia prudenza nell'inserire la frase che dice • non voler l'Italia agire se non d'accordo con i Gabinetti esteri interessati •.

Tutto ciò io non ho mancato di segnalare subito ai nostri rappresentanti pressQ la Corte dell'Aja perché se ne valgano per refutare le affermazioni dell'Agente del Governo austriaco. A te desidero esprimere i miei cordiali ringraziamenti per la premura con la quale hai voluto ricordarmi gli avvenimenti ai quali hai partecipato mettendo in evidenza i validi argomenti che possono servire alla difesa della nostra tesi.

(l) -Gruppo indecifrato. (2) -Annotazione di Grandi: « l) Nessun telegramma da parte nostra. Il telegramma lo fa per primo chi arriva in suolo italiano. s" le vuoi fare, se no vada sulla forca. 2) Nessun incontro a Venezia. Ismet venga a Roma se gli accomoda •· Cfr. n. 443.

(3) Cfr. n. 424.

435

IL MINISTRO DELLE COLONIE, DE BONO, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

TELESPR. R. 46850. Roma, 18 agosto 1931.

Il Governatore dell'Eritrea, al quale diedi notizia del telesp,resso 15 luglio

n. 225120 di V. E. (l) drca l'argomento in oggetto, mi invia un suo rapporto

(n. 4972 del 29 luglio), nel quale viene esaminata la nuova situazione creatasi in Abissinia negli ultimi tempi, iHUist.rata l'azione già svolta e prospettata quella che ci sarà possibile svolgere in rapporto alla situazione stessa.

Invio, qui acclusa, copia di tale rapporto (2), del quale desidero che V. E. abbia immediata conoscenza: avvertendo che a me sembra, in massima, esatta la diagnosi di S. E. Astuto, la quale concorda sostanzblmente con le osservazioni fatte da S. E. Paternò nel telegramma di cui V. E. mi ha inviato copia col telespresso n. 228048 del 7 agosto.

« La nota del R. Ministero degli Affari E:,teri, trasmessami da V. E. con il telegramma 4224 del 21 corrente, discende direttamente dalle direttive politiche per l'Etiopia, concordate nelle riunioni del giugno-luglio 1930. Trovo anche io opportuno che -a distanza di un anno -sia riesaminata la situazione: tanto più che questo anno si chiude con un avvenimento già ora non trascurabile e che può avere in un avvenire anche prossimo maggiori sviluppi: la proclamazione da parte dell'imperatore di Etiopia della costituzione. Richiamo a tale proposito il mio telegramma 1525 R. S. del 19 corrente, in cui ho fatto su questo avvenimento alcune considerazioni, che qui sono implicitamente richiamate.

Le direttive politiche del giugno-luglio 1930 sono logiche e chiare. Premesso che l'Abissinia non deve cost:tuire Der noi l'origine di un processo infiammatorio di più vasta

Per quel che riguarda, peraltro, le direttive della nostra azione politica e l'eventuale loro revisione, -argomento, questo, di evidente fondamentale importanza, -mi riservo di trattarne a miglior tempo, allorché .la situazione, soprattutto in seguito agli ultimi avvenimenti, si sarà meglio chiarita, sì da consentire un più preciso e sicuro apprezzamento e la determinazione di una appropriata linea di condotta da parte nosrtra.

portata, e che la nostra politica vers':J l'Etiopia non deve essere isolata ma inquadratanella situazione politica generale: ne risultava anzitutto la assoluta necessità di mantenere buoni rapporti con il Governo centrale etiopico. D'altra parte si comprende che, se non potevamo evitare che il potere centrale si rafforzasse con l'aiuto francese, nè impedireche questo contribuisse alla progressiva centralizzazione politica dell'Etiopia, noi nulla dovevamo fare per facilitare tale centralizzazione e dovevamo anzi agire con ogni cautela verso i Capi per tentare di mantenere l'Abissinia nello stato in cui si trovava. Ciò perchè per ogni eventualità futura occorreva tenere aperte tutte le possibili vie. Quindi accanto all'azione centrale verso il Governo di Addis Abeba, una azione periferica verso i Capi.

Giustamente il R. Ministero degli Affari Esteri rileva nella sua nota che l'azione della R. Legazione di Addis Abeba, superati non lievi ostacoli, è riuscita ad ottenere la chiarificazione dei nostri rapporti con il Governo centrale etiopico. Naturalmente non è possibile, dal limitato angolo visuale di Asmara, apprezzare in modo completo ed armonico l'opera svolta e i risultati ottenuti....

Un'azione periferica verso i capi (e per questi bisogna intendere i grandi capi, che con espressione impropria ma efficace si possono chiamare feudali, e cioè -per quanto interessa l'Eritrea -i due Ioannidi del Tigrè, Hailù del Goggiam, ed anche -dopo le assegnazioni di comandi in seguito alla sconfitta e alla morte di Gugsa Oliè -.Cassa Darghiè) una siffatta azione periferica, ripeto, ha un obiettivo principalissimo (gli altri rientrano più o meno fra quelli prima citati), che è stato messo bene in vista dalle riunioni di Roma. Se la linea direttrice che Tafari si è prefissa e segue dal 1917 è quella di far passare l'Etiopia da Stato feudale (adoperando sempre la stessa efficace improprietà di linguaggio) a stato unitario, ostacolare tale sua direttiva, fomentando -con tutta la prudenza necessaria per non scoprire apertamente il nostro gioco -lo spirito frondeur di questi capi, e incoraggiandoli in una resistenza passiva o anche attiva, purchè non si giunga per ora ad una conflagrazione generale che, minacciando il crollo dell'impero, ci metterebbe di fronte ad un problema, che nelle condizioni attuali sarebbe per noi assai grave e potrebbe inoltre rappresentare l'origine di quel processo infiammatorio di più vasta portata che va assolutamente evitato... Il Governo di Tafarì segue più o meno il nostro stesso programma: opera di morfinizzazione al centro e cauta· azione ostile alla periferia...

Quali previsioni possono farsi per l'avvenire? Quale programma dobbiamo proporci? Noi siamo -io credo -ad una svolta importante della storia etiopica. All'attuazione del suo vasto ed ambizioso programma Tafari sta cercando di imprimere un ritmo audacemente più rapido; egli cerca di bruler les étapes. Ogni previsione in questo momento sarebbe -a mio modesto giudizio -azzardata. Azzardata soprattutto per me, a cui manca la conoscenza dell'elemento più importante di questo problema: l'estensione, la portata e l'intensità delle influenze esterne all'Abissinia. In tali condizioni occorre -mi sembra -osservare, tenere i contatti ed essere pronti a tutto; per ogni eventualità futura -come fu detto a Roma un anno fa -tenere aperte tutte le possibili vie. Quindi -in conclusione -perseverare nelle direttive stabilite, con quelle modificazioni e quegli adattamenti, che le mutate condizioni consigliano od impongono...

Vorrei concludere che azione politica centripeta ed azione politica periferica possono

coesistere senza mutuo danno e senza troppe interferenze, ove l'una e l'altra non siano por

tate all'estremo sviluppo possibile. In caso diverso l'una deve rassegnarsi a limitazioni e mutilazioni a vantaggio dell'altra.

Nella storia dei nostri recenti rapporti con l'Abissinia noi abbiamo negli ultimi anni data maggiore importanza alla prima in confronto della seconda. Il nostro trattato di pace e di amicizia ha indubbiamente consolidato Tafari, ed è stato quindi un elemento di centralizzazione. Il nostro atteggiamento durante la rivolta di Gugsa Oliè è stato di semplici spettatori; nessun elemento periferico anche minimo ha caratterizzato la nostra azione, seppure Hailù Teclaimanot non ebbe in quel periodo consigli di prudenza. La situazione politica, quale ci risultava ora è un anno, ci fece apparire possibile ed utile una ripresa del

l'azione periferica: il successivo svolgersi degli avvenimenti ha smentito in massima parte queste previsioni.

È una verità molto lapalissiana il dire che l'azione politica deve adattarsi realistica

mente ai fatti; non pretendere di crearsi un ambiente ideale in cui svolgersi a suo compia

cimento. Non vi ha dubbio che l'attuale situazione etiopica offre minori possibilità allo svolgimento di un'azione periferica di quello che lo scorso anno non apparisse. Bisogna -io credo -riconoscere questa realtà concreta e adattarvisi. Svolgere con intensità quella azione periferica che è possibile; ma non compromettçre i nostri rapporti con il Governo centrale, facendo superare alla azione periferica il limite di sicurezza. Ciò dico, pur pensando che i nostri buoni rapporti con il Governo centrale di Addis Abeba hanno in parte carattere e portata solamente formali.

Dal mio ristretto punto di vista di Governg_tore dell'Eritrea io vedo poi soprattutto che per ora almeno e senza voler fare profezie -il grado di pericolosità dell'Abissinia verso questa Colonia aumenta in ragione diretta al suo processo di centralizzazione. Ma del problema militare dell'Eritrea ho già intrattenuto V. E., né mi occorre di aggiungere altro. Esprimo soltanto l'augurio che sorga presto la possibilità finanziaria di poter dedicare alla risoluzione di questo lJroblema i mezzi strettamente occorrenti».

(l) -Cfr. n. 402. (2) -Di questo rapporto si pubblicano i passi seguenti:
436

L'ON. POLVERELLI AL MAGGIORE RENZETTI, A BERLINO (l)

(ACS, Ministero della Cultura popolare, busta 165, fase. 20)

L. R. Roma, 19 agosto 1931.

Per ordine superiore Le segnalo l'articolo a firma Mario Corsi • Il Plebiscito in Prussia. Una disfatta del Fascismo • pubblicato sull'accluso numero de « La Libertà • con preghiera di farne cenno a Hitler nel modo che Ella riterrà più opportuno.

437

IL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA LEVANTE ED AFRICA, GUARIGLIA, AL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, PATERNO'

T. 892/218. Roma, 20 agosto 1931, ore 24.

Suo telegramma 285 (2). Questo Ministero ha disposto per possibili accertamenti al Cairo. Ministero Colonie frattanto comunica (3) di avere da conversazione con Pizzagalli e successive informazioni tratta impressione che Americani ,siano riusciti o contino riuscire ottenere da Imperatore concessione camionabile Sudan-Tzana.

Tale eventualità sarebbe per noi deprecabile compromettendo gravemente possibilità sviluppo nostra influenza 'regioni orientali Abissinia e dando Inglesi monopolio di fatto del traffico in quelle regioni. Pregasi V. S. cercare appurare costì se Americani abbiano realmente ottenuto da Imperatore concessione anzidetta (4). In caso affermativo occorrerebbe V. S. agisse con ogni efficacia presso Imperatore per ottenere anche consenso a no!stra camionabile Eritrea-Tzana; prospettando a tal fine pericoli per Etiopia del monopolio inglese ,che fatalmente seguirebbe ,costruzione strada Sudan, facendo comprendere come unico rimedio efficace sarebbe farci partecipare traffici regioni orientali mediante concessione camionabile concorrente.

e sicuro».

(l) Annotazione a margine: « Mandato a mezzo del Ministero Esteri in modo prudente

(2) -T. 2129/285, del 10 luglio che non si pubblica. (3) -Allude al telespr. 46784 dell'H agosto col quale De Bono comunicava la notizia, pervenutagli da fonte privata, secondo cui la ditta americana che progettava i lavori al lago Tana aveva deciso di mettere la zona in comunicazione col Sudan. (4) -Con tel. 2550/378 del 23 agosto Paternò comunicò che « nessuna concessione e neppure discussione ha avuto luogo con Abissinia né per camionabile Sudan-Lago Tzana né per altre camionabili».
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L'AMBASCIATORE A PARIGI, MANZONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

L. 2687. Parigi, 20 agosto 1931.

Faccio seguito al mio odierno telegramma n. 351 per riferirLe i particolari del colloquio ,che ebbi ieri ,col Presidente del Consiglio, Signor Lavai.

Gli dissi che avevo informato V. E. del precedente colloquio con lui avuto (l) e che V. E. mi aveva risp01sto (2) incaricandomi di assicurarlo che le sue intenzioni erano vivamente apprezzate dal R. Governo e le sue speranze di chiarimento di ,rapporti, sinceramente condivise. Continuai ripetendo quasi letteralmente il contenuto del dispaccio di V. E. del 9 corrente, tenendomi esclusivamente sul,la linea generale dei rapporti tra i due Paesi senza scender a trattare di alcun particolare. Il Signor Lavai mi disse che aveva ben compreso quanto gli avevo esposto.

Passai poi a parlargli della visita dei Ministri tedeschi a Roma, esp'l"imendomi anche in questo argomento in conformità delle istruzioni di V. E. e dicendogli, circa la restituzione della visita a Berlino, che non mi pareva dovesse esser sicura l'impreSisione data dai giornali che il Capo del Governo oltre aver accettato e ringraziato per l'invito si fosse anche impegnato a restituire personalmente la visita.

Il Presidente ascoltò tutto con interesse e mi pregò, ripetutamente, di ringraziar V. E. della sua comunicazione. Circa le relazioni tra i due Paesi disiSe che aveva fatto tornare a Parigi il Signor Massigli, che si era fatto fare una relazione circostanziata sulla questione navale: che i militari ancora non eran pronti, creavan difficoltà, ed egli non poteva non tenerne conto pur continuando a voler raggiungere una soluzione.

Mi parlò poi della sua visita a Berlino, spiegando che era ritardata dallo stato di salute del signor Briand (aggiungo che il signor Berthelot mi ha detto che 1sta veramente molto meglio) ed osservando che in tali circostanze è naturale che la visita fosse rinviata. Egli non aveva del resto nessuna intenzione di affrettare gli eventi, realizzava bene la situazione -egli ha detto -nel senso di rendersi conto che tutto va preparato e maturato bene. Per es., egli ha continuato, sento benissimo che vi sono questioni per le quali i Tedeschi non possono, ed io capisco anche che non devono, impegnarsi: così come succede, per altre questioni, ai Francesi.

Queste questioni sono, ad esempio, pei Tedeschi quelle del Corridojo e dell'incrociatore (3); pei Francesi quella del prestito a ,lunga scadenza. Non sono ancora mature: però bisogna farle maturare, a poco a poco, preparando la situazione col trattare faccende che sono mature. La mia intenzione è per ora di

arrivare a mettere in piedi una Commissione franco-tedesca che esamini alcune situazioni in cui è interesse non solo franco-tedesco, ma anche europeo evitare inutili e dannose concorrenze. Noi, ad esem.pio, ci facciamo concorrenza nei trasporti marittimi, nell'aviazione civile. La Francia sta costruendo un transatlantico in tutto superiore a quelli che già ha; la Germania vorrà sorpassarci: voi Italiani farete altrettanto. Sarebbe bene discutere insieme di questi argomenti e metterei d'accordo per non inflazionare dei servizi. Altrettanto si può dire per l'aviazione civile. Con accordi di cooperazione in queste materie si prepara, spero, il terreno a chiarimenti ed a comprensione di reciproche situazioni, e si semina pel futuro. I contatti personali tra i Capi di Governo e tra Ministri facilitano questo lavoro e .portano l'atmosfera verso la fiducia.

Il Signor Laval passò poi a parlarmi delle preoccupazioni che gli cagionavano le notizie giuntegli dall'Aja. Telegrafai in proposito a V. E. col telegramma n. 353 (1). Quando parlò della difficoltà che una soluzione contraria od anche di solo rinvio alla S.d.N. avrebbe creato alla situazione generale ed anche a quella :sua personale (gli avrebbero indubbiamente .rivo.Ito critiche ed accuse di troppa fiducia e di non avvedutezza) gli domanda·i se veramente egli sarebbe andato a Ginevra. Mi rispose che vi andrebbe solo se il Cancelliere tedesco ed altri Capi di Governo vi fossero andati, ma che ciò pareva escluso. Capii che l'atmosfera di Ginevra non era di suo pieno gradimento, e che egli lasciava Ginevra al Signo·r Briand.

Questo è il riassunto particolareggiato del colloquio.

L'impressione trattane è che, per quel che ci riguarda, il Signor Lavai resta fermo nelle sue intenzioni ed attende qualche risultato dai contatti preparatorii. Questi sembrano dover cominciare dalla questione navale (2), possibilmente prima di Ginevra. I miei colloqui preparatorii e diretti col Signor Lavai sembrano dunque giunti alla fine. Ora conviene attendere le conversazioni di Ginevra. A seconda di come esse andranno il R. Governo potrà prendere le sue decisioni circa l'invito al Signor Lavai per una visita al Capo del Governo.

L'impressione mia personale è che l'incontro tra i due Capi di Governo sia quanto mai augurabile pel chiarimento delle relazioni tra i due Paesi, e più come promotore delle soluzioni che soluzionatore effettivo delle questioni particolari. È però necessario che avvenga prima o un regolamento nella pdncipale questione, quella navale, o che questo regolamento sia predisposto sicuramente per essere concretato nel colloquio. Il quale, allora, potrà svolgersi sui larghi temi di cui ho scritto nella mia s.n. del 24 luglio (3), per giungere a larghe conclusioni sui reciproci grandi interessi mediterranei, per l'Italia specialmente nell'Oriente Mediterraneo e nell'Adriatico, per la Francia specialmente nell'Occidente Mediterraneo, e per poter in conseguenza creare nel 1931 tra Italia e

Francia le situazioni che, d:n opposte posizioni, furono create tra esse dalle larghe intese Visconti Venosta-Barrère (1900) e Prinetti-Barrère (1902). Allora la Francia si ~contrassicurò al riguardo della Tdplice AUeanza: oggi l'Italia si contrassicurerebbe al riguardo dell'alleanza franco-jugoslava (1).

(l) -Cfr. n. 417. (2) -Cfr. n. 429. (3) -Verosimilmente Lavai allude alla cosiddetta corazzata tascabile tipo • Deutschland •· (l) -Non si pubblica. Il governo francese aveva sospettato che il delegato italiano presso il tribunale dell'Aja, Anzilotti, fosse d'avviso di votare per la incompetenza del tribunale stesso a giudicare sull'unione doganale austro-tedesca. Grandi inviò ad Anzilotti istruzioni di sostenere che l'unione avrebbe pregiudicato l'indipendenza dell'Austria e che pertanto questa dovesse chiedere il consenso alla Società delle Nazioni. (2) -Sulla questione navale l'esperto francese Massigli inviò a Rosso un memorandum, in data 21 agosto, che non si pubblica. Cfr. DB, II, P. 429 nota. (3) -Non rinvenuta.
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IL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA LEVANTE ED AFRICA, GUARIGLIA, AL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, PATERNO'

T. P. 9974/220. Roma, 21 agosto 1931, ore 22.

Visita Astuto ~costì alla quale tu sai che io \sono stato sempre personalmente contrario e che avviene poco tempo dopo ,proclamata ~costituzione etiopiica mi sembra possa essere troppo vantaggiosamente ,sfruttata da politica centralizzatrice Negus. Unica possibilità che essa presenti per noi una qualche utilità mi sembrerebbe quella ~che Governatore Eritrea prenda personale contatto con i Capi costì presenti. Sarebbe anzi opportuno ,che ~egli trovasse modo di fare ciò visibilmente e marcatamente. A questo scopo pregati esaminare possibilità offrire un ricevimento in Legazione ai soli capi sia [pUre non dandogli una forma troppo ufficiale. Ti sarò grato rassicurarmi (2).

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IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

R. R. P. 1844. Vienna, 22 agosto 1931.

Nel momento di chiudere H corriere mi giunge una voce secondo cui vi sarebbero progetti per un ritorno di Seiipel al potere. Seipel è lontano da Vienna, vicino Innsbruck, la ~maggior parte dei mini~stri e uomini ,politici è assente dalla capitale, e io non ho per ora modo di accertare subito il fondamento dii. quella notizia. Avrei voluto attendere a scrivere a V. E. qualche altro giorno, anche per cercare di dare alle idee che esporrò in seguito una forma più concreta e precisa. Ma riflettendo che vari .giorni occorrerà aspettare :sino alla partenza del

• II Senatore ha... accennato a eventuali compensi di influenza col riconoscerei specialiinteressi verso l'Etiopia, ed anche verso l'Anatolia. Io ho fatto osservare che trattavasi di terre di terzi e di terre verso le quali la nostra emigrazione non ama avviarsi. Altra grave spina pel miglioramento e l'assetto delle relazioni Italiane sono, ha detto il Senatore Bérenger, le nostre aspirazioni su Nizza e sulla Savoja. Gli ho risposto che poteva esserci in Italia qualche ragazzo o qualche irresponsabile che emettesse qualche grido o sporcasse qualche muro in tale senso; ma che non esisteva nessuna corrente seria che intendesse promuovere,

-o che intrattenesse una agitazione per riprendere ciò che era stato dal Piemonte ceduto alla Francia nel 1860 con regolare Trattato>.

24 -Documenti diplomatici-Serie VII-Vol. X

prossimo corriere e che esso giungerà costì quando forse V. E. sarà in procinto di partire per Ginevra, ho creduto opportuno dirigerLe in fretta le seguenti righe, pur riservandomi di tornare sull'argomento se ne avrò 'l'occasione e se ne vedrò l'utilità.

Quale che sia il fondamento di quella voce, che Seipel, malgrado il suo non buono stato di salute, sia non solo disposto ma anche desideroso di riprendere il potere in questo momento piuttosto grave per l'avvenire de1l'Austria è cosa che ,credo ,sicura, e che del resto mi fu indirettamente confermata daU'ultimo colloquio che ebbi con lui nella fine del luglio S'COl'ISo. Secondo la suddetta voce, il mutamento di gabinetto sarebbe progettato per l'ottobre prossimo, e anche questo è verosimile, giacché se come si prevede di piano di unione doganale sarà nel mese prossimo seppellito in Ginevra, è da credere che Seipel, per quanto sacerdote, non voglia accompagnare simili funerali.

Premesso dò deve anche premetterni ,che un ritorno di Seipel sarebbe nel nostro interesse. Schober è ormai per noi un limone spremuto; quel po' di succo che se ne poteva tra,rre lo abbiamo ,già cavato ,con un patto d'amicizia che Seipei stesso lealmente dconobbe ,con me era stato più ':facile di concludere a Schoberche non sarebbe stato a ilui. Finito il succo non ,rimane dunque che la buccia : e una buccia di limone è sempre pericolosa ai viandanti, come già del retsto ci siamo accorti -con questa faccenda dell'unione doganale.

L'incognita però non è secondo me né nella volontà di Seipel di tornare né nel nostro interesse di fado tornare, bensì nella possibilità del suo ritorno. Anche a luglio avrebbe voiluto tornare e gli tintrighi germanici glielo impedirono. Il problema quindi che si pone e sul quale mi permetto attirare l'attenzione di

V. E. è quello del modo con cui si potrebbe, mediante le discussioni e decisioni di Ginevra, agevolare il suo ritorno, nel che gU interessi della Francia collimano ,con i nostri; questo mio Collega di Francia, ,come non celava il suo rincrescimento per il mancato ritorno di Seipel al potere, così non evita le occasioni di far ,capire quali poco affettuosi sentimenti egli abbia ora verso Schober che gli ha mentito spudoratamente e ,che del resto,' lsecondo le notiz,ie qui giunte, è considerato degli uomini politici francesi e dal Quai d'Orsay come uomo immeritevole dii alcuna fiducia. Io ho fatto di necessità virtù e stimando che finché Schober restava al potere era meglio averlo amico che nemico, ho, dopo dettogli al mio ritorno da Roma quello che dovevo, ,ripreso con lui amichevoli relazioni. Ma diversi sono dmasti i l!"apporti tra Schober e Clauzel dopo la pubblicaz,ione del progetto di unione, e le antipatie reciproche e i frequenti reciproci colloqui poco cordiali sono un fatto positivo di cui Schober specialmente non fa mistero.

Io non so in che modo potrebbe in Ginevra essere facilitata la caduta di Schober e il ritorno di Seipel, perché non so quale corso prenderanno colà le discussioni sull'Austria, né ho molti elementi per fondate previsioni. Le affermazioni di Avenol, occorrere che la Società riacquisti fiducia nell'Austria prima che lsi discuta del possibHe prestito e delle sue condizioni, potrebbero essere solo un mezzo per non impegnarsi qui e lasciare poi mano libera al suo Governo di concedere i crediti all'Austria soltanto quando vorrà e aUe condizioni che vorrà, benché egli abbia con me affettato di essere rappresentante della Lega e non del Governo della Repubblica. Ma potrebbero essere anche un elemento di previsione sul-la volontà di Parigi di procedere con ,circospezione e lentezza in questa faccenda, ciò che sembra confermato dalle affermazioni di Schiiller che la questione aUJstriaca non sarà rapidamente regolata a Ginevra. Se effettivamente, visto quanto precede, Schober tornas:se qui da Ginevra senza avere H prestito in tasca e se risultasse che sul ritardo alla concessione hanno influito le sfavorevoli disposizioni della Francia ve11so di lui, è certo ,che la sua posizione già indebolita ne sarebbe anche più scossa e potrebbe ,condurre aMa costituzione del nuovo gabinetto, dato il bisogno e la smania austriaca di un nuovo prestito. Non credo sarebbe possibile un rifiuto categorico, (che non sarebbe neanche opportuno per non deprimere maggiormente questa opinione pubblica con danno ulteriore della sua situazione economica e incremento del movimento annessionista) ma credo invece sarebbe possibile una dilazione alle definitive decisioni della Lega (1).

Dopo il colloquio con Loveday ne ho avuto uno con Avenol, che ha voluto venire a :farmi visita. Alla mia richiesta della sua opinione sulla situazione austriaca ha rispostopregandomi di dirgli prima la mia. Gli ho ripetuto quello che avevo detto a Loveday,aggiungendo che v'era un altro argomento nei riguardi dei socialisti, il quale aveva per la Francia e l'Italia più peso forse che non per l'Inghilterra, e cioè ch'essi erano ferventi annessionisti e che questo punto del loro programma non era da tenersi in poca importanzadato il loro numero e la loro organizzazione. Naturalmente gli ho taciuto che s'io ho battuto con lui come con Loveday del pari che con i miei colleghi di Francia ed Inghilterra e con

i n1.embri del Gabinetto austriaco, sui socialisti viennesi l'ho fatto in considerazione degli

interessi oltre che austriaci anche italiani e cioè in vista del loro antifascismo, di cui l'inaugurazione della targa a Matteotti è la più recente ma non l'unica manifestazione. Avcnol ha risposto che i risultati del recente plebiscito in Germania, nel quale il 37 per cento degli iscritti ha votato per i nazional-socialisti, devEY aver alquanto intiepidito il calore dei desideri annessionisti di questi socialisti, al che ho replicato che ciò non risultava e che ad ogni modo la loro propaganda nei discorsi e negli scritti continuava tuttora...

Ho osservato ad Avenol che per quanto il deficit statale non fosse insanabile non vedevo finora qui una decisa volontà delle economie conseguentemente necessarie... che convenivo ... con lui sulla necessità di ricostituire la fiducia nell'Austria così all'interno come alì'estero, in quanto ogni opera di risanamento per essere possibile ed efficace doveva avere cmne premessa il ristabilimento di tale fiducia, ristabilimento di fiducia che inoltre era uno dei migliori rimedi contro i pericoli di consensi austriaci a nuove velleità annessioniste della Germania, per quanto la chiave di volta di tale questione fosse a Berlino e non a ~lienna; che convenivo infine anche sull'opportunità, nel momento in cui si fosse discusso a Ginevra dell'eventualità della concessione di un nuovo aiuto finanziario all'Austria, di subordinare tale concessione a condizioni non solo economiche bensì anche politiche; che tuttavia appunto per non ferire l'amor proprio austriaco bisognava trovare una formula per la sua rinuncia all'annessione la quale le permettesse di salvare le apparenze, ciò che sarebbe stato, a mio _::>ersonde avviso, possibile ove le dichiarazioni che si fossero volute chiedere in proposito all'Austria, oltre che redatte in forme accettabili, fossero da essa state presentate non a uno o più Stati bensì alla Società delle Nazioni, la quale come organismo internazionale e in cui l'Austria stessa è rappresentata avrebbe potuto togliere alla prestazione delle dichiarazioni quel che di odioso vi sarebbe in ciò stato quando fossero state fatte da un piccolo stato soltanto a due o tre grandi stati ».

Senonché io non mi preoccupo soltanto della possibilità che il risultato delle riunioni ,ginevrine rsia il ritorno a Vienna di uno Schober rafforzato. Mi preoccupo anche e più della possibilità che quelle decisioni possano facilitare la costituzione di un ministero di coalizione di tutti i partiti e quindi la partecipazione dei socialisti al Governo. Ciò rappresenterebbe per noi un danno più grave di quello di un impedimento al ,ritorno di Seipel; data la capacità e l'attività di questi dirigenti socialisti, il loro avvento al potere darebbe verosimilmente loro il modo di prepararsi il terreno per le future elezioni politiche in maniera da attenervi quella maggioranza parlamentare che sinora non è riuscito loro di conseguire. La mia preoccupazione deriva dalla considerazione della eventualità che in Ginevra, per essere più sicuri di poter fare affidamento sul mantenimento degli impegni che si chiedessero all'Austria, si abbia a dare a Schober il consig:Ho, a lui assai gradito, della costituzione di una !specie di ministero nazionale. Forse i miei dubbi sono infondati, ma ciònonpertanto credo dover riferivli a V. E. Non credo che Henderson potrebbe es,sere contrario a dare simili sugg,erimenti, e del ,resto il delegato ringlese mi ha mostrato interessarsi del prevedibile atteggiamento dei socialisti di fronte a progetti di economie di questo Governo. Ma nei 11iguardi di Briand, quantunque egli abbia così vaste ,simpatie tra J. socialisti francesi, il contegno dei socialisti austriaci nella questione dell'annessione potrebbe essere fatto valere contro di essi, così come potrebbe essere fatto valere a vantaggio di Seipel tanto J.'argomento del suo noto anti-annessionismo come quello dei soddisfacenti risultati dati dalla sua politica di risanamento dopo H prestito del '22; essi sarebbero la migliore garanzia del successo della sua opera nella nuova azione di risanamento che fosse qui da intraprendersi in conseguenza di un possibile nuovo prestito, nonché il miglior mezzo per fare :r~iacquistare all'Austria nel mondo bancario internazionale il ,eredito occorrentele per l'operazione finanziaria stessa.

V. E. vorrà esaminare quale conto possa farsi di queste mie righe, che r]strettezza di tempo 1rende vaghe nel contenuto e affrettate nella forma. Desidero però aggiungere, prima di ,finire, che la manovra dovrebbe essere se possibile condotta in 'Prima linea dalla Frrancia, anche per evitare a noi i danni di un eventuale insuccesso.

(l) Cfr. quanto comunicava Manzoni a Grandi con tel. r. per corriere 5222/2839 del 2 settembre, in merito a un colloquio col sen. Henry Bérenger:

(2) -Il ministero degli esteri telegrafò a Paternò anche che • per evidenti ragioniconviene che visita costì del Governatore dell'Eritrea passi il più possibile inosservata nella stampa italiana ed internazionale » (fonogramma 3039 del 22 agosto ore 10).

(l) Cfr. quanto comunicava Auriti con tel. posta 3235/1837 del 20 agosto, circa colloquida lui avuti con l'inglese Loveday e il francese Avenol, in missione a Vienna per contv della Società delle Nazioni. Secondo Loveday «fra le economie l'Austria dovrebbe fare anche quella della riduzione dei sussidi ai disoccupati, manifestando per questa come perle alire questioni qualche preoccupazione per il contegno che i socialisti austriaci avrebbero tenuto al riguardo. Mi ha, a sua volta, domandato la mia opinione sulla situazione. Ho svolto nella mia risposta questi concetti. L'Austria può vivere, ma purché riduca le sue spese. Mentre invece da un lato le spese non sono affatto diminuite, come si fosse ancora nei tempi felici dell'Impero, dall'altro esse sono relativamente aumentate per gli immensi aggr:wi derivanti da tutto il complesso della legislazione sociale istituita per imposizionedei socialisti dopo l'avvento della repubblica. Se si vuole ottenere che si facciano qui economie, questo è il momento, e cioè quando l'Austria ha bisogno e prima che il bisogno sia. soddisfatto. Il governo è debole e non è da prevedere riuscirebbe a far a~provare un pianodi radicali diminuzioni di spese dal Parlamento, ove ciascuno ne ammette la necessità ma nessuno le vuole a danno degli elettori del proprio partito. Una pressione di Ginevra in un momento di necessità può prestare a un gabinetto una forza che esso non ha in se stesso. Le economie dovrebbero incidere non solo sui borghesi ma anche sui socialisti: i prelevamenti del Comune rosso di Vienna a danno dei contribuenti della capitale diminuiscono la possibilità dello stato di procurarsi i mezzi necessari a colmare il deficit del bilancio e a provvedere al servizio di interessi del futuro prestito.

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IL CAPO GABINETTO, GRIGI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

(Archivio Grandi; ed. parzialmente in DE FELICE, Mussolini, pp. 397-400)

Roma, 23 agosto 1931.

Nella relazione che hai fatto al Capo del Governo sul Tuo viaggio a Parigi e Londra in occasione della recente conferenza (l) ho riletto con particolare

attenzione quanto riferisci al Duce circa i Tuoi contatti col Presidente Lavai. Ho messo le Tue parole in relazione a ciò che ha scritto e ciò che mi ha detto il Senatore de Michelis (1), in relazione ai rapporti freddi e misurati -certamente non esagerati -del Conte Manzoni. A più riprese, in questi ultimi tempi, il signor Lavai, Presidente del Consiglio dei Ministri della Repubblica francese, ha fatto « avances • dirette ed indirette per un accordo con l'Italia.

Io non credo 'che Lavai, che non è diplomatico, che è nuovo alla poJitica estera ed alle sue schermaglie, 1intenda di dare ai suoi espliciti e ripetuti ac,cenni il semplice ~carattere dei consueti vaghi propositi del !signor Briand.

Io credo invece, che, per la prima volta in Fìrancia, un uomo politico di responsabilità e di potere si sia messo in testa l'utilità, il vantaggio, e, dtrò di più, la vitale necessità per la Francia di mettersi d'aecordo con J.'Italia.

La mia convinzione si è che il Prelsidente Lavai 1sia deciso a dare alla politica estera del suo Paese una 'impronta più vigorosa, più realistica, meno societaria, più armata anche, per tenere in freno, domani più che oggi, la minaccia germanica e per mantenere alla Francia la posizione che la guerra vittoriosa le ha dato nel mondo. Per realizzare questo programma di vigorosa politica che può ~indifferentemente chiamarsi, a seconda dei punti di vista, conSiervatrice

o egemonica, pacifista o guerriera, egli ha compreso che oc,corre togliere di mezzo la questione italiana.

L'Italia, che, sebbene nelle questioni sostanziali !sia stata finora costretta dai suoi stessi interessi a mettersi in de,fìnitiva dalla parte della Francia, pur tuttavia, con la sua politica autonoma, ~con la ,sua onnipresente opposizione ai disegni francesi, ~con le \simpatie manifestate agli elementi nazionaUsti tedeschi, con la sua attitudine 'che neUe recenti ~conferenze ha valso a togliere aHa Francia la maschera collaborazionista e disarmista, l'Italia che in definitiva potrebbe anche divenire una potenziale aHeata di una Germania in ~cer,ca di • revanches •, costituisce oggi indubbiamente un grave, se non il maggiore, ostacolo al raggiungimento dei fini soprac~cennati.

Il problema si pone tutto nei termini seguenti:

l) Quali ~concessdoni H signor Lavai sia disposto a fare all'Italia per risolvere la questione franco-italiana e se queste eventuali 'concessioni egli sia poi in condizioni di imporre aib sua Amministrazione, al suo Parlamento, al suo Paese;

2) Se e in quali termini ~convenga all'Italia un accordo con la Francia. Mi pare necessario risolvere anzitutto il secondo quesito, per conoscere se ci convenga negoziare, fin dove negoziare, che cosa chiedere.

Il mio subordinato avviso è che un modesto accordo su quello che è convenuto chiamare le questioni pendenti non tsarebbe per noi vantaggioso. La rivalità fra i due Paesi, che ci preclude oggi ogni porta in Africa, che d minaccia con l'alleanza jugoslava, che mantiene accesa la miccia vicino alla polveriera albanese, ~continuerebbe ugualmente. E noi avremmo gettato nel piatto della bilancia la nostra « insoddisfazione •, le nostre amarezze adriatiche e le

nostre delusioni di Versailles e cioè il maggior oggetto di negoziato, senza corrispettivi equivalenti.

Io credo invece che sarebbe sommamente utile ai nolstri interessi, in questo momento politico, un vasto e comprensivo accordo itala-francese.

Io sono fermamente convinto che se noi potessimo ottenere dalla Francia la garanzia adriatica, il riconoscimento jugoslavo della nostra posizione in Albania, la cessione sostanziale di Gibuti e mano libera in Abissinia, nonché il riconoscimento di spedali posizioni in Oriente, noi potremmo senza alcuna esitazione giungere alla chiusura della questione libica e alla liberazione della Tunisia dalla nostra ipoteca (corrispettivo territoriale per Gibuti); alla garanzia per il Mediterraneo occidentale e ad un accordo navale che concedesse alla Francia qualche sodd~sfazione, ed infine potremmo .sh.,ingere un vasto accordo che avesse soprattutto larga portata economica, ed inte,se di doppia cittadinanza che ci permettessero di addivenire alle ,concessioni per la Tunisia senza commettere verso quei nostri valorosi connazionali un gesto di abbandono.

Un accordo di quel genere avrebbe tali ripercussioni nell'opinione pubblica dei due paesi che il fuoruscitismo ne ,resterebbe fortemente colpito e che la campagna per la ,snazionalizzazione, qualunque fosse la soluzione politica a cui si potesse giungere, sar,ebbe per vario tempo molto attenuata.

Un accordo di questo genere costituirebbe, per un ,certo numero di anni, un mutamento notevole, forse radicale della nostra politica.

È ovvio che per qualche anno si !stabilirebbe una 'Collaborazione abbastanza intima fra Italia e Francia, dò che costituirebbe una attenuazione di quel,la politica di indipendenza che abbiamo finora seguita.

Ma bisogna considerare rche la politica impostata sulle posizioni fissate dal Trattato di Locarno, e cioè in sostanza una politica di ·collaborazione stretta con l'Inghilterra per il mantenimento dell'equilibrio diventa sempre più incerta nell'attuale situazione britannica -oscillante fra il laburismo che fa una politica germanofila piuttosto spinta, ed il partito conservatore, pienamente d'accordo col Foreign Office, che attende di tornare al potere per fare l'accordo con la Francia, -ma soprattutto per la debolezza attuale della Gran Bretagna e per la forza della Francia.

Ma anche a prescindere da ciò, mi pare che un quinquennio di operoso raccoglimento, una politica sicura e redditizia sia oggi auspicabile al nostro paese.

Un quinquennio o un decennio di pace operosa all'interno senza gravi preoc

cupazioni estere.

Seguire a Ginevra, nelle riunioni internazionali, una linea tranquilla e con

ciliante, tale però -per l'assenza stesiSa di nostri importanti interessi, per la

forza che ormai ha acquistato l'Italia, per l'autorità che all'estero gode il nome

del Duce e la stima ,che circonda il suo Ministro degH Esteri -da dare piena

soddisfazione alle esigenze della opinione pubblica e da salvaguardare e forse

anche elevare il prestigio della Nazione.

In pari tempo, con le spalle al !sicuro (Russia, e Germania non sono, per

anni ancora, in istato di nuocere), completare l'opera nostra in Albania, ridurre al dovere Re e clique che sempre ci ricattano, forti della debolezza internazionale della nostra posizione nel loro Paese, unire per sempre alla vita e alla sicurezza d'Italia, il piccolo Stato albanese.

Ma soprattutto, iniziare \da nuove basi •la penetrazione in Etiopia con probabilità serie di successo, poiché non ci troveremmo più, innanzi ad ogni nostra mossa, la fredda e nemica mano deila F~rancia.

So che cosa si può obietta.re. In Etiopia ci sono, fin dal tempo dell'Aida, gli Etiopi. Potrei rispondere che in India o al Marocco o all'Annam le cose non erano diverse, a parte razze e colori.

È ·certo ·che l'Abissinia è il solo sbocco demografico ed economico che sia ancora aperto per noi.

Per penetrarla occorrono denari -per prenderla, probabilmente la guerra. Ma nulla si ha al mondo senza sforzo e fatica. Se vogliamo l'Impero bisogna guadagnarcelo.

Comunque, i due vantaggi che ho accennato, uniti ad un immediato acquisto territoriale, e alle possibilità che si 8\Prirebbero in Oriente (tralascio ·le magre probabilità anatoliche, non però da dimenticare) mi fanno convinto che un simile accordo sa<rebbe tanto a nostro vantaggio da .giustificare pienamente le concessioni che faremmo per corrispettivo.

Ed io considero che iJ nuovo orientamento di politica cui accennavo non sarebbe un mutamento, ma un coronamento felice della nostra politica e della nostra polemica antifrancese.

Giungere, senza guerra, a convincere 'l'avversario ·che è necessario fare conceiSSioni: quale successo migliore? Né saprei vedere che cosa di meglio potrebbe augurarsi negli anni avvenire per il nostro Paese.

Quale migUore destino, per la generazione della guerra e del fascismo, per l'ItaUa di Mussolini, ~che prepara.re, in un operoso decennio, le basi di un impero africano, ~che lavare l'ultima macchia .che deturpa ancora H nostro nome e la nostra bandiera, quella di Adua, che assicurard per sempre lo !Sbocco e la sicurezza dell'opposta sponda adriatica?

Un'altra obiezione però può essermi fatta: che così facendo, si rinforza l'egemonia francese.

Rispondo: anzitutto, ben venga l'egemonia francese se ci danno Gibuti, ci garantiscono l'Albania e !'<Adriatico, ci lasciano penetrare in Etiopia, non ci precludono l'Oriente Mediterraneo!

Secondo, un'egemonia francelse non può durare in Europa, per il fatto stesso che 80 milioni di tedeschi, col solo peso del numero, la rendono impossibile, senza parlare dell'Italia, la quale è in posizione geografica tale che, debole e divisa, fu contesa ed invasa da tedeschi e francesi, ma unita e forte, potrà determinare in avvenire la prevalenza degli uni o degli altri.

Ciò ,senza porsi H quesito: se il giorno in ·cui <la rinascita tedelsca fosse un fatto compiuto, e l'egemonia germanica ritorni a • planer • sull'Europa, Italia e Francia non sarebbero sospinte, sopra ~a stessa volontà degli uomini, dai comuni interessi e dai comuni pericoli quasi fatalmente a riunirsi ancora una volta contro la Germania.

Comunque, l'accordo con la Francia, anche per quanto concerne il nostro prestigio, se ci potrà un poco diminuire di fronte ad una nazione su cui l'appellativo di primogenita ha sempre esercitato un fascino speciale, ci metterà però in situazione ben migliore di fronte a tutte le altre grandi Potenze. Innanzi a F~rancia e Italia d'accordo, le Potenze anglosassoni non avrebbero che a rinunciare ad iffiJJorre la loro volontà.

Un'ultima ~considerazione a favore di un accordo con ~a Francia.

Un solo pericolo grave, se non mortale, minaccia l'avvenire del nostro Paese, l'AnschlUJss. L'accordo con la Francia significa .ritardarlo per tutto il tempo in cui l'accordo dura -salvo naturalmente il caso di guerra, che dovrebbe essere vittoriosa per la Germania. Ipotesi, dunque, remota.

Si obietta: è una ·cosa fatale. Deve avvenire.

Avverrà, in pace, solo se la Francia e l'Italia lo permetteranno. Comunque, i Tedeschi al Brennero e il loro peso in Adriatico, è meglio averli il più tardi possibile, e se non c'è altro da fare, cerca,re di farli pagare il più caro possibile. Ma poiché non hanno ora nulla da pagare, ritardarli, nella ipotelsi peggiore, a~lmeno finché abbiamo r1iquidato la questione albanese ed iniziato a fondo quella etiopica, ·Così che il nostro problema p11eminente possa essere di difesa e non più di espansione.

Non è naturalmente .possibile sapere se e quali possibilità vi siano da parte francese per un accordo consimile. È certo però che noi ci troviamo di fronte a ripetute decise avances del Capo del Governo della Repubblica francese.

Eccellenza, Tu conosci i francesi da lunghi anni neHa pratica, conosci i lunghi secoli della loro storia orgogliosa.

Anche recentemente a Parigi Lavai ha ~cercato ripetutamente di parlarti e ti ha invitato a trattenerti per avere conversazioni con lui. Per necessità di cose Tu hai dovuto adottare un ~contegno di quasi assoluto riserbo. Il signor Lavai Ti ha parlato di Etiopia. In altra occasione al Senatore de Michelis è stato parlato di Gibuti. Noi abbiamo ascoltato, ascoltiamo da mesi. Io credo che sia venuto anche da parte nostra il momento di parlare apertamente se non vogliamo ~che poi sia troppo tardi. Il momento mi pare particolarmente favorevole per ·Chiedere e chiedere molto. La Francia è forte, forte come non mai: res~ste ad America e Inghilterra e Germania riunite. In questi giorni il mondo stupito ha visto rla Banca d'Inghilterra chiedere ed ottenere l'aiuto orgoglioso della Banca di Francia. Ma la Francia sente ·contro di sé l'irritazione americana ed inglese e sente il peso di questa Italia ~che si presenta in veste di • primo della classe • in tutte le riunioni internazionali, acuendo per il contrasto dei due atteggiamenti, le difficoltà tra la Repubblica e le due Nazioni anglosa!ssoni.

La Francia comincia dunque a realizzare e forse già realizza almeno nella mente del suo Primo Ministro, il peso incalcolabile dell'amicizia e della inimicizia itaLiana.

Anche dal punto di vista internazionale il momento è certamente propizio. America e Inghilterra non potrebbero evidentemente vedere che con favore almeno apparente, sincero certo nell'animo dei Ministri laburisti, insincero in quello del Foreign Office, un accordo tra Francia e Italia. Nessuna difficoltà per gli Stati minori nostri satelliti. L'Albania dovrebbe ·COstituire una delle ragioni fondamentali dell'accordo. L'Ungheria che in questo momento ha estremo bisogno dell'aiuto francese (vedi prestito recente) ed ha posto in secondo e in terzo piano le rivendicazioni territoriali, vedrebbe con favore, dico di più, con gratitudine un accordo tra Francia e Italia (1). Anche in Austria l'accordo non danneggerebbe Ja nostra posizione ma la migliorerebbe notevolmente. La Russia... continuerebbe a fare con noi i pochi affari che fa (2).

Una crisi si avrebbe .probabilmente nei riguardi della Germania, non tanto per l'accordo in sé quanto per il necessario conseguente mutato atteggiamento italiano nei riguardi del Reich. Ma anche la Germania ha in questo momento estremo bisogno dell'aiuto francese. La Conferenza di Londra ha a mio avviso convinto la Germania che l'azione americana ed inglese diretta a salvare l'economia germanica ed i danari anglosassoni in essa investiti. sarà vana se non vi sia il concorso della Francia. Vi sarebbero forse delle ripercussioni nell'opinione pubblica e nella stampa specie di destra ma nulla ci vieterebbe di continuare a servire ai tedeschi buone parole e cortesi propositi. Comunque, amica o nemica, la Germania non sposta né sposterà per vari anni ancora di un solo millimetro i destini dell'Italia.

La Piccola Intesa infine sarebbe colpita nella sua compa~e o quanto meno i rapporti dei suoi ·componenti sarebbero sostanzialmente modificati nei nostri riguardi.

Le condizioni internazionali appaiono dunque eccezionalmente favorevoli e parimenti mi sembra evidente che un ritardo a parlare e a paruar chiaro può far naufragare ogni possibilità.

Quale procedura dovrebbe, a mio avviso, esser seguita? Occorre anzitutto sapere se l'Italia, se U Duce ritengono utile, vantaggioso, eccezionalmente vantaggioso, un accordo del genere.

Se sì, mettere anima e calore nel raggiungimento del fine desiderato, anziché limitarsi, come •finora forzatamente e forse opportunamente si è fatto, ad esaminare le proposte che d sono state avanzate.

Occorre lavorare gli uomini, ricordando quello che è antko !retaggio della

nostra politica e della nostra diplomazia.

Disgraziatamente, le due punte che ci offre la Francia ufficiale, Filippo Berthelot a Parigi ed il suo discepolo, signor de Beaumarchais a Roma, sono quanto di più freddo e di più ostile d potesse capitare.

Né è d'altra parte possibile non passare, per ora almeno, attraverso il Quai d'Orsay ed il suo onnipossente Segretario Generale. Ginevra potrebbe essere, è certamente, il campo più propizio per iniziare l'azione.

Se siamo decisi che l'accordo è un bene (ripeto questa •che mi sembra pre

messa necessaria e indispensabile) potrebbe il Sen. de Mkhelis riprendere i

contatti con Poncet, se ci sarà, o con Flandin e • sparare • questa volta molto

grosso (Albania e Gibuti). Se il co1po, riferito al Presidente Lavai, trova un

terreno favorevole, ecco pronta una serie di conversazioni fra Lavai e Te già

notevolmente facilitata.

Io non credo beninteso ·che un accordo ·così ·complesso possa eSiser stipulato a Ginevra... Ma se i negoziati dovessero fatalmente protrarsi a lungo (e non vedo altra possibilità che farH a Parigi, tra il sig. Bertllelot e il Conte Manzoni fiancheggiato da uno o due funzionari di Palazzo Chigi, a meno che non si volesse ricorrere al sistema degli esperti) (l) nulla vieta però che le linee fondamentali non possano esser fissate, a coronamento delle tue conversazioni di Ginevra, in un incontro fra il Presidente Lavai ed il Capo del Governo a Roma.

P. S. -Avevo scritto questa lettera, quando è giunto il rapporto del Conte Manzoni (2). Evidentemente la mancata presenza del Signor Lavai a Ginevra, segna un colpo d'arresto. Ma persisto nella mia opinione che è necessario, per ripetere una frase non molto elegante, sparare e sparare grosso subito.

L'occasione può essere data ancora dalla presenza a Ginevra del Sen. De Michelis e dei Signori Flandin e Poncet. Se il colpo, ripeto, trova terreno favorevole, si potrà allora ricorrere ai tramiti ufficiali. Ma è necessario parlare chiaro, e molto chiaro. Noi dobbiamo chiedere dei precisi vantaggi, ed è bene dirlo fin da principio.

(l) Cfr. n. 413.

(l) Cfr. n. 385.

(l) -Scritto prima del mutamento di Governo. La crisi ungherese conferma questo punto di vista [Nota autografa di Ghigi]. (2) -Gli accordi franco-sovietici, successivamente conosciuti, confermano questo punto di vista [Nota autografa di Ghigi].
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IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO A BUDAPEST, ARLOTTA

T. PER CORRIERE 911. Roma, 25 agosto 1931, ore 19,30.

Suoi telegrammi 183 e 184 (3). Prego V. S. Dingraziare 'Vlivamente il Conte Bethlen a nome dii S. E. i'l Capo del Governo e mio per le cordiaài franche ed

c Respingo categoricamente insinuazione fatta da certa stampa sia estera che interna di opposizione, nel senso io abbia dovuto subire imposizione politica dalla Francia nella contrattazione del recente prestito, o dal partito legittimista ungherese. A maggiore prova di ciò si è deciso d'accordo anche con Reggente Horty di mantenere il Generale Gombos al Ministero della Guerra.

Rimango alla testa del mio partito parlamentare col quale appoggerò pienamente il nuovo Governo.

Considero quest'ultimo un semplice Gabinetto transizione contando, salvo imprevisti

potere riprendere personalmente la effettiva direzione degli affari dello Stato entro 4 o

5 mesi.

Mi propongo durante tale periodo compiere anche qualche breve corsa all'estero e

specialmente in Italia ra Roma o dove meglio possa convenire) per visitarvi il Capo del

Governo e conferire con lui e con il vostro Ministro degli Affari Esteri in forma non

:.~fficiale.

Confido che essi vorranno continuare ad onorarmi della loro fiducia personale e ad "ccordare al mio Paese quell'amichevole ed effkace appoggio CI"SÌ altamente apprezzato da tutto il popoh Ungherese •·

amichevoli dichiarazioni fattele. Ella vorrà aggiungere che il R. Governo ha sempre apprezzato in tutto il suo alto valore l'opera che· il Conte Bethlen ha svolto durante dieci anni per porre i rapporti fra Italia e l'Ungheria su basi sempre più salde, e che nel momento tin cui egli critiene neces,sario ,concedersi un ùreve riposo non può non espdmere il voto che questa tregua di ,lavoro sia destinata a permettergli una ripresa più vigorosa a non ·lunga scadenza della sua preziosa attività. I contatti si può dire quotidiani che abbiamo mantenuto col Conte Bethlen, sia dilrettamente sia a mezzo delle rispettive rappresentanze diplomatiche, hanno .sempre avuto per risultato una ·comunanza di vedute sulla rispettiva azione politica dei due Governi, mentre S. E. il Capo del Governo ed io abbiamo potuto in ogni occasione constatare .come la saggia equilibrata patriottica azione del Conte Bethlen abbia consolidata non solo la situazione interna dell'Ungheda ma anche la sua posiZiione internazionale che aveva prima subito notevoli .scosse. Noi salutiamo nel Conte Bethlen l'Uomo di Stato altamente benemerito dell'Ungheria la cui amicizia verso l'Italia consideriamo come un naturale ·corollario della ,sua azione politica. Saremo 1iettssimi di !rivedere in Italia il Conte Bethlen ogni volta che vo11rà venire fra di noi per continuare quei contatti personali che si sono già dimostrati assai utili. Sembrami superfluo assicurarlo da parte nostra che la linea politica italiana ·•erso l'Ungheria non subirà il benché minimo cambiamento e che il Governo Italianù continuerà a dare a

quello ungherese ogni possibile assistenza nel campo internazionale. V. 8. infine vorrà naturalmente continuare a tenersi col Conte Bethlen nelle più cordiali e strette relazioni, poiché tutto fa ritenere che egli eserciterà pur sempre una assai considerevole influenza sulla politica del suo Paese e specialmente su quella estera (1).

(l) -II 31 luglio François Poncet scrisse a De Michelis approvando il metodo suggerito da questi per il negoziato. De Michelis trasmise a Grandi la lettera con questo commento: c II metodo cui allude il signor François Poncet è quello che V. E. mi aveva autorizzato a proporre : e cioè continuare le conversazioni ufficiose facendoci accompagnare entrambi da un paio di funzionari del Quai d'Orsay e di palazzo Chigi • (Archivio Grandi). (2) -Cfr. n. 438. (3} Tell. 2532/183-184 del 20 agosto, con i quali Arlotta trasmetteva le dichiarazioni fattegli da Bethlen al momento di lasciare il gcverno. Fra l'altro Bethlen disse:
443

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, ALL'AMBASCIATORE AD ANGORA, ALOISI

T. u. 924/111. Roma, 28 agosto 1931, ore 24.

Suo telegramma 226 (2).

Codesto Governo non si rende evidentemente conto delle rispettive posizioni che occupano l'Italia e la Turchia nel campo internazionale come debbo rilevare dane singolari ,proposte di Tewfik Ruscdi bey che egli stesso alquanto ingenuamente confessa fatte a ·scopo di • valorizzare la Turchia •. Una tale valorizzazione che anche noi siamo desiderosi di facmtare non può essere però fatta a spese del prestigio italiano. Ciò avverrebbe se si facesse per parte nostra ecce

(~) Cfr. n. 433.

zione alla costante regola di cortesia internazionale per cui ~spetta a chi prima tocca un suolo estero di rivolgere il saluto al Governo locale (né può accettarsi il motivo addotto da Tewfik Ruscdi bey di voler astenersi dal far ciò passando per la Jugoslavia, poiché egli sarebbe inevitabilmente costretto a farlo in un modo o in un altro e 'si scuserebbe poi con noi a fatto compiuto) e ciò avverrebbe pure ,se S. E. H Capo del Governo .si recasse a Venezia per incontrare i,J Presidente del Consiglio ~turco, quando tutti gli altri Capi di Governo non esclusi l'inglese ed H tedesco, sono venuti a visitarlo nella sua residenza di Roma. Ugualmente dovrà fare Ismet Pascià se vorrà ,incontrarsi ~con S. E. MU:Sisolini, poiché nulla giustificherebbe un incontro fortuito e tutto dovrebbe invece consigliare a codesto Governo una forma,le visita di omaggio e di gratitudine a Roma. Spetta a Lei di fargli cortesemente comprendere quanto precede e mdirizzare in genere la sua linea di condotta politica costì in modo da rimettere le cose a posto anche per quanto riguarda l'intonazione generale dei rapp~rti italo-turchi (1).

(l) Con tel. r. per corriere 3202/6963/933 del 10 ottobre 1931 Arlotta comunicò i ringraziamenti di Bethlen per Mussolini e Grandi. Bethlen • mi ha pregato altresi di far nota "" V. E. la propria intenzione, già d'altronde manifestata a de Hory, col pieno consenso di Walko, di recarsi possibilmente, ed ove non vi siano difficoltà da parte nostra, a Roma, verso la fine del prossimo dicembre in forma strettamente privata, per fare visita a s. K Mussolini ed a V. E. e conferire sulla situazione •·

444

APPUNTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

(Archivio Grandi)

••• (2).

Questo articolo (3) l'avevo fatto redigere in occasione dell'ultimo consiglio della Società delle Nazioni per farlo pubblicare nella • Nuova Antologia • a titolo di • ballon d'essai • per valutare le sue ripercussioni. Dopo vi ho pensato su e ho creduto fosse prematuro.

445

L'AMBASCIATORE PRESSO LA SANTA SEDE, DE VECCHI, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI

(Fondo Ambasciata presso la Santa Sede, busta 7)

Roma.. 31 agosto 1931.

Unisco alla presente la minuta autografa del testo (4) che ho comunicato ieri mattina alle 11, unitamente ad una mia nota, al Cardinale Pacelli. Ciò in esecuzione del tuo ordine verbale.

• ha convenuto che data l'importanza dei rapporti italo-turchi e la politica amichevole di Roma, un incontro tra lui e S. E. il Capo del Governo doveva avvenire a Roma in seguito a viaggio esclusivamente preparato a tal proposito e che pertanto al suo ritorno dall'Ungheria si sarebbe potuto ritornare sulla preparazione di tale incontro che avrebbe potuto aver luogo nell'inverno o nella primavera prossima>.

Nel colloquio che ha accompagnato la consegna della nota ho spinto il Cardinale a raccomandare al Papa di non opporre troppe resistenze sulle piccole distanze che ormai soltanto più ci dividono. Ho avuta la impressione che la mia azione trovasse terreno assa~ favorevole.

Ciò per quanto riguarda il Cardinale; non so poi quali siano gH umori del Papa, ma anche quelli dovrei ritenerli assai buoni (1).

.ALLEGATO.

DE VECCHI A PACELLI

Roma, 30 agosto 1931.

In seguito alle nuove comunicazioni fatte ieri d'ordine di Sua Santità a

S. E. il Primo Ministro Capo del Governo, comunicazioni che si riferiscono al documento da me rimesso alla Eminenza Vostra con nota del 15 corrente, ho l'onore di unire alla presente nota la minuta di un nuovo testo che tiene conto delle comunicazioni fatte (2).

(l) Aloisi rispose con tel. per corriere 2698/2140/249 del 7 settembre: Ismet pascià

(2) -Come risulta dal contenuto, l'appunto è stato redatto dopo la riunione ginevrina di maggio e prima di quella di settembre. Si inserisce sotto la data del 29 agosto, giorno in cui Grandi partì per Ginevra. (3) -L'articolo, anonimo e intitolato La Francia e noi, auspicava l'accordo itala-francese. (4) -Non si pubblica.
446

APPUNTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

•.. agosto 1931 (3).

Ho ricevuto Ieftic, Ministro di Corte jugoslavo, venuto a Roma, in seguito ai noti contatti ·indiretti, tendenti a preparare un eventuale incontro in Italia di

S. E. il Capo del Governo col Re di Jugoslavia. Ho avuto con Ieftic due col

loqui. In sostanza egli mi ha padato: -deHe costanti, favo•revoli disposizioni di Re Alessandro per un accordo

con l'Italia. Egli ritiene ·che il ·campo dei di·ssensi sia relativamente ll"idotto e tale da poter essere chiarito ,senza troppe difficoltà. Il Isolo osta•colo ·che appare effettivamente grave è quello della questione albanese e, sopratutto, dell'eventualità di un intervento armato del•l'Italia in Albania. Il Governo jugoslavo ~riconosceva la priorità di rinteressi italiani costituitisi in Albania. La questione dell'intervento

militare avrebbe potuto, forse, trovare una possibilità di soluzione nel fatto della non rinnovazione del Patto di amicizia italo-jugoslavo [sic]. Un intervento italiano preoccupava la Jugos-lavia, anche nei riguardi delle sue eventuali finalità e durata. Ha accennato all'occupazione inglese in Egitto. Per quanto l'interesse jugoslavo in Albania non fosse più quello di una volta, tuttavia un'occupazione italiana del territorio albanese toccava talmente da vicino la Jugoslavia che il Governo di Belgrado non avrebbe potuto ritenerla ammissibile. Ieftic ha accennato alla ricerca di una soluzione in una ·comune garanzia itala-jugoslava in Albania.

Ho replicato a Ieftic ed ho ripetutamente marcato: -che •la questione albanese è un interesse strategico italiano, da tempo e internazionalmente dconosciuto. -È un problema di sicurezza, la cui realizzazione è assicurata da una serie di titoli di diritto e di fatto, consacrati in documenti diplomatici, ·che ci conferiva una situazione m Albania, conforme aHa priorità di interessi italiani che lo stesso Marinkovich aveva con me riconosciuto sulla quale non avremmo in nessun modo potuto transigere nel caso in cui un intervento in Albania avesse dovuto dimostrarsi indispensabile. -Quanto ad un accordo col Governo jugoslavo, avevo avuto a più riprese occasione di manifestare la migliore buona volontà e le più favorevoli disposizioni. Un tale accordo pur senza rappresentare una necessità imprescindibile dell'azione italiana, avrebbe rappresentato un'intesa giovevole ane due parti, specie nella incertezza della situazione attuale, che consigliava di parare ad eventualità sfavorevoli degli orientamenti politici europei. Ho rammentato a leftic quale posizione di preminenza jugoslava nella Balcania abbia assicurato, a suo tempo, al Governo di Belgrado il Patto di Amicizia del 1924. Ritenevo anche io che sulla generalità delle questioni che interessano Roma e Belgrado avremmo potuto utilmente, e senza eccessive difficoltà, :intenderei, tanto sull'attuale stato di cose in Balcania, che -pur essendo l'argomento più delicato -nel nord-est europeo. Quanto all'Albania, ila Jugoslavia doveva riconoscere la situazione presente delle posizioni di diritto e di fatto dell'Italia. Dal canto nostro eravamo pronti a fornire al Governo jugoslavo le desiderabili assicurazioni che la nostra azione in Albania non era affatto diretta contro la Jugoslavia e che i nostri aiuti all'esercito albanese miravano unicamente a favorire la formazione di un nucleo di forze indispensabili ·a·l consolidamento dell'ordine interno. Su questo argomento, Ieftic m'ha fatto un generico cenno alla possibilità di una costituzione di gendarmeria albanese, inquadrata da ufficiali italiani.

Ho concluso:

Occorre, per un'intesa itala-jugoslava per l'Albania, trovare una formula che, ftssando 1la nostra speciale situazione di diritto e di fatto, .chiarisca ogni preoccupazione di Belgrado drca ·le nostre effettive intenzioni p·resenti e nel caso di un necessario intervento. Ho invitato Ieftk ad approfondire le sue riflessioni sull'argomento, dichiarandomi a sua disposizàone per continuare a parlare ed a ·concludere, per il tramite ·che egli e Re Ales1sandro preferi.ssero. Quanto a me ritenevo che il tramite del Ministro Gani avrebbe potuto, con gli accorgi

.menti necessa11i, servire allo scopo. Ieftic, che mi ha confermato come Marinkovic sia all'oscuro di questi suoi passi (1), mi ha fatto l'impressione di cercare, più che di concretare e di ·approfondire argomenti, di ·sfiorare le varie questioni, per sondare i punti di resistenza e di sensibilità. Egli ha fatto tuttavia, specie nel seoondo colloquio, qua<l.che ammissione per noi importante, tale da far il"itenere i due (!Olloqui soddisfacenti per noi.

(l) -Cfr. MARTINI, op. cit., p. 167. Sui successivi sviluppi del negoziato, concluso con l'accordo firmato da Mussolini e Tacchi Venturi il 2 settembre, cfr. MARTINI, op. cit., pp. 164-173. (2) -Cfr., nello stesso fondo dell'Ambasciata presso la Santa Sede, una lettera di Giordani, ispettore centrale per l'assistenza religiosa all'O.N.B., a monsignor Pizzardo, segretario della Congregazione degli Affari Ecclesiastici Straordinari. A proposito dei Fasci Giovanili Giordani osservav:l: « Finora non è prevista alcuna assistenza religiosa, sebbene si imponga il problema di questi giovani dai 18 ai 20 anni, e con particolare gravità. Credo mio dovere tornare a pregare l'E. V. Rev.ma che a suo temoo sia fatto conoscere al Clero, nel modo che si riterrà più opportuno, la convenienza e il dovere di prestare la sua opera volenterosa, perché nelle attuali condizioni, anche per costatazioni fatte di recente, non potrei riprendere l'attività organizzativa, come è necessario fare nell'imminenza del nuo~·o .anno scolastico, per la certezza che ho di trovare ostacoli divenuti insormontabili •. (3) -PosterioOre al 3 (cfr. n. 420).
447

IL MINISTRO A L'AJA, SENNI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, A GINEVRA

T. RR. 4/64. L'Aja, 1 settembre 1931, ore 22,48 (per. ore O,éO del 2).

Mio telegramma N. 62. Corte Internazionale dell'Aja ha approvato sempre con 8 voti contro 7 progetto presentato da Comitato redazione che dichiara Unione doganale austro-tedesca incompatibile con Protocollo dell'anno 1922. Decisione sarà qui pubbltcata sabato •5 corrente e •contemporaneamente notificata Ginevra. Fino a quel momento notizia è strettamente confidenziale.

448

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, PATERNO', AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

R. S. P. 261/101. Addis Abeba, l settembre 1931.

La visita di S. E. Astuto si è svolta secondo le precise direttive dell'E. V.

Il Governatore dell'Eritrea mentre è riuscito a stabilire con l'Imperatore ea il

suo Governo cordiali e fiduciosi rapporti personali (2), ha potuto realizzare pure

le basi per l'azione periferica a lui affidata.

Dal punto di vista formale posso assicurare V. E. che si sono potute facil

mente superare le difficoltà giustamente da V. E. paventate nei riguardi dei

Ras. Con costoro S. E. Astuto ha avuto scambi di visite e di pranzi, nonché col

loqui, nella stessa misura che con l'Imperatore (e più ancora col Ras Cassa),

con l'aggiunta del ricevimento in Legazione (3) dato esclusivamente in loro onore

.senza l'intervento della Corte.

Per non tediare V. E. con una troppo lunga esposizione, mi onoro trascrivere

testualmente il pro-memoria ·schematico redatto insieme con S. E. Astuto sui

risultati ottenuti e le constatazioni assieme fatte, che peraltro risultano già dai resoconti telegrafici a V. E. inviati sempre di concerto col Governatore dell'Eritrea.

CONSTATAZIONI E RISULTATI

IN OCCASIONE DELLA VISITA DI S. E. ASTUTO

La situazione dei Rals è da ·considerarsi indebolita, ad eccezione del Ras Cassa. Ha ·contribuito a ciò la politica abile dell'Imperatore che ha in due anni seriamente indebolito l'impalcatura feudale. Ma vi ha pure contribuito la poca forza degli stessi Ras.

Ne è ·conseguita la nec•essità di porre S. E. Astuto in condizione di creare una nuova base per la politica periferica a lui affidata. Bisognava stabilire fra lui e l'Imperatore una corrente di f,iducia che potesse permettere al Governatore di agire nella periferia con maggiore ampiezza e con minori difficoltà. Conlstatata la deficienza dei Ras e il loro diminuito potere, tale politica periferica deve anzitutto rivolgersi ve11so le popolazioni, mentre verso i Ras, quando torneranno in sede, tale politica dovrà tener conto del loro diminuito potere e del controllo diretto che su essi eserciterà l'Imperatore. Dovrà altresì tener conto del morale dubbio dei Ras stessi e del pochissimo affidamento che lsi può su essi fare.

Ciò equivale a dire che il massimo ,sforzo va fatto sulle popolazioni.

È risultato quindi necessario l'accordo Imperatore-Astuto (che è stato felicemente raggiunto) e ·ciò col precipuo scopo di porre Astuto in diretto contatto con le autorità in lsottordine della frontiera.

Ctrca il Ras Cassa, è diversa cosa. Bisogna puntare (sempre con la dovuta prudenza) su 'lui. Per ora e per il poi. Attirarlo a noi con la Società Commerciale (l) significa impadronirci della sua zona (Accordo Tripartito e suoi auspicati sviluppi futuri). La strada è problema che va ·risolto ma è secondario di fronte a quello politico Cassa-Gasparini-Astuto, ·Che è stato virtualmente rea· lizzat o.

Accanto a questo problema ·centrale si sono constatate diver.se necessità nella zona nord di diretto interesse per l'Eritrea. Vaccinogeno da espandersi nelle tre zone Cassa-Tigré-Goggiam (vedi telegramma N. 383). Ambulatori nel Goggiam (intese Barlassina-Ras Hailù, che formeranno oggetto di maggior sviluppo col concorso di S. E. Astuto; vedi telegramma

N. 405).

Al centro continual'e, ·conforme istruzioni, politica addormentatrice che ha avuto in p.resenza di S. E. Astuto due manifestazioni precise, a parte l'andamento dei rapporti generali cordiali.

Dichiarazioni dell'Imperatore (vedi telegramma N. 391 e seguenti).

Mi è gradito aggiungere che sia prei3SO l'Imperatore che presso tutti i Capi e Sottocapi, nonché in seno al Corpo Dip·lomatico, S. E. Astuto ha incontrato la più viva simpatia, di cui si sono avute continue e manifeste prove durante il di lui soggiorno in questo Paese.

Debbo infine porre in rilievo che nell'elemento popolare, nei bazar, ovunque fra gli abissini, la presenza del Governatore Italiano, ricevuto con onori quasi sovrani, veduto per le strade in unifoérme, attorniato da Ufficiali Italiani, ha prodotto profonda impressione. ImpreSISione non scampagnata da un senso di salutare rispetto verso • un Militare • (perché questa gente considera un Governatore quale un Capo Militare) rappresentante di una Grande Nazione, amica dell'Imperatore, ma forte. Questa sensazione di potenza fra l'elemento popolare, frammista alla ·consapevolezza dei rapporti di amicizia che il Negus ha voluto stabilire con il • Capo Italiano • qui venuto, costituisce quel complesso di valori psicologici (certo non tutti ·concordi e favorevoli al Sovrano) che dobbiamo sempre più rafforzare per ·consolidare H nostro prestigio agli occhi di un Popolo che deve considerarci come amici, desiderabili anzitutto perché potenti.

ALLEGATO.

PROMEMORIA (l)

(Copia)

SEGRETO.

Oltre agli argomenti trattati nel rapporto sopra indicato con S. E. Astuto, abbiamo insieme avuto altresì occasione di constatare la sensibile trasformazione dei rapporti franco-etiopici e dei rapporti locali tra noi ed i francesi.

Fin dal mio arrivo ebbi la netta sensazione che un fronte diviso fra le tre Potenze maggiormente interessate, e particolarmente tra Italia e Francia, era a vantaggio dei rapporti franco-etiopici e indubbiamente a nostro detrimento. La Francia, infatti, occupava tutte le posizioni migliori: ferrovia, chiave e controllo della vita economica del paese nonché delle posizioni militari, posti direttivi nell'amministrazione, missioni, scuole ecc. Occorreva anzitutto compromettere i francesi di fronte all'Imperatore ed agli abissini avvicinandoli a noi. Vi erano due mezzi: accomunare l'azione delle due Legazioni in tutti quei campi che non significano per noi rinuncia ai nostri postulati e rafforzare il tripartito.

I risultati non potevano che essere di migliorare il nostro prestigio di fronte agli abissini. Dovevano contribuire a tale risultato oltre che l'indebolimento delle posizioni francesi, l'opera di chiarifica verso l'Imperatore che doveva anzitutto persuaderlo che la nostra amicizia poteva equivalere un giorno a quella della Francia.

I francesi, d'altra parte, dovevano invece essere convinti che dato il pericolare della loro posizione, dovuto anzitutto ai mutati tempi che avevano portato all'esaurimento del rapporto di monopolio fino a ieri esistente fra Etiopia e Francia, potevano trovare un appoggio in noi potenzialmente temibile, ma ugualmente desiderabile se amici.

Questo tentativo è in parte riuscito. L'impalcatura antica dei rapporti francoetiopici è se non distrutta seriamente indebolita. Risulta che il Ministro di Fran

eia attualmente a Parigi, ha presentato un rapporto nel quale prospetta come debba considerarsi sorpassato il periodo storico del predominio francese in Abissinia e come sarebbe utile ai fini della politica generale della Francia tentare un nuovo accordo italo-franco-inglese sulla base di una definitiva sistemazione abissina.

Il rapporto è chiamato alla Legazione di Francia: Le morcellement de l'Ethiopie. Il rapporto dimostrerebbe ancora che gli interessi di Gibuti e della Ferrovia sarebbero avvantaggiati se le zone del Tripartito venissero realmente sfruttate dalle Potenze rispettivamente interessate.

Mi risulta che questo Incaricato d'Affari francese avrebbe appoggiato con propri argomenti tale tesi, prospettando altresì il carattere di urgenza della questione. Il suo atteggiamento palese è evidentemente diretto ad invelenire vieppiù i rapporti franco-etiopici con l'intendimento di dimostrare a Parigi l'inutilità di sperare il ritorno alle antiche situazioni. Influisce su tale atteggiamento dell'Incaricato d'Affari, il quale ha vissuto 17 anni in Abissinia, la sua persuasione che nell'Uomo salito sul Trono le Potenze non possano in alcun modo riporre la loro fiducia, neppure la Francia cui Tafari deve, oltre che a noi, di esser divenuto Imperatore. Gli inglesi (Legazione) contribuiscono con la loro condotta ad indebolire (mio rapporto n. 148/69) il fronte europeo. Da notizie raccolte sembra che tra la Legazione e i Governi Coloniali britannici circostanti la divergenza sia sensibilissima. Sembra che i Coloniali la pensino in senso Imperiale e tendano a risolvere il problema dei loro confini con l'Etiopia a traverso una realizzazione territoriale dell'accordo Tripartito. Mancano al riguardo elementi seri di controllo il che è spiegabile dato l'atteggiamento della Legazione. Rimane però il fatto che in tutta la storia dell'Impero britannico <>gni volta che siano state di fronte due opposte tesi sostenute rispettivamente dal Foreign Office e dal Colonia! od Indian Office, chi l'ha spuntata non è stato di solito il Foreign Office.

Questa situazione ha pure un riflesso, di cui ho già riferito nei miei rapporti segreti, sulle relazioni tra l'Etiopia e l'elemento americano che ha il suo esponente, non tanto nel Ministro d'America, quanto nel signor Colson, l'esperto finanziario. Queste relazioni accentuano negli abissini le tendenze antieuropee e potrebbero, se dovessero rinvigorirsi, farci temere una vera • mainmise • americana a tutto detrimento delle Potenze Europee e specialmente delle Potenze tripartite. Sono di ausilio a queste relazioni americano-etiopiche le organizzazioni missionarie protestanti sull'azione delle quali ho già riferito.

(l) -Cfr. n. 416. (2) -Il 26 agosto c'era stato un colloquio fra il Negus, Astuto e Paternò. (3) -Ciò era stato consigliato dal tel. Guariglia (cfr. n. 439).

(l) L'idea della società collegata al progetto di una strada da Setit a Gondar era nata, per iniziativa di Gasparini, nel c?rso di un co~loq~io f~a questi e Ras Cassa (cfr. l.p. Gasparini a Guariglia, Roma 29 gennaiO 1931). Sugh sv1lupp1 del progetto cfr. l 204202/3'1 di Guariglia a Gasparini del 6 febbraio 1931, e l. 207289/72 del 2 marzo successivo, dello stesso allo stesso, che non si pubblicano.

(l) Si riferisce forse a questo allegato il seguente passo di un appunto ministeriale del 15 ottobre 1931: • Il comm. Ghigi ha messo al corrente S. E. Manzoni dell'annesso segreto. Manzoni farà fare qualche sondaggio al Quai d'Orsay •.

449

APPUNTO DEL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, SUL COLLOQUIO COL MINISTRO DEGLI ESTERI AUSTRIACO, SCHOBER

Ginevra, 2 settembre 1931, ore 10.

Schober -Desideravo, Eccellenza, :liin da 1ieri, informarvi, prima di ogni altro, della dichiarazione ~che sto rper faTe drca l'unione austro-tedesca, e di informarvi altrelsì dei precedenti. Quando Avenol è venuto a Vienna, dopo essersi trattenuto, mi disse che aveva un'impress,ione soddisfacente della situazione, che aveva esaminato la questione del Creditanstalt, e che gli sembrava che si potes,se evitare un'inchiesta approfondita. Così ci lasciammo con un ri'Sultato soddisfacente della sua visita. Dopo 3 giorni il Ministro di Francia, Clauzel, venne a dirmi che il suo governo desiderava che io facessi una dichiarazione a Ginevra nel noto senso. Risposi che dovevo prima parlare col Pre:sidente e con i nostri amici. Un'ora prima della mia partenza per Ginevra, Clauzel venne ad insistere. Io non mi compromisi e mantenni la risposta datagli. Ora ho saputo, arrivando a Ginevra, che egli aveva telegrafato a Parigi, .che io avrei fatto tutto quel che mi si chiedeva. Clauzel è un uomo screditato a Parigi e cerca di tirarsi su come può.

Ora eccovi !il testo della dichiarazione che io avevo •concordato con Curtius e che volevo mostrarvi prima che questi la discutesse con François-Poncet.

Grandi -E Curtius che ne dice?

Schober -Con Curtius eravamo rimasti che egli l'awebbe discus.sa con François-Poncet. Io ho mandato con lui Pfliigl, perché mi riferisse sulla conversazione cui ha assistito. Curtius ha parlato un'ora con François-Poncet senza risultato. (Schober mostra H testo del suo progetto che di·Ce in sostanza: • D'accordo col Ministro tedesco, dati gli studi e l'azione svolta per trovare rimedi· alla crisi economica da un punto di vilsta .più generale, fra i quali la possibilità di un allargamento più generale di una unione doganale austro-tedesca, ed in attesa che una unione doganale europea sia raggiunta, il governo austriaco decide di sospendere nell'attesa la realizzaz,ione del progetto di unione doganale austro-tedesca • ).

François-Poncet mi ha mandato un suo controprogetto di dichiarazione che è questa: • ·In •considerazione dell'esperienza di quanto è accaduto in questi ultimi mels.i, il governo austriaco dkhiara, qualunque ,sia per essere il responso dell'Aja, di !Tinundare al patto di unione doganale austro-tedesca •.

Ora questa dichiarazione io non pos:so accettarla. Dovrei immediatamente dimettermi tornando a Vienna. Ho già dovuto lottare per far accettare il testo della mia dichiarazione in Corurlglio dei Ministri.

Grandi -Capisco le difficoltà.

Schober -Io potrei amivare, al massimo, a fare una dichiarazione come questa (Schober mostra un altro documento che riproduce il progetto FrançoisPoncet, con ila soppressione del l • conlsiderando sul,!'esperienza degli ultimi mesi, sostituito con l'espressione: • étant donné les derniers événements •, e con la sostituzione della parola • <rinunciare • con • ne pas poursuivre • ).

Grandi -Mi pare che questo terzo documento potrebbe andare.

Schober - Io sono venuto appunto da voi per domandare il vostro con siglio. Grandi - Non comprendo perché François-Poncet non insista piuttosto

per avere da voi una dichiarazione che faccia •l'impressione dell'adesione tedesca alla vostra rinuncia, mentre inSiiste per una espressione più forte di rinunzia da parte vostra.

Schober -Però sappiate che François-Poncet vuole anche una dichiarazione da parte di Curtius. Ma io non posso fare una dkhiarazione con la quale sembra che io al confessionale faccia il mea culpa davanti a François-Poncet, in funzione di ·confessore, dicendo che sono stato un grande peccatore.

Grandi -Mi pare che la vostra seconda dichiarazione vada bene. Questo è il mio •Consiglio. La ·prima dichiarazione effettivamente non poteva andare, peTché era soltanto temporanea.

Schober -Posso dire, allora, che questo è il vostro parere come ministro degli Affari Esteri d'Italia?

Grandi -Sì, potete dirlo. Ripeto, che la prima non andava. Però credo che farebbe migliore impressione e che sia anzi necessario che la dichiarazione di Curtius sia redatta nello stesso senso. Una differenza nelle vostre rispettive dichiarazioni non farebbe buona impressione. Data la diversa potenza, sembrerebbe che voi siate stato forzato ad accettare.

Schober -Curtius voleva venire da voi.

Grandi -Faccio colazione con ~ui, oggL

Schober-Egli vede François-Poncet alle 12.

Grandi -E François-Poncet ha visto la vostra seconda dichiarazione?

Schober-Non ancora.

Grandi -Credo che François-Poncet possa essere soddisfatto. In sostanza voi dite le stesse cose sue in una forma più accettabile per voi.

Schober -Posso ora domandarvi un'altra cosa? Come vi sembra il nuovo Governo ungherese? Ho l'impressione che i francesi vogliano profittare della situazione... (Grandi, interrompendo) • per assoggettare tutti quanti •.

Grandi -Vi dirò. La situazione ungherese è certamente difficile, non credo che l'Ungheria voglia, per questo, cambia.re la linea generale del:la sua politica, secondo quel che gridano i g•iornali francesi. Certamente, a noi spiace la dipartita di Bethlen. Ma comprendiamo che Bethlen sia un uomo troppo prezioso pm-l'Ungheria, perché egU possa •compromettersi irrimediabilmente. È megUo che Bethlen rimanga per qualche tempo in disparte, provvisoriamente. Del resto, Walko e Karoly sono suoi uomini. La cr~si europea è tale che non è male avere una tranquillità generale e quindi un periodo tranquillo anche in quel settore.

Schober -Insomma, • wait and see •.

Un'altra ·cosa ancora. Per tl.'affare ferroviario delle bombe jugoslave, sono informato che il governo jugoslavo vorrebbe portare iii caso alla S.d.N., attaccando i governi italiano ed austriaco per la presunta protezione che elssi accorderebbero ai fuorusciti croati e per renderli responsabili degli attentati in Jugoslavia. In tal caso, 1io intendo fornire una documentazione oltremodo interessante e sensazionale di tutti gli intrighi che la Jugoslavia ordisce in Austria. Vi assicuro ·che ho un materiale straordinario, interetssante e ricco.

Grandi -(l'idendo). Bene, in ta•l caso, io posso aiutarvi, fornendo documentazioni non meno interessanti.

Schober -Ho fatto dire dal Sottosegretario Peters al ministro jugoslavo a Vienna ·che la risposta austriaca alla mossa jugolslava a Ginevra sarebbe tale da far poco piacere alla Jugos,lavia. D'altra parte, so che la Legazione jugoslava a Parigi ,sta preparando un pamphlet contro l'Italia per l'attentato a Zogu. Il processo per questo attentato è ben preparato a Vienna. I giurati sono brava gente di campagna e non massoni. Vi sono tutte le prove dell'attività di emissari

jugoslavi in Austria per uccidere Percec. Il redattore capo della società « Abend • è a Cerquenitza, circondato di attenzioni e gode della massima protezione jugoslava.

Tenevo ad informarvi di tutte queste cose.

Grandi -Va benissimo; se gli jugoslavi faranno ,}a mos,sa, avremo di che rispondere loro. Quando farete la dichiarazione circa l'unione doganale? Schober -Domani, in commissione paneuropea. Ma se François-Poncet

insiste sul suo testo, non mi rimane che andarmene a Vienna. Non ho assolutamente il potere di fare quello che !lui vuole.

Ho pensato che portando la mia dichiarazione prima alla commissione europea, il ·consiglio potrà poi prenderne atto senza dis,cussioni spiacevoli e peri-colose.

Grandi -Però btsogna aspettare l'avviso consultivo dell'Aja.

Schober -Certamente, ma, vi ripeto, il mio pensiero è .che se debbano esserci discussioni, non avvengano in consiglio. E si :sfoghino in commissione europea.

Grandi -Aspettiamo l'avviso dell'Aja. De'l resto, sono molto curioso di vederne il testo, la cui redazione ha la sua importanza.

Schober -Il mio timore è che, per esempio, Marinkovich, in Consiglio, faccia delle dichiarazioni di trionfo contro l'Austria ·e la Germania, oppure di congratulazione per la loro !sottomissione, cose che sarebbero da evitare in Consiglio.

Grandi -Non credo 'che sarebbe di buon gusto ed un atteggiamento conveniente. Penso, del resto, che più l'atteggiamento vostro e della Germania sarà .chiaro e conciliante, più il Consiglio dovrà mantenersi calmo. Ad ogni modo potete es.ser •sicuro che da parte mia, in nessun modo metterò voi e Curtius nell'imbarazzo.

450

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, ALL'AMBASCIATORE A LONDRA, CHIARAMONTE BORDONARO

T. R. 4. Ginevra, 2 settembre 1931, ore 21,15.

Telegramma di V. E. n. 531 (1). Nel confermare ·che nuove proposte francesi sono da noi considerate inaccettabili V. E. vo·rrà far conoscere a codesto ·Governo che ·riteniamo opportuno rispondere facendo delle ·contro-proposte da concordarsi fra esperti britannici ed italiani. Massigli è già stato informato da

è che nuove proposte siano inaccettabili anche per inglesi e rappresentano piuttosto un passo indietro anziché progresso nelle trattative •·

Rosso che verrà risposto alla sua lettera del 21 agosto soltanto dopo consultazione con Londra. Circa contro-proposte siamo d'avviso che convenga insistere sul mantenimento delle linee generali delle Basi d'Accordo del l o marzo offrendo eventualmente qualche ulteriore concessione in conformità alla soluzione di compromesso che era stata privatamente prospettata da Craigie nelle sue ultime conversazioni di Londra con Massigli e Rosso.

Qualora, come si ha ragione di supporre tenuto conto del tenore del Memorandum francese, simile offerta non sia accettata, si potrebbe esaminare opportunità di fare in un secondo tempo controproposta sulle linee seguenti: Accettare criterio suggerito dal Memorandum francese di una riduzione della media annuale delle costruzioni di naviglio leggero e sottomarini subordinato però alle 1seguenti modalità: l) media annuale dovrà essere calcolata sulla base degli ultimi sei anni; 2) percentuale di riduzione dovrà essere aumentata in modo che media complessiva delle ·costruzioni dei prossimi sei anni (comprese quindi navi di linea) risulti inferiore alla media annuale dei sei anni precedenti.

Gradirò •conoscere se in linea di massima codesto Governo ravv~si utilità

di prendere in esame questa seconda contro-proposta.

Cadogan avendo chiesto a Rosso se gl.i pareva opportuna venuta immediata di Craigie, Rosso ha risposto che naturalmente Craigie 1stesso avrebbe giudicato in proposito. Conveniva però considerare ·che presenza Craigie non avrebbe mancato di suscitare nella stampa un interessamento che in questa fase preliminare conviene forse di limitare il più possibile. Pareva quindi per ora più opportuno procedere per corrispondenza ad uno scambio preparatorio di vedute.

(l) Del 1° settembre, ore 21,30, per. a Ginevra ore 1,30 del 2, col quale Bordonaro riferiva una conversazione con Vansittart circa il memorandum di Massigli a Rosso del 21 agosto (cfr. p. 694, nota 2): • Vansittart mi ha detto che sua prima impressione personale

451

IL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, PATERNO', AL DIRETTORE GENERALE PER L'EUROPA LEVANTE ED AFRICA, GUARIGLIA

T. s. 15345/414. Addis Abeba, 2 settembre 1931, ore 19 (per. ore 24).

Sono lieto assicurarti ·che v.isita Astuto ha avuto risultati, a riguardo della circostanza, veramente insperati. Tue riserve che ho... (l) giuste fondate le ho condivise. Ho però giudicato necessario affrontare tali preoccupazioni perché soltanto in tal modo potremo porre le basi di un serio lavoro periferico che prima d'ora era impossibile. Ho... (l) per riuscire in ciò i miei rapporti personali con Im,peratore e Ministro degli ,Affari Esteri e ho valutato che il rischio personale che correvo valeva la pena di essere co11so. Oggi tutto questo è superato e ne sono lieto perché mi è ... (l) lavoro preparatorio intenso che ormai grazie

collaborazione Astuto è decisamente ·concluso. Ringrazioti che mi hai permesso aJssumere responsabilità che sentivo di dovere assumere.

(l) Gruppo indecifrato.

452

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, FANI, AL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, PATERNO'

TELESPR. R. 230678/123. Roma, 2 settembre 1931 (1).

Qui allegato 1si trasmette in copia, per opportuna ·conoscenza della S. V. un ra,pporto •in data 12 giugno di codesto Addetto Militare ll"elativo all'acquisto di armi da parte del Governo Etiopico e ad una nostra eventuale partecipazione a tali forniture (2).

La questione della nostra partecipazione alle forniture di armi all'Etiopia è già stata esaminata da questo R. Ministero e da·l R. Ministero delle Colonie sin dall'ottobre-novembre 1930 quando -dato il risultato negativo dei passi eseguiti per •Cel'\care di raggiunge;re un accordo italo-franco~inglese che ripartisse in quote eguaH le forniture di armi da farsi all'Abissinia in !forza della Convenzione di Parigi del 21 agosto 1930 -erasi convenuto non doversi ostacolare -dopo avvenuto lo .scambio delle ratifiche della Convenzione stessa -~a partecipazione dell'industria italiana alle forniture di ·cui è oggetto, riserva fatta di esaminare, fra i Ministeri 'competenti, le moda.Utà di dette forniture, al momento opportuno.

In particolare erasi convenuto fra questo R. Ministero e quello delle Colonie, doversi evitare, che nostre eventuali offerte di armi, pur nei Umiti 1previsti dalla Convenzione, avessero a •spingere l'Etiopia ad armami provocando ordinazioni eui altr.imenti essa non sa.rebbe forse addivenuta; direttiva del R. Governo -in materia è quindi di seguire ·con ogni attenzione le intenzioni del Governo Etio

{2) Si tratta del rapporto rr. 29 del tel. col. V. Ruggero del quale si pubblica il passofinale:

• Finora il governo italiano è stato restio a cedere armi all'Abissinia.

Per la cessione dei 5.000 Mannlicher avvenuta in occasione della conclusione del trattato di amicizia e della convenzione per la camionabile Assab-Dessié, pare che il R. Ministro di allora abbia dovuto lavorare non poco. Mi permetto a tale proposito di esprimere le seguenti considerazioni :

1° -non cedendo noi armi all'Etiopia, non otteniamo che questa ne resti priva, poiché troverà la stessa quantità da altri;

2o -quindi, senza ottenere nessun risultato materiale, teniamo sempre viva la <diffidenza verso di noi -che si dice vogliamo che l'Abissinia sia disarmata per poterla attaccare quando vogliamo;

3° -cedendo noi armi all'Etiopia, otteniamo il grande vantaggio di controllare il

munizionamento. E mentre in caso di guerra l'Abissinia può contare su qualsiasi riforni

mento, ad esempio, di cartucce Lebel, resterebbe invece priva di qualunque rifornimento ·di cartucce di tipo italiano •.

Per analogia dell'argomento si segnala qui un documento della legazione di Belgrado .del 24 luglio 1931, diretto al ministero delle Corporazioni e, per conoscenza, alla confederazione generale fascista degli industriali. Il documento invitava a portare a conoscenza delle ditte industriali italiane eventualmente interessate la richiesta di materiale bellico avanzata da un arsenale militare jugoslavo. In settembre il governo jugoslavo commissionò una fornitura militare alla S. A. Metallurgica Italiana. (Cfr. tel. posta 3691/817, Belgrado 26 maggio 1932).

pico, facendo concorrere la nostra industria alle forniture di armi, da quel Governo già deliberate e che verrebbero quindi, in mancanza di nostre offerte, eseguite da altri paesi, ma non di suscitare tali ordinazioni provocando cosi artificiali necessità di nuovi armamenti il che è in contrasto col nO'stro interesse politico.

Quanto precede questo R. Ministero fa presente per opportuna conoscenza e norma di codesta R. Legazione ed in particolare di codesto R. Addetto Militare, e prega ,contemporaneamente Ia S. V. di voler, d'accordo con l'Addetto Militare stesso, studiare, e riferire, circa il modo migliore di esercitare un pratico 'Controllo suWeventuale attività in Addis Abeba dei nCYstri industriali produttori di armi, onde far sì che la loro azione abbia a svolgersi entro i limiti su accennati.

(l) Il doc. venne inviato !)er conoscenza al Ministero delle Colonie e al Ministero della Guerra.

453

IL MINISTRO A VIENNA, AURITI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI

TELESPR. 4516/2552. Vienna, 2 settembre 1931.

Mio telespresso n. 2493 del 2r6 novembre 1931 (1).

Ho avuto oggi ,con Starhemberg, tornato a Vienna, il colloquio predisposto. Mi ha detto che la situazione va qui giornalmente peggiorando, e che non può prevedersi una lunga vita all'attuale gabinetto. Due soluzioni appaiono pos!sibiU: o un gabinetto di destra con Seipel a capo, o un gabinetto di coalizione con la partecipazione dei sociaUsti. Nel primo caso le • Heimwehren • non farebbero nulla per il momento: si metterebbero al seguito di Seipel e lavorerebbero d'accordo con lui pur controllandone l'attività. Ma nel secondo dovrebbero passare all'azione, perché una ulteriore attesa darebbe tempo e modo ai socialisti di rimpadronirsi dei più importanti e delicati ingranaggi della macchina statale e di impedire così per 1sempre qualsiasi futura riscossa. Egli sa che le « Heimwehren • non potrebberro da sole conseguire il loro intento, ma fa affidamento sull'esercito. Già fin da ora parecchi generali chiedono spontaneamente rdi conferire con lui. Essi sanno che il giorno in cui i socialisti partecipassero al potere, se anche non riusciJSsero ad ottenere subito il Ministero degli Affari Militari, lo ,conseguirebbero nel gabinetto successivo, ciò che vorrebbe dire l'annullamento del ,lavoro di più di dieci anni di epurazione e il passaggio dell'esercito al servizio dei socialisti, perciò egli è convinto che nella eventualità di un ministero di coalizione i generali si unirebbero con lui, ed è del pari convinto ehe i !soldati li seguirebbero. Vi è poi un altro motivo ,che consiglia, ove a Seipel non riesca di riprendere il potere, di non attendere troppo a lungo.

I nazionalsocialisti austriaci, sovvenuti da abbondanti fondi tedeschi, fanno qui rapidi e vasti progressi, non solo tra la popolazione d:elle campagne bensì anche nell'esercito e tra gli stessi componenti delle • Heimwehren •. Egli è riuscito a rtstabil.ire l'unione tra 'i membri di queste e sa ·che i risultati ottenuti da quella propaganda fra i soldati e i contadini non sono per ora tali da ·compromettere un'azione delle • Heimwehl'en •, la quale, 'come sopra è detto, dovrebbe fare assegnamento sul •concorso degli uni e degli altri. Ma non !riuscirà certo a mantenere al·l'infinito le attuali posizioni, e se a .gennaio o al più tardi a febbraio Seipel non sarà venuto al potere o le • Heimwehren • non awanno agito, il passaggio nelle file dei nazionalsocia:listi di tutti coloro che già ora malcontenti dello stato attuale deLle cose lo vedranno in seguito non solo non migliocato ma anche peggiorato sarà inevitabile. La forza di attrazione dei nazionalsocialisti tedeschi sarebbe inoltre anche maggiore sull'Austria se essi riuscissero intanto a conseguire il potere in Germania, benché egli consideri tale eventuaUtà come aLSISai sfavorevole alla destra tedesca: essa è andata ottenendo i suoi immensi successi piromettendo l'annessione, ma se venisse al potere non potrebbe certo effettuarla e le masse allora, sfiduciate e dis·gustate, si rivolgerebbero verso i comunisti.

Per quanto riguarda la nostra sovvenzione a :lui, ho preso accocdi per il primo versamento mensile di .cinquemila sceLlini; drca Steidle, anche Starhemberg è d'opinione che le richieste siano esagerate e mi propongo far negoziare con quest'ultimo perché riduca notevolmente 1le sue ingiusti[ioate pretese e perché accetti, oltre a una somma inferiore, la condizione che della consegna della somma stessa Starhemberg sia stato precedentemente informato.

Circa poi i sondaggi con questo ministro di Francia egli è assai contento ch'io vo~lia occuparmene. Desidera conoscere se i francesi, convinti che le

• Heimwehren • non intendono collaborare con i nazionalsocialisti e sono contrarie all'annessione, siano disposti ad assicurarle che non ritirerebbero i loro crediti all'Austria nel caso di un'azione extralega·le di esse. Se fossero contrari, dowei cercare persuadere Clauzel, se favorevoli, preparargli un ·colloquio con lui nel quale l'uno e l'altro si r~peterebbero reciprocamente le suddette dichiarazioni.

Ci siamo lasciati promettendogli io di procurarmi un colloquio con Clauzel e di dargli poi comunicazione del suo risultato, ed ,egLi di farmi 'conoscere se nella conve11sazione che avrebbe dovuto avere oggi ·con Seipel questi gli avesse detto qualcosa che ci importasse conoscere.

Mi riservo conferire prossimamente sia con Clauzel sia con Seipel (1).

(l) Sic, ma probabilmente deve trattarsi del 26 giugno. Questo telespr. non è stato trovato.

(l) Per completezza della documentazione si segnala qui che Auriti faceva presente il 5 settembre « il fatto che la posizione di Starhemberg nel suo partito appare attualmente scossa, che si dice egli intenda costituire un partito a sé con programma, a somiglianza di quello dell'ala estrema nazionalsocialista tedesca, di intesa con la Russia •· Cfr. in proposito un appunto di Fani per Mussolini del 12 settembre.

454

IL SOTTOSEGRETARIO AGLI ESTERI, FANI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, A GINEVRA

T. P. 10/109. Roma, 3 settembre 1931, ore 1>40 (per. ore 11,30).

S. E. Ca:po del Governo incaricami pregarti inviare per telegrafo impressioni uomini politici su accordo tra l'Italia e Vaticano diramato oggi dalla Stefani (1).

455

L'AMBASCIATORE A PARIGI, MANZONI, AL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, A GINEVRA

T. CONFIDENZIALE P. 11/246. Parigi, 3 settembre 1931, ore 16,45 (per. ore 17,45).

Presenza Ginev;ra Ministro Flandin può essere occasione propizia di colloqui privati, da tenensi però entro questa settimana drca relazioni italo francesi specialmente per alcuni punti particolari. Colloqui dovranno essere considerati e tenuti indipendenti da quelli che V. E. potrà avere successivamente con Briand.

V. E. avrà cosi un quadro più ampio delle varie tendenze personali in materia da parte di quelle personalità gove,rnative francesi che maggiormente si inte:esj:ano a queste questioni.

456

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL MINISTRO AD ADDIS ABEBA, PATERNO'

T. 948/235. Roma) 3 settembre 1931, ore 20.

Prendo atto di quanto riferito con telegrammi 391 e seguenti (2) che vengono comunicati R. Ministero Colonie. Approvo modo nel quale S. E. Astuto e V. S. hanno impostato questioni trattate nel colloquio con Imperatore. Noto che que.st'ultimo, pur addimostrando amichevole cordialità, ha mantenuto atteggiamento di stretta riserva sulla sostanza delle questioni trattate, tenendo solo ad accen

tuare affermazione di stretta dipendenza da potere centrale, e di autonomia nei confronti dei Capi locali, dei funziona11i da lui inviati in talune provincie di ccnfine; affermazione la ·cui importanza non è sfuggita alla S. V.

(l) -In una lettera probabilmente del 9 settembre Fani comunicava a Grandi di averparlato con Mussolini il giorno l settembre. • Era di ottimo umore e ... mi annunziò l"accor<io <!Ol Vaticano che infatti il giorno seguente fu pubblicato dalla Stefani •· (2) -Non si pubblicano. Ma cfr. n. 448.
457

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, AL CAPO DEL GOVERNO, MUSSOLINI

r. 6. Ginevra, 4 settembre 1931, ore 17.

Commenti ambienti Ginevra intorno accordo con Santa Sede (l) sono molto favorevoli per l'Italia. Contenuto accordo è considerato senza eccezione come un autentico ·,succeso del Governo Fascista il quale ha ottenuto dal:la Santa Sede riconoscimento ed accettazione integrale principii da noi posti e difesi e che Santa Sede aveva cercato 'con ogni mezzo di disconoscere ed eludere. Ritengo Tu debba essere soddisfatto come tutti noi lo siamo di questa soluzione che rappresenta senza equivoco un'altra vittoria della Tua politica {2).

458

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI, ALL'AMBASCIATORE A MOSCA, ATTOLICO (3)

T. PER CORRIERE 7. Ginevra, 4 settembre 1931.

Ieri ho avuto una interessante conver1sazione con Litvinoff. Da parte mia gli hc> confermato, illustrandolo, il telegramma N.... (4) nel quale incaricavo

V. E. di ragguagliarlo circa gli avvenimenti internazionali degli ultimi mesi e l'atteggiamento della politica italiana nei riguardi di quelli. Litvinoff mi ha domandato se a mio avviso la politica del nuovo Governo ungherese .subirà un mutamento, .secondo quanto viene assicurato a Parigi. Gli ho risposto che non lo credo, pur ammettendo che le condizioni diffidli che l'Ungheria attraversa consiglieranno un periodo di raccoglimento e di moderazione nella sua politica estera. Tutti i paesi d'Europa del resto, esclusa la Francia, .sentono la necessità di • segnare un po' il pass·o » sino a che le maggiori difficoltà della crisi attualE. non siano superate. Litvinoff mi ha ragguagliato dettagliatamente sulla que

stione del patto franco-russo che è parafato (1). Il Governo di Parigi cerca ritardarne la firma adducendo pretesti non spiegabili, ad ogni modo Litvinoff ritiene che il Governo francese procederà quanto prima alla ·conclusione formale. Trattative russo-polacche sono per ora inesistenti, ad ogni modo il Governo francese non ha fatto alcun cenno durante il negoziato ,con Mosca ad ulteriori allargamenti del patto alla Polonia e Rumenia. Litvinoff mi ha domandato Ie mie impressioni su questo trattato. Gli ho risposto che non avevo che a confermargli quanto gli avevo già detto nel mese di maggio (2). A parte la circostanza che un trattato di non aggressione -russo-francese rappresenta un passo importante sulla via della collaborazione internazionale ed è quindi 'suscettibile di avere risultati benefici di carattere generale, l'Italia vede -con soddisfazione questo avvenimento anche perché ciò non porterà in ultima analisi che a facilitare la nostra stessa rpolitica di collaborazione -con l'U.R.S.S. Dopo avere negoziato un Patto di tal genere la Francia non potrà evidentemente più erigersi a campione della lotta europea e mondiale contro i Sovietici e proclamare la necessità di una crociata anti-russa come ha fatto sinora. In questo sopratutto io vedo la parte vantaggiosa per 'l'Unione Sovietica della conclusione del Trattato, e cioè la rottura del fronte diplomatico e politico anti-sovietico. Naturalmente il Trattato muterebbe carattere ove esso fosse esteso alla Polonia, potendo in tal caso rappresentare effettivamente una preoccupazione per la Germania. Litvinoff mi ha confessato di avere assistito con meraviglia non scevra di diffidenza alla facilità con cui il Governo francese ha accolto prontamente le sue obiezioni pur di arrivare al :più presto alla conclusione formale del Patto. Litvinoff ha tenuto a confermarmi ,che malgrado tale modificazione formale nei rapporti franco-russi la politica :sovietica in Europa non muterà. Essa rimane quella da egli esposta nel nostro incontro di Milano nel novembre u.s. (3). Litvinoff ha proseguito domandandomi se non mi -sembrava venuto il momento di stipulare fra Italia e

U.R.S.S. un trattato simile a quello stipulato fra Mosca e Parigi. Alla mia obiezione che l'attuale momento -e cioè immediatamente dopo la ·conclusione del patto franco-russo -non mi sembrava il più opportuno, Litvinoff ha riSìPOSto che si potrebbe concludere tale patto subito e cioè prima ancora che il patto franco-1sovietico sia formalmente perfezionato; al che ho obiettato che questa

« Questo complesso di reazioni, che è seguito al semplice annunzio di un patto francosovietico, è molto istruttivo, in quanto rivelatore di tutta una situazione politica europea artificiosa e malsana. È bastato che si delineasse la possibilità di una détente franco-sovietica, per mettere in pericolo l'alleanza franco-polacca. È bastato l'accenno ad un possibile negoziato polacco-sovietico, per far insorgere la Rumania, e, forse, destare preoccupazioni in qualcuno degli Stati baltici. Nello stesso modo, domani, un riavvicinamento franco-italiano urterebbe contro le resistenze Jugoslave e Cecoslovacche. A questo è ridotta l'Europa grazie alla politica di alleanze e di gruppi tanto cara alla Francia. Questo è il vero punto debole della situazione politica europea, senza la cui eliminazione nessuna vera pace e nessuna seria limitazione degli armamenti saranno mai possibili. Gli effetti disgregatori della politica del Quai d'Orsay appaiono, in questo settore dell'Europa, in luce meridiana. Ecco perché, Jaddove non siano in gioco nostri interessi diretti, io sono fautore di una politica italiana di 'metti bene ', come contrapposto alla politica del ' metti male ' sostanzialmente e in fatto perseguita dalla Francia pacifista.

Il cinquanta per cento, se non più, delle difficoltà che la situazione politica, qEale io posso osservarla da Mosca, pre~enta, è dovuto ad artificio e mal2 volontà. E tutto ciò mentre la crisi imperversa e stringe ecl il rimedio più che mai urge •·

inserzione all'ultima ora di un patto italo-russo nelle more del patto franco-russo non mi sembrava parimenti opportuna. La questione andava quindi studiata con attenz.ione, nei riguardi sopratutto della scelta del momento.

Litvinoff mi ha ,manifestate le sue apprensioni, da me condivise, circa le possibili dimiSisioni di Henderson da Presidente della Conferenza del Disarmo. Gli ho detto ,che l'Italia ,considera ,con effettiva preoc,cupazione questa eventualità e cerca di ,scongiurarla. Litvinoff ha aggiunto ,che l'ipotesi di un Presidente americano potrebbe mettere in per>icolo la stessa partecipazione dell'U.R.S.S. alla Conferenza, dati i cattivi 'rapporti che esisterebbero oggi fra .gli Stati Uniti e l'Unione Sovietica, in conseguenza dei quali le stesse relazioni commerciali coll'America istarebbero-eosì Litvinoff ha assicurato -per essere interrotte. Questa asserzione di Litvinoff mi ha recato una certa sorpresa.

Siamo passati infine a parlare della rinnovazione dei nostri accordi eommerciali. Litvinoff ha esposto una teoria paradossale, e cioè essere attualmente la bilancia italo-russa a esclusivo vantaggio dell'Italia, inquantoché si sono spostate a nostro favore le antiche differenze esistenti negli scambi fra l'Italia e la Russia Zarista, cioè prima della guerra. La bilancia degli S'cambi italo-russi dovrebbe essere, !secondo Litvinoff, considerata sul piano esistente prima della guerra, consolidando per così dire, il margine passivo per l'Italia. In conseguenza di ciò i nuovi accordi eommerciali italo-russi dovrebbero, secondo Litvinoff, consentire un aumento di esportazione russa in ItaHa. Ho risposto nettamente a Litvinoff che ove egli insi;stesse su questo criterio qualsiasi collaborazione o politica o commerciale italo-russa sarebbe messa in serio pericolo. L'Italia non ha, per ora, in animo di raggiungere un margine attivo nella bilancia commerciale italo-russa, ma crede suo diritto, e farà di tutto per raggiungerne il pareggio. Qualsiasi altra considerazione sarebbe inaccettabile, e potrebbe condurre a 'Compromettere in un modo definitivo i nostri rapporti commerciali. Non deve il Governo di Mosca pensare che il mercato russo ,costituisca per noi una condizione di necessità. Come abbiamo iniziata volentieri una politica di collaborazione, nello stesso modo ci vedremmo costretti ad interromperla se i reciproci vantaggi non fossero assicurati. Siamo rimasti su questo punto della conversazione.

Tornando all'esame di argomenti generali ho avuto l'impressione che le relazioni fra Mosca e Berlino siano in questo momento alquanto rannuvolate. Litvinoff mi ha ringraziato dell'appoggio datogli nella Commissione europea per il Patto· di non aggres,sione. Egli andrà via di qui deluso e 'irritato per il non accoglimento di esso. È questo un errore commesso dagli Stati membri della S..d.N. verso l'U.R.S.S. Io continuo ad essere persuaso, e l'ho ripetuto a Litvinoff, che l'Europa ha l'interesse di favorire ed incoraggiare la partecipazione dell'Unione Sovietica alla responsabilità degli affari europei. Il progetto Litvinoff è naufragato per l'opposizione francese (tanto più sintomatica alla vigilia della firma del patto franco-sovietico) per la tacita ma attiva opposizione degli Stati non europei, i quali desiderano che il problema sia portato al loro esame attraverso una discussione all'Assemblea (discussione d'altra parte assai problematica per l'assenza del proponente dai lavori dell'Assemblea medesima),

ed infine è naufragato per colpa dello stesso Litvinoff, il quale, pur addimostrandosi .polemista di prim'ordine, non ha saputo presentare la sua proposta in modo abile, non limitandosi cioè a quella formulazione di carattere generico, l'accoglimento della quale nessuno avrebbe potuto negare.

Siamo rimasti d'accordo con Litvinoff di mantenere, attraverso V. E., frequenti ·contatti e ragguagliarci reciprocamente sugli avvenimenti della politica internazionale i quali potranno svilupparsi in questo prossimo anno che può essere non privo di fatti interessanti.

Circa l'eventualità di un patto di non-aggressione itala-sovietico, che è appa11so ancora una volta così desiderato da Litv,inoff, io mi domando se non fosse a noi utile di esaminare la possibilità della stipulazione di esso mettendolo in istretta relazione coi nuovi accordi commerciali che potrebbero essere discussi fra qualche tempo e di cui il patto politico potrebbe rappresentare la conclusione.

Rifletterò ancora .sulla questione e sarò ad ogni modo grato a V. E. di comunicarmi il suo avviso al riguardo.

(l) -Risponde al n. 454. (2) -Lo :;tesso giorno Grandi inviò a Mussolini una lettera che non si è trovata. (3) -Il te!. fu inviato a Roma per l'inoltro a Mosca. (4) -Manca il numero del te!.

(l) Cfr. il rapporto r. 3791/1460. Mosca 4 settembre, circ3. alcune reazioni internazionali al patto franco-sovietico. Attolico così concludeva:

(2) -Cfr. n. 283. (3) -Cfr. serie VII, vol. IX, n. 411.
459

IL MINISTRO DEGLI ESTERI, GRANDI (1), AL MINISTRO DELLE CORPORAZIONI, BOTTAI, E AL DELEGATO PRESSO L'UFFICIO INTERNAZIONALE DEL LAVORO, DE MICHELIS

TELESPR. RR. 230606. Roma, 4 settembre 1931.

In relazione alle intese verbali intervenute con l'E. V. circa l'argomento in oggetto (2), ho il pregio di confermarLe che -in seguito ai noti avvenimenti dell'ultima Conferenza del Lavoro -il R. Governo si atterrà per ora, nei riguardi dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro, alla linea di condotta specificata dai seguenti punti:

l) il R. Rappresentante presso il B.I.T. presenterà al prossimo Consiglio

di Amministrazione (ottobre) alcune proposte tendenti ad introdurre nel Rego

lamento della Conferenza e, eventualmente, nel Trattato di Pace stesso, gli emen

damenti opportuni per evitare: a) il ripetersi della nota annuale discussione sulla

convalida dei poteri del Delegato operaio italiano; b) la sistematica esclusione

della rappresentanza operaia italiana dal Consiglio di Amministrazione e dalle

Commissioni della Conferenza;

2) nell'attesa che le proposte anzidette facciano il loro corso, il R. Go

verno manterrà un contegno di partecipaz,ione passiva nell'Organizzazione, aste

Sulla questione Ghigi ave\ a trasmesso al ministero delle corporazioni, con telespr. 227725/1988 del 5 agosto, una relazione sulla lineR di condotta da seguire.

nendosi, fra l'altro, dal procedere alla ratifica di altre convenzioni del Lavoro, e dal partecipare alla prossima Conferenza tecnica conJsultiva per le questioni ma:rittime, indetta per il prossimo novembre;

3) un'azione parallela potrà essere svolta dal Delegato Italiano in seno al Consiglio de1la Società delle Nazioni. Tale azione potrebbe iniziarsi con una dichiarazione da farsi ad uno dei prossimi ConsigH, con la quale H Delegato italiano renderà conto della situazione creatasi per l'Italia in seno al B.I.T. e domanderà, eventualmente, al Consiglio stesso, di mettere ano studio Ja questione, per i provvedimenti del caso, prima che il R. Governo si trovi costretto a recedere dall'Organizzazione del Lavoro. Il tono e la misura di tale azione potrà essere suggerito con maggiore precisione dal corso che prenderanno gli eventi e dall'accoglimento che troveranno in seno al B.I.T. le proposte di cui al n. l) (1).

« Poiché codesto Governo è rappresentato nel Consiglio d'Amministrazione predetto,converrebbe che l'E. V. facesse presso di esso i passi del caso per ottenere che dia istruzioni al proprio rappresentante di appoggiare le proposte in questione.

Ella potrà far valere come tali proposte non rispondano solamente agli interessi dell'Italia, ma a quelli di tutti i Governi rappresentati alla Conferenza. È infatti questione di interesse generale quella di assicurare il regolare funzionamento dell'Organizzazione, che non può non rimanere pregiudicata dal fatto che il gruppo operaio se ne serva per il raggiungimento di suoi particolari fini politici. E sopratutto, converrà che Ella faccia notare come l'adozione del principio della rotazione !'.ella nomina dei membri del Consiglio -principio che troverebbe applicazione non solamente per l'elezione dei membri padronali ed operai ma anche per quelli governativi -offrirebbe la certezza di ottenere o prima o poi un posto nel Consiglio stesso a molti Governi che attualmente ne sono esclusi. È da aggiungere che il principio della rotazione ha già trovato una felice applicazione -nell'ambito dell'Organizzazione internazionale del Lavoro -per la r.omina del Presidente del Consiglio d'Amministrazione"·

(l) -Il testo reca la dizione • firmato Grandi » seguita tra parentesi dalla firma (non autografa) di Fani. (2) -Rapporti fra l'Italia e l'Ufficio internazionale del lavoro.

(l) II ministero, nel mettere al corrente della questione le ambasciate di Parigi, Londra, :Bruxelles, Berlino, Varsavia, Madrid, Rio de Janeiro, Tokio e la legazione a Copenaghen,così concludeva (progetto di dispaccio senza data):

<
APPENDICI

25 -Documenti diplomatici-Serie VII-Vol. X

APPENDICE I

AMBASCIATE E LEGAZIONI DEL REGNO D'ITALIA ALL'ESTERO

(Situazione al 15 marzo 1931)

AFGANISTAN

Kabul -GALANTI Vincenzo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; PENNACCHIO Luigi, interprete.

ALBANIA

Tirana -MELI LUPI DI SoRAGNA marchese Antonio, inVIiato straordinario e ministro plenipotenziario; QuARONI Pietro, primo segretario; ZAMBONI Guelfo, console con funzioni di segretario; CASTELLANI Vittorio, vice console con funzioni di segretario; PARIANI Alberto, generale di brigata, addetto militare; DANISCA Pietro, ,interprete.

ARGENTINA

Buenos Aires -PIGNATTI MoRANO DI CusTOZA conte Bonifacio, ambasciatore; FRASONI Francesco, primo segretario con funzioni di consigliere; BERTELÈ Tommaso, primo segretario; RossET DESANDRÈ Antonio, console con funzioni di segretario; DE PINEDO marchese Francesco, generale di divisione aerea, addetto aeronautico; MANCINI Tommaso, addetto commerciale.

AUSTRIA

Vienna -AuRrTr Giacinto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; GErssER CELESIA DI VEGLIAsco Andrea, primo segretar,io; CuTuRr Antonio, console con funzioni di segretario; GruSTINIANr Raimondo, vice console con funzioni di segretario; FABBRI Umberto, tenente colonnello, addetto militare e aeronautico; Dr NoLA Carlo, addetto commerciale.

BELGIO

Bruxelles -N. N., ambasciatore; GAZZERA Giuseppe, consigliere; SCADUTO Gioacchino, primo segretario; Prccro Pier Ruggero, generale di divisione aerea, addetto aeronautico (residente a Parigi); RADICATI dei conti di Marmorito, Augusto, capitano di vascello, addetto navale (residente a Parigi); BERAUPO dei conti di Pralormo, Emanuele, tenente colonnello di cavalleria, addetto militare (residente a Parigi).

BOLIVIA

La Paz -CAFIERO Ugo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

BRASILE

Rio de Janeiro -CERRUTI Vittorio, ambasoiatore; DE LIETO Casimiro, consigliere; MARINI Vittorio, console con funzioni di segretario; SPALAZZI Giorgio, console con funzioni di segretario.

BULGARIA

Sofia -CORA Giuliano, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CASSINIS Angiolo, primo segretario; WIEL Ferdinando, console con funzioni di segretario; CoccoNI Francesco, tenente colonnello di fanteria, addetto militare e aeronautico; SECCHI Attilio, capitano di vascello, addetto navale (residente ad Angora); BARIGIANI Andrea, reggente la delegazione commerciale.

CECOSLOVACCHIA

Praga -PEDRAZZI Orazio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CosTA SANSEVERINO Francesco, principe di S. Agata, primo segretario; DE SIMONE Paolo, vice console con funzioni di segretario; CADORNA conte Raffaele, tenente colonnello di cavalleria, addetto militare; SACERDOTI Eugenio, capitano dell'aeronautica, addetto aeronautico (residente a Belgrado); BENEDETTI Gian Paolo, reggente la delegazione commerciale.

CILE

Santiago -N.N., ambaseiatore; AssERETO Tommaso, primo segretario con funzioni di consigliere; GIARDINI Renato, console con funzioni di segretario.

CINA

Pechino -VARÈ Daniele, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CoRTINI Claudio, primo segretario; Ros Giuseppe, interprete; Dr RENZO Marco, interprete; CALAMAI Marco, tenente di vascello, comandante del distaccamento della R. Marina e della guardia della R. Legazione, con mansioni di addetto navale e militare.

COLOMBIA

Bogotà -CECCHI Gino, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; PoRTA Mario, primo segretario.

COSTARICA

NEGRI conte Vittorio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente a Panama).

CUBA

Avana -BoscARELLI Raffaele, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; TOMASELLI Anatolia, vlce console.

DANIMARCA

Copenaghen -VIOLA Guido conte di Campalto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CITTADINI conte Pier Adolfo, console con funzioni di segretario; SENZADENARI Raffaele, tenente colonnello del genio aeronautico, addetto aeronautico (residente a Berlino); Luzr Renato, addetto commerciale.

DOMINICANA (Repubblica)

BosCARELLI Raffaele, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente all'Avana).

EGITTO

Caim -CANTALUPO Roberto, deputato al parlamento, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; LEQUIO Francesco, primo segretario; ALESSANDRINI Adolfo, console con funzioni di segretario; SPERANZA Vincenzo, interprete; BuFFONI Decio, reggente la delegazione commerciale.

EQUATORE

Quito -SAPUPPO Giuseppe, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

ESTONIA

Tallin (Reval) -TosTI dei duchi di Valminuta, conte Mauro, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; RovAsENDA DI RovAsENDA Vittorio, primo segretario; PACIFICI Dante, tenente colonnello del genio, addetto militare, navale ed aeronautico (residente a Varsavia).

ETIOPIA

Addis Abeba -PATERNÒ DI MANCHI DI BILICI, marchese Gaetano, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; ScAMMACCA Michele, primo segretario; Muzr FALCONI Filippo, vice console con funzioni di segretario; RuGGERO Vittorio, tenente colonnello di Stato Maggiore, addetto militare; CERULLI Enrico, direttore coloniale.

FINLANDIA

Helsinki (Helsingfors) -TAMARO Attilio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; PACIFICI Dante, tenente colonnello del genio, addetto militare e navale (residente a Varsavia); SENZADENARI Raffaele, tenente colonnello dell'aeronautica, addetto aeronautico (residente a Berlino).

FRANCIA

Parigi -MANZONI conte Gaetano, ambasciatore; VINCI GIGLIUCCI conte Luigi Orazio, consigliere; CANTONI MARCA Antonio, primo segretario; PERRONE dei conti di San Martino, Ettore, console con funZiioni di segretario; LANDINI Amedeo, console; SALLIER DE LA TouR CORIO duca Paolo, vice console con funzioni di segretario; PICCIO Pier Ruggero, generale di divisione aerea, addetto aeronautico; RADICATI dei conti di Marmorito, Augusto, capitano di vascello, addetto navale; BERAUDO, dei conti di Pralormo, Emanuele, tenente colonnello di cavalleria, addetto militare; CoLETTI Silvio, consigliere di emigrazione; CARAVALE Erasmo, consigliere commerciale.

GERMANIA

Berlino -ORSINI BARONI Luca, ambasciatore; CICCONARDI Vincenzo, consigliere; OTTAVIANI Luigi, primo segretario; ANFUSO Filippo, console con funzioni di segretario; BADOGLIO, dei marchesi del Sabotino, Mario, addetto; MANCINELLI Giuseppe, tenente colonnello di stato maggiore, addetto militare; TREBILIANI Pier Francesco, capitano di fregata con funzioni di capitano di vascello, addetto navale; SENZADENARI Raffaele, tenente colonnello dell'aeronautica, addetto aeronautico; RICCIARDI Adelchi, consigliere commerciale.

GIAPPONE

Tokio -MAJONI Giovanni Cesare, ambasciatore; WEILL ScHOTT Leone, consigliere; GARBACCIO Livio, console con funzioni di segretario; MELKAI Almo, interprete; FRATTINI Enrico, tenente colonnello di stato maggiore, addetto militare, navale ed aeronautico.

GRAN BRETAGNA

Londra -CHIARAMONTE BORDONARO Antonio, ambasciatore; MAMELI Francesco Giorgio, consigliere; PRUNAS Renato, primo segretario; JANNELLI Pasquale, console con funzioni di segretario; DEL BALzo, dei duchi di Presenzano, Giulio, vice console con funzioni di segretado; ScoLA CAMERINI barone Giovanni, vice console con funzioni di segretario; PELLICCIA Giuseppe, addetto speciale; DE FACCI NEGRATI Gaetano, con funzioni di addetto; SoMMATI, dei conti di Mombello, Ettore, capitano di vascello, addetto navale; INFANTE Adolfo, tenente colonnello di artiglieria, addetto militare; BITOSSI Pier Francesco, tenente colonnello dell'aeronautica, addetto aeronautico; CAPPONI Ferrante, capitano di corvetta, addetto navale aggiunto; CECCATO Giovan Battista, consigliere commerciale.

GRECIA

Atene -BASTIANINI Giuseppe, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; BERARDIS Vincenzo, primo segretario; FECIA DI CossATO Carlo, console con funzioni di segretario; TRIONFI marchese Luigi, tenente colonnello di stato maggiore, addetto militare; BERTOLDI Giuseppe, capitano di fregata, addetto navale ed aeronautico; DE SANTO Demetrio, interprete.

GUATEMALA

Guatemala -N. N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

HAITI

BoscARELLI Raffaele, inviato straordinario e ministro plenipotenziario (residente all'Avana).

HONDURAS

Tegucigalpa -N. N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

JUGOSLAVIA

Belgrado -GALLI Carlo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CosMELLI Giuseppe, primo segretario; BARBARICH conte Alberto, console con funzioni di segretario; AMARI, dei conti di Sant'Adriano, Edoardo, tenente colonnello di stato maggiore, addetto militare; GIARTOSIO Carlo, capitano di fregata, addetto navale; SACERDOTE Eugenio, capitano dell'aeronautica, addetto aeronautico; PIETRABISSA Francesco, addetto commerciale; DE SARNO SAN GIORGIO Pietro, interprete; SCELDIA Antonio, interprete.

LETTONIA

Riga -MACARIO Nicola, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; MENZINGER DI PREUSSENTHAL Enrico, primo segretario; PACIFICI Dante, tenente colonnello del genio, addetto militare, navale ed aeronautico (residente a Varsavia).

LITUANIA

Kaunas -AMADORI Giovanni, inviato straordinario e ministro plenipotenz,iario; MANCINELLI Giuseppe, tenente colonnello di sta,to maggiore, addetto militare (residente a Berlino).

LUSSEMBURGO

Lussemburgo -N. N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

MESSICO

Messico -VIGANOTTI GIUSTI conte Gianfranco, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

NICARAGUA

Managua -N. N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

NORVEGIA

Oslo -DE MARSANICH Alberto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; SENZADENARI Raffaele, tenente colonnello dell'aeronautica, addetto aeronautico (residente a Berlino).

PAESI BASSI

L'Aja -SENNI Carlo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; KELLNER Gino Lodovico, primo segretario; SENZADENARI Raffaele, tenente colonnello dell'aeronautica, addetto aeronautico (residente a Berlino); TREBILIANI Pier Francesco, capitano di fregata con funzioni di capitano di vascello, addetto navale (residente a Berlino).

P ANAMA

Panama -NEGRI conte Vittorio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

PARAGUAY

Assunzione -N. N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

PERSIA

Teheran -DANEO Giulio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; STRANEO Carlo Alberto, console con funzioni di segretario; DI MoNTEFORTE Giuliano, interprete.

PERU'

Lima -SUMMONTE Gonsalvo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

POLONIA

Varsavia -MARTIN FRANKLIN conte Alberto, ambasciatore; PETRUCCI Luigi, consigliere; RuLLI Guglielmo, console con funzioni di segretario; PACIFICI Dante, tenente colonnello del genio, addetto militare navale e aeronautico; CORVI Antonio Menotti, addetto commerciale; ANGLE Romano, interprete.

PORTOGALLO

Lisbona -ARONE Pietro, barone di Valentino inviato straordinario e ministro plenipotenz,iario; MARIANI Luigi, primo segretario; SPALICE Luigi, capitano di fregata, addetto navale (residente a Madrid); TONINI Mario, colonnello di cavalleria, addetto militare (residente a Madrid); LONGO Ulisse, maggiore dell'aeronautica, addetto aeronautico (residente a Madrid); MARIANI Erminio, consigliere commerciale (residente a Madrid).

ROMANIA

Bucarest -PREZIOSI Gabriele, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; PAsETTI Vittorio, primo segretario; DI STEFANO Mario, console con funzioni di segretario; ZANOTTI Mario, tenente colonnello di stato maggiore, addetto militare ed aeronautico; GIARTOSIO Carlo, capitano di corvetta, addetto navale (residente a Belgrado); DE MARTINO Giuseppe, addetto commerciale; RaccHI Cesare, archivista interprete.

SALVADOR (Repubblica del)

San Salvador -N.N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

SANTA SEDE

Roma -DE VECCHI DI VAL CISMON conte Cesare Maria, ministro di Stato, senatore del Regno, ambasciatore; DE STEFANI Pietro, consigliere; TALAMO ATENOLFI Giuseppe marchese di Castelnuovo, primo segretario; PELLIZZOLA monsignor Antonio, consulente ecclesiastico.

SIAM

Bangkok -DE Rossi Girolamo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; Bovo Goffredo, console interprete.

SPAGNA

Madrid -DuRINI DI MoNZA conte Ercole, ambasciatore; DE PEPPO Ottavio, consigliere; DELLA PORTA Francesco, console con funzioni di segretario; MALASPINA, dei marchesi di Carbonara e di Volpedo, Falchetto, console con funzioni di segretario; SPALICE Luigi, capitano di fregata, addetto navale; ToNINI Mario, colonnello di cavalleria, addetto militare; LoNGo Ulisse, maggiore dell'aeronautica, addetto aeronautico; MARIANI Erminio, consigliere commerciale.

STATI UNITI D'AMERICA

Washington -DE MARTINO Giacomo, senatore del Regno, ambasciatore; MARCHETTI di Muriaglio conte Alberto, primo segretario con funzioni di consigliere; RoNCALLI, dei conti di Montorio, Guido, primo segretario; MoNACO Adriano, console con funzioni di segretario; SoARDI Carlo Andrea, vice console con funzioni di segretario; NoTARBARTOLO, dei duchi di Villa!'osa, Luigi, capitano di vascello, addetto navale; PENNAROLI Marco, tenente colonnello di artiglieria, addetto militare; SBERNARDORI Paolo, maggiore dell'aeronautica, addetto aeronautico; FIGAROLO, dei conti di Gropello, Giulio, tenente di vascello, addetto navale aggiunto; BoNARDELLI Eugenio, consigliere dell'emigrazione; ANGELONE Romolo, reggente la delegazione commerciale.

SUD AFRICA

Capetown -LABIA conte Natale, inviato straordinavio e ministro plenipotenziario.

SVEZIA

Stoccolma -COLONNA Ascanio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CAFFARELLI Filippo, primo segretario; SENZADENARI Raffaele, tenente colonnello del genio aeronautico, addetto aeronautico (residente a Berlino).

SVIZZERA

Berna -MARCHI Giovanni, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; DE ANGELIS Mariano, primo segretario; TALIANI Pio, console con funzioni di segretario; MIGONE Bartolomeo, console con funzioni di segretario; PICCIO Pier Ruggero, generale di divisione aerea, addetto aeronautico (residente a Parigi); PERRONE Adolfo, tenente colonnello di stato maggiore, addetto militare.

TURCHIA

Angora -ALOISI barone Pompeo, ambasciatore; KocH Ottaviano Armando, primo segretario con funzioni di consigliere; BovA ScoPPA Renato, primo segretario; GALLI Guido, console; LA TERZA Pierluigi, console con funzioni di segretario; MACCHI DI CELLERE Pio, vice console con funzioni di segretario; CAPIZZI Manlio, tenente colonnello di fanteria) addetto militare; SECCHI Attilio, capitano di vascello, addetto navale ed aeronautico; ARRIVABENE Antonio, reggente la delegazione commerciale; PisA Ezra, interprete; PoDESTÀ Giuseppe, interprete.

UNGHERIA

Budapest -ARLOTTA Mario, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CoNTI Mario, vice console con funzioni di segretario; OXILIA Giovanni Battista, tenente colonnello di artiglieria, addetto militare ed aeronautico; DI NoLA Carlo, addetto commerciale (residente a Vienna); DI FRANCO Oscarre, cancelliere interprete.

UNIONE DELLE REPUBBLICHE SOCIALISTE SOVIETICHE

Mosca -ATTOLICO Bernardo, ambasciatore; PERSICO Giovanni, primo segretario con funzioni di consigliere; CAPRANICA DEL GRILLO marchese Giuliano, console con funzioni di segretario; SACERDOTI, dei conti di Carrobio, Renzo, vice console con funz,ioni di segretario; DE FERRARI Aldo, tenente colonnello di Stato maggiore, addetto militare, navale ed aeronautico; RELLI Guido, interprete; BALLERINI Efisio, consigliere commerciale.

URUGUAY

Montevideo -BERNARDI Temistocle Filippo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; LOMBARDI Mario, primo segretario.

VENEZUELA

Caracas -CAVICCHIONI Antonio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

APPENDICE II

UFFICI DEL MINISTERO DEGLI AFFARI ESTERI

(Situazione al 15 marzo 1931)

MINISTRO GRANDI Dino, deputato al Parlamento.

SOTTOSEGRETARIO DI STATO FANI Amedeo, deputato al Parlamento.

GABINETTO

Affari confidenziali -Ricerche e studi in relazione al lavoro del Ministro -Rapporti con la stampa e le agenzie telegrafiche -Relazioni del Ministro col Parlamento e col Corpo diplomatico -Udienze -Tribuna diplomatica.

Capo di Gabinetto: GHIGI Pellegrino, primo segretario di legazione di la classe.

Segretari: JACOMONI Francesco; BONARELLI DI CASTELBOMPIANO conte Vittorio Emanuele; Rossi LoNGHI marchese Alberto; DE CIUTIIS DI SANTA PATRIZIA Filippo; NoNIS Alberto, primi segretari di legazioni di 2a classe; ToRELLA Raimondo; CHASTEL Roberto, vice consoli di 2a classe.

Aggregato: TALVACCHIA Giovanni, questore.

UFFICIO STAMPA

Rivista della stampa estera e della stampa italiana nei riguardi della politica estera -Informazioni a giornali ed agenzie italiane ed estere Traduzioni.

Direttore: FERRETTI Lando, deputato al Parlamento.

Vice Direttore: Rocco Guido, consigliere di legazione.

Segretari: VIDAU Luigi, console di I a classe; MAsCIA Luciano, console di 2a classe; NICHETTI Carlo, vice console di 2n classe; BRUGNOLI Alberto, addetto consolare.

UFFICIO STORICO-DIPLOMATICO

Raccolta e compilazione di materiale storico sopra questioni di politica estera d'inte1·esse pratico contemporaneo a complemento e illustrazione dei documenti ufficiali -Raccolta, custodia e aggiornamento di collezioni cartografiche e studi geografici -Diario storico del Ministero -Classificazione e diramazione degli atti diplomatici -Libri verdi -Raccolta, coordinamento e valorizzazione sistematica di tutti gli elementi tratti dal carteggio delle Regie Rappresentanze all'estero e da ogni altra fonte Studi e preparazione di carattere politico ed economico.

Capo ufficio: SoLA Ugo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 2• classe.

Segretari: CoRTESE Luigi, console di 2• classe; CIPPICO Tristam Alvise, vice console di 2" classe; SILI Francesco, NAVARRINI Guido, addetti consolari; LANZA Michele, volontario diplomatico-consolare.

SERVIZIO GEOGRAFICO

ADEMOLLO Umberto, generale di divisione; CALVANI Michele, colonnello di fanteria.

TIPOGRAFIA RISERVATA

Direttore: BERNI Fedele.

UFFICIO DEL PERSONALE

Personale di ogni categoria di dipendente dal Ministero (eccetto il personale delle scuole italiane all'estero) -Uffici diplomatici e consolari all'estero: loro istituzione e soppressione -Addetti militari, navali, aeronautici e commerciali e loro uffici -Servizio d'ispezione agli uffici all'estero -Questioni di ordinamento del Ministero e delle carriere dipendenti -Commissioni di avanzamento -Consiglio del Ministero -Concorsi -Ammissioni -Annunzi e bollettini del personale -Personale e uffici diplomatici e consolari esteri in Italia -Bollettini di detto personale -Rapporti informativi sul personale -Matricola generale Disciplina del personale subalterno del Ministero Passaporti diplomatici.

Capo ufficio: Tuozz1 Alberto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 2• classe.

Segretari: GLORIA Ottavio, console di l• classe; TuRCATO Ugo, console di 2• classe; FoRNARI Giovanni, console di 3• classe; CARUSO Casto, addetto consolare; D'AQUINO, dei principi di Caramanico, Alfonso, volontario diplomatico-consolare; FERRINI Guglielmo, primo segretario dell'emigrazione.

Addetto all'Ufficio: EMILIANI Luigi, primo commissario consolare.

UFFICIO DEL CERIMONIALE

Regole del cerimoniale -Lettere reali -Credenziali -Lettere di richiamo Pieni poteri -Privilegi ed immunità degli agenti diplomatici e consolari -Franchigie in materia doganale ai Regi agenti all'estero e agli agenti stranieri in Italia -Massimario -Visite e passaggi di Capi di Stato, Principi e autorità estere -Decorazioni nazionali ed estere -Libretti e richieste ferroviarie per il personale -Passaporti di servizio ed ordinari.

Capo ufficio: TALIANI Francesco Maria, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 2a classe.

Segretari: Boccr Giunio, console generale di 2a classe; CAPECE GALEOTA Giuseppe, console di 2a classe; LEPRI Stanislao, volontario diplomatico-consolare.

SERVIZIO ARCHIVIO STORICO E BIBLIOTECA

Capo Servizio: SALATA Francesco, senatore del Regno, consigliere di Stato, presidente della Commissione per la Pubblicazione dei documenti diplomatici.

ARCHIVIO STORICO

Conservazione ed incremento delle collezioni manoscritte del Ministero e dei Regi Uffici all'estero -Conservazione degli originali degli atti internazionali -Conservazione delle carte riversate dagli archivi del Ministero e dai Regi Uffici all'estero -Ricerche e studi su materie storiche e questioni internazionali per incarico del Ministero -Inventari, schedari e rubriche.

Capo Ufficio: FossATI Oreste.

BIBLIOTECA

Conservazione ed incremento delle pubblicazioni; proposte per acquisto di libri e periodici -Scambio di pubblicazioni con altri Ministeri od Istituti italiani ed esteri -Cataloghi, schedari -Raccolta sistematica della legislazione straniera per ciò che può concernere le relazioni internazionali e l'Amministrazione degli Affari Esteri -Forniture di pubblicazioni ufficiali a corredo di Regi Uffici diplomatici e consolari.

Bibliotecario: PmoNE Raffaele.

Vice bibliotecario : RoNZANr Francesco.

Addetto all'ufficio : MrLLI Angiolo.

DIREZIONE GENERALE AFFARI POLITICI E COMMERCIALI D'EUROPA,

LEVANTE ED AFRICA

DirettorE: generale: GUARIGLIA Raffaele, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di la classe.

UFFICIO I

Belgio -Danimarca -Francia -Germania -Gran Bretagna -Lussemburgo -Monaco -Norvegia -Paesi Bassi-Polonia-Portogallo -SpagnaStati Baltici -Svezia -Svizzera -Unione delle Repubbliche Sovietiche.

Capo ufficio: PITTALIS Francesco, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 2a classe.

Segretari: MARIANI Alessandro, consigliere di legazione; DE PAOLIS Pietro, console di 2a classe; ScAGLIONE Roberto, vice console di la classe; GABRICI Tristano, addetto consolare.

UFFICIO II

Austria -Cecoslovacchia -Romania-Ungheria.

Capo ufficio designato: RoCHIRA Ubaldo, console di la classe.

Segretari: DE AsTIS Giovanni, primo segretario di legazione di 2a classe; CAPPELLANI, dei baroni della Fòrmica, Raffaele, addetto consolare.

UFFICIO III

Bulgaria -Grecia -Jugoslavia -Turchia -Affari concernenti le Isole Italiane dell'Egeo.

Capo ufficio: lNDELLI Mario, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 2a classe.

Segretari: VrTA-FINZI Paolo, console di 2a classe; DE MALFATTI DI MoNTE TRETTO, barone Carlo, vice console di la classe; REVEDIN dei marchesi di San Martino conte Giovanni, addetto consolare.

UFFICIO III A

Albania.

Capo ufficio: PrETROMARCHI Luca, primo segretario di legazione di 2a classe, reggente.

Segretario: Lo FARO Francesco, addetto consolare.

/

UFFICIO IV

Africa -Penisola arabica -Mesopotamia -Palestina -Siria -Affari concernenti la Libia, l'Eritrea e la Somalia italiana.

Capo ufficio: GUARNASCHELLI Giovanni Battista, console di la classe, reggente.

Segretari: ZOPPI Vittorio, console di 2a classe; P AVERI-FONTANA Alberto, marchese di Fontana Pradosa, volontario diplomatico-consolare.

DIREZIONE GENERALE AFFARI POLITICI E COMMERCIALI DI AMERICA, ASIA ED AUSTRALIA

Direttore generale: P AGLIANO conte Emilio, inviato straordinario e ministro plenipotenz.iario di 2" classe.

UFFICIO I

America del nord, Oceania ed Asia, tranne le regioni attribuite all'ufficio IV della Direzione Generale Europa, Levante ed Africa.

Capo ufficio: BALSAMO Giovanni, consigliere di legazione.

Segretari: Rossi Paolo Alberto, console di l• classe; MAGISTRATI Massimo, console di 3a classe.

UFFICIO II

America Latina.

Capo ufficio: BELLARDI RICCI Alberto, primo segretario di legazione di la classe, reggente.

Segretari: CONFALONIERI Giuseppe Vitaliano, console di 3a classe; ANTINORI Orazio, marchese di Castel S. Pietro Aquae Ortus, volontario diplomatico

~onsolare.

DIREZIONE GENERALE AFFARI SOCIETA' NAZIONI

Direttore generale: Rosso Augusto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di l a classe.

Aggregati alla Direzione Generale per compiti speciali: PILOTTI Massimo, primo presidente di Corte di Appello; BRoccHI Igino, consigliere di Stato; BUTI Gino, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 2" classe; RusPoLr Fabrizio, capitano di vascello in ausiliarlia.

UFFICIO I

Com·dinamento generale fra i vari Uffici del ministero e fra i vari Ministeri -Collegamento fra gli organi della Società delle N azioni e gli enti internazionali con le varie Amministrazioni -Lavori preparatori per le sessioni dell'Assemblea e del Consiglio della Società delle Nazioni e delle diverse Conferenze e Riunioni ad essi attinenti -Congressi e Conferenze in gene1·e -Ordinamento degli Atti e documenti relativi.

Capo ufficio: DIANA Pasquale, primo segretario di legazione di la classe.

Segretari: PLETTI Mario, FERRERO Andrea, addetti consolari.

UFFICIO II

Studio delle questioni politiche e giuridiche in relazione ai lavori della Società delle Nazioni -Corte permanente di Giustizia internazionale Cooperazione intellettuale.

Capo ufficio: VITETTI Leonardo, primo segretario di legazione di za classe, reggente.

Segretario: N. N.

UFFICIO III

Studio delle questioni economiche e tecniche della Società delle Nazioni

Ufficio Internazionale del Lavoro -Istituto Internazionale di Agricol

tura-Banca dei Regolamenti Internazionali e questioni delle Riparazioni.

Capo ufficio: BERIO Alberto, primo segretario di legazione di za classe, reggente.

Segretari: MACCHI DI CELLERE conte Francesco, addetto consolare; SoLARI Pietro Domenico, volontario diplomatico-consolare.

DIREZIONE GENERALE TRATTATI, ATTI, AFFARI CON LA SANTA SEDE E SERVIZI AMMINISTRATIVI,

Direttore generale: SANDICCHI Pasquale, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di la classe, consigliere di Stato.

UFFICIO I

Trattati, Atti.

Capo ufficio: MODICA, dei baroni di San Giovanni, Giovanni, consigliere di legazione.

Segretari: SILENZI Renato, primo segretario di legazione di la classe; BERGAMASCHI Bernardo, console di 2a classe; CoRRIAS Angelino, addetto consolare.

UFFICIO II

Affari con la Santa Sede.

Capo ufficio: CAVRIANI Giuseppe, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 2a classe.

Segretario: Rossi LoNGHI Gastone, console di 2a classe.

UFFICIO III

C.A.S.E.

Capo ufficio: ToRTORA BRAYDA Camillo, conte di Policastro, primo segretario di legazione di la classe.

UFFICIO IV

Pubblicazione e raccolte amministrative.

Capo ufficio: ToscANI Angelo, console generale di la classe. Addetto all'ufficio: RAFFAELLI Pietro.

UFFICIO V

Amministrativo.

Capo ufficio: RrNVERSI Romolo, capo divisione dei commissari consolari.

Segretari: BoNAVINO Arturo; AGOSTEO Cesare, capi sezione dei commissari consolari; LEONINI PIGNOTTr Augusto, commissario consolare capo; BONTEMPS Aldo, primo commissario consolare; VELONÀ Antonino, commissario consolare; MoNACO Potito; MANZO Ciro, volontari commissari consolari.

Addetti all'ufficio: FIORI Romeo; MoNTESI Giuseppe, direttori capi divisione; PAZZAGLIA Gino, segretario capo di ragioneria; MANCA Elio, primo segretario dell'emigrazione; RENGANESCHI Vittorio, primo segretario di ragioneria; Pmooor Mario; RoTA Armando, vice segretari di ragioneria.

UFFICIO DI POLITICA ECONOMICA

Segreteria della Commissione intermini~teriale per l'azione economica all'estero -Collegamento in materia economico-commerciale fra le Direzioni generali Europa, Levante e Africa; America, Asia ed Australia ed i Ministeri tecnici competenti.

Capo ufficio: CrANCARELLI Bonifacio Francesco, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di la classe. Segretari: GRAZZI Umberto, console di 2a classe; Lo SAVIO Pio, vice console di 2a classe. Comandato: DEr MEDICI conte Ugo, vice .intendente di finanza.

DIREZIONE GENERALE ITALIANI ALL'ESTERO E SCUOLE

Direttore Generale: PARINI Piero, console generale di la classe.

UFFICIO I

Fasci e istituzioni italiane all'estero. Capo ufficio: FARALLI Iginio Ugo, console generale di 2a classe. Segretario: CHIAVARI marchese Gian Girolamo, vice console di 2a class.e. Comandato: DINI Ottavio, capitano dei CC.RR.

UFFICIO II

Assistenza agli italiani all'estero.

Capo ufficio: N. N. Segretario: MASI Adriano, vice console di la classe.

UFFICIO III

Scuole italiane all'estero.

Capo ufficio: N. N.

Segretari: MoscA Bernardo; CANNICCI Achille Angelo, consoli di 2a classe; DEL DRAGO BISCIA GENTILINI Marcello, console di 3a classe; ARRIGHI Ernesto, addetto consolare.

Addetto all'ufficio con incarico speciale: RIMONDINI Felice, Regio provveditore agli studi.

Comandati: DE FINA Andrea, segretario capo nei Regi Provveditorati agli studi; Fosco Camillo; FERRUZZI Raffaello, capi sezione del Ministero dell'Educazione Nazionale; MALGERI Eugenio, professore nei Regi Istituti tecnici; BISCOTTINI Umberto, professore nei Regi Ginnasi; MoscHETTI Edoardo, professore nelle R. Scuole secondarie di av,viamento al lavoro; FASSAtn Cesare, insegnante nelle R. Scuole italiane all'estero.

DIREZIONE GENERALE DEL LAVORO ITALIANO ALL'ESTERO

Direttore generale: LoJACONO Vincenzo, ambasciatore.

UFFICIO I Regolamentazione del fenomeno emigratorio -Progetti di colonizzazione -Paesi continentali -Bacino del Mediterraneo -Africa -Canadd. Capo ufficio: VINCI Adolfo, consigliere dell'emigrazione di la classe.

Segretari : 0LIVIERI Umberto; FAGO Cataldo Amedeo; P ATRIZI DI RIPACANDIDA, dei duchi di Castelgaragnone, Ernesto, vice consiglieri dell'emigrazione; IMMIRZI Alfonso; CARUZZI Ciro, primi segretari dell'emigrazione; SALLIER DE LA TouR conte Carlo, marchese di Cordon e Combloux, vice segretario dell'emigrazione.

UFFICIO II

Regolamentazione del fenomeno emigratorio -Trasporti ferroviari e marittimi -Americhe ed Australia.

Capo ufficio: GIANNINI Torquato Carlo, consigliere dell'emigrazione di la classe.

Segretari: MASI Corrado, consigLiere dell'emigrazione di 2a classe; LAMPERTICO Gaetano, vice consigliere dell'emigrazione; BEVILACQUA Michele, primo segretario dell'emigrazione; VACCHELLI Alessandro, vice segretario dell'emigrazione.

Addetti all'ufficio: Russo Giovanni, commissario onorario dell'emigrazione.

Comandati: PRisco Achille, colonnello medico in S.P.E. della Regia Marina; CoTTAFAVI Francesco, console generale della M.V.S.N., ispettore centrale dell'emigrazione; DE FEo Giuseppe, giudice capo; PAGANI Aldo, commissario di P.S.; CosTANTINI Icilio, capitano dei CC.RR.

UFFICIO III

Politica del turismo e del lavoro straniero in Italia.

Capo ufficio: LANDUCCI Publio, console generale di 2a classe.

Segretari: VALERIANI Valerio, console di 2a classe; PATERNÒ DI SESSA marchese Giuseppe, vice consigliere dell'emigraZJione.

Aggregato alla Direzione Generale: PERASSI Tommaso, professore di diritto nel Regio Istituto Superiore di scienze economiche e commerciali di Roma.

Addetti alla Direzione per compiti speciali: DI GIURA Giovanni, primo segretario di legazione di 1a classe; Bosco Giacinto, vice segretario dell'emigrazione; CARLI Vittorio; TRONCELLITTI Francesco.

SERVIZIO DEGLI AFFARI PRIVATI

Capo del serv1z10: BEVERINI Giovanni Battista, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di la classe.

Addetti al servizio per compiti speciali: RABBY Ezio, vice consigliere dell'emigrazione; GRANDINETTI Eugenio, capo sezione dell'emigrazione; FLAMINI Pietro, vice segretario dell'emigrazione.

UFFICIO I

Affari privati Eumpa, Africa, Palestina, Siria, Imk, Turchia, Penisola

arabica -Legalizzazione di atti -Corrispondenza e contabilità relativa.

Capo ufficio: BARTOLuccr ConoLINI Giovanni Battista, marchese di Castelletta, console generale di l a classe.

Segretario: CoTTAFAVI Antonio, console di 2a classe.

UFFICIO II

Affari privati A.merica, Oceania e tutta la parte dell'Asia non compresa nella competenza dell'Ufficio I.

Capo uff1ci0: N. N. Segretari: GIUSTI Paolo Emilio, console di 2• classe; MoscATO Niccolò, volontario diplomatico consolare.

SERVIZIO CORRISPONDENZA ED ARCHIVI

Capo del servizio: DE Rossr DEL LION NERO Pier Filippo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di 2• classe.

UFFICIO I

Affari generali.

Capo ufficio: MAZZOLINI Quinto, console di l• classe, reggente. Segretari: ARNÒ Guglielmo, vice console di la classe; CASTELLANI Germano, volontario diplomatico-consolare.

Addetti all'ufficio: MARZIANI Luigi, consigliere dell'emigrazione di 2• classe; PLATANIA Giuseppe, segretario capo dell'emigrazione; CoRsi Fernando, segretario dell'emigrazione.

UFFICIO II

Cifra.

Capo ufficio: SPECHEL Augusto, console di l• classe. Segretari: GUGLIELMINETTI Giuseppe; LANZARA Giuseppe, consoli di 2• classe; CASCIARO Marco, vice console di l• classe; BosiO Giovanni Jack, vice console di 2• classe.

UFFICIO III Archivi e corrispondenza -Organizzazione e sorveglianza degli archivi Corrispondenza in arrivo e in partenza: accettazione, registrazione, spe dizione, ecc. -Controllo del carteggio degli Uffici in relazione alla corrispondenza in arrivo -Archh'i correnti e archivi di deposito -Servizio dei corrieri.

Capo ufficio: PERVAN Edoardo, console di l• classe. Segretario: N. N.

RAGIONERIA CENTRALE

Direttore capo di ragioneria: FANO Alberto.

DIVISIONE I (alla diretta dipendenza del direttore capo di ragioneria)

Stato di previsione, variazioni, consuntivo -Tenuta degli impegni e scritture relative, registrazione di mandati -Agenti di riscossione e contabilità relative -Conti giudiziali -Conto corrente infruttifero con il Tesoro dello Stato -Giornale della contabilità extra bilancio -Accettazione delle tratte emesse dai Regi Agenti all'estero -Conto con il Portafoglio dello Stato -Conti correnti coi Regi Agenti all'estero e servizi relativi -Partitario dei depositi per successioni, atti e diversi Richieste vaglia del tesoro e postali -Contabilità dei valori -Liquidazione ed approvazione delle contabilità dei Regi Uffici diplomatici e consolari -Servizio cambiario relativo -Liquidazione dei conti delle società di navigazione per il rimpatrio dei nazionali indigenti -Emissione dei mandati relativi -Rendiconti delle spese relative alla assistenza militare, smobilitazione, ecc. -Servizio dei cambi -Competenze al personale -Riscontro sugli atti amministrativi dell'ufficio amministrativo ed emissione dei mandati relativi.

Capo sezione: DE SANTIS Paolo.

Segretari: CASONI Enrico, MoNTUORI Pietro, consiglieri; SERRA Francesco, AsBOLLI Attilio, BLAIS Manlio, Tosi Emilio, SALVATI Settimio, primi segretari; CoNTI Roberto, Lo SARDO Domenico, VoLPE Mario, ANGELICI Ruggero, segretari; URBANI FALLANI Velia, ragioniere.

Comandato: MASSIMO Luigi, capitano di fanteria.

DIVISIONE II

Riscontro degli atti amministrativi e servizio cambiario per le scuole italiane all'estero -Locali scolastici demaniali all'estero -Monte penmoni dei maestri elementari -Scritture generali e speciali -Contabilità scolastiche mensili e varie (riscontro e liquidazione delle spese, scritture e corrispondenza relativa) -Emissione dei mandati di pagamento -Materiale scolastico -Gestioni speciali e relative scrittu'T'e.

Direttore capo divisione: N. N.

Capo sezione: N. N.

Segretari: SuGLIANI Augusto, consigliere; ZAFARANA Gino, TuRA Michele, primi segretari.

Addetto all'ufficio: VIGNOLO Carlo.

Comandato: ANTINUCCI Umberto, capitano di artiglieria.

DIVISIONE III

Accertamento, riscossione e versamento delle entrate disposte dalla legge e regolamento sull'emigrazione -Scritture generali e speciali -Servizio delle marche da bollo da applicarsi sugli atti di arruolamento e sulle richieste ferroviarie per i viaggi dei connazionali rimpatrianti Liquidazione delle competenze ai RR. Commissari imbarcati in servizio di emigrazione e rimborso delle stesse da parte dei vettori -Tenuta degli impegni, emissione e registrazione dei mandati di pagamento per le spese relative ai servizi dell'emigrazione -Liquidazione ed approvazione di contabilità per le spese medesime -Fondo pensioni per gli impiegati del soppresso Commissariato generale dell'emigrazione Stralcio delle contabilità di guerra -Inventari.

Direttore capo divisione: CIOTTr Remigio, direttore capo di ragioneria.

Capo sezione: RrsoLDI Giuseppe Arturo, ispettore di ragioneria.

Segretari: BLANDI Silvio, MAZZA Ferrante, TEDEsco Pietro Paolo, primi segretari di ragioneria; RICCA Alfredo, segretario di ragioneria.

CONSULENTI GIURIDICI

Consulente generale.

SciALOJA Vittorio, Senatore del Regno, Ministro di Stato, professore di diritto nella Reg,ia Università di Roma.

CONSULENTI

PrLOTTI Massimo, primo presidente di Corte d'Appello; GIANNINI Amedeo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario onorario con rango di la classe, consigliere di Stato; MoNTAGNA Raffaele consigliere di Stato, con titolo onorario di consigliere di legazione; ALBERTAZZI conte Enrico, consigliere di Cassazione, con titolo e rango di console generale onorario; PERASSI Tommaso, professore ordinario di diritto internazionale nel Regio Istituto Superiore di scienze economiche e commerciali di Roma.

CONSIGLIO DEL CONTENZIOSO DIPLOMATICO

Presidente: GRANDI Dino, ministro degli Affari Esteri.

Vice-presidente: ScrALOJA Vittorio, Senatore del Regno, Ministro di Stato, professore di diritto nella Regia Università di Roma.

Consiglieri: BARZILAI Salvatore, Senatore del Regno; BERlO Adolfo, Senatore del Regno, presidente di sezione del Consiglio di Stato; BONIN LONGARE conte Lelio, Ministro di Stato, ambasciatore, Senatore del Regno; CAMMEO Federico, professore di diritto nella Regia Università di Firenze; CAVAGLIERI Arrigo, professore di diritto nella Regia Università di Napoli; CoNTARINI Salvatore, ministro di Stato, ambasciatore, Senatore del Regno, consigliere di Stato; CusANI CoNFALONIERI marchese Girolamo, ambasciatore; D'AMELIO Mariano, Senatore del Regno, presidente della Corte di CassaziOne; DE MICHELIS Giuseppe, ambasciatore, Senatore del Regno; DIENA Giulio, professore di diritto nella Regia Università di Pavia; FEDOZZI Prospero, professore di diritto nella Regia Università di Genova; GASPERINI Gino, presidente della Corte dei Conti; GuARIGLIA Raffaele, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di la classe; IMPERIALI DI FRANCAVILLA marchese Guglielmo, ambasciatore, Senatore del Regno; LANZA DI SCALEA principe Pietro, ministro di Stato, Senatore del Regno; PERLA conte Raffaele, presidente del Consiglio di Stato a riposo, Senatore del Regno; RoLANDI RICCI Vittorio, Senatore del Regno, ambasciatore onorario; RoMANO Santi, presidente del Consiglio di Stato; SALANDRA Antonio, professore di diritto nella Regia Università di Roma, Senatore del Regno; SALVAGO RAGGI marchese Giuseppe, ambasciatore, Senatore del Regno; SANDICCHI Pasquale, inviato straordinario e ministro plenipotenziario di la classe, consigliere di Stato; SoLMI Arrigo, professore di diritto nella Regia Università di Pavia, Deputato al Parlamento; VALVASSORI PERONI Angelo, Senatore del Regno.

Segretario generale: GIANNINI Amedeo, inviato straordinarto e ministro plenipotenziario onorario con rango di la classe, consigliere di Stato, incaricato di storia dei trattati e di diritto aeronautico nella Regia Università di Roma.

Segretario aggiunto: N. N.

Ufficio del segretario generale: ToFFOLO Giovanni Battista, vice console di 2a classe.

APPENDICE III

AMBASCIATE E LEGAZIONI PRESSO IL RE D'ITALIA

(Situazione al 15 marzo 1931)

Afganistan: HusEIN Aziz Abdul, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; SAMID Abdul Aziz Khan, segretario.

Albania: DINO Djemil, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; SHTYLLA Tahir, primo segretario.

Argentina: PEREZ Fernando, ambasciatore; LEGUIZAMON PoNDAL Honorio, consigliere; CHIAPPE Felipe, consigliere di legazione, primo segretario; AsTENGO Oscar Oneto, primo segretario; RAMIREZ Pedro P., tenente colonnello, addetto militare ed aeronautico; FERREYRA Dardo, maggiore, addetto militare aggiunto; BREBIA Carlos, consigliere commerciale; SusiNI Telemaco, addetto civile.

Austria: VoN EGGER MoELLWALD Lothar, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; VoLLGRUBER Alois, consigliere di legazione; RoTTER Adrian, segretario di legazione; FRIEBERGER Kurt, consigliere di sezione, addetto per la stampa.

Belgio: DE LA FAILLE DE LEVERGHEM conte Georges, ambasciatore; PATERNOTTE DE LA VAILLÉE Alexandre, consigliere.

Bolivia: N. N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Brasile: DE TEFFÈ Oscar, ambasciatore; PARANHOs Do Rm BRANCO Gastao, primo segretario; DE GALVA:No BuENO Americo, secondo segretario (assente); OLYNTO DE OLIVEIRA Jorge, secondo segretario; FuRsT Oswaldo, secondo segretario; DA SILVEIRA Paolo Mattia Assis, addetto civile; PIMENTEL DUART Galdino, capitano di corvetta, addetto navale; DE CAMPOS Deoclecio, addetto commerciale; SPARANO Luiz, addetto.

Bulgaria: VOLKOFF Ivan, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; STOJLOFF Stoil C., consigliere; KARADJOFF Detckho, primo segretario; BALABANOFF Nicolas, segretario di legazione, capo dell'ufficio stampa; NEDEFF Nicolas, colonnello di stato maggiore, addetto militare.

Cecoslovacchia: MASTNY Vojtech, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; SEJNOHA Jaroslav, consigliere; LAICHTER Ivan, segretario; STÀNE Vojtech, addetto; KRATOCHViL Antonin, tenente colonnello di artiglieria, addetto militare ed aeronautico; KuNDRÀT Miroslav, segretario, addetto commerciale; ZLATNIK Jan, segretario, capo ufficio stampa; PECHÀCEK Joseph,

addetto all'ufficio stampa.

Cile: HuNEEus Antonio, ambasciatore; FIGUEROA Francisco, primo segretario; RIVEROS GALVEZ Josè, tenente, addetto aeronautico.

Cina: TsiANG Lu Fo, incaricato d'affari (assente); OuANG Raymond Y.C., primo segretario, incaricato d'affari (ad interim); TcHou Yin, primo segretario; CHANG Chia-Yung, terzo segretario.

Colombia: N. N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Cuba: !ZQUIERDO y ORIHUELA Josè Alberto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; FoRCADE Y JoRRIN Alfonso, consigliere.

Danimarca: KRUSE J.C.W., inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CoLLIN Hjalmar, segretario.

Dominicana (Repubblica): GARCIA MELLA Moises, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; GARCIA Goooy Emilio, primo segretario, incaricato d'affari (ad interim); PARADAS Salvador Emilio, addetto; PELLERANO ALFAU Arturo J., addetto commerciale.

Egitto: SADEK Wahba pascià, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; KHALEK HAssouNA Mohammed Abdel, secondo segretario; MoHARRAM Hassan, addetto; TAGER AL-OMARI Mohammed, addetto agricolo.

Equatore: PENAHERRERA Luis Antonio, incaricato d'affari; PALLARES ZALDUMBIDE Hernim, addetto; PEsANTEs Alcides, addetto militare (assente); EsTRADA Vietar Emilio, addetto commerciale (assente).

Estonia: SCHMIDT August, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; JANSON David, primo segretario.

Etiopia: WUBIÈ Mangascià, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; GHEBRE MusrÈ Géròrne, consigliere; WEULDE Gheb:ciel Ylrna, primo segretario.

Finlandia: ARTTI Kaarlo Pontus, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; HARKONEN Halvar, segretario onorario.

Francia: DE BEAUMARCHAIS lVIaurice, ambasciatore; DE DAMPIERRE conte Robert, consigliere; RocHAT Charles, primo segretario; GuERIN Hubert, secondo segretario; ELIE Hubert, terzo segretario; DE MENTHON conte Bernard, addetto; LELONG, tenente colonnello, addetto militare; SANSON Pierre, capitano di corvetta, addetto navale; DE LA GIRAUDIÈRE Jacques, capitano di aviazione, addetto aeronautico; BouRGEOIS Jean, tenente di vascello, addetto navale aggiunto; SANGUINETTI J., addetto commerciale.

Germania: VON ScHUBERT Carl, ambasciatore; SMEND Hans, consigliere; VoN BtiLow. Dankward-Christian, consigliere di legazione con funzioni di primo segretario; MARSHALL VoN BIEBERSTEIN Viktor Heinrich, segretario; SCHMIDKRUTINA Hermann, segretario; RrCIÌTER Herbert, segretario; STROHEKER Heinrich, consigliere di commercio; BussE Walter, addetto per l'agricoltura.

Giappone: YosHIDA Shigeru, ambasciatore; OKAMOTO Takezo, consigliere; YosmZli.WA Seijiro, primo segretario; 0GAWA Noboru, secondo segretario; AKIYAMA Masatoshi, terzo segretario: !NOUEYE Kenso, segretario interprete di seconda classe; KATSUDA Naokichi, addetto; SAKAI Yasuski, maggiore di fanteria, addetto militare; NrwA Masami, capitano di fregata, addetto navale.

Gran Bretagna: GRAHAM sir Ronald, ambasc,iatore; OSBORNE Francis Darcy Godolphin, consigliere; NATION J. J. H., colonnello del genio, addetto militare; BAVAN R. H. L., capitano, addetto navale; HETHERINGTON T. G., colonnello, addetto aeronautico; MuLOCK E. H., consigliere d'ambasciata per gli affari commerciali; KIRKPATRICK I. A., primo segretario; Mc CLuRE W. R., addetto per la st~mpa con rango di primo segretario; FARKUHAR Harold Lister, secondo segretabo; VAUGHAN-ScoTT W. F., secondo segretario d'ambasciata per gli affari commerciali; GAGE Berkeley Everard Foley, terzo segretario; CREEK H. D., addetto onorario.

Grecia: METAXAS Petros, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; MoSTRAS Basile D., secondo segretario.

Guatemala: N. N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario; PALACIOS José Maria, incaricato d'affari (ad interim).

Haiti: N. N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Hegiaz: N. N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Jugoslavia: RAKITCH Milan, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; ANTITCH Milan, consigliere; YAKOVLJEVITCH Vojislav, primo segretario; KNEZEVIC Nikolas, addetto; KOTNIK Cyrille, addetto; VUKOTIC Jovan, addetto; ZAJCIC Bozidar, capo ufficio stampa; YANKOVITCH Radivoje, colonnello di stato maggiore, addetto militare e navale; SoNDERMAYER Vladislaw, maggiore, addetto aeronautico.

Lettonia: SEYA Pierre, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; KAMPÈ André, segretario.

Lituania: CARNECKIS Valdemaras, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; VrLErsrs Petras, segretario; SKORUPSKIS Vladas, consigliere tecnico.

Messico: PADILLA Ezequiel, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; DE NEGRI Manuel, consigliere; URBINA OscoY Samuel, tenente colonnello di cavalleria, addetto militare: BARRIGUETE Armando, capitano di cavalleria, addetto militare aggiunto; LoYo Gilberto, addetto commerciale.

Monaco: CouGET Fernand, inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Nicaragua: N. N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Norvegia: !RGENS Johannes, inviato straordinario e min~stro plenipotenziario; VANGENSTEN Ove C. L., primo segretario.

Paesi Bassi: VAN DER GoEs Jonkheer A., inviato straordinario e ministro plenipotenziario; SrLLEM J. G., primo segretario; VAN RrJN J. J., addetto commerciale.

Panama: BuRGos Antonio, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; BuRcos ZUBIETA Edgardo, segretario; ARIAS Carlos Efraim, addetto.

Paraguay: GuBETICH Andrès, incaricato d'affari.

Persia: PAKRÉVAN Fatoullah Khan, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; SAMrr Mustafa Khan, primo segretario; GHARAGOZLou Taghi Khan, terzo segretario.

Perù: N. N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario; 0RTIZ DE ZEVALLOS Emilio, primo segretario, incaricato d'affari (ad interim); LANATA Couoy Luis, secondo segretario.

Polonia: PRZEzozrECKr conte Stefan, ambasciatore; DE RoMER Taddeo, consigliere; GosrEWSKI Taddeo, primo segretario; KoMIEROWSKr Ludomir, secondo segretario; MrcHALOWSKI conte Giuseppe, addetto onorario; MrKuLsKr Boleslaw, consigliere commerciale.

Po1·togallo: DE CASTRo Augusto, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; DE BIVAR BRANDEIRo José, secondo segretario.

Romania: GHrKA principe DemPtriu, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; ZANEsco Costantin, consigliere; SoLACOLO Theodore, capo dell'ufficio stampa; PoPEscu David, colonnello di fanteria, addetto militare; NrCULEscu Giorgio, addetto navale; PoRN Eugenio, addetto commerciale.

Salvado1· (repubblica del): N. N., inviato straordinario e ministro plenipotenziario.

Santa Sede: BORGONGINI DucA monsignor Francesco, arcivescovo di Eraclea, nunzio apostolico; TESTA monsignor Gustavo, consigliere; SERENA monsignor Carlo, uditore.

Siam: ABHIBAL RAJAMAITRI Phya, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; MAITRIRAKS Luang Saman. terzo segretario; RAJMAITRI Luang Siri, terzo segretario.

Spagna: Mu:Noz Y lVIENZANO Cipriano, conte de la Vifiaza, ::tmbasciatore; DE MuGUIRO Miguel Angel, ministro plenipotenziario di terza classe, consigliere; SrLVELA M. Angel, segretario di seconda classe; Mu:Noz Y RocA TALLADA Alvaro, segretario; GANDARA Y PLAZAOLA José, marchese de la Gandara, addetto onorario; SERT José Maria, addetto onorario (assente); CARRAsco Manuel, addetto onorario; YEBES conte de, addetto onorario; MARTINEZ DE CAMPOS Y SERRANO Carlos, conte de la Llovera, maggiore di artiglieria, addetto militare ed addetto aeronautico per l'esercito; MILLE Mateo, capitano di corvetta, addetto navale ed addetto aeronautico per la marina.

Stati Uniti d'America: GARRET John Work, ambasciatore; KIRK Alexander C., consigliere; MrLNE Mac Gillivray, capitano di vascello, addetto navale; CoLLINS James L., maggiore di artiglieria, addetto militare; MrTCHELL Mowatt M., addetto commerciale; TrTTMANN Harold H., primo segretario; BELLINGER Patrick N. L., capitano di fregata, addetto navale aggiunto per l'aviazione; BRADY Francis N., capitano, addetto militare aggiunto per l'aviazione; HANSON Ralph Trowbridge, capitano di fregata del genio navale, addetto navale aggiunto (residente a Londra); HusE John Oldham, tenente di vascello, addetto navale aggiunto (residente a Berlino); HINMAN BRYANT Eliot, tenente di vascello, addetto navale aggiunto; OsBORNE A. A., addetto commerciale aggiunto; CHAPIN Selden, terzo segretario; WILE Frederic William Jr., segretario.

Sud Africa (Unione del): PIENAAR Barend Jacobus, inviato ·straordinario e ministro plenipotenziario; HEYMANS Albert, primo segretario.

Svezia: SJOBORG Erik, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; ARNANDER Folke, primo segretario.

Svizzera: WAGNIÈRE Georges, inviato st!"aordinario e ministro plenipotenziario; BROYE Eugène, consigliere; VrELI Pierre, primo segretario; DE BAVIER Charles Edouard, primo segretario.

Turchia: SUAD bey Muhtar, ambasciatore; RrzA bey Basri, consigliere; RECHIT bey Mehmet, primo segretario; REFIK bey Rifki, primo segretario; TAHSIN bey Hassan, tenente colonnello di fanteria, addetto militare ed aeronautico; KAZIM bey Amer, capitano di corvetta, addetto navale.

Ungheria: DE HoRY Andras, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; DE WonrANER Andras, consigliere; DE RosTY-FoRGACH Ferencz, segretario di legazione; TELEKI conte Giulio, addetto; ScHINDLER Costantin, colonnello del genio, addetto militare; HuszKA Istvan, addetto per la stampa.

Unione deLle Repubbliche Socialiste Sovietiche: KuRSKY Dimitry, ambasciatore; RosENBERG Marcello, consigl,iere; ERDMANN Boris, secondo segretar,io; TRuDOLIUBOFF Valentin, addetto militare e aeronautico; ANZIPO-CIKUNSKI Leo, addetto navale; LEVENSON Mikail, rappresentante commerciale.

Uruguay: GuERRA Ubaldo Ramon A., inviato straordinario e ministro plenipotenziario; GRUNWALDT CuESTAS Federique, primo segretario; CARBAJAL Carlos, capitano di fregata, addetto navale; ELENA Esteban A., addetto commerciale; ARIAs Teofilo, addetto onorario; CoRDANO Rafael, addetto onorario; GARCIA DE ZuNIGA Carlos Petit, addetto onorario; CASCIANI Alejandro, addetto onorario.

Venezuela: PARRA-PEREZ Caracciolo, inviato straordinario e ministro plenipotenziario; CAsAs BRICENO Y. M., consigliere; RoJAS Hugo, addetto (assente).